Dissertazione 2. I "buti" del maestro di Mpila.

 

 

 

 

Per introdurre il tema, ho valutato opportuno esporre brevemente la collocazione etnico-geografica del paese Téké, nonché la concezione di antenato e la accezione di “buti” o “butti” nell’ambito etnico-religioso-artistico della cultura Téké, conseguentemente al fatto che le 5 opere che ascrivo al “maestro di Mpila” sono denominate “buti” o “butti”, ovvero, semplificando, statue che rappresentano gli antenati e ne concentrano il potere. La documentazione è tratta da “Statuaire du Stanley-Pool”, da “Les arts Bateke”, da “Batéké. Les fetiches” di Raoul Lehuard e da un contributo estrapolato da “Fetiches Téké” di Robert Hottot, pubblicato in “Arts d’Afrique” nr.1, 1971, testimonianza da una ricerca “sul campo” del 1906 dello stesso R.Hottot.

 

 

 

 

 

Donne Téké.1905.

 

 

 

 

Estratto da “Statuaire du Stanley-Pool”, 1974.
Raoul Lehuard.


I Téké sono uno dei gruppi etnici dominanti in Congo. Sarebbero venuti dal Nord-Ovest cinque o seicento anni fa. Il regno che fondarono allora si estendeva su un territorio più vasto di quello che occupano oggi. I navigatori che scoprirono il Congo fecero conoscere l'esistenza di questo regno: regno degli Anziques, da qui Anzika, Anzichi e Anzico, primi nomi dati ai Téké. Hall ci dice che questi nomi sono una alterazione di Banséké, termine usato dai Sundi e da altri popoli Kongo vicini allo Stanley Pool per designare "uomini della foresta". Secondo alcune tradizioni riportate da Cuvelier, Anzicos o Asi Ko sarebbe stato il nome dato ai Téké che abitavano le rive e le isole del fiume inferiore (Asi: abitante, Ko: fiume). Nel XIV secolo questo impero di Anzika, a cavallo dello Zaire (fiume Congo), a monte del regno di Kongo, era governato da “Makoko” che era considerato uno dei sovrani più potenti di tutta l’Africa. Concesse l’investitura a tredici re vassalli.
Anzika era limitata ad ovest dai regni di Loango e Kongo e dal fiume Wamba; a sud-est il suo confine era comune con il regno vassallo di Wangua. Nel XVIII secolo Anzika assorbì il popolo bellicoso degli “Jaga”. Questi Jaga, cacciati dal Congo dove speravano di trovare fortuna, si mescolarono così strettamente agli Anziques che i viaggiatori si chiedevano se i primi non fossero gli antenati dei secondi.
“I Batéké formano un popolo composito all’interno del quale diversi gruppi conducono un’esistenza sufficientemente autonoma da costituire essi stessi gruppi etnici” (Sautter, “De l’Atlantique au fleuve Congo, une géographie dù sous-peuplement”, 1966, p.166). Questi gruppi, fortemente attaccati ai loro principi di vita isolazionisti, sono come trincerati in province che spesso occupano da soli.
Secondo i lavori sul campo di Sautter, Soret, Vennetier, Vansina Lema Gwete e Lehuard i gruppi etnici sono circa una trentina suddivisi negli attuali Gabon, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo (ex-Zaire).
Dato il tema, specificherò solamente l’etnia o gruppo Nkoli, definito anche Mbana, Mbina, Mbinou e designato dai Boubangui con il termine “bali” (pescatori), essenzialmente percatori che occupano il pianoro a nord di Brazzaville, la riva del Malebo (ex-Stanley-Pool) e l'isola di Mbamou. Le città principali sono Mpila (un sobborgo di Brazzaville) e Kinshasa (RDC).
(…)
I Téké, coprendo quindi una porzione geografica molto centrale, furono nel corso della loro storia soggetti alle migrazioni di altri popoli. Hanno quindi esercitato una profonda influenza religiosa e sociale su questi immigrati di ogni origine, al punto che presso molti popoli stabiliti ai margini delle loro terre, le principali cerimonie religiose sono officiate da un “nganga” Téké.

 

 

 

 

 

Famiglia Téké.1898.

 

 

 

 

Il maestro di Mpila.

