Mbuti. Tapa.
Tapa. Cultura Mbuti.
"Tessuto" manufatto dalla lavorazione della corteccia di alcuni alberi, probabilmente ficus latex, e decorato. Dimensioni: ca. cm.70 x 45.
Provenienza:
Foresta dell'Ituri, RDCongo.
Catalogazione AA 81/2000.
Tapa Mbuti. Antropologia dell'astratto.
Matteo Meschiari.
La tapa, o feltro vegetale, è un manufatto tribale poco conosciuto, e anche gli specialisti di arte africana, di fronte all'abbondanza di sculture e prodotti tessili veri e propri, tendono a riservarle un'attenzione marginale. Se le tapa polinesiane, meglio studiate, note fin dai viaggi del capitano Cook (Anati 1997), sono oggetto di una bibliografia consistente, e proprio per questo il termine polinesiano è in voga tra gli specialisti, chi vuole conoscere le cortecce battute dei Pigmei può contare su un numero esiguo di pubblicazioni (AA.VV. 1980, AA.VV. 1990; Anna 1936; Cornet 1982, 1998; Farris Thompson 1983; Farris Thompson-Bahuchet 1991; Meurant 1991; Meurant-Farris Thompson 1996; Schildkrout-Keim 1990). Il fatto è che le tapa africane, pur essendo attestate in collezioni etnografiche di rilievo (Musée de l'Homme, Musée des Arts d'Afrique et d'Océanie e Musée Dapper a Parigi, Barbier-Mueller Museum a Ginevra, Institute of National Museums in Zaire(oggi RDCongo), per citare i principali), sono ancora in fase di studio e raccolta. Infatti, diversamente dalle tapa polinesiane, quelle pigmee non hanno ancora conosciuto né una circolazione ridondante a causa del turismo e del mercato dell'arte, né un impoverimento di stile e contenuti dovuto al contatto con la civiltà occidentale. Si può dire che con esse si sia ancora in presenza di un'arte tribale "intatta", anche se il progressivo aumento del loro prezzo di mercato rivela la crescente attenzione del collezionista, e dunque la loro progressiva rarefazione.
La scarsità di studi specialistici sulle tapa mbuti è dipesa anche da una situazione molto fluida nel rapporto tra collezioni private, collezioni pubbliche e mercato, fenomeno che ha ritardato l'analisi comparatistica e diacronica del soggetto, e che lascia un certo margine di aleatorietà nella ricerca perché molte tapa sono ancora da scoprire e/o inventariare. L'impressione è che i dati disponibili siano discontinui, a volte lacunosi, tanto è vero che questo saggio si basa per buona parte su materiale inedito. Detto questo, uno studio di taglio antropologico sulla ricchezza formale e concettuale delle tapa pigmee può rispondere in via provvisoria a una duplice esigenza: offrire una panoramica su un soggetto poco conosciuto, e inserirlo in una problematica allargata, che interessa da un lato l'arte non-figurativa del Paleolitico europeo e dall'altro l'arte astratta del Novecento in Occidente.
Contesto etnologico.
I Pigmei della foresta Ituri nell'Alto Zaire(oggi RDCongo)chiamano se stessi BaSua, ma il termine bira "Mbuti" è entrato nella lingua d'uso. La situazione geopolitica e la tradizionale ostilità dei popoli circonvicini stanno modificando sostanzialmente le usanze e i modi di vita dei Pigmei dell'Ituri. Alcuni di essi sono stati fotografati in atto di utilizzare GPS per muoversi nella foresta, e la dissoluzione della cultura tradizionale sembra a uno stadio ormai molto avanzato. Secondo un uso etnografico forse criticabile, parlerò tuttavia al presente dei loro tratti culturali arcaici, con l'avvertenza che, per le ragioni appena citate, il lettore dovrà intenderlo piuttosto come un malinconico presente storico. I Mbuti hanno dunque alcune peculiarità che li individuano tradizionalmente come i più antichi abitanti della regione, e da un punto di vista etnologico rappresentano un gruppo umano tra i più arcaici, con tratti di cultura materiale e spirituale assimilabili a quelli dei cacciatori-raccoglitori arcaici dell'età della pietra (Farris Thompson-Bahuchet 1991; Meurant-Farris Thompson 1996; Bahuchet 1985; Bahuchet-Philippart 1991; Schebesta 1940, 1952; Turnbull 1962, 1965, 1983). Non conoscono tuttavia l'uso della pietra scheggiata o levigata o la lavorazione del metallo, che al massimo è oggetto di scambio con popoli vicini, e si limitano a produrre armi (arco e frecce) e utensili (cesti, reti, battitoi, giocattoli, statuette, indumenti) interamente in legno e fibre vegetali. Hanno conoscenza dell'uso del fuoco ma non sanno come produrlo, e l'uso dell'arco e della freccia è in voga solo da tre generazioni, segno che i Pigmei hanno conservato fino a epoca recente una cultura di tipo "pre-neolitico".
L'unica credenza trascendente accertata è Tore,identificato con la foresta pluviale stessa, dalla quale dipende la vita dei Mbuti, ma non esistono forme di culto costante, e a rigore non si può parlare di monoteismo. Tale divinità è materializzata dal canto polifonico a cui tutta la comunità prende parte. Non sono invece state osservate credenze connesse all'idea di reincarnazione, ma si ha altresì traccia di credenze di tipo totemico.
I Mbuti sono semi-nomadi, nel senso che spostano il campo 5-7 volte l'anno nell'area relativamente ristretta della foresta. Il campo è formato da 8 a 15 focolari a seconda dei gruppi etnici (Asua, Efe, Sua, Cwa e Kango), ed è formato da 15 a 30 adulti. Vige la monogamia e, come nella società anarco-comunista degli Inuit, non esiste idea di clan socialmente stratificato o di capo, se non morale, non esistono leggi e diritto di proprietà in senso rigido e c'è uguaglianza tra i membri così come tra uomo e donna. Da un punto di vista artistico i Mbuti si esprimono con motivi figurativi e non-figurativi, i primi riservati a statuette di legno, appannaggio degli uomini, i secondi, prodotti dalle sole donne, che concernono la decorazione del corpo e delle tapa.
Natura, lavorazione e uso delle tapa.
Le tapa, nei dialetti locali murumba, pongo o lengbe, sono scorze d'albero trattate in modo tale da ricavare un lembo quadrilatero di fibre vegetali naturalmente intrecciate, di natura elastica e resistente. Tali qualità dipendono dalla lavorazione, che consiste nel battere la parte interna della scorza d'albero (libro), in genere servendosi di un tronco come incudine e di utensili più o meno specializzati per battere. La battitura deve risolversi abbastanza rapidamente e in genere è compito degli uomini. La corteccia viene inumidita e battuta a lungo, poi lasciata seccare. L'operazione è ripetuta varie volte, e questo aumenta le dimensioni della corteccia e le conferisce robustezza ed elasticità.
