Kota Mahongwé. Boho na mbwete.

 

 

 

 

I Kota-Mahongwé hanno estremizzato i principi scultorei dei loro vicini Kota. L'astrazione delle loro figure funerarie è assolutamente prodigiosa tenendo presente il contesto sociale. Ed è impossibile parlare di "primitivismo" e "semplicità delle forme" davanti a questi volti enigmatici d'antenati ove la perfezione della finitura nelle opere più belle attestano una indiscutibile maestria delle forme e della materia. Il genio dell'artista era quello di saper giocare con le curve del viso, l'ogiva della silhouette e la dolce concavità del profilo.
Alcuni oggetti kota-mahongwé portano su un piano di armonia delle forme di ispirazione antropomorfe una soluzione totalmente inaspettata ma soddisfacente per lo spirito e una sensibilità alla ricerca della bellezza della scultura. La moltitudine di lamelle verticali che tagliano regolarmente la curvatura del viso e la banda verticale che determinano gli occhi rotondi e naso affilato, costituiscono un elemento di rottura e di contrasto che sottolineano ancor più la serenità spoglia del viso. (Louis Perrois)

 

 

 

 

 

 

 


“Boho-na-bwete”. Cultura Kota-Mahongwé.
Legno alstonia boonei, rame, ottone. Dimensioni: h.cm.33,5, larg.cm.16.
Provenienze:
collezione Robert Duperrier, Parigi (F).
collezione Raoul Lehuard, Arnouville (F).
galleria Pierre Dartevelle, Bruxelles (B).
Pubblicazioni:
“L’art Kota-Mahongwé”, L.Perrois, in Arts d'Afrique noíre, inverno 1976, p. 24, fig. 9.
“Arts du Gabon”, L.Perrois, Ed. Arts d'Afrique noire, 1979, p. 127, ill. 123.
“A Hidden Heritage”, V.Carini, Ed. Galleria Dalton Somarè, 2004, p. 232, fig. 197.
Expo:
"43 Sculture africane da collezioni private italiane". Milano, galleria Dalton Somarè, 02.04.2004-23.04.2004.
Test effettuati:
Radiografia (raggi X), Schweizerisches Institut fur Kunstwissenschaft, Zurigo, dr. Gros, 2008.
Identificazione botanica del legno, CIRAD, Montpellier, dr.Detienne, 2008.
Datazione del legno al C14, ETH, Zurigo, dr.Bonani, 2008.
Expertise:
Pierre Dartevelle, Bruxelles (B), 1998.
Studio etnico-stilistico:
Louis Perrois, Saint Gely (F), 2008.
Catalogazione AA 14/1998.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Commento etnico-stilistico di Louis Perrois. 26.03.2008.

 

È nella regione di Mékambo, piccola zona nella "savana" del Gabon orientale alla frontiera con il Congo Brazzaville, piena foresta equatoriale, in una zona conosciuta col nome di "Canton Demi-Pays", che sono stati scoperti tra il 1920 e il 1940 gli esemplari più caratteristici dei “boho-na-bwete” (cioè: “viso dell'antico Bwete”). L'oggetto studiato, h. 33,5 cm., proveniente dall'antica collezione Robert Duperrier, collezione Raoul Lehuard, galleria Pierre Dartevelle, ora collezione Giorgio Rusconi, è una "grande figura boho-na-bwete", tipica dello stile dei Kota-Mahongwé rappresentante un capofamiglia.
L'ogiva del viso, leggermente concava, si inquadra in una struttura quasi totalmente bidimensionale, appoggiata su un asse simmetrico che va dal basamento allo chignon intrecciato. È decorata, sul retro, sulla totalità della superficie visibile, con multiple lamelle metalliche, disposte in orizzontale. Queste, perfettamente unite e solide, sono parzialmente ricoperte da una patina leggermente crostosa determinante un “consolidamento” delle lamelle che attesta l'antichità dell'opera. La concavità dell'ogiva crea un effetto ottico curvo che addolcisce la rettilinearità delle linee orizzontali.
L'asse mediano del viso è marcata da una striscia di metallo che sale dagli occhi all’acconciatura. Queste fini lamelle sono costituite da fili di ottone importato dagli europei dall'inizio del XIX secolo sulle coste dell'Africa (il filo di sezione cilindrico è stato leggermente martellato e appiattito al fine di facilitare l’unione delle lamelle), mentre le placche sono ritagliate dai "neptunes". I "neptunes" (specie di piatti in metallo, generalmente di rame o ottone) e le bobine di filo di ottone servivano come moneta per comprare gli schiavi e i prodotti locali, avorio e caucciù selvaggio.
Questo metallo che era "prezioso" e raro nella regione, conferiva alle rappresentazioni degli antenati un surplus di valore simbolico. Si noti che gli officianti, (chiamati "nganga-bwete"), al momento dei riti, sfregavano le placche e le lamelle di ottone con sabbia fine per renderle brillanti. Successivamente, sempre nel passato, la tradizione riporta che i Kota-Mahongwé scambiassero del "sale vegetale", di cui erano grandi produttori, con rame estratto dalle miniere della vallata di Niari in Congo.
Gli occhi a “cabochons” semisferici, (potrebbero essere stati restaurati) sono posizionati sensibilmente a metà del viso e si individuano, da una parte e dall'altra della lama spessa e aguzza del naso (a forma di uncino), dei lunghi "baffi" simmetrici costituiti da fili di ottone non appiattiti (questo dà loro un certo rilievo), agganciati sotto la base dell'oggetto. Il collo cilindrico è spezzato ed era rivestito da un filo di ottone disposto a spirale, come visibile nella parte rimasta. Lo chignon alla sommità è probabilmente stato reincollato. Le effìgi Mahongwé erano sempre completamente decorate da lamelle e talvolta da placche, sul fronte e sul verso, come in questo caso. Sul verso dunque, una lunga placca longitudinale, agganciata sull'anima in legno, scende dallo chignon sino alla base del viso.
I test tecnico-strumentali complementari effettuati sulla figura del reliquiario indicano che il legno è alstonia boonei ("nguga" per i Mahongwé), un legno comunemente utilizzato per le sculture in Gabon; che l'opera è stata consolidata (RX test), in modo particolare con uno stelo di metallo e delle incollature (ma non ricostituita); che la sua anzianità, secondo le analisi al C14 (26,5% range 1687-1742 / 70,3% range 1808-1941), è stimata all'inizio del XX secolo.
La fattura di questa figura di reliquiario, molto probabilmente un oggetto di "scavo" come suggerito dal suo stato di conservazione e dalla sua patina, è di bella qualità. È un oggetto autentico e antico che è possibile datare almeno all'inizio del XX secolo che, malgrado i segni lasciati dal suo probabile seppellimento in un nascondiglio verso gli anni 1930-1940 al momento delle persecuzioni missionarie, riflette bene quella che è stata l'arte scultorea straordinariamente stilizzata dei Kota-Mahongwe del bacino dell'Ivindo.