 

Da un’analisi comparata dello stilema scultoreo fatta su un archivio di un migliaio di immagini di statue Téké, ho ritenuto individuare in 5 opere la medesima “mano”, da cui l’identificazione dello scultore che ho definito “maestro di Mpila”, intendendo come Mpila il villaggio esistente all’epoca sulle rive del bacino di Malebo (ex-Stanley Pool) sul fiume Congo, da tempo divenuto quartiere di Brazzaville.
Due infatti delle opere vennero raccolte da Robert Lehuard, la prima (rif.1), in mia collezione, nel 1924, secondo i testi, nell’area Mpila (bacino di Malebo) o Mayama (altopiano di Mbe), la seconda (rif.2) nel periodo 1924-1933 nella regione di Mpila, mentre per le altre tre (rif.3-4-5) non ho sinora reperito la provenienza etno-geografica originaria nel paese Téké.
Oltre all’intaglio d’insieme e ai volumi proporzionali acconciatura-viso-corpo-gambe delle 5 sculture rappresentanti “buti”, i particolari morfologici affini si riferiscono all’acconciatura specifica della “variante mupani C2” (classificazione Raoul Lehuard, “Les arts Bateke”, 1996), contraddistinta dalla cresta mediana a due punte (foto 1). Tale acconciatura non si osserva sull'uomo, nemmeno nei documenti antichi, per cui la cresta a doppia punta sembra essere una fantasia d'artista (Raoul Lehuard, op.cit.). Un’ulteriore particolare artistico che accomuna le 5 opere è dato da una leggera incisione lineare perimetrale bilaterale lungo l’acconciatura stessa (foto 2).
Le affinità inoltre si riferiscono alle orecchie, agli occhi, al naso, alla bocca, alle scarificazioni facciali “mbandjuala” (tipiche dell’etnia Nkoli dell’area di Malebo e Wumu dell’altopiano di Mbe), alla barba “ndeli”, al collo in due sezioni tronco-coniche, alle braccia abbozzate in rilievo lungo il corpo piegate a livello dei gomiti, al tronco, alle gambe flesse con postura mutuata da quella assunta nella danza maschile “nkibi” della società segreta “bumu”.
Una annotazione la vorrei fare sulla barba, che, mentre era raramente portata dai Téké, nella statuaria assumeva grande rilevanza, simbolo di autorità e prestigio, dato che veniva scolpita sulla quasi totalità delle opere financo sulle statue androgine e femminili. Raoul Lehuard (op.cit.) riporta che gli esemplari glabri osservati sono meno dell’uno per cento. Non ho trovato motivazione a tale differenza antropologica-artistica, salvo una menzione sempre di R.Lehuard (op.cit.) affermante che la barba era riservata nella società Téké solo ai notabili.
Infine occorre rilevare la palese dissomiglianza di forma e composizione dei “bonga” o “bilongo”, ovvero la “carica” magica o terapeutica diversa a seconda della finalità propositiva per la quale il “buti” era stato concepito e raffigurato, di cui gli unici depositari erano il “ngaa buti” o “nganga buti”, facitore del “buti”, officiante, indovino, stregone, terapeuta, e l’utilizzatore finale. Nelle opere del “maestro di Mpila”, abbiamo due “buti” con “bonga” di forma diversa avvolgenti e coprenti integralmente il tronco (rif.1-4), uno con “bonga” inserito nella cavità del tronco con un elemento esterno legato al collo (rif.2), e due senza più “bonga” (rif.3-5).
Sempre secondo la classificazione di Raoul Lehuard (op.cit.), le opere si collocano come studio morfologico nell’”ensemble 1” e come tipologia nella “type 7”.

Tenendo presente le due provenienze in situ accertate (rif.1-2), le opere sono da riferirsi alla etnia Nkoli o Wumu.
Deduzione e valutazione condivise da Bruno Claessens, Bernard De Grunne, Alain Lecomte e Gigi Pezzoli.

 

.............

 

 

 

 

 

Rif.1. Ex-collezione Robert Lehuard.
H.cm.42.
Provenienza:
Raccolta nelle adiacenze del villaggio di Mpila o Mayama da Robert Lehuard nel 1924.
In alcuni testi, “Les arts Batéké”, 1996, di Raoul Lehuard, “Téké”, 1999, catalogo expo galleria Ratton-Hourdé, di Raoul Lehuard, “Batéké. Un art de l’Afrique centrale”, 1999, articolo su “Arts d’Afrique noire. Premiers”, di Raoul Lehuard, si riporta come provenienza la regione di Mpila, in “Statuaire du Stanley-Pool”, 1974, di Raoul Lehuard, si riporta come provenienza Mayama e in “Batéké. Les fetiches”, 2014, saggio di Raoul Lehuard, si riporta come provenienza regione di Mpila/Mayama.
collezione Robert Lehuard, Arnouville (F).
collezione Raoul Lehuard, Arnouville (F).
galleria Ratton-Hourdé, Parigi (F).
galleria Pierre Dartevelle, Buxelles (B).
collezione dello scrivente.
Vedi link "Téké. Maestro di Mpila. Buti."