Lo spessore dipende dalla lavorazione, e può essere anche molto sottile, mentre le dimensioni e le forme sono variabili: quadrate, di 60-80 × 60-80 cm, costituiscono l'indumento a perizoma maschile; rettangolari, di 50-60 × 60-80 cm, servono come indumento femminile; esistono tapa di maggior formato, di 100×130-150 cm, usate come coperte per i neonati, e altre formate dalla cucitura di più pezzi con fibre vegetali, destinate più probabilmente alla copertura delle capanne o come stuoie. I Mbuti usano la corteccia di almeno sei varietà del genere ficus, il che spiega la diversità di colore delle tapa, dal bianco al grigio, dal bruno al rossiccio (Meurant-Farris Thompson 1996: 15-20; Coquet 1998: 137, 140; Holas 1949; Gahama 1982).
Generalmente le tapa dei Mbuti non sono decorate. Quando accade è per essere usate in contesti rituali, mentre il processo decorativo si colloca in un momento sociale preciso: per quanto esista qualche occasionale decoratore di sesso maschile, solo le donne dipingono le tapa, durante sedute collettive che precedono la raccolta alimentare nella foresta. In queste occasioni è stato osservato il marcato valore conviviale dell'evento, che è vissuto dai soggetti come svago e come motivo di socializzazione improntato a spensieratezza. Talora a una stessa tapa lavorano due donne congiuntamente, l'una a un capo, l'altra al capo opposto, ciascuna seguendo in modo indipendente e libero il proprio gusto.
La tintura per la decorazione, variabile tra il nero e il blu molto scuro, ma talora avvicinabile al grigio-nero, è ricavata da frutti diversi(in genere gardenia)e polvere di carbone. Da certe cortecce si ricava il rosso, mentre più rare sono le tonalità gialla e verde. Il colore viene steso a linee attraverso un corto stilo di legno più o meno flessibile, ma esistono decorazioni ottenute tramite piccoli timbri lignei, in genere con disegno ad anello, oppure con i semplici polpastrelli intinti nell'inchiostro e premuti sulle fibre. Alcune tapa possono essere tinte interamente con fango rosso o giallo, e il disegno è ottenuto asportando a linee il fango seccato; altre, tinte in blu scuro, possono recare linee ancora più scure ottenute con pigmenti a base di polvere di carbone. Esistono anche decorazioni in negativo, più rare, ottenute asportando il colore uniforme con succhi vegetali acidi, capaci di distruggere il pigmento di base. Il lavoro di decorazione può richiedere dalla mezz'ora alle due ore.
Strutture profonde dei motivi mbuti.
Un'analisi fenomenologica del disegno mbuti consente di isolare alcuni motivi e alcuni principi che regolano la decorazione delle tapa. In primo luogo è possibile identificare le unità minime della composizione, che sono tratti rettilinei, curvilinei, spezzati, oltre a una serie di tratti-base come punti, aste, virgole, V, croci, asterischi, cerchi ecc. Ognuna di queste unità minime può essere complicata o per semplice moltiplicazione del segno (es. linee di punti, grappoli di punti, serie di punti di numero costante) o per giustapposizione e integrazione di più segni (es. croci più punti, croci più asterischi) o per sovraccarico di un unico segno che, con aggiunte varie e progressive, arriva a formare un disegno elaborato a sé stante.
In base alla superficie disponibile si possono distinguere due fattori ordinanti a carattere dinamico: la divisione della superficie in aree, e le diverse modalità di distribuzione del disegno sulla superficie. Mentre il secondo caso può essere determinato da principi per lo più catalogabili, ad esempio la progressione lineare, a intreccio di linee, a contrasto, a costellazione, a espansione parallela ecc., la divisione della superficie varia quasi sempre da tapa a tapa, realizzando un principio di varietà e variabilità che è tenuto in massimo conto nell'estetica mbuti. In genere ci si può limitare a osservare che un certo numero di tapa presenta una divisione della superficie del disegno proprio in corrispondenza del cateto minore del rettangolo, linea lungo la quale la tapa viene piegata in due per far passare una cinghia o una corda onde assicurarla alla vita. Anche durante la decorazione può capitare che la donna lavori su una tapa piegata per comodità in due o in quattro, senza preoccuparsi di far coincidere le porzioni contigue del disegno. Eppure nemmeno questa è una regola, e la maggior parte dei disegni è un unicum che segue una logica autonoma.
Stilare una casistica formale più minuziosa può aiutare a comprendere la complessità di opzioni e l'abilità tecnica e intellettuale che sono alla base dell'arte mbuti, ma sezionare in modo puramente fenomenologico un manufatto la cui perizia gode di evidenza, significa perdere di vista lo spirito profondo che anima l'estetica delle tapa pigmee (Meurant-Farris Thompson 1996: 127-182). Dal momento dell'esecuzione a quello della fruizione, è il principio di mutabilità che determina la piena riuscita del disegno: linee, punti, motivi-base, motivi complessi, rapporto tra pieni e vuoti rispondono a regole impreviste di accumulazione, di complicazione progressiva, di variabilità, di asimmetria, di sincope, fino a sfociare nel disequilibrio e nella rottura ricercata della composizione. Senza voler applicare categorie di valore occidentali, le dirette testimoniante dei Mbuti, con il peso cruciale delle testimonianze autoctone, ci informano che il principio essenziale nel lavoro di decorazione è quello di cambiare sempre il disegno, non solo da tapa a tapa ma, cosa più importante, all'interno della medesima tapa. Dunque una mutabilità perennemente in progess che produce, con l'estrema libertà formale raggiunta, un'armonia e una complessità inedite per l'osservatore occidentale.
Questa qualità fondamentale sembra dipendere tanto dalla memorizzazione del maggior numero possibile di motivi standard, quanto da facoltà che noi chiameremmo di improvvisazione e di "autocritica", in un equilibrio sempre fluttuante e variabile tra esperienza contingente e anarchia rivolta a se stessi. Quello che sembra emergere, dunque, è una forte propensione al dinamismo, che trova riscontro, come notato in vari studi, nel canto polifonico in cui eccellono le donne mbuti. La polifonia mbuti, come le tapa che sono prive di immagini figurative, è in genere un canto senza parole, e cioè è slegata da ogni significato linguistico, una condizione sentita come indispensabile per dialogare in modo più diretto, appropriato e primordiale con lo spirito della foresta (Farris Thompson-Bahuchet 1991: 43-56). Disegno e canto sembrano quindi spogliarsi di attributi troppo umani per trascendere la realtà immediata, e per mettersi in rapporto con strati più profondi del mondo.
