Il vecchio e il mare

 

 

 

 

Ho scomodato Hemingway per assonanza.
La vecchiaia è condizione comune,
con barca e lenza per Santiago,
con borsone e Nikon per me,
come altrettanto comune è il mare,
per Santiago un liquido amniotico,
per me una attrazione fatale proposta in b&w.
Narrazione e poesia,
messaggi in bottiglie rinvenute in lontani arenili,
si insinuano furtivamente, pretendendone amabile lettura.

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Mahé

 

 

 

 

Profonde lontananze di luce dischiudono orizzonti al di là dell’orizzonte, e perciò il mare si fa simbolo del "senza-confine" che impaurisce chi abita terre protette, intimi focolari, passioni quiete che nessuna gioia ha mai fatto danzare, alcun dolore inabissato. Il mare conosce la danza e l’abisso.
Ma chi sono coloro che hanno abbastanza cuore per questo? I signori della terra? Gli uomini di carattere? No, la superficie del mare è troppo pura per i loro occhi, e loro sono troppo sgraziati e avidi di territorio per prendere il largo con la semplicità del navigante che incoraggia il suo cuore. E prende a conoscere come il piacere si intreccia con il dolore, la maledizione con la benedizione, la luce del giorno con il buio della notte, e come tutte le cose sono nel mare incatenate, intrecciate, innamorate senza una visibile distinzione, perché l’abisso, che tutte le cose sottende, vuole che così si ami il mondo.
Le linee del mare sono infatti, la "profondità" dell’abisso e il "senza-confine" dell’orizzonte, due dimensioni che inquietano l’uomo del territorio incapace di vivere senza i segni del mondo, ma non il navigante che non dice al dolore "sparisci" e all’amore "calmati". A differenza dell’uomo del territorio che vuole il mondo, il navigante anela a cose più lontane, più abissali, più indistinte nei loro indiscernibili confini, e il suo cuore, come il mare, vuole se stesso, come l’onda, vuole il ritorno, come il vento, vuole tempesta e, come l’abisso, vuole profondità. In questo senso il mare è la metafora del cuore come la terra lo è dell’anima razionale, perché a differenza dell’anima, che da quando è nata è sempre in cerca di protezione e di salvezza, nel cuore c’è quella voglia di terre non ancora scoperte che solo il mare può concedere a chi non teme il "senza-confine" dischiuso da quegli spazi senza meta dove neppure il tempo conosce altra segnalazione se non quella offerta dalla luce e dal buio: la luce di mezzogiorno che cancella tutte le ombre e il buio della notte dove la luna diffonde il suo raggio solo per ingannare con le ombre.
Il senso del mondo si capovolge e l’incalcolabile, che sulla terra incute timore, diventa metafora del cuore costretto a non fidarsi né della calma trasognata dell’acqua, né del suo burrascoso inabissarsi ed elevarsi, quando la costa è scomparsa e lo spazio e il tempo appaiono nel loro assoluto. Qui e solo qui, non dietro la siepe dell’ermo colle, appare quanto è spaventoso l’infinito, e con l’infinito quanto è spaventosa la libertà sognata prima che l’ultima catena ci sciogliesse dalla terra, ora che non esiste più terra alcuna, ma solo il più assetato degli elementi, il più affamato, il più pauroso, il più misterioso, il mare. (Umberto Galimberti)

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Anse La Source à Jean

 

 

 

 


Canale di Mozambico, Ilha de Moçambique

 

 

 

 


Oceano Indiano, Praslin

 

 

 

 


Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 

 


Oceano Indiano, Angaga

 

 

 

 


Mar Cinese Meridionale, Malesia

 

 

 

 


Mar dei Caraibi, Los Roques

 

 

 

 


Oceano Atlantico, Fernando de Noronha

 

 

 

 


Oceano Indiano, Anse Union

 

 

 

 


Oceano Atlantico, Cap Skirring

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 

 

E il mare era per me, e lo è ancora,
la più promettente e seduttiva pagina bianca.
La pagina non ancora scritta,
il sogno non ancora realizzato,
il desiderio non ancora estinto,
la fuga non ancora portata a compimento,
l’assenza che suggerisce la presenza,
l’inizio che non ha fine.
Nella sua distesa luminosa e sconfinata,
nei suoi abissi sconosciuti diventa facile
e quasi inevitabile trovare una metafora vivente
alla propria irrequietezza, all’istinto di libertà,
alle paure e all’inesplorata e profonda regione dell’anima.