 

 

 

 

 

 

 


Expertise Pierre Dartevelle. 25.09.1998.

 

Tra le informazioni di provenienza e di pubblicazione, il "boho-na-bwete", legno e rame con patina di scavo, è databile XIX secolo.(L’attribuzione della datazione è ovviamente antecedente al test C14 e nel range di datazione del test stesso, mia annotazione).

 

 

 

 

 

 

 

 

L’arte kota-mahongwé: le figure funeriarie del bacino dell’Ivindo. 1976.
Louis Perrois.

 

Questo studio è stato scritto inizialmente nel 1966 e ripreso nel 1969 come pubblicazione del Centro ORSTOM di Libreville e del Museo delle Arti e Tradizioni. Pubblicazione che ha riassunto i risultati di una indagine sul campo condotta tra il 1965 e il 1967 nel paese Mahongwé. La scoperta casuale di diversi esemplari tipici dell'arte considerata fino a poco tempo come Ossyéba ma in realtà Kota-Mahongwé mi ha spinto a proseguire l'inchiesta stilistica, anche se l'uso di oggetti di culto "bwete" è andato perso da molti anni. Successivamente, la raccolta e la mostra di J. Kerchache nel 1967, ha focalizzato l’attenzione parigina su questi oggetti enigmatici e rari, senza però fornire dettagli importanti su di loro.
Il numero di sculture funerarie "bwété" dei Kota-Mahongwé conservate in collezioni occidentali e africane, è relativamente piccolo: 200-250 forse. Un centinaio di pezzi, alcuni studiati de visu, altri studiati sui documenti hanno fornito la base per questo studio che deriva, sul piano estetico, dal metodo di analisi etnomorfologica stabilito per la statuaria Fang (1972). Naturalmente l’omogeneità pressoché perfetta dello stile Kota-Mahongwé limita l’esigenza di scomposizione morfologica e ciò determina la sua utilità per uno studio più ampio dell'intero stile Kota.
(...)
La prima opera di reliquiario Kota-Mahongwé venne raccolto nel 1875 dal viaggiatore tedesco Oscar Lenz che aveva risalito l'Ogooué sino alla confluenza con I'lvindo. Il reliquiario è ora conservato nel museo di Berlino-Dahlem ed è stato pubblicato nel libro di E. von Sydow “Afrikanische Plastik ", Berlino, 1954 e pubblicato nel catalogo del museo “Westafrikanische Plastik", III, 1969, di K. Krieger. Esso venne acquisito come Oshéba o Ossyéba, ma O. Lenz indica come origine Aduma o Oshéba vale a dire le due tribù che occupano la porzione di dell'Ogooué tra Booué e Boundji (Lastoursville).
Successivamente, un francese J. Michaud, acquisì nel 1881 nella stessa regione sempre presso gli Ossyéba, durante un viaggio di rifornimento della Missione dell’Africa occidentale diretta da P.Savorgnan di Brazza, un’altra opera avente anche la teca (paniere) reliquiario . Questa è un’opera molto conosciuta ed è conservata presso il Musée de l’Homme di Parigi. Altri pezzi furono raccolti tra il 1885 e il 1940, data delle distruzioni dei reliquiari ad opera dei missionari, ma furono relativamente pochi a causa della limitata dimensione demografica dei Mahongwé, della sua proporzionale produzione artistica e della posizione geografica del paese, situato distante dalle principali vie di penetrazione del Gabon.
Dopo l'ultima guerra, solo ritrovamenti fortuiti hanno contribuito a portare nuove opere. E’ logico pensare che nella zona Mékambo-Makokou-Bakouaka- Kelle Mbomo, a cavallo del confine tra Congo e Gabon, ci siano ancora diversi nascondigli contenenti figure di reliquiari. Infatti, nell'era della persecuzione religiosa 1935-1940, i Mahongwé sotterravano decine di sculture con le relative reliquie raggruppate per villaggi, lontano nella boscaglia, sovente ove era l’ubicazione di antichi villaggi ora completamente sepolti dalla foresta. Questi luoghi sono considerate necropoli ed è anche difficile determinarne la posizione esatta in una foresta come la foresta pluviale equatoriale. Dobbiamo sapere che le reliquie Bwété possono essere utilizzate per la produzione di “medicamenti” illegali utilizzati nella stregoneria dalla quale ognuno cerca di difendersi.
Estrapolato dal contesto originario, il materiale rituale dei "bwété" acquisisce un significato che può essere fortemente nocivo per il suo “contenuto” avente a che fare col mondo dei morti e che solo l’officiante al culto degli antenati può limitarne gli effetti negativi sulla vita del gruppo. Così, nonostante il materiale documentale riscontrabile sin dalla fine del XIX secolo, il minimo interesse dedicato a questi oggetti determinò la loro attribuzione a chi li aveva venduti, vale a dire agli Ossyéba, senza approfondirne la questione. In realtà gli Ossyéba cedettero facilmente questi oggetti rituali non perché erano loro ma dei loro vicini.
(...)
Tuttavia, diversi amatori venuti in loco per viaggio o residenti in Gabon, alcuni antiquari, un etnologo americano e in particolare l’amministratore Millet nel 1949, le cui note di viaggio sono state registrate negli archivi del dipartimento Africa Nera del Musée de l’Homme, avevano già intravisto l'origine esatta di queste sculture. Nessuno però pubblicò alcuna rettifica in merito all’attribuzione. Dopo la riscoperta del 1966 e la pubblicazione nella forma di una brochure di un breve studio di figure funerarie della valle dell’Ivindo, un rinnovato interesse sembrava manifestarsi per gli Ossyéba. E’ così che l'antiquario parigino J. Kerchache venuto in Gabon nel paese Mahongwé nel 1967 senza l’autorizzazione delle autorità fece una scoperta nel luogo in cui un’équipe del nuovo museo di Libreville stava da qualche mese operando una ricerca sul campo.
Gli oggetti ritrovati da Kerchache furono esposti a Parigi alla fine del 1967. Poco tempo dopo, su richiesta del Presidente Leon Mba, le opere che non erano state ancora vendute furono sequestrate e rimpatriate in Gabon, per conto del governo. Questa reazione delle più alte autorità del Gabon mostrarono la consapevolezza del valore del proprio patrimonio nazionale e della volontà a difenderlo in modo concreto. Il ricercatore statunitense Leon Siroto, etnologo e specialista delle arti dell’Africa centrale pubblicò nel 1968 a Los Angeles, un articolo sui “Bwiiti dei Mahongwé” nella rivista “African Arts”. In questo interessante studio, sulla base di osservazioni sul campo (1960), L.Siroto interpretò il simbolismo delle forme e dei dettagli decorativi delle figure dei reliquiari, insistendo sulla rilevanza del loro aspetto “a foglia”. Egli ripercorse la storia le prime scoperte fatte nell’alto Ogooué e nel basso Ivindo e in conclusione difese la tesi di una origine di stile possibilmente più occidentale, che potesse essere sia shaké sia mahongwé. Si trattava di una ipotesi, ma fino ad allora non erano mai state scoperte figure “a foglia” nel paese Shaké, mentre se ne erano scoperte diverse decine tra i popoli della riva sinistra dell’Ivindo: Mahongwé, Ndambomo e Bushamaye.

