Dogon Bambou Toro. Maternità.

 

 

 

 

 

 

 

 

Maternità. Cultura Dogon.
Legno, consunzioni e patina rituale da lungo uso. Stile Bambou-Toro. Epoca XVII/XVIII secolo. Dimensioni: h.cm.26.
Provenienza:
collezione Fred ten Houten, Groningen (NL).
collezione Museo Gerardus van der Leeuw, Groningen (NL).
galleria B.Berna, Bologna (I).
Pubblicazioni:
"A Hidden Heritage", V.Carini, Ed.Galleria Dalton Somaré, 2004, pag.52.
Expo:
"43 Sculture africane da collezioni private italiane". Milano, galleria Dalton Somarè, 02.04.2004-23.04.2004.
Expertise:
Beppe Berna, Bologna (I), 1998.
Catalogazione: AA 9/98.

 

 

 

 

 

 

 

 

Maternità in legno appartenente alla cultura Bambou-Toro (della classificazione Leloup) dei Dogon. La madre è ritratta inginocchiata, con le mani portate alle cosce e con il piccolo aggrappato alla schiena. Sulla testa è ricavata una superficie leggermente concava che fungeva da altare. Al mento è sopravvissuto un lungo soggolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tratto da: “L’arte dell’Africa nera”. 1972.
Elsy Leuzinger.