 

Valeria Serra

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Guadalupa

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Los Roques

 

 

 

 

 

 Oceano Indiano, Mahe

 

 

 

 


 

Mar Cinese Meridionale, Malesia

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Anse La Source à Jean

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Fernando de Noronha

 

 

 

 

 

Canale di Pemba, Funzi Island

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Kulusuk

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Anse Songe

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 


“Era già l’ora che volge al disìo, ai naviganti e’ntenerisce il core… che paia il giorno pianger che si more”. L’ora della nostalgia coincide, e non solo per Dante, con il tramonto, quando gli ultimi bagliori del giorno stanno per svanire e con essi si spengono i colori del mare. Che sono vivaci, brillanti, accesi, sbiaditi o cupi, a secondo della luce, della sua quantità, della sua qualità… una singola tonalità, tutto l’arcobaleno, o un rutilante caleidoscopio sono il risultato imprevedibile delle pennellate dei raggi del sole sull’acqua, sulle rocce, sulle cose.
Con quali tinte il sole dipinge il mare? L’acqua, per sua natura incolore, è bianca se si fa spuma, nera allorché cala la notte senza Luna e senza stelle; trasparenze verdi ci rimandano ai fondali d’alghe, trasparenze rosa ammantano abbacinanti sabbie coralline; ogni gradazione di azzurro e di blu ci assale al largo, a mano a mano che la distanza tra la superficie e il fondo aumenta.
M c’è un momento in cui tutti i colori acquistano un unico tono: quando l’aria calda del pomeriggio si fa tiepida, e poi frizzante, e la brezza marina inverte il suo corso, portando a riva i profumi del mare. Sono le ore in cui gli ultimi spasmi del sole lanciano in cielo lunghi fiotti dorati, che subito si tingono di un rosso sanguigno e poi violaceo.
Come molle tempera da un quadro, i raggi cadono sull’acqua, sui tetti e sugli scogli, e giocano con gli oggetti dimenticati lungo le spiagge disegnandone i profili: un ombrellone, un secchiello, un pallone…
Onde arancioni si frangono a riva mentre in cielo le nere sagome dei gabbiani svolazzano come ombre gracchianti di fronte all’ultimo quarto di sole. Poi, dietro una montagna, oltre l’orizzonte, si spegne l’incendio del tramonto, si fa livida l’aria, e, lentamente, il mare acquista il colore cangiante del piombo liquido, per esibire una sciarpa di abbagliante luce lunare. (Gaetano Cafiero)

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Angaga

 

 

 

 

 
Canale di Mozambico, Ilha de Moçambique

 

 

 

 


Oceano Pacifico, Maui

 

 

 

 

 

Mar Mediterraneo, Sant'Antioco

 

 

 

 


Oceano Pacifico, Yasawa Islands

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Anse Union

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Guadalupa

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Kauai

 

 

 

 

 

Oceano indiano, Rangalifinolhu

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Mahe

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Playa Sirena

 

 
 

 

Il mare mi apparve che era infinito e tranquillo. Era azzurro infinito, e nel lontano grandi strisce d’argento lo imbiancavano lunghe fino agli estremi orizzonti. La luce saliva dal mare, scendeva dal cielo, brillava nell’aria. Il mare era quieto e sicuro, solo un tremante margine di spuma sul lido tradiva il suo piacere di vivere. Azzurro e luce volavano sopra la terra. Il mare e il cielo respiravano luce e calore e ne inondavano il mondo. I miei occhi si riempirono di lacrime tenere. M’appoggiai allo spigolo di un muro. Ero nell’ombra, l’ombra del muro, che si stendeva fino a due passi da me stampata nera e diritta nella rena brillante, ed oltre quella linea la rena continuava nella luce per un vasto spazio fino a un orlo di ghiaia dove finisce la terra.
Perché io sostavo così dentro quell’ombra del muro, per questo il mare non mi aveva ancora veduto. Allora mi staccai dal muro e uscii all’aperto in mezzo a tutta la luce in faccia al mare. Ed ecco di colpo s’oscurò rabbrividendo il sole e un tremito scosse il mondo come un gran terremoto dell’aria; d’improvviso tutto fu grigio e tempesta intorno a me, ed era spaventevolmente sconvolta la faccia del mare. Una ruga enorme d’un tratto l’aveva tutta solcata dalla riva all’orizzonte come una voragine torbida,e poi altre cento o mille rughe lo frantumarono, caverne si scavarono e montagne si arrampicarono: tutto riaccavallò il mare di acque immerse che lo sconquassavano schiumando con una gran rabbia in tutte le direzioni.
Le onde si mescolavano in alto con le nubi e riempivano l’aria di grida terribili correndo fragorosamente a rovesciarsi sempre più cavernose e colleriche contro la spiaggia, l’aria era piena di gelo e la sbattevano i venti. Anche il cielo era gonfio di nuvole e rabbioso e nero, perché il cielo non é che la fronte espressiva del mare. Io fui subito molto contento che il mare mi trattava a quel modo. S’egli mi avesse accolto con indifferenza, o con una fredda e signorile cortesia come fa con certa gente, oppure, e ora confesso che questa era, fin dall’ora della mia partenza sul treno,il mio segreto timore, avesse addirittura finto di non riconoscermi, credo sarei morto dal dispiacere e dall’umiliazione.
Invece il mare appena mi ebbe visto si corrucciò e m’aggredì con urli e minacciosi improperi, perché mi voleva ancora bene, come lui sa volere quando trova qualcuno che gli va a genio. Perciò il mio cuore si gonfiò di gioia a quell’accoglienza iraconda. Non alzai verso lui le braccia, per un mio vecchio pudore dei gesti fatti, e nemmeno gli dissi nulla: neppure una parola. Credo che gli sorrisi. (Massimo Bontempelli)
 