 

 

 

 

Rif.2. Ex-collezione Robert Lehuard.
H.cm. 29.
Raccolta nelle adiacenze del villaggio di Mpila da Robert Lehuard nel periodo 1924-1933.
Provenienza:
collezione Robert Lehuard, Arnouville (F).
collezione Claude Lehuard (F).
galleria Alain & Abla Lecomte, Parigi (F).
collezione privata Belgio.
galleria Spectandum, Leuven (B).

 

 

 

 

Rif.3. Ex-collezione Oger-Dumont.
Provenienza:
collezione Oger-Dumont (F).
asta Nouveau Drouot, , Parigi 17.12.1981.

 

 

 

 

Rif.4. Ex-collezione Karl-Ferdinand Schaedler.
H.cm. 32.
Provenienza:
collezione Karl-Ferdinand Schaedler, Monaco (D).
asta Neumeister "Sammlung/Collection Dr. Karl-Ferdinand Schaedler" Monaco 15.10.2009.

 

 

 

 

Rif.5. Ex-collezione Marshall Mount.
H.cm. 31.
Provenienza:
collezione Marshall Mount (acquistato nel 1952) (USA).
asta Arte Primitivo, New York 02.03.2016.
collezione Marshall and Caroline Mount Collection, Jersey City (USA).
asta Bonhams, “African & Oceanic Art”, New York 10.11.2022.

 

 

 

 

........

 

....

 

 

 

 

 

Per illustrare succintamente il significato per i Téké del culto degli antenati e delle statue che lo rappresentano, riporto come contributo estratti da un paio di testi/articoli.

 

 

Gli antenati. Estratto da "Les arts Bateke", di Raoul Lehuard, 1996.