L'arte dell'intaglio assume presso i Dogon forme varie e interessanti. Grazie all'opera di ricerca di studiosi francesi, in primo luogo di Marcel Griaule, si è venuti a conoscenza di numerosi miti dell'origine della stirpe dogon a cui essi ispirano le loro sculture.
(...)
Il compito di intagliare le sculture e i recipienti che devono contenere la forza vitale dei Nommo è affidato al fabbro. Le figure destinate al culto sono rigorosamente tenute nascoste nei templi e curate dall'hogon, il sacerdote, che le cura collocando davanti a loro piccole scodelle contenenti offerte votive. Quando muore un importante membro della società segreta, si usa porre il suo corpo per un certo periodo di tempo di fronte alla statua degli antenati, affinché la sua anima possa congiungersi con la loro e aumentare cosi la forza vitale della statua. In occasione della festa annuale dei morti l'hogon la preleva dal tempio per invocare dagli spiriti un buon raccolto e il benessere dei bambini.
ln alcune caverne ben nascoste si sono ritrovati dei gruppi di sculture tenute insieme da catenelle di ferro, il cui aspetto è veramente singolare. Modellate per lo più secondo uno stile naturalista, sono fatte di legno duro, simile alla pietra, e ricoperte da una patina rossa o grigio cenere che deriva probabilmente dalle offerte di sangue e birra di miglio con cui venivano cosparse. Una datazione ottenuta con il carbonio 14 indica il loro periodo di fabbricazione nel XIII secolo. I Dogon, che le usano ancora oggi, trattandole con profondo rispetto, affermano di non essere stati loro i costruttori di queste sculture, denominate tellem, bensì la popolazione che visse originariamente nel loro territorio. Sembra che questi misteriosi tellem siano opera di un ramo della stirpe Kurumba, un'antica popolazione che vive ancora oggi nella regione deIl'AIto Volta (Burkina Faso). I Kurumba, che si chiamano anche tellem, furono famosi per l'abilità dei loro fabbri.
Lo stile proprio dei Dogon è infatti ben lontano daIl'assumere quei tratti naturalistici tipici dei tellem. Esso presenta forme simmetriche molto marcate, caratterizzate da elementi geometrici chiaramente delimitati. I corpi slanciati e allungati, nella cui forma è ancora visibile quella del tronco d'albero, rappresentano senza dubbio il prototipo della scultura a pali scolpiti. L'acconciatura è tracciata in modo tale da formare con il profilo del volto una linea continua che termina sulla nuca seguendo un arco mediano. L'armonia delle proporzioni sempre seguita scrupolosamente si riscontra anche nel perfetto equilibrio esistente fra il torace e le possenti scapole. Il viso assolutamente stiIizzato ha il naso dritto simile a una freccia, il mento è corto e tagliato orizzontalmente e l'orecchio tracciato a forma di semicerchio. Le grandi mani sono spesso appoggiate sulle gambe o sulle ginocchia. Le statue dogon accentuano nella coerente semplificazione formale la loro solenne gravità e possanza. Le stesse figure, ma trattate in modo ancora più semplice e stilizzato, si trovano sugli oggetti di culto, le porte, le serrature, i recipienti per il burro, i portaroccbetti dei telai e altri utensili.
I motivi si riferiscono ad avvenimenti mitologici o alle leggi che regolano la vita dell'uomo e il suo evolversi. Vediamo così l'immagine del fabbro considerato il settimo Nommo e il primo hogon, raffigurato con la barba e un cappuccio striato oppure a cavallo; figure sovrapposte ricordano Aru, l'astuto usurpatore del territorio dogon e i suoi fratelli; in un'altra scultura è l'incestuosa Yasigi o Dyugu Seru che si copre il viso dalla vergogna. Le figure con le braccia alzate in atteggiamento supplichevole richiedono la protezione dell'essere supremo o invocano la pioggia benefica per i campi riarsi. La coppia dei progenitori, l'avo ermafrodito collocato su di uno zoccolo, cosi come l'immagine degli otto Nommo, disposti a coppie su di uno sgabello, e altre strane composizioni a più teste simboleggiano l'universo e l'ordine eternamente valido del cosmo a cui ognuno si deve assoggettare.
Un importante strumento di culto usato per la festa d'iniziazione dei membri della società segreta degli uomini è rappresentato da un tino su cui spiccano in rilievo le figure dei Nommo e dei coccodrilli. Esso trae origine dal mito secondo il quale si racconta che il fabbro discese un giorno dal cielo lungo l'arcobaleno su di una barca per portare agli uomini importanti elementi culturali. La figura del coccodrillo ricorda il sacrificio di un Nommo per la salvezza del mondo. Sul tino è spesso visibile anche la testa del cavallo, poiché fu proprio questo animale a scendere per primo dalla barca. ll tono vibrante della prima parola sussurrata è rappresentato da una linea a zig-zag; essa simboleggia anche la vibrazione nel cosmo che produsse poi la pioggia, l'acqua e l'uomo.
Gli oggetti di culto più belli, decorati con simboli mitologici, appartengono all'hogon. I Dogon usano spargere sul terreno durante i riti propiziatori della fertilità il miglio contenuto nel deposito dell'hogon. Proprio per questa ragione la porta della sua capanna, adibita a tale uso, è decorata con una serie di rilievi raffiguranti antenati e antenate. La ciotola per il cibo del sacerdote, a forma sferica (uova del mondo), ornata da una linea a zig-zag simboleggiante l'energia cosmica e sormontata dalla figura mitica di un Nommo a cavallo, è usata dal medesimo per offrire agli spiriti doni sacrificali di carne.
ll fabbro costruisce anche oggetti rituali in ottone e ferro battuto che sono poi usati nel culto degli spiriti e degli eroi culturali. Secondo un mito fu il fabbro che originariamente portò agli uomini la conoscenza del fuoco, sotto la forma di un pezzo di sole che rubò servendosi di un ferro incandescente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Estratto da: "Statuaire Dogon". Helene Leloup, 1994.

 

La falesia meridionale.
Questa regione, la più studiata, potrebbe essere suddivisa in tre parti:
1. Regione dell'Ende fino a Dourou, Nombori, dove si parla il "tengui-so", compresa la regione di Bandiagara.
2. Regione centrale chiamata Bombou, a cavallo tra la falesia e la pianura. Gli abitanti parlano Bombou o "toro-so", la lingua dogon per eccellenza, compresa in tutta la falesia meridionale. E' la più studiata da quando la squadra di Griaule si era stabilita a Sanga. Geneviève Calame-Griaule ha pubblicato un dizionario di questa lingua. Tutte le parole dogon in questo testo, se non diversamente specificato, appartengono al "toro". Sul posto, gli abitanti dell'altopiano chiamano il paese "Bombou" e spesso usano questa parola per designare il dialetto che vi si parla mentre gli stessi abitanti della falesia usano la parola "toro". Questa regione, che copre all'incirca l'area di estensione di "sigí" (Griaule, 1948, p. 152), è stata a lungo abitata dai Tellem, dai Poudyougo, dai Nongom, che hanno lasciato gran parte della scultura arcaica.
3. Regione a nord-est della falesia di Douenza che riflette una forte influenza di Yatenga nei suoi dialetti "nanga" e "dyamsay". Diamsay, la lingua arcaica del rito religioso della falesia, è parlato in tutta la piana di Séno. I Dogon, cacciati dai Mossi di Mondoro, loro capitale meridionale, vi si rifugiarono.