 

 

 

 

Mar Glaciale Artico, Svalbard

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Fortaleza

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Grand Anse

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Los Roques

 

 

 

 

 
Oceano Indiano, Mahe

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Quilalea

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Mauritius

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Cayo Largo

 

 

 

 

Nell’arcano del mare, nella infinita distesa vivente che gli antichi mitografi avevano individuato come origine della vita, utero materno del mondo, la geografia dei tempi andati sapeva catalogare con imparziale ospitalità mirabilia e miraggi accanto alle deludenti banalità del reale.
Corone di isole irraggiungibili e agognate cingevano le terre emerse. Propizia alla fantasticheria, l’insularità permette la creazione di microcosmi, l’isolamento marino evita il disincanto della scoperta.
Di la dalle acque potevano, dovevano esserci le isole beate, le isole fortunate, le isole esperidi, terre esigue, ma immerse nella eterna felicità, nell’immutabile giovinezza, così, ancorate da pilastri immensi di bronzo dorato al fondo del mare, invisibile oltre la linea del tramonto del sole, aspettavano l’approdo di barche che una tempesta improvvisa aveva spinto fin laggiù.
Aspettavano indifferenti al mutare delle credenze e delle religioni, pur di ricevere qualche visita; ed ebbero infatti comparse di greci seguaci di Nettuno e fenici adoratori di Astarte, di cavalieri della tavola rotonda in cerca di re Artù; di pii monaci irlandesi guidati da santi verso il paradiso terrestre e di vichinghi in rotta per paesi più assolati delle loro rocce.
Poi, quando i navigatori si fecero troppo numerosi perché il delicato equilibrio delle isole di sogno potesse sopportarne l’affollamento, si ritrassero e si nascosero; uscirono dalle carte nautiche per acquattarsi nelle pagine di libri scritti da spiriti bizzarri e continuare da lì a stimolare le fantasticherie; mutarono natura, e, lasciate le beatitudini, si diedero alle avventure, invitando naufraghi come Robinson Crusoe e pirati che vi seppellivano tesori, scienziati folli come il dottor Moreau e popolazioni minuscole o gigantesche come a Lilliput e Brobdignag.
Oggi, stanche dopo millenni di fabulazioni, si sono rassegnate alla prosa, esercitando il loro fascino insulare per far scendere dal cielo i charter dei vacanzieri sugli aeroporti tracciati fra le palme. (Gianni Guadalupi)

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Maui

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Petite Anse

 

 

 

 

 

Mar Glaciale Artico, Svalbard

 

 

 

 

 

Mar Cinese Meridionale, Tioman

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Bora Bora

 

 

 

 

 

Mar d'Irlanda, Cork

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Rangalifinolhu

 

 

 

 

 

Canale di Pemba, Funzi Island

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Grand Anse

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Bora Bora

 

 

 


Si sentiva il mare, come una slavina continua,
tuono incessante di un temporale figlio di chissà che cielo.
Non smetteva un attimo.
Non conosceva stanchezza.
Non conosceva clemenza.
Se tu lo guardi te ne accorgi: di quanto rumore faccia.
Ma nel buio…
tutto quell’infinito diventa solo fragore, muro di suono,
urlo assillante e cieco.
Non lo spegni, il mare, quando brucia la notte.

