Dogon. Kutogolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

"Kutogolo". Cultura Dogon.
Legno, ferro, terracotta, argilla. Area del plateu, Njongonò. Dimensioni: h.cm.37.
Provenienza:
galleria Mazzoleni Sambonet, Milano (I).
Expertise:
galleria Mazzoleni Sambonet, Milano (I), 1998.

Documentazione:

Lettera Helene Leloup, 07.12.2002.
Catalogazione: AA 7/98.

 

 

 

 

 

 

 

 

Altare individuale denominato kutogolo.
Generalmente i “kutogolo” sono composti da una base di argilla su cui sono infilate delle sculture in legno e piccoli ferri denominati “gobo”. Questi altari vengono commissionati dal padre e regalati al figlio dopo la circoncisione ed hanno la funzione di salvaguardare il “njama” (forza vitale) del possessore. Alla sua morte vengono abbandonati, ma solo quando lo “njama” ha lasciato il suo corpo e attraverso dei rituali é entrato in un vaso di terracotta. Differenti aspetti guidano la creazione di un altare personale soprattutto per quanto riguarda la scelta delle sculture , ferri o altri materiali che lo compongono. In questo caso rara é la presenza del vaso in terracotta che contiene l'argilla forse connesso al rituale di protezione dello “njama” dopo il decesso.

 

 

 

 

 

 

 


Tratto da: “Art of the Dogon. Selections from the Lester Wunderman Collection”. 1988.
Kate Ezra.

 