Come tutte le popolazioni del bacino del fiume Congo, in particolare nella regione che comprende il medio e basso Congo, confermando così le parole di R. Hottot, osservatore della prima ora, i Teke ritengono che l'essere umano sia costituito da due elementi: la parte visibile, "nuru" e la parte invisibile, "mpyele" o "ídzili". Il "nuru" è la parte deperibile dopo la morte mentre lo "mpyele" è diviso in due parti: l'anima che si riunisce al mondo degli antenati, e un'altra parte dell'anima che si manifesta durante il corso della vita dell'individuo, quando questi è uno stregone, "mulogi", vale a dire quando può, a prescindere dalla propria volontà, attentare alla vita di un altro, uccidendolo, facendolo diventare vittima di un incidente o danneggiandolo in un modo o nell'altro. Mentre la prima di queste due parti dell'anima, "mpyele" o "idzili" si congiunge al mondo dell'al di là, la seconda si distrugge da se medesima poco a poco, se privata di risorse e di un utilizzatore.
I Teke interrogati da G. Lema non sembrano avere le stesse preoccupazioni degli antenati o gli stessi rapporti con loro delle popolazioni del nord: i Teke non posizionano sulle tombe effigi in legno o in pietra come i loro vicini Kongo.
Nella tabella dei simboli relativi ai colori, il "nuru" è rappresentato dal colore bianco, lo "mpyeme", come l'argilla bianca che si depone sulla tomba; quest'ultima infatti si chiama anche "mpyeme"; lo "mpyele" è rosso come il sangue, la vita, il calore del corpo. Nell'aldilà, gli antenati che sono stati seppelliti con le regole della tradizione, si suppone vivano in villaggi sotterranei e nelle condizioni che ebbero nel mondo dei vivi. Essi sono di due categorie: quelli che sono stati dimenticati e quelli di cui si conserva la memoria, che a volte si manifestano ai viventi attraverso il sogno chiamato "kaga" o "ikwii".
Quelli di cui non abbiamo alcun motivo di conservare il nome e la memoria sono semplicemente seppelliti nel rispetto della tradizione. Il loro nome è "versato" nel gruppo di nomi da utilizzare per un battesimo imminente e, dopo una o due generazioni, sono sicuramente cancellati dalla memoria collettiva. Per contro, il defunto che ha avuto una certa importanza politica o economica nella società, che ha realizzato azioni memorabili, che ha saputo, attraverso la propria conoscenza delle cose o delle leggi, aiutare la comunità, che, attraverso i propri successi, ha contribuito a rafforzare o mantenere la propria posizione nella società, e che, infine, la propria morte poteva essere sentita da tutto il gruppo come una perdita senza rimedio a breve termine, si sarà guadagnato il pantheon dei personaggi illustri. A questi personaggi (talvolta considerati eroi) si aggiungeranno automaticamente le anime dei morti che hanno avuto un condizione di nascita considerata anomala (gemelli, albini, nani...).
La ragione per cui questi morti non verranno dimenticati è che serviranno da intermediari privilegiati tra i vivi e gli spiriti della natura. I Teke manifestano riluttanza a interloquire direttamente con gli spiriti di cui non ne conoscono la "forma". Dal loro status di defunti, gli antenati vedono questi spiriti e, quindi, possono discutere con loro quasi da pari a pari. Questo è il motivo per cui i nomi sono ricordati da tutti coloro che hanno vissuto con i defunti, e la responsabilità della loro memoria viene affidata al sacerdote di famiglia, che si occupa della preghiera, della celebrazione e conservazione delle reliquie. L'elenco dato in precedenza non è esaustivo e non è limitativo riguardo agli anziani di cui si terrà la memoria. Alcuni nomi di grandi capi, di eroi, sono conosciuti da più persone che nel tempo hanno avuto l'occasione di conoscerli. In generale, gli anziani sono capaci di recitare una lista di otto a dieci nomi di antenati che possono servire come intermediari con l'al di là.
I dispositivi mnemonici sono elementari, le liste si possono imparare come una canzone, come ad esempio i bambini della scuola imparano la tavola pitagorica. Colui che, in una grande famiglia, ha la responsabilità delle cerimonie dedicate agli antenati e garantisce la manutenzione delle tombe e il divieto agli interdetti, si chiama "ngaa nkiba". Questo è colui che al momento del decesso constata che il sacerdote operi i prelievi destinati a comporre le reliquie: una falange, i ritagli di unghie, frammenti di pelle, un pezzo di stoffa macchiato di liquidi mortali, un bracciale tra i bracciali d'investitura (per capi investiti)... Se il defunto è di importanza limitata, queste reliquie vengono messe nel reliquiario comune di antenati, se invece è considerato troppo importante per essere messo nel reliquiario comune, un contenitore di corteccia verrà riservato ad esso, dove, oltre alle reliquie, il sacerdote aggiungerà della argilla bianca prelevata dalla tomba quando sarà completata la sepoltura.