 

Alessandro Baricco

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Guadalupa

 

 

 

 


Oceano Pacifico, Polihahe

 

 

 

 


Oceano Indiano, Tsarabanjina

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Anse Union

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Jokulsarlon

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Guadalupa

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Polihahe

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Kulusuk

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Preha

 

 

 


Ormeggiare una barca sotto la pioggia, nell’atmosfera grigia di un porto mediterraneo, suscita a volte una strana malinconia. Proprio come succede oggi Non c’è sole che si rifletta sui muri bianche degli edifici, e l’acqua che ti sei lasciato dietro, all’entrata della baia, non è blu cobalto a mezzogiorno, né al tramonto possiede quel color vino rosso nel cui controluce scivolavano, in altri tempi, navi nere con occhi dipinti sulla prua. Il mare è di un grigio verdastro, il cielo basso e sporco. Le nuvole scure lasciano cadere una pioggia mite che gocciola lungo le sartie e le vele serrate, e inzuppa il teak della coperta. Non c’è neppure vento.
Dai volta alle cime e scendi sul molo, camminando lentamente tra le barche immobili. Bagnandoti. In giornate come questa, la pioggia trasmette una tristezza vaga, indefinita. Fa pensare alla fine di traversate, a navi prigioniere delle proprie cime, delle bitte e dei pali di ormeggio. A uomini che danno le spalle al mare, alla fine del cammino, costretti a invecchiare nell’entroterra, fra i ricordi. Questa umidità brumosa, impropria del luogo e della stagione, addolora come un presentimento, o una certezza. Mentre ti allontani dal molo non puoi non pensare ai tanti uomini di mare che un giorno hanno lasciato una barca per l’ultima volta. E, per contrasto, senti anche la nostalgia del luccichio luminoso e azzurro: salsedine e giovani pelli abbrustolite dal sole, rumore di risacca, odore di fumo dei falò accesi con legna portata a riva della corrente, sulla sabbia umida di spiagge deserte e rocce scolpite dal paziente susseguirsi delle onde.
Memorie d’altri tempi. Di altri uomini e donne. Di te stesso, forse, quando eri un altro anche tu. Quando cercavi di conoscere il mare con occhi di avventura, nei porti presentivi solo oceani immensi e isole dove non sarebbero mai arrivati i mandati di cattura della polizia giudiziaria, ed eri ancora lontano da contemplare il mondo come fai oggi: guardando al futuro senza vedere altro che il tuo passato.
Al bar La Marina, reliquia centenaria, condannata a morte della speculazione edilizia locale, Rafa, il proprietario, arrostisce alici e sardine. Ad un lato del bancone ci sono tre uomini che bevono vino e fumano, accanto alla finestra da cui si vedono, a distanza, i pesche reggi uno addossato all’altro nel molo vicino, confinante col mercato.
I tre hanno la stessa pelle bruciata dal sole e solcata da rughe simili a tagli di rasoio, con l’aria dura e virile, lo sguardo grigio come la pioggia che cade fuori, le mani ruvide e secche per l’acqua fredda, la salsedine, le lenze, le reti e i palamiti. Sull’avambraccio di uno di loro si può apprezzare un tatuaggio, seminascosto dalla camicia: una donna rozzamente disegnata, scolorita dal sole e dagli anni. Incisa, si suppone, quando una pelle tatuata, mare, carcere, servizio militare, prostituzione, era qualcosa di più che una moda o un capriccio. Quando quel marchio sulla pelle suggeriva una biografia. Una storia singolare, a volte torbida, da raccontare. O da tenere segreta.
Senza chiedertelo, Rafa poggia sul bancone di zinco un piatto di alici arrostite, grandi quasi come il palmo di una mano, e un bicchiere di vino. “Che tempo da cani”, dice rassegnato. E tu annuisci mentre bevi un sorso di vino e porti alla bocca, prendendola con le dita e cercando di non farti colare addosso l’unto, un’alice che mordi dalla testa alla coda fino a spolpare la lisca. E all’improvviso, quel forte sapore di pesce con una goccia d’olio, cotto su una piastra rovente, la consistenza della sua carne e quella pelle bruciacchiata che si stacca tra le dita che pulisci con un tovagliolino di carta, un’ancora stampata accanto al nome di un bar, prima di prendere il bicchiere di vino e portarlo alle labbra, diffonde echi di antica memoria, sapori e odori legati a questo mare vicino, oggi fosco e velato di grigio: pesci che si dorano sulla brace, barche in secca sulla sabbia, vino rossastro, vele bianche in lontananza, sulla linea luminosa e azzurra.
Quelle immagini si fanno strada come se qualcuno avesse fatto scorrere una tenda nella tua vita e nei tuoi ricordi, e il paesaggio familiare fosse di nuovo lì, nitido come sempre. E capisci di colpo che la bruma che gocciola nel tuo cuore è solo un episodio isolato, un aneddoto minimo nel tempo infinito di un mare eterno; e che in realtà tutto è ancora lì, nonostante il mattone, la stupidità, l’oblio, la barbarie, la bruma sporca e grigia.
Il sapore delle alici e delle sardine che Rafa arrostisce nel bar è identico a quello che conobbero coloro che, nove o diecimila anni fa, navigavano già per questo mare interiore, utero di ciò che siamo stati e che siamo. Mercanti che trasportavano vino, olio, viti, marmi, piombo, argenti, parole e alfabeti. Guerrieri che espugnavano città con cavalli di legno e poi, se sopravvivevano, facevano ritorno a Itaca sotto un cielo che la loro sagacia spopolava di dei. Antenati che nacquero, lottarono e morirono accettando le regole apprese da questo mare saggio e impassibile. (Arturo Perez-Reverte)