 

 

 

Estensione geografica dello stile Kota.

 

 

Il paese Kota.
A. Chaffin ha delineato a grandi linee la geografia fisica e la distribuzione etnica dei Bakota nel suo articolo sull’arte Kota, 1973. Bisogna tuttavia chiarire alcuni dettagli per quanto riguarda le tribù del nord, quelle che praticavano il culto Bwété e scolpivano figure a forma di reliquiari a lamelle. Il paese Kota si trova nella estrema parte orientale del Gabon, con uno sconfinamento nella Repubblica Popolare del Congo. L'area occupata dai Mahongwé, Bushamaye, Shaké, Ndambomo e Bakota occupa una una superficie di circa 40.000 kmq. Il territorio del paese Kota è abbastanza omogeneo. Il rilievo è costituito da un altopiano di altitudine media (da 300 a 600 mslm) che domina la valle dell'Ogooué verso occidente e gli affluenti della riva destra del Congo a oriente. Qua e là mammelloni dominano le colline (massiccio di Boka-Boka vicino al Mékambo, Mont Ngouadi al centro dell’altopiano). I fiumi con bacini spesso paludosi sono numerosi e tutti orientati verso ovest.
L’lvindo (570 km), dopo un corso superiore interrotto da rapide, diventa sinuoso e sfocia nell'Ogooué a monte di Booué dopo diverse grosse cascate sul bordo dell’altopiano. I suoi affluenti di sinistra, Djouah, Djaddié, Liboumba, Mounianghi, attraversano tutto il settentrione del paese Kota. Le loro molte ramificazioni formano zone paludose nelle pianure. L'intera area è coperta da una fitta foresta equatoriale (con frammenti di foresta primaria), che copre anche i più alti mammelloni. Il clima è di tipo equatoriale, con due grandi periodi principali: una stagione delle piogge da ottobre a maggio e una stagione secca da giugno a settembre (a volte interrotti da brevi periodi, più o meno secchi o piovosi).

 

 

 

Sei figure di reliquiario "bwété" conservate presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni a Libreville (Gabon), missione O.R.S.T.O.M. 1966-1972 regione di Ogooué-lvindo.
Grandi "bwété": a) h.cm.34 (base mancante). b) h.cm.49,5. c) h.cm.46. Piccoli Bwété: d) h.cm.17,7 (solamente viso). e) h.cm.23,8 (mancante di base). f) h.cm.15,4 (solamente viso).

 


Organizzazione sociale.
I Kota nel loro insieme non formano un'entità etnica perfettamente omogenea a causa della differenza tra la tendenza patrilineare delle tribù del nord e la matrilineare di quelle del sud. Le regole di parentela in questa regione privilegiano sia la famiglia del padre, sia quella della madre, sia anche le due famiglie coinvolte in un circuito di servizi economici e rituali. I Mahongwé, Bushamaye e Ndambomo sono assolutamente patrilineari. La tribù ("ilongo"), il clan ("ikaka") e il lignaggio ("diyo") sono i tre elementi di articolazione sociale. Ogni tribù possiede un particolare dialetto. I Kota del nord includono tutti loro, tranne i Shaké che sono a parte.
L'esistenza di confraternite iniziatiche "mungala" e "ngoy" per gli uomini, "lisumbu" per le donne è confermata ovunque. La circoncisione è praticata agli adolescenti ("isinda" o "satsi") contestualmente alle iniziazioni per le confraternite. Il culto degli antenati "bwété", la conservazione e la venerazione delle ossa dei parenti defunti sono le cerimonie essenziali diffuse in tutto il Gabon e quindi anche nel paese Kota. I riti di divinazione, guarigione e propiziazione sono fatti periodicamente e soprattutto in situazioni socialmente difficili. Tutta la vita dei Kota gira intorno alle iniziazioni che sono fatte ogni anno durante le feste di "satsi" che raggruppano le manifestazioni rituali della società: l'educazione, la divinazione, la rivelazione delle maschere, i riti di passaggio. L'uomo fa la guerra, la caccia, e la grande pesca. Egli parla con i morti e gli spiriti, lui è il maestro di iniziazioni. La donna coltiva, pesca, cucina, mantiene la casa e si prende cura dei bambini. Lei è un elemento fondamentale per la vita del gruppo, in quanto detentrice della vita sul piano naturale e simbolico. I rituali di iniziazione delle società femminili prevedono sempre simboli sessuali. I giovani ragazzi, durante le feste di "satsi", sono del resto trattati da questi gruppi di donne, sebbene non si possa propriamente parlare di iniziati. I rituali di guarigione sono spesso diretti da donne, mentre la ricerca degli stregoni è appannaggio degli uomini. Un equilibrio è così stabilito nel gruppo sociale, ciascuno dei quali necessita dell'altro per sopravvivere.
In ogni clan è presente un gruppo più o meno numeroso di “bakani”, sorta di dignitari civili (giudici) il cui ruolo è quello di risolvere le discussioni e vigilare sul buon funzionamento degli affari abituali. Non ci sono capi che, al di fuori dei capi dei clan, hanno un'autorità piuttosto diffusa. L'indipendenza di ogni lignaggio è riconosciuta da tutti in ogni luogo per cui il capo della famiglia non ha alcuna esitazione avendo un minima motivazione a stabilirsi altrove. Riassumendo, la società Kota è di tipo segmentario basata su una rigorosa complementarietà dei gruppi maschili e femminili, le attività quotidiane e le responsabilità rituali. Essa è caratterizzata anche da una grande mobilità sociale all'interno del contesto etnico.