Queste reliquie possono o rimanere nella cesta o scatola, o essere raccolte (almeno in parte) per comporre la "carica" di una statua antropomorfa raffigurante il defunto, con scarificazioni sul viso ("mbandjuala") e con lo stile della sua acconciatura familiare. Statua che verrà classificata come "buti" e riceverà unzioni propiziatorie e preghiere. Se il "buti" è la materializzazione dello spirito del defunto, un'altra categoria di sculture evoca la parte concreta: le "nkiba". Pertanto, è solamente l'effige, rappresentata dai dettagli (in particolare lo stile dell'acconciatura, le scarificazioni facciali e talvolta i tatuaggi del corpo), che raffigura il defunto come la gente lo vide.
I "buti" e i "nkiba" ricevono essenzialmente sputi di noci di cola masticate, sfregamenti di argille rosse e bianche, unzioni di olio di palma. Robert Hottot scrive: "Se il "butti" appartiene ad un capo esso viene unto anche tutti i giorni festivi. (...) La "tula" (segatura di Pterocarpus mescolata con olio di palma e in mancanza di questa viene utilizzata l'argilla rossa) è applicata con unguenti propiziatori, per la buona riuscita di un viaggio, per una transazione, per una vendita importante o delicata negoziazione, affinché siano concluse con successo nell'interesse del proprietario del "butti", o nei casi di malattia..." (Teke fetisches, 1956 - Fetiches Teke, 1972). Alla "tula" si aggiunge la "mpyeme" (argilla bianca) ampiamente utilizzata nei rituali di sollecitazione (adescamento).
Una cosa è certa, i "buti" sono molto più numerosi, e con il peso delle loro reliquie e il loro potenziale di forze magiche, sono considerati molto più efficaci dei "nkiba". Quest'ultimi hanno una funzione più rappresentativa che attiva magico-religiosa, si direbbe quasi passiva, memorizzante l'antenato nell'altare familiare. Da parte sua, G. Lema, considera i "buti" esclusivamente degli amuleti magici in cui il "preparatore" ha introdotto lo spirito di un parente defunto o sacrificato per questo scopo al momento della "preparazione" del "buti". Per Robert Hottot, i "buti" non sono solo la rappresentazione del defunto, ma sono la vera sostanza della persona. Essi sono realmente queste persone. Ma egli attribuisce loro anche funzioni direttamente implicanti la magia.
Per i nostri interlocutori di Mbe, i "buti" non solo rappresentano un defunto, non solo possono portare il suo nome, ma operano a comando come un amuleto che non esclude quindi l'essere una forza magica. Si deve riconoscere che questi fenomeni soprannaturali sono lontani da formare un sistema coerente in cui ciascuno occupa un proprio rango giocante chiaramente il proprio ruolo vis-a-vis con gli altri. Essi formano un raggio al cui culmine è l'uomo, dunque la complessità. Ecco perché parliamo dei "buti" anche nella parte dedicata alla magia.
Boma Nzoko, quando prega i suoi antenati, dice che non prega perché ne sia conservato il ricordo. Per l'occasione, organizza una festa invitando i giovani ai quali offre da mangiare, da bere e anche danzare. Al culmine della festa, offre ai suoi parenti vino di palma e cola pregandoli di accettare il suo gesto e ascoltare la sua preghiera affinché siano rimosse dalla sua casa incantesimi, malefici e che gli stregoni vengano uccisi. Poiché non ha un altare speciale per la cerimonia, egli versa il vino sulla sabbia della sua corte e sputa cola tutto intorno.
(...)
Gli antenati, quando si manifestano hanno solitamente delle lamentele da fare. Queste sono generalmente dovute alla negligenza e all'indifferenza che hanno i viventi nei loro confronti, al fatto di compiere raramente i riti destinati a testimoniare rispetto e interesse: in questo gli antenati trovano ragioni per indignarsi. Le offerte di cibo e vino di palma sono i segni con cui si misura l'effettivo grado di sollecitudine nel fare le cerimonie dedicate. Privato di queste prove di "pio ardore", il defunto sceglie, nell'ambito dei suoi discendenti diretti, quello che sarà meglio in grado di esaudire i suoi desideri: un capofamiglia ben definito. Egli si farà sentire o nei sogni in modo consistente o sotto forma di malattie minori, ma piuttosto sgradevoli, per far ben comprendere alla "vittima" chi di diritto deve consultare.
Questa sarà l'occasione per la persona eletta di "rinfrescare" la tomba della famiglia del defunto, se necessario aggiungere argilla bianca, di fare alcune libagioni, di sacrificare un buon pezzo di selvaggina abbattuta e rinvigorire statuette, "buti" e "nkiba", che si trovano sopra l'altare di famiglia con aspersioni di sangue di pollo, vino di palma o di sputi di noce di cola masticata. All'inizio l'officiante esegue questa cerimonia sulla sua porta, in piena vista del paese, per mostrare a tutti che lui adora i suoi antenati affinché nessuno possa successivamente rimproverargli un comportamento negligente.

