Obamba/Ambete. Mbulu ngulu.

 

 

 

 

Contemporaneamente realistiche e astratte, le figure reliquiario riassumono nella loro serietà immutabile, l'affascinante e inquietante mistero del rapporto ambiguo tra la morte e la vita, vale a dire l'essenziale delle preoccupazioni metafisiche dei Kota. La genialità di questi artisti si manifesta nel fatto che le loro opere, forme ultime di valori sociali e religiosi dei loro conterranei e portatrici del loro immaginario, ci commuovono oggi con la medesima forza, al di là delle barriere della cultura, della lingua e del tempo. Messaggi essenziali dei sogni perduti dell'Africa, i mbulu ngulu esprimono ancora, qui come là, tutta l'ambiguità del destino dell'uomo. (Bernard De Grunne)

 

 

 

 

 

 

 


Figura di reliquiario "mbulu-ngulu". Cultura Obamba Ambete.
Legno, rame, ottone. Epoca fine XIX-inizio XX secolo. Regione Alto Hogooué. Dimensioni: h.cm.60, larg.cm.29.
Provenienze:
collezione Muller van Ysterbeek, Bruxelles (B).
collezione J.Lundberg, Malmoe (S).
galleria Pierre Dartevelle, Bruxelles (B).
Pubblicazioni:
"Arts premiers d'Afrique noire", P.Guimiot - L.Van de Velde, Ed.Credit Communal Bruxelles, 1977, pagine 9-18-111.
Expo:
"Arts premiers d'Afrique noire", a cura di P.Guimiot, Studio 44 Bruxelles, 05.03.1977-17.04.1977.
Expertise:
Pierre Dartevelle, Bruxelles (B), 2009).
Studio etnico-stilistico:
Louis Perrois, Saint Gely(F), 2011.

Documentazione:

Mail Philippe Guimiot 02.02.2010

Mail Louis Perrois 03.02.2010.
Catalogazione AA 95/2009.

 

 

 

 

 

 

 

 

Commento etnico-stilistico di Louis Perrois. 02.02.2011.