 

 

 

Prima riproduzione di figure di reliquiari "bwété" o "m'boy", pubblicate in "Le tour du monde", di P. Savorgnan Brazzà, "Tre esplorazioni in Africa occidentale". Le figure di legno e rame: panieri e contenitori in corteccia per reliquie di antenati, sonaglio rituale in vimini in primo piano, tutti disposti su un graticcio posizionato nella casa riservata al culto. 1887.

 


(...)
Le tradizioni originarie.
Il gruppo Kota-Nord comprende nel Gabon, cinque gruppi etnicamente distinti: i Bakota (noti anche come Kota-Kota), i Mahongwé, i Shaké(Bashaké), i Bushamaye e i Ndambomo. Verso Booué si trova il gruppo Boshéba (Ossyèba), che è piuttosto apparentato ai Fang. Più a sud, i gruppi Obamba (Bambamba o Ambama), Ndasa (Mindassa), Wumbu (Bawumbu) e Mbahouin occupanti l’alto Ogooué e il confine dell'altopiano Téké.

 

 

   

 

da sinistra. Grande "bwété". Legno, rame e ottone. H.cm.52,7. Museum of Primitive Art, New York. 

Grande "Bwété". Legno e rame. H.cm.53. Collezione André Fourquet, Parigi.

 Grande "bwété". Legno e rame. H. volto cm.24,5. Le lamelle del volto sono leggermente curvate. Collezione Marc Ginzeberg.

 


I Mahongwé.
Non lontano dai Bakota, i Mahongwé si stabilirono nella regione di Mékambo lungo la Liboumba. Essi sono strettamente collegati coi Ndambomo e i Bushamaye che sono parimenti stabiliti nella regione Bouéni, a sud di Makokou sulla pista Makokou-Bakouaka-Okondja. Queste tribù si dicono curiosamente originarie delle regioni meridionali oltre Okondja sul Sébé; in realtà, sembra che questa sia la seconda parte della loro migrazione e che la prima li avesse portati dall’alto lvindo al Mont Ngouadi. In ogni caso, i Mahongwé e i Bushamaye dicono di non aver mai conosciuto i Bakota prima dell'arrivo dei bianchi.

 

 

 

6. Grande "bwété". Legno e rame: sono mancanti il filo di rame a spirale e le placche che ornavano il collo e la base del piedistallo. H. cm.53,5. Coll. Katherine White Reswick (documento The Cleveland Museum of Art).
7. Grande "bwété". Legno e rame: l'ogiva del viso è molto acuta, la base è spezzata. H.cm. 44. Museo Linden, Stoccarda.
8. Grande "bwété". Legno e rame: base mancante H. cm.35. Coll. Galleria Künzi, Oberdorf, Soletta, Svizzera.

 


Culto degli antenati nei Kota-Mahongwe.
La devozione per le reliquie dei morti illustri della famiglia era diffusa in tutte le popolazioni del Gabon sino all'ultima guerra; questa era la filosofia e la religione fondamentale di tutte le tribù della foresta del bacino dell'Ogooué. Caratterizzato per la raccolta e la conservazione di alcune ossa degli anziani di lignaggio (teschi, frammenti di cranio, mascelle e denti, vertebre, falangi, a volte delle ossa lunghe), il culto era accompagnato da pratiche cerimoniali di invocazioni e offerte rituali.
Presso i Fang, c’erano i "byeri", conosciuti per la magnifica statuaria in legno. Altrove, c’erano i "dwa" degli Okandé, i "banguru" degli Aduma, i "mikuku" dei Shaké e dei Ndambomo, i "mboy" degli Obamba, gli "edim" dei Bakwélé, gli "alumbi" degli Orungu. Presso i Bakota e i Mahongwé, c’erano i "mwété". Il paniere di vimini o corteccia che conteneva le reliquie era per lo più sormontato da una statuetta o un effige scolpita che rappresentava l’antenato fondatore del clan. Presso i Mahongwé di Mekambo la parola "bwété" comprende contestualmente il culto degli antenati, le reliquie che sono conservate nel paniere di vimini e la figura di legno rivestito in rame che lo sormonta ("boho-na-bwété" = la faccia del "bwété"). Il "bwété" era tenuto in un piccolo posto, una specie di nicchia a muro, posizionata per questo scopo soprattutto in fondo alla capanna del capo del clan. La figura scolpita era attaccata al paniere con liane e fibre vegetali intrecciate. Poteva essere separato per alcuni rituali quali la presentazione delle reliquie durante l'iniziazione e la danza del "bwété", sorta di scenetta in cui le statuette erano manipolate come marionette.

 

 

 

Grande "bwété". L’ogiva del volto è ridotta, mancanza della base. H.cm.33,5.
Collezione Robert Duperrier, Parigi - Collezione Raoul Lehuard, Arnouville (ora collezione Giorgio Rusconi, Milano).

 