Il Dogon colloca figure lignee raffiguranti uomini e donne su molti tipi diversi di altari, la maggior parte dei quali sono dedicati agli antenati, reali o mitici. Se le sculture figurative chiamate “dege” sono forse le tipologie più interessanti dell'arte dogon, varianti in forma e ricchi nella rappresentazione, esse sono anche tra le meno documentate. Pochi altari sono stati descritti in dettaglio o illustrati; quelli che sono stati descritti non suggeriscono alcun modello coerente che collega uno stile particolare di figura, o una specifica postura o un gesto, con un qualsiasi tipo di altare. Ci sono anche poche informazioni con cui identificare le persone rappresentate dalle figure.
Ogni lignaggio ha un altare contenente una scultura figurativa, dedicata ai suoi fondatori e ai successivi membri che sono morti, noti come “vageu”. Nel raccontare il mito della prima persona a morire in forma umana, Griaule racconta come una scultura lignea che rappresenta l'uomo deceduto venisse scolpita al fine di fornire un sostegno alla sua anima e alla sua forza vitale ("nyama"), rilasciate alla sua morte. La figura è posta sulla terrazza sul tetto dell'uomo insieme a una ciotola di ceramica per le libagioni. Come la morte si diffuse in tutta la terra, simili figure e ciotole furono collocate sugli altari stabiliti da ciascuna famiglia (Griaule, 1938, Dieterlen, 1941, Desplagnes, 1907).
Fotografie e disegni di altari “vageu”, li mostrano piuttosto semplificati, anche cilindrici e come figure appoggiate al muro del santuario (Dieterlen, 1941). Accanto alle figure si vedono anche le ciotole di ceramica e le piccole tazze in cui vengono offerti i liquidi sacrificali agli antenati e piccole scale intagliate in modo che gli spiriti possano salire all'altare sul tetto, uncini di ferro ("gobo"), cilindri di ocra rossa, ornamenti di ferro e vasi d’acqua in cui sono immerse radici, utilizzati anche nelle guarigioni. I sacrifici vengono eseguiti collettivamente su tutti questi oggetti nei tempi di semina e di raccolto, come anche da individui che hanno ereditato le anime di particolari antenati. Gli altari sono conservati nella “ginna”, la casa dell’origine del lignaggio, le quali ve ne sono molte in ogni villaggio. Un altare può essere trovato nella parte superiore della casa, in un angolo del quartiere, nel granaio, nel cortile o addirittura in una struttura separata vicina (Paulme, 1940, Dieterlen, 1941).
Non tutti i membri deceduti di una famiglia sono commemorati sull'altare “vageu”. Le anime delle donne morte durante la gravidanza o il parto sono considerate pericolose e le forze che causano tali morti sono particolarmente contagiose (Paulme, 1940, Dieterlen, 1941, Ortoli, 1941). Le anime di queste donne, chiamate “yaupilu” (letteralmente, "donne bianche"), sono custodite in un santuario separato, di solito in una grotta al di fuori del villaggio e sono curate da un sacerdote che è un guaritore esperto. Questo santuario contiene le varie ciotole di ceramica, i bastoncini di legno e i bastoni trovati sugli altari “vageu”, così come le figure di legno antropomorfe che rappresentano sia gli uomini che le donne (Ganay, 1941, Dieterlen, 1941, Dieterlen, 1981). Ogni anno vengono fatti sacrifici su questo altare da parte di coloro che sono stati curati da malattie causate dagli spiriti delle donne morte e le figure sono completamente macchiate del sangue delle pecore e delle capre macellate.
Mentre gli antenati dei “vageu” e “yaupilu” sono effettivi membri deceduti della famiglia, nei santuari “binu” si trovano sculture di figure appartenenti all'epoca mitica quando gli esseri umani erano immortali (Dieterlen, 1941, Ganay, 1942). I santuari sono strutture separate costruite nel cortile della “ginna”. Ognuno contiene un altare su cui si trovano le sculture lignee appoggiate al muro del santuario. Piccole ciotole, scalette in miniatura, ganci di ferro e braccialetti, e bastoni lignei a forma di L sono anche poste anche nei santuari “binu” (Dieterlen, 1941, Ganay, 1942). Le sculture sono spesso menzionate nei miti che descrivono il contatto iniziale del primo antenato con il suo clan, ove una scultura insieme ad altri oggetti rappresenta i segni della sua alleanza con i suoi discendenti (Ganay, 1941: 114, 123).
Le sculture sugli altari “binu” hanno varietà di forme e dimensioni. Anche se in alcuni casi sembrano semplici cilindri, in altri essi sono meno astratti e rappresentano immagini umane e animali più variate e descrittive (Ganay, 1942, Griaule e Dieterlen, 1986). Le sculture “binu” sono considerate come il “binu” stesso o il suo primo sacerdote (Dieterlen, 1941), ma è stato anche suggerito che essi rappresentino vari aspetti di “nommo”, considerato l'ultima fonte della forza spirituale del “binu” (Griaule e Dieterlen, 1986).
Oltre agli altari dedicati agli antenati, alcune figure dei Dogon sono collocate su altari per aumentare e rafforzare la forza personale di un individuo vivente o “nyama”. Un tale altare è il “kutogolo”, che è dedicato alla testa di una persona, “ku”, sede del suo pensiero e volontà. Il “kutogolo” è costituito da una palla di terra mescolata a semi in cui sono inseriti ganci di ferro, vasi di argilla e, occasionalmente, piccole figure di legno. (Dieterlen, 1941).
Il “bala” è un altare fatto per una persona mancina, che si crede avere poteri speciali nella mano sinistra. Anche questi altari sono fatti di palle di terra in cui piccole figure di legno, alcune delle quali con le braccia alzate, sono inserite insieme ai ganci di ferro e braccialetti (Dieterlen, 1941, N'Diaye, 1972). Sia i “kutogolo” che gli altari “bala” si trovano nelle nicchie sulla facciata di una “ginna”, o nell'angolo di un ripostiglio. Anche alcuni fabbri e cacciatori dogon hanno altari individuali, che spesso contengono sculture figurative (Parigi, Musee Guimet, 1959, Dieterlen, 1965).
Anche gli altari della pioggia dogon , chiamati “andugo”, sono stati ritrovati con sculture di figure. Gli “andugo” sono il fulcro dei sacrifici a “nommo”, che come “maestro dell'acqua” si manifesta in ogni realtà d'acqua sulla terra, tra cui la pioggia che cade dal cielo. Questi altari possono essere collocati su una terrazza sul tetto, in un cortile, in periferia di un villaggio o in un santuario separato. Alcuni sono portatili e possono essere trasportati in campi ove necessita un particolare bisogno di pioggia. Gli altari sono costituiti da una pila di oggetti di pietra antichi, “pietre di tuono”, che si ritiene siano caduti dal cielo, in cui possono essere inseriti ganci di ferro e figure lignee. Queste figure si dice rappresentino “nommo”. A giudicare dagli esempi nelle poche fotografie e descrizioni pubblicate, variano in dimensioni, stile e iconografia; in un solo altare furono notate una figura seduta androgina e una figura che copriva il viso con le mani. (Dieterlen e Ganay, 1942).