Questa figura di reliquiario proviene dai Kota dell'alto Ogooué, in particolare dal gruppo dei Mbaama o Obamba un popolo che emigrò, secondo le tradizioni orali, dalla zona congolese verso il Gabon dal XVIII secolo. Demograficamente i Mbaama del Gabon costituiscono un gruppo importante nel complesso dei Kota. Abitualmente e per comodità si utilizza il termine di Kota per designare le popolazioni del Gabon orientale, mentre la maggior parte di queste comunità, posizionate sia in Gabon che nella vicina R.P.Congo, identificano sempre se stesse con nomi specifici (Mbaama, Ndasa, Wimibu, Ndumu, shake, Shamaye, Mahongwe, etc.). Il nome di Mbaama o Obamba proviene da una perla di vetro che gli anziani avrebbero portato al collo. Nel Congo Brazzaville(R.P.C), lo stesso popolo è conosciuto con il nome di Mbede o Mbete.
Sappiamo che gli officianti artisti Kota si immaginavano e facevano le effigi degli antenati secondo un registro iconografico stilizzato e talvolta quasi astratto, in una struttura bidimensionale, combinante un'anima di legno arricchita visualmente da una decorazione metallica (rame, ottone, talvolta ferro). Queste rappresentazioni sono immagini oniriche che solo qualche dettaglio morfologico (gli occhi, il naso) indica trattarsi di figure umane. Nessun problema per il realismo o le proporzioni: scultori, fabbri (otuli) svilupparono immagini-messaggio composte quasi esclusivamente di simboli grafici. E' l'opposto della concezione scultorea dei Fang, saldamente radicata nella espressione a tutto tondo.
Queste figure d'antenato sono note col nome di "mbulu-ngulu" per le rappresentazioni a singola faccia (più soventi concave, ma talvolta anche convesse, più o meno stilizzate o tendenti al realismo) e col nome di "mbulu-viti" per le effigi bifrontali(janus, opposte facce, concave e convesse a fronte prominente), molto più rare. Altri nomi individuano le figure di reliquiari nelle diverse aree occupate dai Kota: "boho-na-bwete" (a nord di Franceville, a Okondja e oltre, presso i Shamaye e i Mahongwe in particolare), "mboy" (verso la vicina R.P.Congo, presso i Mbete).
La maggior parte dei "mbulu-ngulu" ha sul retro del viso, dove il legno è lasciato a nudo, una decorazione a losanga in leggero rilievo o alcune figure rappresentanti piccoli volti stilizzati (si veda ad esempio Chaffin, 1980, pag. 175: Musee Du Perigord, Perigueux, Francia ~ viso frontale concavo a lamelle, viso stilizzato sul retro, non placcato con fronte bombata). Queste figure avevano probabilmente un significato rituale simile a quella dei "mbulu-viti" bifacciali.
Alcuni informatori (cfr. particolarmente il lavoro di Andersson, anni 1930, ma anche il mio degli anni 1970) pensano che le figure concave a lamelle (reali o figurate in incisione) siano figure femminili e quelle convesse o col fronte prominente siano di figure maschili. Questa ipotesi, tuttavia, non è da tutti condivisa, perché, in effetti, come si spiega il gran numero di "mbulu-ngulu" a facce concave in una società di organizzazione patrilineare? Potrebbe essere possibile che il peso della tradizione antica matrilineare ovunque comprovata, abbiano prevalso nella rappresentazione degli antenati? Perché se i miti riferiscono che il creatore "Ndzambe" abbia iniziato a creare l'uomo come entità maschile, questo è stato successivamente affiancato da compagne, sia per occuparsi della sua vita quotidiana(la preparazione dei cibi, la cura delle piantagioni) sia per avere discendenti.
Nelle iniziazioni l'aspetto femminile non veniva mai dimenticato. D'altra parte presso i Kota, con le società iniziatiche "mwiri" o "mungala", vietate alle donne, vi era la società Lisimbwe vietata agli uomini. Fino agli anni 1920-1930, vi erano figure in rame e in ottone in tutti i villaggi Kota, in numero maggiore o minore a secondo del numero di lignaggi e clan presenti nei singoli villaggi(secondo Jacques de Brazza, alcuni villaggi visitati nel 1885 a nord del fiume Sebe, avevano oltre le 200 capanne). Le figure venivano raggruppate abitualmente in genere (figure singole e figure janus insieme) lontano dalle abitazioni dentro ripari-santuari dei clan ove erano conservati i panieri-reliquiari contenenti le reliquie di importanti antenati.