Anche l'organizzazione socio-economica dei gruppi mbuti sembra omogenea a questo sistema di convinzioni profonde, e senza esserne deterministicamente alla base mostra un parallelismo di strutture che approfondisce la nostra comprensione. Se infatti la struttura sociale è decisamente elementare, la mobilità tra i gruppi e all'interno dello stesso gruppo è massima. Per tutta una serie di cause che vanno dai cambiamenti stagionali al complesso rituale delle visite, le comunità si radunano o si scindono in una specie di sistole-diastole in cui il numero delle famiglie varia di continuo e la composizione del gruppo si modifica, per poi tornare anche dopo molto tempo all'unità primitiva (Terashima 1985). Tutto questo risponde a un duplice bisogno di flessibilità: da un lato per adeguarsi alle risorse variabili della foresta, dall'altro per risolvere conflitti interni o scongiurarli. Così, come il canto polifonico diventa un modo di coesione sociale e di riaffermazione dei vincoli della comunità con la foresta, allo stesso modo si può leggere la mutabilità del disegno mbuti come un modo per garantire una mobilità del pensiero, condizione indispensabile per sopravvivere in un ecosistema fluttuante e a rischio di esaurimento.
Se infatti un'alta mobilità sociale può favorire scambi intellettuali ed estetici e porta a un raffinamento artistico, è anche vero che l'arte, oltre che riflesso, è ingrediente attivo nella rigenerazione del tessuto sociale. Il disegno mbuti presenta alcuni tratti cruciali di certa arte "astratta", in particolare la polarizzazione tra superficie vuota e piena, tra tratto e superficie, tra chiaro e scuro, il che rende sempre possibile una lettura reversibile dei soggetti: ad esempio da positivo a negativo e da pieno a vuoto, e viceversa. In altre parole, il rapporto figura-sfondo, periferia-centro, alto-basso, immagine-campo è sempre fluttuante, e tale reversibilità latente crea un ambiguità dinamica tra pieno e vuoto, dentro e fuori, spesso e sottile, solido e aereo. Tutto questo significa criticare e dinamizzare i dualismi troppo rigidi, e ribadisce nel disegno astratto la necessaria saggezza della mobilità della vita nella foresta (Lévi-Strauss 1997: 205-227).
Interpretazione?
Il disegno mbuti è "astratto" nel senso che non rappresenta, nemmeno in forme altamente stilizzate, una realtà esterna riconoscibile. Più di uno studio ha sottolineato le affinità tra i motivi delle tapa e gli intrecci dei canestri, delle strutture in legno delle capanne o più in generale dell'intrico di liane della foresta pluviale e dei vegetali del sottobosco. Motivi a punti rimandano forse alla pelle di un leopardo, o linee parallele possono ricordare le strisce delle zebre, ma in ogni caso si tratta di casi estremi, e comunque limitati rispetto alla grande maggioranza delle tapa conosciute. Questo non vuol dire che tali disegni non significhino nulla, semplicemente non sono né astratti nel senso che si dà a questa parola in Occidente, né incarnano in modo determinato e deterministico una realtà simbolica che ci sfugge. Restando in questi termini il problema interpretativo è mal posto.
Se invece si osserva il trattamento dello spazio nel disegno mbuti, e si assume il principio accettato dalla filosofia delle immagini, e cioè che l'immagine è feconda in un modo che eccede qualunque referente (Wunenburger 1997), si comprende che l'arte astratta, qualunque arte astratta, è genericamente una "rappresentazione di spazio", cioè di uno spazio possibile. Nelle forme del disegno mbuti, tanto l'esecutore quanto l'osservatore possono "vedere" o "riconoscere" forme della realtà esterna (cesti, animali, alberi, liane, impronte...), ma qualcosa continua sempre a sfuggire, perché il disegno non rappresenta la realtà, ma semplicemente vi può fare riferimento. La sfumatura è della massima importanza, e anche in questo caso fanno fede i commenti autoctoni. Le donne mbuti, interrogate in proposito, non danno certezze sul significato dei loro disegni, ma usano espressioni che lasciano aperta l'interpretazione: quel motivo non rappresenta una cosa, ma ricorda una data cosa, fa pensare a una data cosa (Farris Thompson-Bahuchet 1991: 36-37 e 40). In altri termini, l'indeterminatezza dei commenti offre la spiegazione più profonda di quest'arte, che cerca di restare a distanza dalla realtà per non essere uguale alle cose, per non esserne sopraffatta, e che accoglie spazi di silenzio e di vuoto per coltivare in essi un ritmo di pensiero più aperto, dei luoghi sufficientemente indeterminati perché il senso possa scaturire in modo imprevisto, plurale.
Se dunque si può istituire una relazione tra il disegno mbuti e la mobilità socioeconomica pigmea da un lato e la polifonia dall'altro, va osservato che il disegno esprime e approfondisce a propria volta questa struttura culturale nel modo che gli è più peculiare, e cioè garantendo e perpetuando un principio di mobilità del significato, una polisemia, un campo di possibilità di senso: mantenendosi al di qua della realtà, il disegno astratto serve da correlativo oggettivo per interpretarla, perché non rappresenta cose nello spazio, ma modi dello spazio, e così facendo crea dei campi di reperibilità, degli intrecci di connessioni, in definitiva delle reti in cui le cose -e le idee- possono restare impigliate. Inversamente poi, con la sua indeterminatezza, riversa sulla realtà un surplus di senso, perché se il disegno può essere interpretato in molti modi in relazione alla realtà, anche la realtà, grazie al disegno, non sembra più univoca, e ciò che è una liana può essere al tempo stesso qualcos'altro, l'alto e il basso possono invertirsi, il verticale e l'orizzontale scambiarsi di posto, e tutta la complessità della foresta può diventare il luogo dei segni-sentieri incrociati.