 

 

 

 

 

Villaggio Téké. 1905 ca.

 

 

 

 

Le rappresentazioni legate al culto degli antenati. Estratto da “Les arts Bateke", Raoul Lehuard, 1996.


Le “bifwa” (statuette, mia nota) sono di due tipi; ma entrambi sono più o meno strettamente legati agli antenati: i “bankaga” (gli antenati buoni, in contrapposizione a quelli cattivi, i “mupfu”, che cerchiamo di dimenticare) e suddivisi in:
a) le “nkiba”, che sono statuette senza reliquie e senza aggiunte di alcun genere. Materializzano l'antenato nella sua rappresentazione fisica socialmente più vantaggiosa.
b) i “buti”, che sono statuette rivestite di reliquie e altre aggiunte magiche. Materializzano lo spirito dell'antenato, senza il quale la forza magica non funzionerebbe, concentra i poteri benevoli che ha avuto durante la sua vita, il suo “mpyele”. Questa è la categoria più importante.
I “biteki” (statuette dotate di “carica” magica, mia nota) sono di quattro tipi:
a) i “bonga”, nella quale categoria rientrano tutte le composizioni terapeutiche;
b) i “nsala”, che sono le forze per ottenere la guarigione e che si aggiungono ai “bonga”;
c) le “iloo”, forze del male destinate a combattere contro la stregoneria, contro gli spiriti maligni o gli antenati, i “mupfu”;
d) le “ikwene”, influenze magiche che possono sia proteggere l'individuo in tutti i tipi di situazioni sia assicurargli il successo nei suoi sforzi. Spesso feticci minori, sono la categoria più numerosa.
(…)
(Vi sono diverse tipologie di “buti”. Di seguito ne elenchiamo alcune, mia nota).
Il “malali” è un “buti” descritto da R. Hottot. Questo è il feticcio di un titolare di una carica importante. Di grandi dimensioni, è circondato da statuette più piccole. Il suo ruolo consiste senza dubbio nell'ispirare lo chef nelle sue imprese. Non può essere toccato da nessuno, il rischio di scatenare una disgrazia, un'epidemia è grande.
L'”nko” è una forza-feticcio della famiglia “buti”. Protegge il suo proprietario da qualsiasi aggressione e gli conferisce la forza del leone grazie alla presenza, nella sua composizione, di una parte di questo animale (zanna, per esempio) (Lema G.).
Lo “ntsyoo” è un talismano che permette di avere successo nelle imprese amorose. Appartiene alla famiglia dei “buti” (Lema G.). La leggenda narra che la moglie del primo padrone di questo “buti” gli fu infedele. Il marito si vendicò, uccidendo i due amanti, e incorporò il loro soffio vitale nel feticcio che è generalmente di tipo bifronte (da un lato maschile, dall'altro femminile) e porta i due nomi “Otee” (quello della donna) e “Ngaansob” (quello dell’uomo).
Lo “yulu” (muyulu) è una forza-feticcio la cui composizione molto complessa e permette, a sud del fiume (Congo), alle donne iniziate di praticare un tipo di terapia destinata a curare le persone prese da una sorta di possessione. A nord questa forza-feticcio, che appartiene alla categoria dei “buti”, gioca un ruolo nel rafforzamento del potere dei titolari delle cariche, una di queste forza-feticcio viene costituita ad ogni investitura (Lema G.). È possibile che questa stessa forza-feticcio, anche se diversa a seconda che ci si trovi al nord o al sud, rappresenti in realtà due forze-feticcio distinte.
Il “mubu e mpaan” procura “l’intelligenza” dei prodotti giusti per fornire una terapia efficace. Cura principalmente la tripanosomiasi, la polmonite, la diarrea e la costipazione (Lema G.).
I “mpaan” sono una famiglia dipendente dai “buti” il cui uso è circoscritto alla cura delle malattie. In questa categoria troviamo: il “muko a bangaa”, il “mobu a mpaan” e il “muwu”, tra i Téké più meridionali della sponda sinistra del Congo, il “mongun mo nzal” e il “mobali” tra i Téké della parte settentrionale della sponda sinistra. Sono tutte forze in grado di combattere gli stregoni (Lema G.).
(…)
La forza magica per eccellenza è rappresentata dalla categoria dei "buti". Due autori ne hanno discusso a lungo: R. Hottot e Lema Gwete. I due hanno ampiamente dimostrato il loro imbarazzo nel definire con precisione il ruolo di questa forza magica e religiosa che richiede il "crimine rituale" di un parente stretto (o più parenti) di chi desidera" entrare" nel "buti" e chi sarà designato "ngaa". Questi parenti divengono oggetto di una "mistica manducazione collegiale". I partecipanti sono: il "ngaa", eventualmente altri "ngaa", maestri rispettati del "buti", e il richiedente(candidato).
Abbiamo visto che i "crimini rituali" sono stati commessi per tutto il periodo pre-coloniale e, lontano dai grandi centri strettamente controllati dall'amministrazione coloniale, molto tempo dopo la colonizzazione. Dagli anni trenta, il "crimine rituale" non era più che sacrificare un animale che avesse potuto identificare la vittima. L'animale, che non siamo riusciti a sapere se era quello di "ke-kwoko", veniva ucciso sugli elementi costitutivi il "buti", facendo transitare in tal modo la forza vitale dalla vittima al "buti". I resti dell'animale venivano poi consumati. Tutto ciò spiega il motivo per cui i manipolatori di queste forze erano considerati stregoni o, per lo meno, come personaggi capaci di vedere chiaro negli affari rilevanti della stregoneria, in quanto legati a una iniziazione in questo campo (come quella praticata per gli altri feticci).
(...)
I "buti" sono, con alcune figure di antenati, le poche forze che un parente può ereditare, a condizione che il defunto lo abbia precedentemente istruito su come usarli. Aggiungiamo che lo spirito di un parente può "entrare" nel "buti" (come in qualsiasi altro feticcio) solo se questo spirito è considerato" libero", vale a dire, se non è già stato "preso" da un altro amuleto o feticcio. Se così fosse, il "buti" non funzionerebbe e potrebbe anche causare catastrofi.
(...)
Gli individui che possiedono la conoscenza che permette loro confezionare, manipolare le forze, e trattare coi clienti come richiesto vendendo loro la formula e la modalità di utilizzo sono chiamati "ngaa" (uno che conosce, lo scienziato, lo specialista in qualcosa) seguito dal termine della specializzazione. Il loro ruolo spesso ricopre quello del terapeuta e del veggente contemporaneamente. Per quanto riguarda le forze che gestiscono, il loro titolo cambia con la modalità e le necessità.
(...)
Il "ngaa buti" è uno che conosce la tecnica per fare un "buti", forza religiosa per la presenza di reliquie ancestrali e forza magica perché la funzione di un "buti" interviene nella sfera della magia. "Buti" è un termine generico che comprende un insieme di categorie di forze. In generale, il "ngaa buti" è il maestro di molteplici "buti".