I Kota, da nord a sud, praticano un culto familiare caratterizzato dalla conservazione delle reliquie degli antenati dei lignaggi importanti (teschi e ossa prelevati un anno o più dopo la morte, a volte aggraffati con lamelle di rame e cauri fissati con la resina, spesso spalmati con un unguento di terra o polvere di legno rosso) in grandi panieri sormontati da sculture decorate in rame e ottone, aventi il ruolo di "guardiani" delle reliquie. Alla presenza esclusiva degli iniziati, le decisioni più importanti del clan o del lignaggio, erano deliberate durante le cerimonie comunitarie ove le reliquie venivano esposte. Per questi rituali propiziatori, d'invocazione e talvolta di divinazione, gli antenati erano sempre coinvolti nell'esistenza dei vivi.
Il "mbulu-ngulu", h.cm.60, proveniente dalla collezione Muller van Ysterbeek(Bruxelles), collezione J.Lundberg(Malmoe), galleria P.Dartevelle(Bruxelles), ora collezione G.R.(Milano) ha la faccia concava, di leggera incavatura, è di forma ovale, interamente decorata con placche di rame e ottone, presenta una composizione comprendente in centro un ampio motivo a croce, delimitante quattro parti incise striate e lavorate a sbalzo e disposte secondo un motivo a raggiera. Al centro, il naso, di volume tetraedrico (triangolare), con ai due lati, grandi occhi riportati a forma di mezzaluna, leggermente in rilievo, in cui le pupille sono rappresentate da una cavità della stessa forma. Il decoro striato imita le lamelle degli antichi reliquiari. Infatti i "mbulu-ngulu" del XIX secolo presentavano tutte lamelle, come le figure degli Shamaye e dei Mahongwe.
Presumibilmente i fabbri Kota vollero gradualmente evitare il lungo e delicato lavoro di preparazione e di fissaggio di queste lamelle a partire dalla fine del XIX secolo e soprattutto nel XX secolo, pur manifestando la volontà di riprendere visivamente il decoro tradizionale di cui si voleva conservarne in memoria. Su questa figura si evidenziano striature orizzontali sopra e sotto gli occhi e striature oblique sulla fronte e le guance. Le placche hanno un aspetto un pò "spiegazzato", sia nella mezzaluna del cimiero sommitale, sia nelle parti laterali. Queste grandi "cuffie" bilaterali appiattite, sono arrotondate ma troncate in orizzontale a livello delle guance. Sono decorate alla base, con un fregio a fascia di triangoli a striature oblique. Per quanto riguarda i ciondoli (orecchini?), essi sono di forma trapezoidale (richiamanti il "mbulu ngulu" del Museo di Berlino). Il cimiero a mezzaluna, di bella dimensione, è decorato semplicemente con una bordura a piccole striature su tutto il perimetro, come le "cuffie" laterali, che rafforzano l'aspetto grafico dell'effigie.
Il collo è massiccio e molto corto, di sezione circolare. Decorato con una piccola placca a motivo incrociato con le losanghe segnate da un tratto verticale(richiamo della forma simbolica delle gambe?), sormonta una larga e solida losanga incisa da consistenti segmenti. Le "spalle" di questo supporto sono decorate con placche striate, fissate con una grande graffa di ottone. I due segmenti inferiori sono lasciati a nudo, mostrando una patina bruna satinata. La base accuratamente scolpita in lembi obliqui è leggermente erosa. Ricordiamo che la forma della losanga è un motivo ricorrente in tutto il Gabon centrale e orientale: simboleggia in modo astratto il sesso della donna, la porta della vita, ma anche la piroga che porta lo spirito del defunto sul fiume mitico che conduce al mondo dell'al di là e della morte.
Riguardo allo stato di conservazione dell'opera, essa sembra essere stata ripulita, il che avrebbe modificato la patina originale del metallo, da cui l'aspetto scintillante.(Se cio avvenuto, certamente anteriormente al 2009, mia annotazione). Un oggetto "classico". Fra i molteplici esemplari noti di "mbulu-ngulu" dei Kota-Mbaama (Obamba) del Gabon orientale, il reliquiario può essere considerato molto caratteristico, in termini di purezza di stile, e anche di una bella qualità estetica relativamente alla fattura. Si tratta di un lavoro perfettamente "classico"(1. classificazione iconolografica Bakota del Sud, tipologia II.1, Arts du Gabon, L.Perrois. 2. classificazione gruppo 4, Reflexion sur l'art funeraire Kota, G.Delorme. Mia annotazione), proveniente dalla regione dell'alto Ogooué, nel quale si ritrova tutta la maestria scultorea di un fabbro-scultore della fine del XIX secolo o inizio del XX secolo.