Anche per questa via si arriva a comprendere un carattere pregnante della cultura pigmea. Dove la polifonia cerca unità nella pluralità, il disegno astratto mette in immagini con linee, punti e superfici un cosmo di rapporti che, restando al di qua dei fenomeni, riproduce lo stesso tipo di relazioni che legano i fenomeni tra loro e con il mondo nel suo insieme. Ciò che accade a livello di percezione è che l'opera rappresenta un tutto unitario da un lato (Gestalt), mentre dall'altro è un campo in cui effettuare osservazioni singole e parziali, come delle ricognizioni. L'oscillazione tra questi due poli percettivi (generale-particolare), suggerisce al pensiero un'omologia tra parte e tutto, un principio di autosomiglianza che è alla base dell'idea di cosmo, nelle sue varianti di microcosmo e macrocosmo. Così, quando alcuni commentatori hanno ipotizzato che certe composizioni puntiformi mbuti richiamano il cielo stellato è vero, ma nel senso che poteva dargli Piet Mondrian, quando osserva che le stelle non sono forme, ma punti che accentuano l'idea di rapporto.
Geometrie di ogni tempo.
Tra i quadri del periodo classico di Mondrian e le scacchiere di Lascaux c'è una somiglianza formale non trascurabile. Ad essi possiamo accostare altre immagini astratte che ripetono lo stesso principio grafico, come ad esempio le composizioni geometrizzanti di Altamira o numerosi disegni mbuti. Si tratta di coincidenza, di evoluzione, di poligenesi, secondo quel tragitto antropologico che porta un soggetto, collettivo o individuale, biologico o culturale, a elaborare concetti astratti, o abbiamo a che fare con trend o pattern universali?
Una recente teoria etnologica ha messo in relazione i segni non-figurativi di età paleolitica a segni decisamente affini, o addirittura identici, presenti nell'arte rupestre San in Sud Africa e Coso in California (Lewis-Williams-Dowson 1988). La teoria poggia su due presupposti: una cultura di tipo sciamanico, accertata nei casi di Africa e California, mentre solo ipotizzabile per il Paleolitico; l'universalità dei fenomeni endoptici, o fosfeni, cioè quelle percezioni ottiche luminose che, indipendenti da fonti di luce esterne, sono generate dal sistema nervoso in un settore non meglio identificato tra l'orbita oculare e la corteccia cerebrale. Con "universalità" si intende che tali fenomeni, riscontrabili nell'uomo di oggi da un lato e nei primati e mammiferi superiori dall'altro, dovevano esistere anche negli australopitechi e, a maggior ragione, in Homo sapiens sapiens nel Paleolitico. I fenomeni endoptici derivano in genere da stati alterati di coscienza, e si distinguono in "forme costanti" e in "allucinazioni". Le forme costanti, riscontrate in via sperimentale su soggetti diversi, sono geometriche e di tipo limitato: reticoli, griglie, zigzag, linee parallele, serie di linee ondulate, serie di punti. Tutte queste forme sono presenti nell'arte paleolitica e in molte manifestazioni artistiche connesse a stati alterati di coscienza nella fase che precede la trance dello sciamano.
Alcuni autori hanno notato forti affinità tra il disegno mbuti e l'arte rupestre dei San e dei Mba, un'etnia paleo-pigmea risalente a 12.000 anni fa. Esiste dunque una certa continuità formale, archeologica e genetica (Cavalli Sforza 1986) che permette di allacciare l'arte dei Pigmei attuali a manifestazioni artistiche molto arretrate nel tempo, e un semplice raffronto comparato tra alcuni motivi mbuti e i motivi "astratti" paleolitici, San e Coso mostra che, senza invocare sciamanesimo o fenomeni endoptici, si può ipotizzare una diffusione universale di un certo numero di segni non-figurativi. Due domande vengono allora spontanee: cosa significano in generale queste affinità? Cosa significano questi segni in particolare?
Pensando forse a certe esperienze grafiche del Novecento, ma anche alle teorie sullo stile primitivo di Franz Boas, alcuni autori hanno interpretato le decorazioni astratte come il risultato della progressiva stilizzazione e geometrizzazione di un motivo figurativo ripetuto. Così, ad esempio, una linea di teste di cavallo diventa nell'arte mobiliare paleolitica una linea a zigzag (Leroi-Gourhan 1982; Graziosi 1956). Tuttavia è stato anche suggerito il cammino inverso, e cioè che una linea a zigzag sia stata vista come una serie di teste di cavallo, proprio come un'artista San ha aggiunto api a una griglia geometrica che somigliava a un alveare, o come più in generale certi accidenti naturali sono stati completati in figure animali intraviste nella roccia. Ma esistono esempi in cui il percorso di lettura dal geometrico astratto al figurativo schematico non lasciano dubbi, perché sono evidenti all'interno dello stesso disegno, come nel caso di una catena di mufloni che, a partire da una linea ondulata non-figurativa, si precisano e diventano riconoscibili con l'aggiunta di dettagli, perché la linea astratta viene interpretata come una serie di linee cervico-dorsali a cui basta aggiungere corpo e zampe per dare l'idea di una fila di animali (Lewis-Wil-liams-Dowson 1988: 210-212). La teoria che l'arte figurativa nasca da segni non-figurativi è antica, ma solo più tardi è stata ripresa con buoni argomenti (Davis 1986). Nel nostro caso, osserveremo più semplicemente che certi motivi geometrici astratti possono essere visti come "cose", e che il ricorrere nelle culture di ogni tempo degli stessi segni è indice di una loro centralità nei processi cognitivi di Homo sapiens sapiens.
L'immagine gioca un ruolo fondamentale nel pensiero, non tanto perché è più sintetica e immediata del linguaggio verbale, ma perché, semplificando necessariamente la realtà dei fenomeni, da un lato concentra l'attenzione su ciò che è presente, dall'altro stimola domande su ciò che manca. In altre parole, l'immagine fa appello alla nostra curiosità, alla nostra natura problematica e speculativa, e ponendosi in rapporto non ridondante con la realtà, si basa su una iniziale diminuzione di senso perché possa esserci scaturigine di un senso ulteriore e imprevisto. Con ogni probabilità, tra il "nulla" che precede l'arte del Paleolitico superiore e il realismo del tardo Magdaleniano, i segni geometrici hanno svolto un ruolo mantico cruciale, perché si staccavano dalle cose senza negare il mondo, e perché erano un terreno di forme e significati da completare. Certe immagini più di altre, quelle geometriche astratte più di quelle figurative, si prestano all'esercizio cognitivo. Ogni epoca che ha ripetuto l'esperienza del disegno astratto l'ha vissuta e letta in base alla propria cultura, in base a un contesto complesso e stratificato, ed è inutile chiedersi se all'origine di questi segni ci fossero stati alterati di coscienza o l'imitazione inizialmente passiva di forme preesistenti in natura. Il punto è chiedersi cosa ha significato -e continua a significare- per il pensiero il fatto di rapportarsi a forme non-figurative. In quest'ottica, l'astrazione non sarà la semplificazione-stilizzazione della realtà, ma la riduzione dello sguardo fenomenico a uno sguardo ontologico della forma: non una forma come fenomeno dunque, ma come essenza. Il passaggio ineludibile per attingere all'astrazione concettuale più pura.
