Vili. Nkisi.

 

 

 

 

Emerge da queste fonti che la funzione della scultura kongo non è univoca. Attraverso le molteplici manipolazioni del "nganga", gli elementi aggiuntivi alle sculture e i vari usi che se ne fanno, ne consegue che le statue stesse dovrebbero essere multifunzionali.
(...)
Le molteplici funzioni hanno una base cosmologica, religiosa, sociale e politica. L'oggetto scolpito è inserito profondamente nel tessuto della vita. A tutte le categorie di forze invisibili, antenati, morti recenti, geni, forze soprannaturali sono associate le sculture esposte in occasione delle diverse pratiche religiose e magiche. Questi oggetti sono le rappresentazioni materiali di queste forze. Da ciò dipende la loro grande importanza e significato sociale nel culto degli antenati, nel rito di guarigione, nel rito di protezione e nella ricerca del potere, ricchezza e benessere materiale, così come la considerazione e il riconoscimento che l'uomo riceve dallo stato e dalle istituzioni sociali. Tutto sommato, la scultura occupa un posto considerevole nei vari settori della vita umana. E' incontestabilmente definito che la scultura kongo rimanda a un mondo irreale, irrazionale e extra-sensoriale. Lei partecipa alla vita domestica quotidiana kongo, per abbellirla, armonizzarla e spiritualizzarla. (Niangi Batulukisi, 1995)

 

 

 

 

 

 

 


"Nkisi". Cultura Vili.
Legno, tessuto, specchio, ceramica, amalgama di materiali e sostanza diverse, patina lucida. Dimensioni: h.cm.17.
Provenienza:
Antica collezione coloniale belga (B).
Galleria Mazzoleni, Milano (I).
Expertise:
Alain De Monbrison, Parigi (F), 1997.
Merton D.Simpson, New York (USA), 1997.
Commento etnico-stilistico:
Alain De Monbrison, Parigi (F), 1997.
Commento:
Marc Leo Felix, Bruxelles (B), 2016.
Catalogazione AA 03/1997.

 

 

 

 

 

 

 


Commento etno-stilistico Alain De Monbrison, 18-19.11.1997.


Questo tipo di oggetto non è generalmente un reliquiario magico a specchio. Tuttavia, anche se rari, tali oggetti esistono. (cf. "Art Bakongo. Les centres de style", volume II, pag. 332). In effetti, questa opera è una miscela di diversi stili, Bakongo, Babembe e Bavili, e uno studio più approfondito mi ha permesso di rivedere molti oggetti di stile ibrido che hanno subito numerose influenze. (cf. "Art Bakongo, op.cit., "Objets du pouvoirs", Claude Savary, Museo Etnografico di Ginevra, 1992). Prima di scrivere il mio expertise, mi sono intrattenuto in un colloquio con uno dei migliori specialisti in questa tipologia di oggetti, mr.Dartevelle, che mi ha confermato differenti aspetti e ha anche detto di conoscere l'oggetto nella sua collezione originaria.

 

 

 

 

 

 

 

 

Commento Marc Leo Felix, 30.06.2016.


Richiesto un commento in merito alla triplice presenza di serpenti sull'opera(due sulle singole spalle, uno sulla testa), mr.Felix afferma che: "Due serpenti sono una icona classica dell'area nord Kongo e si riferiscono al doppio arcobaleno dal quale è stata originata la vita. E' riscontrabile in sculture provenienti da Loango e Cabinda, molto raramente in Congo. Non ho mai visto simile rappresentazione su figure di potere".

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota di Merton D.Simpson, 1997.


Riguardo alla rarità della rappresentazione, anche Merton D.Simpson definisce l'opera "un bell'oggetto di rara tipologia, molto "forte" pur essendo di piccola dimensione".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Estratto da: "Carnets de Voyages. Edmond Dartevelle, un valeureux explorateur africain". 2010.
Nanette Jacomijn Snoep.