 

 

 

 

 

 

 

 


Nota di Philippe Guimiot.


La figura di reliquiario, legno, rame e ottone proviene dalla cultura Ambete(Gabon o R.P.Congo). Gli Ambete si collocano nella R.P.Congo da Etoumbi a Dilisie interessando anche una parte del territorio del Gabon nella regione di Okjondja e Franceville: Ambete al nord(Etoumbi), Mbamba, Ndassa al sud(Okondja, Sibiti). Essi sono abitualmente assimilati ai Bakota, le cui tribù(Kota-Kota, Shamaye, Mahongwé, Shake)occupano il nord-est del Gabon(Lastourville-Mekambo-Makokou). Questa assimilazione non si basa su nessun elemento linguistico ma su un errore storico risalente all'epoca coloniale che ha condotto a definire Bakota la presente tipologia di figura funeraria("mbulu ngulu") propria degli Ambete, allorché le figure funerarie proprie dei Bakota e dei Mahongwé furono definite degli Ossyeba, dal nome di una piccola etnia dell'Ogooué -i Chiwa- alla quale questi oggetti erano estranei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Estratto da: "Riflessioni sull'arte funeraria Kota". Arts d'Afrique noire, 2002. Gerard Delorme.


Gruppo 4 - Stile "Classico".

Come altri, abbiamo scelto il nome di "classico", perché questo gruppo è quantitativamente uno dei meglio rappresentati nel quale l'equilibrio e la stabilità delle sue forme danno l'impressione che si sia raggiunta la completezza dell'arte kota; troveremo, infatti, solo poche varianti al modello di base di cui possiamo definire le seguenti caratteristiche principali:
- la losanga mostra variazioni nei dettagli da una figura all'altra, ma è generalmente assai voluminosa.
- Il viso è ovale e regolare.
- le "cuffie" laterali sono ampiamente dimensionate, ben scostate dal viso. Il bordo esterno delinea una curva più o meno pronunciata e più o meno rientrante per finire su un bordo inferiore orizzontale, praticamente diritto come tagliato da un coltello. Al limite il bordo esterno può cadere verticalmente. Non si espone mai esteriormente. Un certo numero di modelli hanno una duplicazione della "cuffia" marcante un leggero dislivello di spessore. La parte delimitante il viso è decorata con false lamelle.
- La mezzaluna è quasi sempre massiccia(può superare esternamente le "cuffie"). Il suo bordo inferiore è quasi rettilineo e il livello o leggermente ricurvo. E 'raro che avvolga le "cuffie".
I pendenti sono di tre tipi:
- cilindrico
- trapezoidale (In entrambi i casi, pendono verticalmente perché sono piantate lungo il bordo inferiore della "cuffia").
- a "tirabaci".

 

 

 

 

 

 

 

Reliquiario kota di stile "classico.
Disegno di Andersson, in: Les Kuta Il, vol. 38.

 


Rappresentazioni o decori sulla parte dorsale del reliquiario.

Ci sono figurazioni di forma essenzialmente geometrica scolpite a tutto tondo sul dorso delle figure-reliquiario kota. Molto spesso, queste sculture hanno la forma di una losanga allungata secondo l'asse verticale della figura-reliquiario. Le losanghe possono assumere una forma più o meno fusiforme. Queste figurazioni, anche se praticamente sempre presenti sul retro delle figure, non sembrano essere state sinora descritte nel dettaglio. Sono segni solo etnici o del clan o hanno un significato più preciso? Sarebbe un argomento da approfondire. Purtroppo nelle opere, queste raffigurazioni dorsali sono riportate solo molto raramente nelle illustrazioni. Sinora solo il catalogo "La via degli antenati", pubblicato nel 1986 dal Museo Dapper ha presentato sistematicamente il retro di tutte le opere esposte.
Solamente il 10% di tutta la documentazione iconografica che abbiamo raggruppato, riporta l'immagine della parte dorsale dei reliquiari. E' poco, ma comunque ci ha permesso di elaborare una prima panoramica di questo lato dimenticato delle figure kota e abbiamo cercato di riassumere nella tavole 3a-3b i caratteri essenziali delle forme osservate(è escluso il gruppo 1 riferito a reliquiari kota-mahongwé, annotazione mia). Alcuni, come quelle denominate "forme diverse" di motivo un poco complicato, o quelli dall'aspetto antropomorfo, sono state osservate in unico esemplare. Tutti gli altri si riassumono in uno schema assai semplice derivante da linee fusiformi o a forma di losanga a secondo se queste figure siano scolpite in bassorilievo o più geometricamente. La struttura scolpita si allarga (per dare l'aspetto di un quadrato) o si allunga più o meno lungo l'asse longitudinale dell'oggetto, coprente solo una parte della parte dorsale del viso o conglobante totalmente la mezzaluna sommitale.
Si trovano poi varianti che mostrano una figura a volte piena, a volte sovraincisa con motivi a croce. Talvolta si può osservare una nervatura mediana, allungata verticalmente. In alcuni casi, vi è unicamente questa nervatura. Anche se è difficile essere precisi, a causa del piccolo numero di opere osservate, sembra esserci evidenziarsi una certa evoluzione delle figure dorsali assai evidente quando si confrontano i gruppi 2 e 3. Noteremo solamente che le nervature longitudinali che si sovrappongono sulla losanga sembrano scomparire nel gruppo 4. Le figurazioni di carattere antropomorfo che abbiamo riprodotto si trovano sia nel gruppo 3 che nel 4 e rimangono eccezionali. Esse prefigurano le figure reliquiario bifacciali? Non è facile rispondere a questa domanda, perché, a differenza di queste ultime, esse coprono solo una parte limitata della struttura in legno e non sono quasi mai placcate in rame. Allo stesso modo, sarà difficile spiegare il significato di queste rappresentazioni: segno distintivo del clan, relazione con la importanza o caratteristica del defunto, simbolo di fertilità?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Estratto da: "Mains de maitre". 2001. Bernard De Grunne.