 

 

Il posto riservato ai “buti” ed altre figure rituali. Estratto da “Batéké. Les fetiches”, Raoul Lehuard (testo), 2014.

 

Le figure di famiglia sono conservate nella casa del capo villaggio. Non si vedono mai nelle residenze delle donne. Non c'è un posto speciale riservato per conservare gli oggetti di culto. Robert Lehuard le vedeva più spesso semplicemente appoggiate a terra contro un muro o su uno sgabello a tre gambe (che potrebbe aver contribuito a conferire loro un potere aggiuntivo). Robert Hottot le vedeva raggruppate insieme nell'angolo di una casa, disposte in modo da estendersi da una parete all'altra e nella loro area, delimitate da una tavola di legno che le proteggeva dal focolare. Altri feticci, amuleti e ciondoli, sono appesi quasi ovunque, alle pareti o spesso tenuti insieme in una borsa. Quando vengono trasportate, le figure vengono poste in contenitori di vimini appositamente pensati per quello scopo.

 

 

 

 

 

Cartolina postale. 1915 ca..

 

 

 

 


Estratto da “Fetiche Téké” di Robert Hottot, resoconto di una ricerca sul campo del 1906, pubblicato in “Arts d’Afrique, nr.1, 1971, da cui riporto la testimonianza rituale del “butti”.