Nel contenitore si mettevano frammenti di cranio come presso i Fang, ma (questa è una particolarità dei Mahongwé e dei Bushamaye) le ossa venivano rivestite di fogli di rame. Le falangi indossavano molti anelli di rame e bronzo, le ossa lunghe erano aggraffate con il filo metallico attorcigliato a molla. Oltre a queste reliquie, decorati come quelli che si possono vedere nei tesori delle nostre cattedrali europee, c'erano oggetti decorativi in rame lavorato, soprattutto anelli e bracciali e piccoli torciglioni di forma biconica di cui non se ne sa più nulla. Gli antenati rappresentati erano gli uomini più famosi del lignaggio e del clan (di cui frequentemente dopo cinque o sei generazioni se ne era dimenticato il nome) e alcune donne eccezionalmente prolifiche.
Le ossa dei gemelli erano ugualmente molto apprezzate perché i gemelli presso i Mahongwé, erano un segno di ricchezza e fortuna. Il culto era svolto dal capo del clan: egli invocava il "bwété" per fare una buona caccia o pesca, ottenere la ricchezza materiale, ottenere o ristabilire la salute, acquisire prestigio e, soprattutto, avere molti figli, soprattutto ragazze, che a loro volta erano fonte di nuova vita e di ricchezza (a causa della dote). Le pratiche rituali consistevano da una parte in libagioni e offerte di cibarie (banane cotte, manioca e, soprattutto carne) e sacrifici cruenti dall’altra(pollame e capretti). Il giorno dopo dell'offerta, i notabili del clan si riunivano solennemente a mangiare cerimonialmente i resti della festa sacra. Di solito solo il capo del clan o del lignaggio erano autorizzati a manipolare il "bwété", mentre i curiosi o gli imprudenti erano soggetti a pene con sanzioni severe. Qualche membro maschile del gruppo poteva sognare che gli antenati domandassero a lui personalmente di fare un'offerta o un sacrificio, e, in questo caso, il potere sacrale dell’officiante del clan poteva essere delegato.
Quando si facevano “iniziare” i giovani di una famiglia, il patriarca convocava tutti i clan della sua parentela ed ogni dignitario del "bwété" portava le reliquie e le figure del suo gruppo. Dopo le cerimonie propiziatorie segrete e le differenti prove a carattere magico che si svolgevano nella savana (questi riti erano principalmente destinati a proteggere il neofita dalla potenza delle reliquie), tutti i panieri rituali sormontati dalle figure erano riuniti nel cortile del villaggio, davanti all'assemblea di tutti i parenti, uomini, donne e bambini. Poi, ogni dignitario danzava a turno tenendo tra le mani il "bwété". Il danzatore era vestito con un gonnellino di rafia rossa, collane di rame e perle, indossando sul capo un grande ciuffo di piume di touraco. Dopo questa dimostrazione pubblica destinata a incutere il rispetto per gli antenati a tutti i membri della società, giovani e vecchi, ciascuno ripartiva per il suo villaggio con il suo paniere.
Il "bwété" era fondamentale nella vita del clan. Al di fuori della iniziazione che permetteva di integrare i nuovi membri nella società (l’iniziazione al "bwété" poteva essere o meno legata alla circoncisione -"satsi"- che in ogni caso l’avrebbe dovuta precedere obbligatoriamente), un'altra delle funzioni del "bwété", funzione latente in questo caso, era l’essere occasione di raduni periodici dei clan poiché ciascuno di essi conservava un solo paniere avente sovente due o anche tre figure scolpite alla sommità. I Mahongwé spiegavano questo raddoppio e, talvolta questa moltiplicazione con il frazionamento del clan poco a poco, mentre rimaneva sempre unico il nome e i divieti specifici. La prima figura, la più grande, ricordava l'antenato fondatore del clan, mentre le altre, di solito più piccole, rappresentavano il suo o i suoi discendenti (figli, nipote o fratello), o i capi di altri lignaggi direttamente apparentati.
Ogni figura aveva un nome che serviva nel caso di una sola effigie, a designare il paniere delle reliquie; in caso contrario, il paniere "bwété" prendeva il nome della più grande scultura. Tutti i membri del clan ancora conoscevano questi nomi così come i nomi personali degli antenati, anche di donne sebbene a loro l’accesso diretto al culto era interdetto. In ogni villaggio, c'erano panieri reliquiari e figurine scolpite. Si può avere un'idea del loro numero dalla rilevazione dei loro nomi, clan per clan, nei villaggi della regione Mekambo (indagine del 1966).

 

 

 

 

Ciascun villaggio di minima importanza contava dalle 10 alle 20 figure, talvolta ancor più. Questo permette di stimare il numero totale delle sculture alla fine del XIX secolo a 2.000 o 3.000. Ci sarebbero pertanto attualmente nelle collezioni museali e private, il 10% della antica produzione plastica Mahongwé /Shamaye, il resto è andato distrutto o, in casi particolari, nascosto in necropoli segrete. Nonostante i molteplici viaggi dei missionari cattolici, fatti specialmente nel paese Mahongwé per lottare contro le superstizioni e il culto degli antenati a volte trasformati in rituali di stregoneria, alcuni lignaggi hanno conservato le sculture fino al 1957 vale a dire quando il culto sincretico autoctono definito di “Mademoiselle” diede il colpo di grazia definitivo all'arte funeraria già compromessa. Questo culto, di origine nord congolese, basato sulla rivelazione d’una Demoiselle bianca (la Vergine Maria?) apparsa in sogno a un profeta, venne animato da un nganga di Mekambo, a sua volta formulato da esorcisti kwélé. Questo guaritore e indovino si era prefissato la missione di distruggere la stregoneria presente massicciamente in tutta la regione. Per questo, egli doveva svelare a tutti, iniziati e non iniziati, uomini, donne e bambini, i riti segreti delle confraternite iniziatiche, fra cui il "bwété", e materialmente distruggere tutti gli oggetti vicini e lontani che erano collegati a queste pratiche. I capi dei lignaggi e clan furono sospettati di voler usare a fini magici la potenza del "bwété" e furono costretti a distruggere i reliquiari e le figure scolpite, bruciandole pubblicamente o gettandole nei fiumi.
I missionari cattolici non avevano fatto diversamente venti anni prima. Solo alcune sculture sfuggirono a questa distruzione sistematica e, e sono queste che sono state trovate sinora, nascoste in buche o stagni, da alcuni "nganga" irriducibili oggi scomparsi. Il conto esatto delle figure "bwété" riportate in Occidente fino al 1965 è impossibile da farsi in quanto molte sono in collezioni private inaccessibili. Tuttavia, si può stimare che non dovrebbero superare le 150 opere. Con le sculture scoperte negli ultimi anni, si è arrivati a circa 200 pezzi di cui la metà è stata esposta o pubblicata. Questo è ovviamente molto poco rispetto alla moltitudine di opere d’arte africana repertoriata in tutto il mondo, per cui le opere kota-mahongwé e kota-shamaye sono e resteranno sempre molto rare.

 

 

 

 

Grande "bwété". Legno e rame: l'ogiva del viso è contenuto, alla sommità è arrotondata, gli occhi posizionati molto in alto. Sul retro, è rimarchevole il modo di fissaggio delle lamelle in un decoro a zig-zag, ripreso sulle placche e la treccia verticale a nervatura centrale. Coll. Mestach.