 

 

 

 

 

 

 

Mar Mediterraneo, Isola dei Conigli

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Bora Bora

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Cayo Rico

 

 

 

 

 

Mar Cinese Meridionale, Malesia

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Quilalea

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Providenciales

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Anse Union

 

 

 

 

 

Canale di Pemba, Funzi Island

 

 

 

 

 

Mar dei Caraibi, Los Roques

 

 

 

 

Il mare crea, il mare distrugge, meglio muta, trasforma, divora, con inesausta pazienza, lavora da millenni, infaticabile scultore del mondo asciutto, a modellarlo secondo il suo capriccio: martella, scava, sbriciola, sminuzza, sino a ridurre in sabbia impalpabile la roccia, fino intagliare falesie e fiordi, a creare promontori e penisole, a dentellare scogliere, a stendere manti di ghiaia, e di arena sulle coste preferite.
Poi, stravagante decoratore, arreda i litorali con la sua collezione di relitti galleggianti affidati alle correnti, al vento, alle maree: gli avanzi delle navi affondate che tornano a terra come eterno monito a non dimenticare la potenza del mare.
Un tempo, quando gli uomini ne rispettavano e ne temevano i segreti e i misteri, mandava a riva le sue più strane creature: le sirene a rapire bei marinai, la balena a inghiottire Giona, il mostro a divorare Andromeda.
A volte, per incarico divino, si infuriava contro le città degli uomini che peccavano specchiandosi nelle sue onde e in notti di tregenda le spazzava via senza lasciarne traccia dalla sua costa, che voleva incontaminata e pura come le acque salse. Immani catastrofi tramandate sul filo della leggenda, o consegnate alle pagine dei libri di storia.
Così perì in Bretagna la ricca e lussuriosa città di Ys, di cui si sentono ancora rintoccare disperatamente le campane sommerse; così scomparve dalla Cornovaglia la grande Lyonesse, i cui alberi crescono sempre sul fondo marino; così fu sommersa presso Ragen la bella Vineta, i cui annegati vagano fra le case subacquee senza sapere di essere morti, come fuochi fatui spenti.
Così, anno dopo anno, secolo dopo secolo, il mare consuma la terra e un giorno l’oceano primordiale riprenderà il suo dominio assoluto sul mondo. (Gianni Guadalupi)

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Bora Bora

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Moorea

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Na Pali

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Preha

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Quilalea

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Tetiaroa

 

 

 

 

 

Oceano Atlantico, Jericoacoara

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Bora Bora

 

 

 

 

 

Oceano Pacifico, Na Pali

 

 

 

 

 

Oceano Indiano, Funzi Island

 

 

 

 

Sai cos'è bello, qui?
Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia,
e loro restano lì, precise, ordinate.
Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia
e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente.
Il mare cancella, di notte. La marea nasconde.
È come se non fosse mai passato nessuno.
È come se noi non fossimo mai esistiti.
Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare.
Non è vita falsa, non è vita vera.
È tempo. Tempo che passa. E basta.
 

Alessandro Baricco