Così Piet Mondrian è arrivato all'astrattismo grazie a un progressivo dissolvimento della realtà delle immagini attraverso una griglia geometrica. Passando per il cubismo, ma assecondando una tendenza geometrizzante individuabile nei suoi paesaggi giovanili, costringe linee naturali come i rami di un albero o artificiali come l'architettura di una chiesa ad aderire a un'organizzazione ad angoli retti. Dopo aver trattato un soggetto più fluttuante e imprendibile a sole linee come l'acqua dell'oceano, Mondrian coglie una possibilità più radicale: non trasfigurare il reale, ma lasciarselo alle spalle. In questo modo comincia una lotta durissima contro tutto quello che in un puro rapporto geometrico di linee e piani di colore può ancora ricordarglielo. Si tratta di un percorso esemplare, perché scandisce in modo diacronico e concettuale l'itinerario immediato e prelogico che va dal segno alla realtà e viceversa. Una specie di riscoperta conscia e intellettuale dei meccanismi profondi del pensiero astratto.
Conclusioni.
Cosa significa che in uno dei gruppi umani più arcaici della terra troviamo un nucleo centrale della concettualità dell'uomo,un apice del pensiero in atto,quello dell'emancipazione dal figurativo attraverso una mobilità della percezione, un itinerario antropologico alto che passa attraverso il segno geometrico non per astrarre dalla realtà ma per mantenere il pensiero in rapporto dinamico con essa? Probabilmente, quando qualcuno ha accostato il disegno mbuti a Pollock o Kandinsky, ha voluto spezzare una lancia -piuttosto maldestramente- in favore della piena compiutezza estetica delle tapa pigmee, e questo per inserirle nel più ampio contesto dell'arte contemporanea. Così si è parlato del loro possibile contributo al design, o alla necessità di fare agire il loro insegnamento nelle esperienze artistiche di un Occidente tornato immaturo e tentennante. Problemi che possono toccare il critico o lo storico dell'arte. I Mbuti restano molto lontani da questi pensieri.
Un giorno un Pigmeo chiese a Colin Thurnbull se avesse mai toccato il proprio riflesso nell'acqua, e l'antropologo rispose di no. Allora il Pigmeo gli disse: "Avvicina il tuo piede sull'acqua e abbassalo lentamente. L'altro piede si alza per venire incontro al tuo, e se fai attenzione senti quest'altro piede toccare il tuo. Fai conoscenza con il tuo doppio. Poi, quando abbassi il piede un po' di più nell'acqua, l'altro piede sale, attraversa il tuo e scompare nella tua gamba. Più t'immergi nell'acqua e più il tuo doppio penetra in te. Guarda verso l'alto quando scendi sotto la superficie, non vedi niente. Il tuo doppio è passato nel mondo che hai lasciato dietro di te, ha preso il tuo posto. Adesso va' dall'altra parte. Quando arrivi in questo mondo qualcosa ti lascia, attraversa il tuo corpo per scendere nell'acqua. Qual è la persona vera, qual è il mondo vero?" (Farris Thompson-Bahuchet 1991: 51).
Tavola I. Secondo alcuni ricercatori, gli intrecci di fibre vegetali, così frequenti nella cultura materiale pigmea, sono una fonte di ispirazione per i motivi decorativi delle tapa. L’ipotesi è riduttiva, e almeno si deve ipotizzare uno scambio nei due sensi: anche la valenza allusiva e simbolica delle tapa si allarga per osmosi a ogni ambito del vissuto (Fonte: Meurant-Farris Thompson 1996: 162, modificato).
Tavola II. In questi esempi, dal più semplice al più complesso, la disvisione in settori e in “quartieri” della superficie dipinta rivela la modularità della composizione. Si osservi inoltre come non sia importante far coincidere i blocchi decorati: anzi, il fatto di riempire in modo autonomo le diverse porzioni di una tapa, che per comodità è stata ripiegata in due o in quattro, diventa un utile “moltiplicatore” di imprevisti decorativi (Fonte: rilievi nostri da originali e fotografie).
Tavola III. In questa ricostruzione semplificata si illustrano alcune fasi della composizione. Il processo decorativo è semplice: divisione della superficie in porzioni sempre più piccole e riempimento progressivo degli spazi vuoti. Ma si noti come un gusto marcato per l’asimmetria bilanci a ogni passaggio il rischio di un’eccessiva geometrizzazione (Fonte: rilievi nostri da originali).
Tavola IV. I due esempi in alto, che rimontano al Paleolitico superiore, mostrano come si possa arrivare all’elaborarzione di un motivo decorativo “astratto” a partire da una figura ripetuta e ridotta all’essenziale. Questo vettore, che dal figurativo schematico porta all’astrazione attraverso la spinta della stilizzazione, è il percorso cognitivo comunemente invocato dagli interpreti. Ma il terzo esempio, tratto dall’arte rupestre dei Coso, mostra il cammino inverso: le linee astratte “ricordano” dei mufloni, e dunque vengono sviluppate graficamente nel referente concreto cui sembrano alludere (Fonti: Graziosi 1956: Tavola 89, modificata; Lewis-Williams-Dowson 1988: 210, modificato).
Tavola V. La tabella mette a confronto i fenomeni endoptici generati da stati alterati di coscienza, alcuni segni “astratti” dell’arte rupestre San e Coso, che sappiamo strettamente connessa a pratiche sciamaniche, e alcune espressioni grafiche dell’arte paleolitica, forse prodotta durante o dopo trance sciamaniche. Le forti corrispondenze e l’universalità dei fenomeni endoptici in Homo sapiens sapiens permettono di ipotizzare un’origine neurofisiologica delle espressioni grafiche astratte presso varie culture (Fonte: Lewis-Williams-Dowson 1988: 206-207).
Tavola VI. In questa tavola una tapa mbuti (f), viene messa a confronto con una pittura rupestre paleo-pigmea del Malawi (e) e con grafismi simili di età paleolitica, in particolare dalle grotte spagnole del Castillo (a), La Pasiega (b), Altamira (c), e dalla Grotta Romanelli (d) in Italia. Tranne nei due casi africani (e, f), per i quali si può ipotizzare ragionevolmente una continuità storica, geografica e culturale, le forti affinità tra i vari esempi sembrano rafforzare l’ipotesi di una matrice neurofisiologica comune: esistono trend grafici universali che ogni cultura riveste di significati diversi (Fonti: a, b, c in Graziosi 1956: tavole 259, 260, 262; d in Graziosi 1973: tavola 23; e, f rilievi nostri da fotografie).