 

 

Tutte le figure "bwété" autentiche sono antiche. Si può di stimare la loro età a più di un secolo. Tutti gli informatori consultati –vegliardi di 70 e 80 anni- dicono le sculture dei loro clan erano state plasmate nel tempo dei loro nonni o precedentemente.
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L'intervallo temporale valutabile è quindi tra i 100 e i 200 anni. Non possiamo affermare una maggiore anzianità in quanto nel XVIII secolo i Mahongwé non erano nella regione di Liboumba, ma tra il basso Ivindo e l'alto Djidji. A quel tempo gli spostamenti erano frequenti e alcuni oggetti andavano distrutti. Ma i fabbri scultori erano ancora molti e si potevano fare immediatamente nuove opere. Il numero totale di opere ha cominciato a diminuire lentamente quando i fabbri scomparvero, certamente verso la metà del XIX secolo, all’epoca dell'ultima migrazione verso nord.
Una domanda sorge spontanea quando si parla di anzianità a proposito di arte africana: come mai questi pezzi di legno si sono conservati, mentre le maschere dipinte, ugualmente in legno, sono state rapidamente distrutte dal tempo e dagli insetti? Uno dei motivi che spiega perché le figure "bwété" sono state in grado di giungere fino a noi è che la struttura dell'oggetto è fatta di anima di legno interamente ricoperta da fili e placchette di rame tenute strettamente insieme da innumerevoli graffette. Il legno usato era talvolta di legno duro, ma il più delle volte si trattava di un legno tenero e alterabile della famiglia delle miristicacee, lo scyphocephalium o "nkoso" in dialetto kota. Si tratta di un legno bruno o rosso scuro, assai denso ma facile da scolpire. A ciò si aggiunge la cura che ha costantemente beneficiato: la pulizia periodica delle lamelle metalliche evitanti in parte gli effetti distruttivi della ossidazione e la custodia nella capanna al riparo dall’acqua. Tutta questa cura verso gli oggetti rituali "bwété" mostrano a quale punto giungeva la devozione per gli antenati e la grande importanza sociale e religiosa che aveva questo culto nella società tradizionale Kota-Mahongwé.

 

 

  


da sinistra. Grande "bwété". Legno e rame: gli occhi a mandorla sono atipici. H.cm. 52,5. Ex coll. Rene Mendes-France.

Grande "bwété". Legno e rame; naso mancante, collo e base danneggiate e in parte mancanti. H.cm.39. Rauten- Strauch-Joest-Museum, Colonia (fondo K. Clausmeyer).
Grande "bwété" o "m'boy", regione di Kéllé (R.P.del Congo). Legno e rame: la parte frontale è particolarmente ampia. H.cm.45,5. Coll. Musée de l'Homme di Parigi.

 


Lo stile Kota-Mahongwe.
Si sono spesso comparate le figure "bwété" alla testa eretta del serpente cobra supponendo erroneamente che questa forma ovoidale e piatta sia stata ispirata da questo modello. I Mahongwé non hanno mai menzionato questa somiglianza, anche se conoscevano particolarmente questo rettile, molto comune nella regione. L.Siroto nel suo articolo “Il volto del Bwiiti” (1968) propose di chiamare queste sculture “figure fogliate” a causa della loro somiglianza con una grande foglia. I coltelli dei capi Kota avevano vagamente la medesima forma, per cui egli ne dedusse che la forma delle figure è il simbolo dell'autorità patriarcale. Nella mia risposta a questo articolo (“Nota sui Bwété dei Kota-Mahongwé”, Africani Arts, 1969), faccio notare che il coltello “foliaceo” non è il solo utilizzato ma che i capi della regione di Mékambo hanno ugualmente una lama quadrangolare a tre lame chiamato “ésanga”.
E’ anche inutile cercare il modello dello scultore africano perché lui scolpiva con la sua fantasia e gusto, non con i suoi ricordi visivi. Per i Mahongwé la figura del reliquiario era un ritratto simbolico sia astratto sia decorativo ove tutti gli elementi evocavano una realtà precisa, senza tuttavia copiarla nella sua forma abituale. Purtroppo i Mahongwé non sanno più come spiegare il perché di questo o quel dettaglio: siamo in presenza di pezzi archeologici di cui si deve tentare di decifrarne il senso perduto con l’aiuto della conoscenza della cultura globale. Le figure hanno generalmente un’altezza da 30 a 80 cm. compreso il collo. Il volto stesso varia dai 15 ai 30 cm. di altezza per 10 a 25 cm. di larghezza. Lo spessore dell’opera non supera 5 a 6 cm. al centro e 2 cm. ai bordi. La scultura presenta due metà simmetriche e identiche su entrambi i lati di una banda larga di metallo alla base della quale sono fissati gli occhi a cabochon, spesso molto vicini l'uno all'altro. Sotto gli occhi, e su entrambi i lati del naso costituito da una placchetta di rame piantata perpendicolarmente alla faccia, ci sono cinque o sei fili metallici disposti a forma di baffi spioventi (questa è una semplice decorazione perché baffi simili sono sconosciuti come tali dai Mahongwé. La barba per contro è portata dai notabili ("ba-kani"), è sovente intrecciata ed è anche un segno di lutto, ma in questo caso non è pettinata).
Sotto il naso si estende una placca di rame spesso punteggiato che fa le veci di una bocca. La bocca è rappresentata in alcune figure dell'alto Ogooué, soprattutto nei sotto-stili obamba-mindassa di Sibiti e Otala. Più a nord appare questa singola placca, a volte decorata. L'assenza di questo elemento della faccia non ha spiegazioni come l'assenza delle orecchie. Tuttavia, sembra che in tutto il Gabon, solo lo sguardo sia veramente importante. Questo è del resto un simbolo di vita. Nella parte superiore della faccia, obliquamente rispetto al piano dell’oggetto, si erge un torciglione di metallo fatto da un unico filo a spirale che rappresenta l’acconciatura. Questo torciglione metallico riprende la vecchia acconciatura dei notabili Mahongwé, una grande treccia singola “i-banda” assai discendente nella parte posteriore. Le tempie erano rasate. Il segno distintivo di autorità era costituito da una piccola piuma rossa appuntata nei capelli sopra la fronte (piuma del pappagallo "koho" o dell’uccello "loka"). Questo elemento decorativo a volte può raggiungere da gli 8 ai 10 cm. di altezza. I fili che decorano la faccia si agganciano nella parte posteriore dell’oggetto.
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Il collo delle figure Mahongwé è ricoperto da un filo metallico a spirale e porta una placca incisa sul rigonfiamento della base. I motivi decorativi di queste placche, tutti diversi, mostrano forse il blasone dei clan.

 

 

 

 

da sinistra. Piccolo "mbwété". Legno e rame; lamelle orizzontali, occhi posizionati molto in basso, decoro semicircolare sopra il naso e tra gli occhi, nella parte posteriore decoro in rilievodi forma a losanga. H.cm.24 (mancante la base). Coll. J. Kerchache.

"Mbwété", sotto-stile di transizione Shamaye. Legno, placche e lamelle di rame, volto a mandorla(a foglia), acconciatura avviluppante pendenti laterali, base di tipologia Mahongwé ma posizionata trasversalmente. H.cm.49. Coll. Völkerkunde Museum, Basilea (Svizzera), fondo Stalder 1930.