Un "nkisi" è il ricettacolo di una potenza del mondo dei morti che hanno scelto o sono stati costretti a sottomettersi al controllo umano. Wyatt MacGaffey, il più grande specialista della religione kongo, definisce i "nkisi" come "residenze locali e incarnazioni di personalità del paese dei morti attraverso i quali i poteri di questi spiriti vengono messi a disposizione dei vivi ". Un "nkisi" è quindi un mediatore utilizzato per trovare e correggere le cause delle disgrazie di tutti i tipi: individuare stregoni malevoli, confondere i ladri, identificare le cause delle malattie e la loro cura, trovare la causa di una morte brutale, della carestia come di un cattivo raccolto, ma anche per proteggere dalle armi da fuoco o anche per identificare la causa di un insuccesso personale (fallimento in un esame, i debiti, l'adulterio). La morte, la malattia, e tutto il male possibile sarebbero causati da un malfunzionamento sociale. Il "nkisi" serve quindi per individuare questo malfunzionamento, questo disordine sociale, e trovarne il rimedio.
Il "nkisi" maggiormente conosciuto in Europa come "feticcio a chiodi", è per così dire un reliquiario che si presenta come un ricettacolo o serbatoio denominato "nitu". All'interno di esso è incarnata una potenza personalizzata del mondo invisibile dei morti. Il "nitu" o organismo in cui il "nkisi" si insedia, assume varie forme. Questo può essere una statuetta zoomorfa o antropomorfa elaborata, un contenitore banale come una pentola di terracotta, una bottiglia di alcool, una zucca, un guscio di lumaca o un corno. In realtà, il "nkisi" assume un numero infinito di forme e si trovano anche "nkisi" che sono dei crocifissi ai quali l'officiante o il divinatore "nganga" ha aggiunto le "cariche". Non è dunque la forma, il contenitore, che determina il significato e la funzione del "nkisi", ma ciò che è nascosto al suo interno, il suo contenuto. L'aspetto finale di questi oggetti eterogenei è il risultato di una serie di interventi operati da un divinatore chiamato "nganga" che consentono al "nkisi" di "prendere vita" e acquisirne una propria.
Le consultazioni fanno si che l'oggetto continui ad essere un assemblaggio nei tempi riflettente l'opera di manipolazione. Quest'ultima lo "carica" in modo che la sua identità e le ripetute offerte ne causino una trasformazione. La scelta dei materiali "nkisi" aggiunti dal "nganga" si devono sovente alla esperienza di diverse generazioni. Il "nkisi" è un oggetto in perpetuo divenire ed è così che il suo essere collezionato o messo nella vetrina di un museo, per lo più occidentale, pone fine a questo processo di trasformazione fisica.
Nella categoria di statuette zoomorfe e antropomorfe, la "carica" denominata "bilongo" viene collocata più sovente in una cavità dello stomaco, dove risiede l'anima "mooyo", la vita secondo il pensiero kongo. Il "bilongo" può anche essere attaccato con la resina alla sommità della testa, sulla schiena, intorno al sesso e all'interno della bocca. Sui bordi delle cavità il "bilongo" è fissato con corde e brandelli di stoffa e pelle, oppure conservato in piccole scatole fissate con resina e con un pezzo di specchio o vetro; altre protuberanze resinose possono essere sormontate da conchiglie o artigli di un felino. Questi "bilongo" sono elementi essenziali senza i quali i "nkisi" sono solo un recipiente vuoto, come un reliquiario senza reliquie. I "bilongo" conferiscono i poteri ai "nkisi" e ne determinano la loro particolare area(o aree) di competenza.
Gli ingredienti "bilongo" provengono dai tre regni: minerale (caolino, pietre, conchiglie), vegetale (semi, foglie, corteccia) e animale (piume/penne, peli/capelli, unghie). Sono solitamente polverizzati e solo il nganga è in grado di conoscere la composizione segreta del "bilongo". La sua formula segreta, particolarmente complessa, funziona come un rebus che consente associazioni tra il nome dell'ingrediente e l'azione desiderata.
Secondo Luc de Heusch, il "nkisi" sarebbe "un luogo di cattura metonimica di un essere soprannaturale in una trappola metaforica". Alcuni nomi di ingredienti si riferiscono per esempio ad azioni di cui il verbo relativo è linguisticamente vicino: il carbone, che si dice in kikongo "kala zima", è usato nella composizione delle forze di stregoneria attivate ("attizzare, attivare" si dice "zima" in kikongo ed è foneticamente simile alla parola carbone "kala zima"), le noci di cola, si dicono "mukazu", e permettono di allontanare (kazuwa) le forze del male, mentre il seme "luzibi" richiama il verbo" zibula ", che significa "aprire" o "rivelare". Le foglie chiamate "lusakasaka" sono usate in una composizione che ha la funzione di "fare il male" (verbo "sukumuna").