 

 

 

 

 

 

 

 

Estratto da: "Statuario Dogon". Helene Leloup, 1994.


(Le patine).
Il legno utilizzato per la loro preparazione rientra in due categorie principali: legno tenero per le solite statue che non si conservano a lungo e legno duro per le statue degli antenati destinate a durare. Le statue in legno tenero, di minor interesse, sono sommariamente scolpite e spesso danneggiate dagli attacchi di insetti attratti dalle libagioni sparse su di esse. Una statua di legno tenero può avere una certa età a seconda di come è stata conservata, ma va da sé che una statua davvero antica è di legno duro altrimenti sarebbe stata danneggiata dall'uso e dagli insetti.
E' anche in legno tenero, più veloce da intagliare e da truccare, le statue che si realizzano per i turisti. Questi manufatti hanno talvolta un aspetto biancastro, sono bucherellati da tarli e termiti perché, ricoperti di poltiglia di miglio, vengono interrati per essere attaccati dagli insetti e per assumere un aspetto antico. Copie recenti, realizzate in legno abbastanza duro, vengono invecchiate mediante un nuovo procedimento consistente nel bruciare la superficie della statua appena scolpita evitando, ovviamente, di danneggiarne il volto, che ne sminuirebbe il valore intrinseco. La patina che conferisce il tempo e l'uso è un innegabile criterio di anzianità che si presenta sotto tre aspetti.
Quando le statue sono state lasciate come offerta funebre nelle grotte cimiteriali, la loro superficie diventa una crosta molto dura, spessa, di colore grigio, dal caratteristico aspetto bitorzoluto, e che, fino ad oggi, non ha potuto essere imitata (nelle imitazioni scompare con l'acqua). Questa patina crostosa si è sviluppata nel corso dei secoli perché le statue erano riposte in un'atmosfera rarefatta poiché gli ingressi alle tombe erano accuratamente calafatati con pietre e sabbia. Sulla sua composizione si sono fatte molte ipotesi: muffe di libagioni, funghi o guano di pipistrello. Ma, secondo le analisi effettuate, sarebbe sangue sacrificale che ha sviluppato una forma di cristallizzazione. Le statue ricevono il sangue sacrificale sul capo per piccoli sacrifici ma, per grandi sacrifici, vengono immerse nei vasi dove veniva raccolto. Al Met è in corso uno studio sulle cristallizzazioni del legno. Si possono osservare diversi stadi di patina dall'inizio della crettatura, l'inizio della cosiddetta crosta "tellem", fino ad un grande spessore.
Un'altra, più rara, patina è quella che conferisce al legno delle statue della sepoltura un aspetto liscio, spoglio, essiccato, di colore giallo-beige. Dopo le indagini, abbiamo appreso che questo tipo di statue sarebbero state trovate in grotte riutilizzate dai Dogon in modo continuativo. In queste grotte invase dai pipistrelli, nel terreno formato da stari di sabbia e guano venivano seppellite le statue. Dissotterrate, venivano da noi conservate ma il loro legno è disidratato.
Le statue, il cui culto è continuato per generazioni, acquistarono alla fine una patina bruno-nera che, dopo il loro passaggio nel fuoco, fu loro conferita da strati di burro di karitè e olio per il loro mantenimento. Quelle che sono state ancora oggetto di un culto recente trasudano al punto da nascondere tutta la finezza della scultura.
Alcune statue antiche, parzialmente rivestite della vecchia patina, mostrano parti erose, crepe dove il legno appare crudo mostrando le parti legnose più dure o dove il legno è essiccato in un conglomerato di puntini pronti a dissolversi in polvere.