 

 

 

 

da sinistra: Grande "mbwété". Legno e rame: l'ogiva del viso è molto accentuata quasi simile a una forma triangolare, base spezzata. H.cm.51,(larghezza 26 cm.). Coll. J. Kerchache.

Piccolo "mbwété". Legno e rame: sommità del viso semicircolare, lamelle disposte orizzontalmente tendenzialmente diagonali sulla parte anteriore, assenza di chignon posteriore, parte posteriore molto deteriorata. H.cm.14,5 (solo viso). Coll. J. Kerchache.

 

 

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Le variazioni in uno stile omogeneo: sotto-stili primari e secondari, forme di transizione.
Lo stile kota-mahongwé colpisce per la sua costante omogeneità e uniformità della sua ispirazione. Questa è anche una delle differenze con gli stili del sud, ove le forme sono molteplici e variate nel quadro dell’opzione kota iniziale, vale a dire un volume trattato in due dimensioni e decorato con placchette metalliche. Tuttavia l'uniformità mahongwé è temperata dalla distribuzione di oggetti in due categorie principali (che chiameremo sotto-stile, anche se la suddivisione è per cause religiose e non artistiche), di cui abbiamo già visto il significato: da una parte i “grandi bwété” che possono raggrupparsi entro un sotto-stile principale perché sono i più numerosi e i più tipici, dall'altra i “piccoli bwété” che costituiscono un sotto-stile secondario e che hanno solo un ruolo di accompagnamento.
a) I "grandi bwété" del sotto-stile principale possono raggiungere dai 50 agli 80 cm. di altezza (compresa la base). Il viso è sempre più largo di 20 cm. Questo rapporto tra le due dimensioni (altezza x larghezza della faccia) dona loro un’aria maestosa. Il decoro tipico del volto è fatto di fili di metallo disposti orizzontalmente su tutto l'oggetto. La figura ha sempre un esile chignon allungato sulla sommità del volto. Tutte le opere di questo sotto-stile sono praticamente identiche, solo i motivi decorativi punteggiati sulle placche di base e sulla parte posteriore permettono di identificarle e differenziarle. In qualche rara opera è tuttavia rimarchevole la forma triangolare della loro faccia (mentre la maggior parte ha un volto semi-ovoidale, a ogiva).
b) I "piccoli bwété" presentano più varietà. Hanno altezza dai 30 ai 40 cm. e il volto stesso non supera i 25 cm. di altezza e dai 10 ai 15 cm. di larghezza. Le proporzioni cambiano nella direzione di allungamento, perché gli occhi sono posizionati leggermente più in basso rispetto all’insieme. Essi possono non avere l’acconciatura e i loro decori sono più variati rispetto al sotto-stile principale. Le lamelle di rame sono disposte seguendo numerosi motivi decorativi diversi, sia sul volto sia nella parte posteriore.
La differenza essenziale dei due sotto-stili è che lo scultore poteva dare libero sfogo alla sua ispirazione creativa nelle piccole figure, mentre per le più grandi, più importanti ritualmente, doveva seguire gli schemi tradizionali in un modo più rigoroso. Occorre precisare che alcuni "grandi bwété" sono tutto sommato relativamente piccoli: il fatto importante è il rapporto di taglia della figura principale con la figura secondaria. Un altro sotto-stile, ancora relativamente sconosciuto, deve essere menzionato: il sotto-stile di transizione che può essere chiamato Shamaye. Esso è illustrato da qualche opera, attribuite quanto ai Mahongwé quanto agli Obamba ma di forme del tutto particolari, apparentate sia agli stili del nord sia a quelli del sud. La sua identificazione e localizzazione sono state definite dalla scoperta, nel corso degli ultimi anni nei paesi Shamaye a sud-est di Makokou, di diversi oggetti di questo tipo.
Ne siamo a conoscenza da un bell'esempio di questo sotto-stile al Museo Etnografico di Basilea, identificato solamente come Kota.(nr.III-7017-anno 1930). Ricordiamo, a titolo di comparazione, che lo stile kota-obamba (regione di Franceville) è caratterizzato da una faccia ovale –sovente con fronte bombata o concava- sormontata da una acconciatura avviluppata a forma di croissant alla sommità, una base a forma di losanga modellata in un piano parallelo alla faccia e due torciglioni metallici alla base dell’acconciatura che rappresentano sia trecce sia orecchini. Questo dettaglio decorativo è importante in quanto si ritrova nei criteri di identificazione del sotto-stile di transizione della regione sud-est di Makokou. Lo stile kota-obamba ha per centro la zona di Zanaga-Sibiti-Franceville (RPCongo e Gabon) con forme più barocche verso il sud. Il sotto-stile di transizione Shamaye presenta un viso a forma di mandorla (due porzioni di cerchio simmetriche ai lati di un’asse verticale), avvolta da una acconciatura a casco. La faccia è decorata da piccole lamelle di rame, mentre l’acconciatura è placcata da metallo su tutta la superficie. Alcune opere comuni nella zona sud hanno alla base dell’acconciatura appendici aggraffate con un filo a spirale. Il volto è coperto da cima a fondo da una piastra metallica stretta (larghezza 3-4 cm.) in cui lo scultore ha collocato il naso, la bocca non è raffigurata, come negli stili del nord.

 

 

 

Struttura morfologica dei sotto-stili Kota-Mahonwé. Opere da 40 a 90 cm.

 

 

 

 

Struttura morfologica dei sotto-stili secondari Kota-Mahongwé. Opere da 20 a 40 cm.

 

 

Di accentuata tendenza Mahongwé -faccia concava decorata da lamelle di metallo sottili, placca centrale sulla parte frontale, gli occhi cabochon e chignon alla sommità del cranio (caratteristica importante perché è tipica dello stile del nord)- questo sotto-stile, tuttavia di caratteristiche puramente Obamba, ha un’acconciatura avvolgente con piccole trecce alla base del volto. Le conoscenze attuali che abbiamo della cultura Kota permette di dire che le opere di transizione dovrebbero essere Kota-Shamaye e potrebbero essere anche Kota-Shaké(regione di Booué). Queste due tribù sono molto strettamente apparentate ai Mahongwé, in particolare il primo di essi, e la loro storia indica essere una cerniera tra i Ba-Kota del nord e quelli del sud. I Kota-Shamaye sono ancora sulla strada che collega le due aree di insediamento e hanno contatti permanenti con i Kota-Obamba di Okondja.
I Shaké che dicono provenire dalla valIe della Sebe a est sono ugualmente collegati con le etnie dell'Ogooué. Potrebbe essere da loro che i Bandjabi e i Masango del centro del Gabon hanno attinto l'idea di decorare le loro figure di antenati –i "bumba viti"- di fili e lamelle di rame aventi le parti interamente ricoperte di metallo che stranamente ricordano i "bwété" kota-mahongwé, anche se la testa è trattata in volumi e non in superficie come nel gruppo Kota. Se ora sappiamo in qualche modo la posizione dello stile kota-mahongwé, e molto probabilmente anche quella del sotto-stile kota-shamaye, restano da determinare le caratteristiche e l'influenza dello sotto-stile shaké che indubitabilmente esiste, ma che è ancora un enigma per gli specialisti. Si dovrebbero scoprire diversi pezzi in situ per essere sicuri della attribuzione etnica e della localizzazione. Ma questi siti sono rari e pochi informatori sono disposti a condurvi il ricercatore.