Tratto da: "Mbuti design, pigmy art of Ituri, Zaire".1997.
George Meurant.
I Mbuti e i barkcloth.
I Mbuti iniziano a lavorare i barkcloth o tapa all'età di circa 10 o 12 anni quando iniziano ad accoppiarsi. Il lavoro coinvolge entrambi i partner in compiti specifici dettati dal genere. La donna sceglie l'albero tra la mezza dozzina di specie idonee. Il ficus latex è particolarmente utilizzato. I colori della materia prima (grigio, marrone chiaro, marrone scuro o arancione) dipendono dalla varietà dell'albero. Una volta selezionato, è compito dell'uomo preparare il tessuto, dall'albero al tessuto finito. Egli gira intorno al tronco incidendolo con due tagli orizzontali e una terza incisione verticale ottenendo una striscia di corteccia. Questa striscia viene piallata per isolare il floema, che viene successivamente bagnato, battuto, essiccato, nuovamente bagnato e battuto. Questo lavoro si svolge su un ramo liscio posto a terra, utilizzando una zanna di elefante incastonata in una fessura di un ramo o in una tavola di legno.
Questo attrezzo a volte porta un numero di tacche incise, i cui segni creano un effetto a rilievo sul tessuto. La superficie si allarga mentre la fibra si assottiglia e si ammorbidisce sotto i colpi dell'attrezzo. Il perizoma di un uomo è quadrilaterale e approssimativamente misura 24 a 32 pollici (60 a 80 cm.) per lato. Il perizoma di una donna è più stretto e misura 24-32 x 16-20 pollici (60-80 x 40-50 cm.). I pezzi più piccoli sono fatti per i bambini. I più grandi esemplari conosciuti raggiungono 51-60 x 39 pollici (130-150 x 100 cm.). Secondo Hewlett (1989), un tessuto di queste dimensioni è usato per proteggere i neonati dal freddo e dalla luce.
I perizomi comuni non sono dipinti. Mai nessuno ha visto nell'uso comune e nel quotidiano perizoma decorati o decorazioni corporali. Le persone e gli indumenti vengono dipinti per le feste estemporanee non rituali, e queste decorazioni sono solo l'inizio; i Mbuti cantano, bevono e usano la cannabis in queste feste memorabili. La pittura mbuti è creata in questo contesto spensierato e vitale, che enfatizza le decorazioni e la sensualità. Le donne dipingono sia i corpi che i perizomi con lo stesso pigmento blu-nero. I disegni usati sul corpo sono distinti da quelli sul tessuto solo in quanto la funzione dei primi sono enfatizzare il corpo o l'aspetto del viso e inoltre l'artista non ha a che fare con una superficie piatta. Non c'è differenza tra i disegni dei perizomi di uomini, donne e bambini. L'artista lavora seduto, con la corteccia sulle ginocchia.
Il colore blu-nero dell'inchiostro che usa proviene da un estratto del frutto della gardenia combinato per una maggiore densità con un colorante carboncino e un fissativo ricavato dalla linfa del frutto kange. I pigmenti rossi sono derivati dalla corteccia frantumata e dal legno, quelli gialli da alcune bacche e quelli verdi dai germogli di rnanioca. Utilizzare parte di uno di questi come un timbro consente la ripetizione di forme naturali. Il motivo è anche tracciato a mano o disegnato con un bastoncino selezionato per la sua rigidità o flessibilità, a seconda che l'artista desideri una linea diritta o curva. Un fango di tinta rossastra o giallastra può essere strofinato in alcune aree per renderle più chiare, mentre il resto della superficie è solitamente decorato in nero e/o rosso. L'applicazione del colorante gardenia e carboncino viene ripetuta fino a che la densità della tonalità sia soddisfacente. I disegni negativi possono essere applicati alle aree già dipinte con il dripping, lo strofinamento, la stampa o disegnando sopra di essi con succhi di frutta contenenti abbastanza acidità per dissolvere il fissativo dell'inchiostro. Il processo di decorazione del tessuto dura da mezz'ora a due ore.
Secondo Schebesta, l'usanza pittorica era specifica dei Mbuti. Notò che "decoravano i tessuti di fibra battuta che uomini e donne usavano per l'abbigliamento con punti e linee". I Mbuti dell'Ituri sono l'unico gruppo pigmeo a dipingere il loro perizoma di fibra. Tre gruppi sudanesi insediati nell'lturi hanno anche conosciuto o conoscono l'uso del perizoma floema: i Mamvu/Lese, che si stabilirono nel XVI secolo, i Mangbetu, che si stabilirono molto prima e gli Zande che arrivarono in loco non più di un secolo fa. La continuità del proprio stile di vita perfettamente adattato e arcaico dei Mbuti è ancor più degna di nota data la loro esposizione a queste vicine comunità agricole. La pittura mbuti mostra un'abilità e un senso estetico davvero notevoli, con una libertà di espressione non mostrata dai loro vicini Bantu, che prediligono forme di decorazione sudanese.
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La composizione mbuti e il design.
Compositivamente l'ideazione pittorica mbuti è geometrica, rettilinea e/o curvilinea. Il modello generale è composto da un numero limitato di forme base. Il punto, il punto o il cerchio vuoti, il punto diviso in quattro e una forma pentalobata sono resi da stampi vegetali o sono disegnati con un bastoncino, col quale si possono eseguire una linea corta, diritta, tratteggiata, a spina di pesce o curva. Si possono identificare centinaia di modelli, ma ognuno rappresenta un'evoluzione delle figure di base derivanti dal disegno dell'artista e dall'esperienza visiva, nonché dalla sua immaginazione creativa.
Lo scambio tra artisti avviene pubblicamente, da persona a persona e da gruppo a gruppo. Tutte le donne mbuti disegnano ma alcune, in particolare tra le più anziane, eccellono in combinazioni estremamente complesse che incorporano una varietà di modelli evoluti. I paragrafi seguenti contengono una breve descrizione della raffigurazione fisica dei disegni e del processo concettuale di costruzione dei modelli, che alla fine convergono l'uno verso l'altro. Se gli esempi qui illustrati non seguono precisamente queste progressioni passo dopo passo, è perché, anche se queste fasi sono chiaramente visibili nelle opere dei principianti, negli artisti più esperti che attingono ai processi che stanno alla base del loro lavoro, i risultati sono meno orientati tecnicamente.