I "mbulu ngulu".

Presso i Kota del sud, Andersson distingueva due espressioni di questo culto dei morti: il rituale di lignaggio e quello familiare presente in tutte le comunità e particolare culto funerario riservato agli iniziati della società di Ngoye. Nel primo caso, le reliquie erano tenute in panieri di rattan talvolta decorati con strisce di pelle di scimmia e sormontate da figurine antropomorfe scolpite in legno e placcate di rame(i "mbulu ngulu", vale a dire i "panieri con una figura"). Nel secondo caso, i teschi erano collocati in scatole cilindriche fatte di corteccia cucita e spesso dipinte con motivi geometrici colorati, "nkobe a ngoyi". Se le figure scolpite sono comuni nelle collezioni occidentali, occorre rimarcare che ben pochi reliquiari han potuto essere raccolti integri poiché probabilmente gli abitanti dei villaggi ovviamente rifiutarono di separarsi dalle reliquie dei loro antenati. I rari panieri o scatole riportati sono stati raccolti dai missionari in occasione di conversioni.
L'espressione obamba "mbulu ngulu" è il termine generico usato dai gruppi dell'alto Ogooué, ma ogni figura aveva anche un nome proprio mantenuto segreto. I Kota distinguevano sempre il paniere-ricettacolo ("mbulu", "musuku", "usuwu") dalle figure che lo sormontavano. La parola "ngulu" fa riferimento a una "immagine", un segno o un volto e designa anche metaforicamente il defunto stesso. Nella sua accezione simbolica, la figura "è" veramente la morte, in un senso esistenziale più forte e in particolare durante i rituali di invocazione ove essa era brandita e agitata come una marionetta. Tuttavia, solo le ossa erano periodicamente spalmate con polvere rossa -segno di vita- e di sangue sacrificale; le "immagini" di rame erano spesso pulite con sabbia in modo che il loro aspetto diveniva brillante e lucente. Se i teschi erano mantenuti con cura, a volte decorati con intarsi, essi rimanevano sovente nascosti: patrimonio del lignaggio indispensabile alla identità del clan e al prestigio socio-politico dei gruppi, mantenevano un collegamento fisico molto reale e probabilmente emozionale tra il defunto illustre e i suoi discendenti. La figura scolpita ricordava che queste persone erano una volta esseri umani vivi, con acconciature bellissime, volti giovani e carnosi, un ampio fronte da notabile, ornato da scarificazioni e orecchini, e soprattutto, dotati di uno sguardo attento e incisivo, eternamente fissato sulla moltitudine di bambini del clan.
Il culto dei morti era gestito dal capo della famiglia, il più anziano vivente del lignaggio: egli invocava il potere degli antenati con l'intermediazione del mbulu ngulu prima di qualsiasi spedizione di caccia o di pesca; prima delle cerimonie di Satsi (la circoncisione dei giovani); per ottenere fortuna e ricchezza prima di un viaggio; per conservare la salute o guarire dalle malattie; per garantire che le donne fossero prolifiche; perché il lignaggio potesse avere molte figlie, poiché in pubertà, avrebbero potuto essere fonte di reddito con le doti che i generi avrebbero dovuto pagare; per aumentare il prestigio politico della comunità.
L'officiante, "nganga mboy" o "nganga bwete", preparava libagioni di vino di palma e offerte di cibo che venivano depositate davanti al "mbulu ngulu". In occasioni speciali, sacrifici di polli e capretti completavano le offerte. Nello stesso villaggio tutti i panieri-reliquiari e le loro figure venivano raggruppati in una sorta di riparo-santuario fatto da una semplice tettoia a poca distanza dalle case: questo è almeno ciò che osservarono gli esploratori del XIX secolo nei villaggi della valle superiore dell'Ogooué. Tutti i maschi adulti erano più o meno iniziati al culto degli antenati al tempo dell'adolescenza. Le iniziazioni alla Ngoye per uomini e alla Lisimbu per le donne, erano riservati ai soli membri, sovente ereditari, di queste società segrete.