 

 

 

 

Struttura morfologica sotto-stili di transizione Kota-Shamaye. Opere dai 30 ai 50 cm.

 

 

 

 

da sinistra: "Mbwété", sotto-stile di transizione Shamaye. Forma intermedia tra gli stili del nord Kota (Mahongwé) e del sud (Obamba, Mindassa, Bawumbu). Legno e rame: viso "a foglia", placca frontale che si estende sino alla parte inferiore del viso, che comprende una nervatura centrale ove è inserito il naso, acconciatura avviluppante con pendenti decorati con fili a spirale. H.cm.25 (solamente viso). Coll. J. Kerchache.

Figura di reliquiario "m'boy" dei Bakota. Forma di transizione tra le tipologie Shamaye, Sango e Obamba. Viso con contorno "a foglia" (con un fronte prominente), acconciatura avviluppante lateralmente, base a losanga, decorazione di placche e lamelle di rame, occhi in avorio. H.cm.34,5. The Art Institute di Chicago (Alsdorf Foundation).

 

 

Lavorazione dei metalli e costruzione dell'opera.
L'artista mahongwé era sia scultore sia fabbro. La prima operazione consisteva nel tagliare un pezzo unico per il supporto ligneo (viso e collo). Di profilo, si percepisce che nei "bwété" i piani del collo e del viso formano un angolo ottuso e la faccia stessa ha una leggera curvatura che dà la sua eleganza all'oggetto. Lo scultore doveva prevedere in anticipo l'aspetto finale definitivo della figura in relazione alla dimensione del supporto ligneo, perché era la forma del supporto, non semplicemente il rivestimento metallico che avrebbe procurato al "bwété" la sua bellezza scultorea. Egli tagliava poi le placchette di rame e le lamelle. Tutte le opere conosciute (ad eccezione di una in ferro) sono ricoperte di rame o ottone. La regione Kota del Gabon non ha rame nel suo terreno, quindi ci si è chiesti come i Ba-Kota possano aver avuto l'idea di decorare le loro figure di antenato con questo metallo e, soprattutto, il modo in cui se lo sono procurato. Ancora oggi si trovano nel paese Kota grandi paioli o ciotole di rame chiamati “neptunes” importati dai portoghesi nel XVI secolo in tutta l'Africa centrale, che le tribù utilizzavano come moneta di scambio.
La forma di questi recipienti era variabile. Certi assumevano la forma di una semplice ciotola con larghi bordi, ve n'erano grandi e piccoli, più o meno spessi e pesanti a secondo della taglia. Erano simboli di ricchezza e fonte di un certo prestigio. Il rame aveva il medesimo ruolo dell’oro in altre regioni; tutto ciò che era prezioso presso i Ba-Kota era decorato con il metallo (sculture rituali, ossa degli antenati, coltelli dei capi, armi militari, gioielli, ecc.). Prima della introduzione del rame, forse i Ba-Kota utilizzavano semplicemente il ferro come elemento decorativo quando questo metallo aveva un valore prioritario (la scoperta di opera placcata in ferro conferma questa ipotesi.

 

 

 

Disposizione dei fili di rame. Sotto stile principale.

 

 

 

Disposizione dei fili di rame. Sotto stile secondario.

 


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Quando tutti gli elementi decorativi in metallo, le placche, le lamelle, i fili, i cabochon erano pronti, l'artista procedeva a fissarli sull'anima del legno. In primo luogo fissava le placche più grandi, quella posizionata sotto il naso che scendeva sino al bordo inferiore della faccia, quella che copriva la parte posteriore e la parte centrale anteriore. Egli fissava poi il naso col suo doppio gancio. Solamente dopo iniziava il fissaggio paziente delle sottili lamelle che dovevano essere, per coprire l'intera superficie della figura, assolutamente unite col metallo e strettamente coincidenti con la forma del supporto. Le lamelle avrebbero dato all’opera un rilievo e una modellazione che sarebbero state determinanti per la sua riuscita. Queste erano fissate nelle loro due estremità inserendole nel legno per circa un centimetro. Lo scultore finiva il volto posizionando gli occhi su ciascun lato del naso alla base della placca frontale, infine rifiniva l’acconciatura e il collo con un filo metallico a spirale e procedeva alla martellatura e allo sbalzo decorativi delle placchette.

 

 

 

Fissaggio delle placche e delle lamelle di rame. Sezioni trasversali.

 


L'originalità dello stile Kota è rimarcabile ed eccezionale nell'arte dell’Africa nera; quella del sotto-stile Kota-Mahongwé non è da meno all'interno del gruppo Kota, per l'audacia delle sue forme nonostante l'omogeneità della sua ispirazione. I Kota-Mahongwé hanno estremizzato i principi scultorei dei loro vicini Kota. L'astrazione delle loro figure funerarie è assolutamente prodigiosa tenendo presente il contesto sociale. Ed è impossibile parlare di “primitivismo” e “semplicità delle forme” davanti a questi volti enigmatici d’antenati ove la perfezione della finitura nelle opere più belle attestano una indiscutibile maestria delle forme e della materia. Il genio dell'artista era quello di saper giocare con le curve del viso, l’ogiva della silhouette e la dolce concavità del profilo.
Alcuni oggetti kota-mahongwé portano su un piano di armonia delle forme di ispirazione antropomorfe una soluzione totalmente inaspettata ma soddisfacente per lo spirito e una sensibilità alla ricerca della bellezza della scultura. La moltitudine di lamelle verticali che tagliano regolarmente la curvatura del viso e la banda verticale che determinano gli occhi rotondi e naso affilato, costituiscono un elemento di rottura e di contrasto che sottolineano ancor più la serenità spoglia del viso.