Il rito del “butti” è sia obbligatorio che facoltativo. La statuetta può essere rivestita con:
a) del “mpieme” (il mpieme è un'argilla, o gesso, più o meno bianca che per i Téké rappresenta le ossa degli antenati, mia nota), la cui unzione viene applicata sul viso (soprattutto sulle guance, sugli occhi e sulla fronte) e sulla parte anteriore del corpo. Uno spesso strato attaccato alle parti del corpo in cui si verificano le malattie;
b) della “tula” o legno rosso. Non essendo un prodotto locale, proviene dalla foresta tropicale, importato da Alima. Per questo motivo è costosa e le persone di mezzi modesti la sostituiscono con terra giallo ocra. Il legno viene macinato in palline grumose con un coltello, quindi bollito in acqua. L'impasto viene poi schiacciato tra due pezzi di legno. Per l'uso viene sbattuto con acqua o olio. Le unzioni di “tula” sui feticci (bina) vengono eseguite sul viso o sulla parte anteriore del corpo. Devono aver luogo il primo giorno della luna nuova e il giorno della luna piena. Se il “butti” appartiene ad un capo, viene unto anche nei giorni festivi (in questi giorni può coprirsi con altri colori, come lo stesso capo). La “tula” verrà applicata propiziatoriamente, prima di un viaggio, di un'importante operazione di vendita o acquisizione, e in caso di malattia. C'è un rito di “tula” per uomini e donne chiamato “nana tula”. Come con il “butti” e lo “nkiba” frequente e regolare è il rito della “tula” per uomini e donne, limitato solo dalle possibilità del portafoglio. L'uso della “tula” conferisce maggiore potenza e forza mistiche, così come il “cannibalismo”, che si dice praticassero i Tèké. La “tula” è un sostituto del sangue che infatti rappresenta;
c) il “pi”, che è di colore nero, è realizzato con polvere di carbone. Si applica al centro della fronte con una linea verticale di larghezza variabile (da 3 a 4 o 5 cm. negli uomini), separando la fronte in due parti. Il “mpieme” e il “pi” sono tenuti lontani dalla “tula”, sebbene si sovrappongano durante particolari decorazioni, formando composizioni sul viso, diverso a seconda dell'occasione. Questo è applicato sia per i “butti” sia per i “nkiba” e per i Téké;
d) altri prodotti diversi vengono utilizzati solo sul “butti” (mai sul “nkiba”), in particolare il “ngoon”, un grosso seme dalla consistenza morbida che cresce allo stato selvatico; i capi lo indossano in una collana tra due denti di leopardo. Il proprietario del feticcio mastica interamente il “ngoon”, poi sputa vigorosamente la polpa sul “butti” attraverso le labbra socchiuse. Questa “aspersione” è limitata alla regione del “bonga” (il bonga è la sostanza terapeutica o magica posta nella cavità del tronco del butti, mia nota), perché la combinazione del respiro (spirito “mpiele”) e del “ngoon” dà “forza” al “bonga” e mantiene il suo potere in condizioni soddisfacenti.
Le unzioni vengono generalmente eseguite al mattino, mai dopo il tramonto. Le applicazioni di “ngoon” sono distinte dallo sputo simbolico (semo) già citato. Il “bi semo”, “emettere uno sputo sul feticcio”, è un rito regolare e serve a instillare nel “nkiba” il principio vitale “mpiele”; è anche una cerimonia mattutina. Prima delle grandi piogge, i feticci vengono annaffiati con “malafu” (linfa della palma elaeis) utilizzando foglie della stessa pianta.
Il “butti” personale del “maganga”, capo della società segreta “bumu”, svolge il ruolo principale nella “nkibi”, che è la danza degli uomini. Questa danza si svolge in un luogo della foresta dove le donne non sono ammesse pena la morte. Ricoperto di “mpieme”, il “butti” viene posto sul tronco di un albero formando uno dei lati di un triangolo; il tamburo che costituisce l'altra estremità. Gli altri due lati sono occupati da uomini. Si dice che questo “butti” sia così potente e temibile che la sola vista possa uccidere una donna. Sebbene gli uomini siano gli artefici dell'omicidio, la morte viene attribuita al “butti”. In passato, aumentare la potenza del proprio “bonga” richiedeva sacrifici umani. Sono certo che tutti questi diversi atti siano richiami rituali, che richiedono la partecipazione degli antenati, per mantenere il “bonga” in buona salute.
(…)
Lasciate che vi faccia un esempio di procedura in caso di malattia: Ngabita è malata e manda a chiamare il ”nga” (officiante terapeuta, indovino, feticheur, mia nota). Le sue mogli, che lo vegliano nella sua capanna personale, si allontanano all'arrivo dell’officiante e lasciano i due uomini chiusi in casa. Il “nga” è vestito con un ampio abito cerimoniale e tiene legato per le zampe uno dei galli del suo paziente. Dapprima mette da parte il gallo e inizia a ballare furiosamente, sforzandosi di entrare in trance; poi prende il gallo e si avvicina al butti per eseguire il “siga butti”. Tiene l'animale sopra il feticcio e, con il coltello, ne taglia gli speroni il più vicino possibile alle zampe. È un'operazione delicata e rumorosa perché l'uccello lotta e protesta. Il sangue che sgorga dalle ferite deve spargersi sul “bonga” del “butti” e saturarlo (bina butti makila).
Il ”nga” rilascia il gallo, prende gli speroni, li esamina e li consegna al paziente che dovrà tenerli addosso. Dopo, il “nga” interroga il “butti” (pfula butti) e parla come attraverso un megafono per dare le sue prescrizioni (libiu), che sono dei divieti per il paziente: può anche suggerire l'identità dello stregone che dovrà condurre al giudizio divino. Il “nga” poi beve del “malafu” (linfa fermentata della palma elaeis, mia nota); qui finisce questa parte del rito. Il resto riguarda il gallo a cui non è consentito tornare nel pollaio. Viene tenuto in custodia in una capanna (non necessariamente quella del malato), coccolato, gli viene dato anche da mangiare (cosa che normalmente non avviene mai). Il suo comportamento, la sua salute vengono attentamente osservati. Se si riprende dalle sue ferite, il paziente guarirà e potrà mangiarlo. Se muore, l'uomo morirà. La morte del gallo infatti produrrà sugli abitanti del villaggio, e soprattutto sul malato, una tensione emotiva e psicologica così forte che il sofferente potrebbe addirittura morire. Tutti, compreso il paziente, sanno che è condannato poiché il “bonga”, nonostante il rito compiuto, non è riuscito a contrastare la maledizione che agiva contro di lui. Se il paziente e il suo “butti” sono di alto rango, si può sacrificare una capra; e in passato veniva tagliata la gola a uno o più schiavi. L'uomo deve portare con sé un corno della capra, oppure il pelo e i denti dello schiavo.

 

 

 

 

 

Coppia Téké. Cartolina postale 1905.

 

 

 

 

Di seguito carte geografiche che raffigurano il territorio Tèké relativo alle opere succitate, area generale con riduzione all'area Mayama e Mpila.