 

Rame o ottone: di origine europea o kota.
Fino agli anni 1950-1960 si è pensato che le figure di reliquiari Kota erano decorate con placche e fili di rame e ottone ottenuti modellando il metallo importati dagli europei dopo il XVI secolo. Uno studio preciso su questo problema è stato fatto nel 1986 da etnologi, storici ma anche i fisici per l'analisi di metalli e botanici per l'analisi dei legni. E 'emerso in sostanza, che tutte le figure kota conosciute, circa cinquemila pezzi, non potessero essere attribuite alla sola importazione dei "neptunes" (piatti o bacini in rame e ottone utilizzati come moneta di scambio tra gli esploratori e abitanti dei villaggi indigeni) e che le vecchie figure erano probabilmente rivestite in metallo di provenienza locale. Del resto, gli archivi di viaggio e le tradizioni orali riportavano che i Kota utilizzavano da lungo tempo un metallo rosso o giallo, proveniente sotto forma di barrette o lingotti da miniere "a cielo aperto" situate nella valle della Loudima in Congo, in particolare dai siti di Mboko-Songho e di Mindouli. Prima di utilizzare i "neptunes" e le bobine di fili di ottone importati in grandi quantità dalle fabbriche europee a partire dal 1850, i Kota, per convenienza e economia, si procurarono il rame per baratto col sale, di conseguenza i Kota non attesero l'arrivo dei bianchi per pensare di valorizzare le immagini degli antenati con placche e lamelle di rame.
Rame o ottone? Sappiamo che l'ottone, di colorazione giallognola, è una lega di rame e zinco a volte miscelata con un pizzico di nichel. Secondo E.Herbert, "tutti i prodotti in ottone europei dopo il XV secolo possedevano un contenuto di nichel superiore allo 0,1%". Se il contenuto di nichel è inferiore il metallo non è di provenienza europea ed è prodotto localmente. La qualità della lega è anche un'indicazione interessante. Sebbene i risultati dello studio condotto dal Museo Dapper riguardino solo una dozzina di pezzi, questi confermano le analisi di G.Collomb tendenti ad affermare, in larga misura, "l'origine locale dei metalli utilizzati per le opere antiche". Sarebbe difficile accettare come questa arte, con tutte la sue varianti tutte realizzate nel XIX secolo, avrebbe potuto svilupparsi da un semplice fatto di un approvvigionamento di metallo. La lavorazione del ferro e soprattutto del rame della antica tradizione kota corrisponde infatti ad un adattamento specifico alle risorse locali.
Si è a conoscenza in effetti che la regione di Makokou, nel paese Bakota, è una zona molto ricca di minerali di ferro, di contenuto sorprendente pari al 66-70%. Il monte Bengoué, vicino Boka-Boka, è anche chiamato il Pic de Fer. Si può pensare che questa esistenza di metallo, ferro o anche rame, assai facile da ottenere e lavorare abbiano spinto sempre più gli scultori a migliorare la loro produzione ad uso rituale, abbandonando la scultura a tuttotondo semplicemente dipinta, a favore di un'arte più stilizzata ma più prestigiosa all'immagine, dove i piani geometrici si adattavano meglio alla placcatura o all'aggraffatura di placchette e lamelle di metallo.