Ci sono anche altre metafore verbali come la conchiglia della lumaca "kodya", che si riferisce alla forza, perché il verbo "kola" significa similmente "essere forte". Ci troviamo di fronte quindi ad un vero e proprio rebus dove il nome di un elemento fisico evoca anche per similitudine o simpatia un'altra parola/termine. In altri casi, l'aspetto materiale (e non più la sua caratteristica fonetica) di un ingrediente o la sua metafora visiva sono sottolineati: il caolino del paese dei morti "mpemba" -ingrediente più usato nella composizione dei " bilongo "- è anche il segno della chiaroveggenza, la polvere da sparo, conservata sovente in piccole canne sigillate con resina, è utilizzata per cacciare le streghe, la testa di vipera, significa l'attacco. L'ordine degli elementi è ugualmente da rispettare. I nodi, molto spesso utilizzati per i "nkisi" -ma anche per gli oggetti divinatori in generale-, sono il messaggio visivo signficante che le forze sono sotto controllo.
E' importante ricordare che noi possiamo solo raramente conoscere funzione e significato esatti di un "nkisi" conservato nei musei, soprattutto perché la maggior parte degli ingredienti sono frantumati e perché la maggior parte collezionisti non cercano di capire la esatta funzione di un "nkisi". Solo il "nganga" può quindi decifrare il "messaggio" integrale che trasmette il "bilongo". Egli realizza questa operazione cantando e declamando il nome di ciascun ingrediente ricordandone il significato di ognuno. La specificità di questa composizione rende ciascun "nkisi" un oggetto unico. Sono quindi i "bilongo" che conferiscono una determinata forza al "nkisi" e che individua l'area nella quale il "nganga" potrà intervenire.
Nel XIX secolo, i "nkisi" si caratterizzano da una molteplicità di funzioni, ma nel XX secolo essi tendono singolarmente a "specializzarsi". Questa trasformazione inizia in un contesto di violenza estrema al tempo dello Stato Indipendente del Congo (1885-1908); questa epoca è segnata dalla forza lavoro che continuerà anche sotto la colonizzazione belga (1908-1960). Nel momento in cui la società conosce sconvolgimenti senza precedenti e dove regna il caos, i "nkisi" riescono non solamente a reinventarsi, ma anche a moltiplicarsi in maniera spettacolare. E' come se la violenza estrema che subiscono le popolazioni e la trasformazione radicale delle loro società richiedano di essere spiegati con atti di stregoneria dei quali i "nkisi" possano essere autori o rivelatori (Ekholm-Friedman, 1992).
Come abbiamo notato, il "nkisi" non appare mai senza il suo officiante, il "nganga", che si definisce a volte come guaritore o medico, ma anche come giudice o psicologo. Si presume che egli trovi le cause del male e prescriva il rimedio appropriato. Durante una cerimonia -individuale o collettiva- il "nganga" è più sovente mascherato o dipinto con pigmenti naturali di colore rosso, nero e bianco, corrispondenti alla cosmogonia kongo. Egli indossa spesso molteplici accessori come piccole campanelle, flauti, piume, penne e sacchetti pieni di "bilongo": il "nganga" assume somiglianza con il suo "nkisi".
Ciò avviene quando il potere di "nkisi" guadagna una dimensione tale che lo porta a superare il suo mero materialismo. Durante la cerimonia, questo processo di attivazione del "nkisi" va di pari passo con la musica e i canti. Per fare questo, a volte il "nganga" profferisce insulti contro di lui o lo scuote come una vera e propria marionetta e la cerimonia diventa uno spettacolo. Spettacolo che all'epoca terrificava un buon numero di europei animando un immaginario di cui è difficile sbarazzarsi ancora oggi.
I "nkisi" più spettacolari e maggiormente citati nei racconti di viaggio sono i "feticci a chiodi". Si tratta di statuette antropomorfe e zoomorfe trafitte con chiodi e lame. Trafiggere di chiodi un "nkondi", "bula nkondi", vuol dire letteralmente "battere il nkondi", vale a dire sigillare un patto con lui martellandolo. E' un modo di insultare o meglio, di lanciare una forma di provocazione che deve offendere il "nkisi" al fine di farlo incollerire al punto di voler fare del male agli autori della ingiustizia in questione. (MacGaffey, 1990)