In una composizione di base, le figure, semplici o complesse, sono distribuite in campi omogenei o eterogenei. Le linee corte possono quindi unire le figure due a due, o possono collegarsi l'una all'altra attraverso un sistema di rete che divide la superficie. Se la composizione include punti, la rete di linee che li connette può formare quadrilateri e triangoli(fig.1). Qui, le linee che collegano due punti diventano estese e riducono l'impatto visivo generale delle figure. I modelli risultanti possono essere visti come integranti progressivamente il movimento della linea, o colleganti più linee a qualsiasi punto, o come l'inizio di una rete, una parte dei suoi meandri o il suo culmine. In un altro approccio, i motivi lineari possono essere tracciati prima, valorizzati con figure, con lo sfondo ulteriormente arricchito con campi figurati(fig.2). Qui le linee possono dividere la superficie in grandi sezioni (fig.3). Il numero di linee viene quindi moltiplicato, assumendo risalto sullo sfondo, che viene lavorato con figure.
In una fase più sviluppata, l'area viene modellata da un bordo all'altro con linee quasi parallele, tratteggiate o ondulate. Sia che siano strettamente unite o siano disposte ritmicamente, queste linee si susseguono a seconda delle variazioni di spessore o raggruppamento in aggiunta alla modulazione interlineare. Sia vicine, sia lontane l'una dall'altra, le linee parallele definiscono il confini di spazio di fasce decorative, o campi che sono ravvivati con figure apparentemente in movimento da una linea all'altra, a volte collegandole (fig.4). Questa qualità del movimento secondario spesso deriva dal fatto che le figure vengono assimilate al movimento delle linee. La figura può essere divisa in due dalla linea, essere metà sopra di essa, o essere posizionata in relazione ad essa, con un risultato di alternanza di simmetria o di sinuoso movimento. La distanza tra le linee fornisce uno spazio sufficiente per poter apparire al campo figurato consentendo l'emergere dell'intreccio decorativo. La connessione delle linee con collegamenti perpendicolari produce un effetto griglia che separa l'area. Si verifica anche una sovrapposizione stabile, decisiva e rifinita di linee orizzontali e verticali, con ciascuna degli spazi risultanti aperti alla gamma di composizioni appena descritte. La composizione di tipo a scacchiera densa è rara, in quanto alcuni reticoli nella composizione consentono ad alcuni di essi di apparire. La linea tratteggiata facilita due tipi di ripartizione della superficie che coinvolgono un reticolo inclinato. Il più semplice crea opposizioni di linee tratteggiate discendenti dall'alto. Un altro utilizza un sistema di divisione della superficie in fasce decorative, con campi triangolari che collegano le linee (fig.5), riportandoli in una continuità compositiva. La combinazione di tali linee tratteggiate con linee perpendicolari supplementari definisce un campo esagonale, sebbene queste strutture combinate in genere appaiano incomplete, irregolari o composite. Sia stampato o disegnato (fig.6), il punto costituisce la base per una trentina di varianti figurative come trattini, pallini e cerchi estesi.
Queste sono integrate da una gamma di raggi e minuscole spirali, così come altre figure che combinano il punto o il cerchio con la linea o l'intersezione, o uniscono un gruppo di piccole linee parallele insieme. Determinate figure con linee radianti o con un punto nella congiunzione di una croce hanno un aspetto simile a una stella o al sole. Anche le figure a forma di punto possono essere allineate e i modelli risultanti possono creare divisioni. Benché divisi, ciascuna metà può mantenere le caratteristiche della figura indivisa. Una linea, dritta o ondulata, può spingere il punto o indicare la sua traiettoria. Le linee perpendicolari o inclinate forniscono ritmo al suo percorso. Le figure trattate in questo modo sono generalmente concentrate in un gruppo o modello supportato da linee ondulate che fuoriescono dai bordi del tessuto (fig.7). I ritmi creati dal movimento lineare di tali modelli possono anche essere visti in linee con motivi simili che non terminano in punti. Essi appaiono come una radiazione interna e/o esterna di un movimento lineare chiuso o semiaperto e suggeriscono una rottura deiscente. Gli spazi formati da queste figure possono essere vuoti o possono contenere uno o più motivi radianti o in evoluzione. Il design complessivo utilizza la relazione tra la linea dritta e quella curva, così come quella del semicerchio con il triangolo isoscele. Le figure appaiono intercambiabili, succedendo una all'altra con un movimento lineare simile a quello con cui sono connesse. La linea ondulata può trasformarsi in una linea tratteggiata, che si chiude su se stessa formando una grande cella chiusa la cui frammentazione è di natura molto diversa da quella dell'esempio basato su punti. Qui, la linea non è di per sé un elemento compositivo, ma anima il tutto. La frammentazione di questa cella definisce il campo in cui possono essere presenti figure formate da punti. Le figure composte da brevi tratti paralleli si riferiscono alla linea o si uniscono perpendicolarmente. I modelli risultanti possono consistere in una varietà di figure organizzate lungo un asse, ma distaccate dalla continuità lineare.
Le curve diritte, inclinate o ad angolo retto aggiunte alle punte dei tratti di queste figure forniscono simmetrie secondarie. La diversità di queste figure si basa anche sul numero di segmenti o tagliati in due o collegati da una linea: uno, due, spesso tre, quattro fino a venti. Le figure composte risultanti possono essere combinate, sovrapposte o assimilate ad altri tipi di figure la cui composizione si basa anche sulla simmetria in relazione ad un asse, come quelle in cui il cerchio è diviso in semicerchi e il quadrilatero in triangoli. La combinazione di dividere la figura e moltiplicare i segmenti crea una grande diversità. Gli elementi aggiuntivi sulla punta di queste figure trasmettono l'impressione di una folla rumorosa o gesticolante (fig.8 e 9).
Curve accoppiate o modelli a spina di pesce possono essere utilizzati in opposizione simmetrica. Il progressivo restringimento dello spazio tra le curve o gli schemi a spina di pesce si traduce nella simulazione di una figura bisecata e, eventualmente, in un cerchio o in un quadrato. In un certo senso, questo approccio è l'opposto della divisione del cerchio o del quadrato in semicerchi, triangoli o quadrangoli. L'artista usa spesso qualcosa tra la figura finita e la figura in formazione come alternativa, enfatizzando così il potenziale della figura e del suo movimento unificante.
L'intento espressivo.