 

L'arte del rame presso i Kota.
Gli artisti kota, sculturalmente molto diversi da nord a sud, diedero libero sfogo alla immaginazione iniziatica in cui i volti degli antenati, passo dopo passo e con casuali contatti innovativi, persero il loro spessore banale per accentuare un effetto di frontalità grave e severo, amplificato da una decorazione completamente invasa dalla brillantezza del rame. In qualche modo, gli scultori kota erano molto più avanti nella trasposizione del reale e nella stilizzazione plastica, degli artisti Tsogho o Fang. E il rame, abbastanza malleabile e relativamente facile da lavorare, contribuì in modo significativo a questa audacia estetica del tutto eccezionale nell'arte africana.
I fabbri kota mai utilizzarono il metallo come tale, fondevano il rame o l'ottone alfine di forgiarli e modellarli in semplici solchi di sabbia secondo le proprie esigenze tecniche in fogli sottili o in lamelle più o meno "stirate". Questi erano successivamente martellati, ritagliati e poi fissati all'anima in legno, in precedenza scolpito, con aggraffatura o chiodatura. Il lato posteriore delle figure reliquiario (tranne le figure bifacciali, piuttosto rare e solitamente di tarda epoca) non era mai placcato in metallo, ma spesso decorato con un motivo geometrico a rilievo e, talvolta con un piccolo volto appena abbozzato. Il rame ha giocato in Congo e il Gabon, il ruolo che l'oro ha avuto nelle culture precolombiane dell'America centrale, crogiolo artistico dove i fonditori-officianti stilizzarono nello stesso modo e magnificamente le loro rappresentazioni.

 

Il motivo a losanga, punto d'incontro tra la vita e la morte.
Sappiamo che in Gabon, la losanga è un motivo onnipresente: si tratta di un richiamo simbolico della "porta della vita", il sesso della donna, spesso raffigurato come una piroga, un elemento prioritario nel processo di iniziazione del "bwiti". Forse dovremmo vedere nella forma a losanga della base dei "mbulu ngulu" kota, il segno del ruolo di mediazione dell'antenato che si trova al punto di incontro tra la morte e la vita. Il sesso femminile rappresenta un confine tra i mondi antagonisti dell'aldilà e del villaggio, tra il mondo dei morti e dei vivi.
Contemporanea espressione di morte avente la propria faccia emaciata ove le placche di rame sembrano brandelli di pelle, e espressione di vita nella losanga-sesso della sua base in legno, il "mbulu ngulu" è uno strumento essenziale per mantenere la continuità del lignaggio, apparentemente semplice "immagine" ma portatore di tutte le angosce e tutte le speranze degli abitanti del villaggio che, generazione dopo generazione, sono causate dalle incognite e insidie del mondo.

 

In conclusione.
L'arte kota di origine multisecolare, apparentemente così diversa dalle altre espressioni plastiche dell'Africa equatoriale, ha sviluppato una lunga tradizione arricchita nel corso di diversi flussi migratori da molteplici contributi esterni che ha rielaborato e adattato in base alla propria genialità. Questo stile molto particolare si è espresso a discrezione della fantasia e del talento degli artisti-officianti delle diverse comunità in un grande numero di varianti. Nonostante le "costrizioni" dello stile, gli scultori conferirono sovente alle loro opere una "personalità". Ogni effigie rituale modellata secondo forme memorizzate a partire da visioni iniziatiche, è un ritratto impossibile: frutto di un immaginario collettivo ricco e ambivalente, determinato dal timore dei defunti ma anche dalla speranza di ricevere il loro aiuto, queste opere sono "immagini" di sogno destinati più allo spirito che agli occhi. Forme in legno e decorazioni in metallo concorrono in questa imposizione dell'ordine dei defunti sui vivi.
Contemporaneamente realistiche e astratte, le figure reliquiario riassumono nella loro serietà immutabile, l'affascinante e inquietante mistero del rapporto ambiguo tra la morte e la vita, vale a dire l'essenziale delle preoccupazioni metafisiche dei Kota. La genialità di questi artisti si manifesta nel fatto che le loro opere, forme ultime di valori sociali e religiosi dei loro conterranei e portatrici del loro immaginario, ci commuovono oggi con la medesima forza, al di là delle barriere della cultura, della lingua e del tempo. Messaggi essenziali dei sogni perduti dell'Africa, i "mbulu ngulu" esprimono ancora, qui come là, tutta l'ambiguità del destino dell'uomo.