L'ideazione compositiva mbuti utilizza l'intersezione di forme in un'ampia varietà di modi, un puzzle che raramente viene affrontato in altre tradizioni artistiche africane, sebbene certe figure atipiche crociate suggeriscano un prestito da altre culture, sia Mangbetu sia Bantu. La chiave dell'ideazione compositiva sta nell'intersezione di una linea con un'altra e la continuazione di quella linea oltre la necessaria improvvisa transizione. In sé e per sé, l'incrocio degli elementi lineari non esiste all'interno degli oggetti in natura, e quindi il rendering dell'intersezione nel disegno è un evento culturale. L'ideazione compositiva mbuti si attraversa senza inibizioni in una molteplicità di forme che sono il risultato della più pura logica della geometria. Secondo Patrick e Anne Putman (Turnbull, 1965), l'ideazione compositiva mbuti è "basata su una tradizione puramente estetica, senza significato magico" ed è "la massima espressione propria dell'artista piuttosto che la resa di un soggetto ideale".
Secondo Cornet (1982), "i motivi decorativi sono quasi sempre astratti. Alcune rare eccezioni suggeriscono l'intenzione di rappresentare una realtà". Secondo Hewlett (1989), "la composizione potrebbe non avere alcun significato simbolico", ma "la maggior parte delle donne non ha difficoltà a spiegare in modo dettagliato i simboli e le loro azioni all'interno del composizioni". Tra i settanta disegni menzionati in varie disamine, tuttavia, solo l'interpretazione delle "macchie di leopardo" è unanimemente concordata e diverse figure ricorrenti innescano interpretazioni contraddittorie: la "tartaruga" è anche chiamata "uccello volante", come pure "insetto rumoroso" o "cesto". Alcune interpretazioni derivano da una somiglianza iniziale: la figura chiamata "farfalla" è anche chiamata "uccello" o "insetto volante". Se questa varia disamina non riesce a stabilire che la rappresentazione specifica sia uno dei motivi dell'ideazione compositiva mbuti, almeno conferma il piacere della conversazione.
L'ideazione compositiva mbuti si esaurisce col risultato prodotto dalla geometria ricercata in un impatto percettivo. La sua morfogenesi è responsabile di quasi tutte le figure e gli schemi che lo costituiscono. Questa forma d'arte non sta rappresentando, non sta cercando di "comunicare", non sta tentando di trasmettere la realtà. Il suo movimento imita il movimento naturale senza identificazione specifica (fig.9), e le sue qualità mimetiche si affermano fortemente all'interno della sua dimensione di sviluppo, come è il caso di molti disegni primitivi.
In effetti, i suoi processi sono in qualche modo analoghi ai meccanismi della riproduzione naturale o della procreazione. Dovrebbe essere sorprendente allora che se l'ideazione compositiva suggerisca la natura, può occasionalmente illustrarne alcuni funzioni (fig.7)? Le opere di pura creazione, in cui l'interazione estetica è pienamente realizzata, sono le più evocative delle essenziali realtà.
La polifonia.
Le polifonie mbuti sono eccezionali. Quattro donne gridano l'un l'altra con echi rapidi modulati in precise variazioni. Questi echi emettono rapidamente espressioni brevi e complete in polifonie sovrapposte su un quadro di continuum poliritmico. Le modulazioni delle voci femminili risaltano con chiarezza contro il continuo crescendo di suoni provenienti da una moltitudine di piccole azioni la cui presenza costante si traduce in una caotica unità. Le voci interrompono questa unità con modulazioni piccole, acute e chiare. La trapassano, la abitano e attestano il miracolo dell'umanità nella foresta. Come il loro disegno, il loro canto è senza narrativa ed è senza tempo. Thompson (1983) suggerisce una correlazione tra l'ideazione compositiva delle donne mbuti e la canzone polifonica improvvisata nella quale eccellono. All'interno di questa complessità polifonica egli distingue "una possibile ragione per la dissonanza e l'asimmetria nella composizione grafica".
L'ideazione compositiva mbuti si distingue dagli altri rendering geometrici africani per la sua espressione liberamente strutturata e inaspettata.
Questa ideazione -giocosa, inventiva, personale- non è carica di un peso ideologico. Sfrutta le percezioni istintive su cui si basa il lavoro per consentire all'opera visivamente formulata di apparire all'occhio. La polifonia mbuti dimostra la massima consapevolezza uditiva allo stesso modo. Entro una durata sottilmente troncata, abbina i toni perfetti con le espressioni in falsetto, senza le quali le leggere distorsioni si intrecciano meno liberamente. Anche l'ideazione compositiva procede in questo modo: successione, intervallo, costanza e interruzione delle connessioni dei fluidi tra gli elementi grafici in equilibrio dinamico. La sua struttura comprende sia gli spazi costruiti che quelli decostruiti, valutati in modo tale che la tensione tra il movimento delle linee e quello piano produca un effetto di azione spaziale.
I disegni sembrano essere parte del momento dell'atto creativo. Alcune donne mbuti possono avere più talento di altre, ma nessuna riproduce stereotipi. La sensazione di esperienza soggettiva rende ciascuno un disegno particolarmente significativo, anche se motivato unicamente dal piacere della creazione, senza coinvolgere o ottenere il potere che può derivare dall'arte. Le opere più potenti sono quelle in cui si manifesta tutta la dimensione dell'arte pittorica mbuti; questi dipinti avrebbero perfettamente illustrato gli scritti di Paul Klee o Piet Mondrian.
Un unico regno grafico.
Turnbull ha sottolineato il contrasto tra l'arte altamente sviluppata dei Mbuti, la loro struttura sociale minima e la vita materiale estremamente primitiva. I Mbuti spendono il 40 per cento del tempo attivo a cercare cibo e il 5 per cento a prepararlo. Passano il resto del loro tempo insieme, intrattenendosi attraverso il gioco, la conversazione, le battute, la narrazione, la musica, la danza e, occasionalmente, la pittura. Questo sostanziale periodo di attività per il tempo libero non spiega di per sé l'eccezionale raffinatezza artistica di queste persone. Nessun documento ha definitivamente dimostrato che i Mbuti dipingevano prima di questo secolo, tuttavia la padronanza dell'arte e dei materiali che usano implicano l'antichità della loro pratica. Ammetto, I'ideazione compositiva mbuti interpreta alcuni segni dei Mangbetu recentemente osservati e probabilmente anche alcuni dei Bantu, ma li integra in un regno grafico omogeneo che è il proprio. L'ideazione compositiva è autosufficiente nel rispondere alle domande che pone.
Questa disamina ha tentato di dimostrare da un punto di vista estetico come viene eseguita l'ideazione compositiva mbuti, quali forme sono utilizzate e come queste sono costruite e decostruite. L'ideazione compositiva è varia, coerente, unica. Alla fine, il gioco pittorico mbuti esprime umanità, immerso nella natura senza preoccupazione per la rappresentazione grafica, con importanza, se c'è una cosa del genere, legata solo ad un focus estetico unico.