Luristan. Daga.
Luristan. Daga.
Daga di bronzo a lama corta a forma di foglia larga fatta separatamente dall'elsa, quattro canali per il sangue corrono lungo la lama su entrambe le facce, elsa cava con decorazione in rilievo con serie di pallini, scanalature sopra e sotto, un rivetto sopravvissuto trattiene la lama, un foro inferiore per il secondo ribattino. Patina verde e blu, mancante la punta della lama. Epoca 2500 anni a.C.. Dimensioni: h.cm.21,2.
Provenienza:
collezione A.M., Olanda
galleria Mieke Zilverberg, Amsterdam (NL). 2012.
Expertise:
Mieke Zilverberg, Amsterdam (NL). 2012.
Catalogazione: AR 28/2012.
I bronzi del Luristan.
Il Luristan, regione montagnosa degli Zagros, per la sua posizione geografica, attraversata a nord dalla strada che da Kermanshah giunge a Hamadan e in senso nord-sud da quella che unisce Hamadan a Susa, vie di grande traffico commerciale malgrado la difficoltà di accesso alle sue alte valli, è stato, fin dai tempi più antichi, un centro di transito e di irradiazione di idee e di motivi propri di popoli diversi.
L'arte di questo paese, pur svolgendosi in territorio persiano e su un fondo chiaramente iranico, mostra una linea estetica in certo modo lontana dagli schemi della tradizione artistica dell'Iran.
La produzione luristana è consegnata soprattutto in bronzi che, per la particolarità dei motivi rappresentati e per l'originalità degli stili, vari e complessi, costituiscono un unicum di grande interesse e presentano problemi iconografici, cronologici e stilistici di estrema importanza e ancora non completamente risolti.
Sotto il nome di bronzi del Luristan va una serie di opere, notevolmente antiche e di sicura origine straniera, che devono assegnarsi a produzioni diverse: così bronzi che possono, per evidenti rapporti, provenire dal Caucaso, dall'Azerbaigian, dal Talish, dal Kurdistan, sono generalmente classificati come bronzi luristani. Risulta però oltremodo difficile definire con sicurezza la provenienza e ancor più la datazione dei bronzi in quanto quasi tutti gli oggetti ritenuti del Luristan sono in realtà frutto di scavi clandestini e sono pervenuti nelle collezioni e nei musei europei ed americani attraverso il mercato d'antiquariato, attivissimo fino dal 1928.
Non abbiamo che un solo scavo scientifico, promosso dalla Holmes Luristan Expedition (dell'Istituto Americano di Arte e di Archeologia Persiana) negli anni 1934-35 e 1937-38 e diretto dallo Schmidt che visitò le valli di Rumishgan e di Saimarrah, trovando siti in certo rapporto con il popolo Lur (come il santuario di Surkh-i Dum) e, a Khatun Ban nella valle di Badavar, tombe e corredi funerari tipici dei nomadi del Luristan (vasi in terracotta e in bronzo, braccialetti, pugnali, morsi di cavallo, asce cosiddette a digitazione, idoli).
Lo stesso A. Godard che, nominato Direttore del Servizio di Antichità Persiane nel 1928, visita la regione raccogliendo materiale, notizie e documentazioni su questa antica civiltà e che per primo pubblica nel 1931 un lavoro sistematico su questi bronzi, non ha la possibilità di effettuare controlli scientifici. Pochi sono gli specialisti che hanno potuto avere notizie di prima mano e che hanno compiuto viaggi attraverso questo paese. Tra questi Herzfeld, Contenau e Ghirshman, ma i loro scavi hanno rivelato poi siti (Tepe Giyan, Tepe Giamshidi) di chiara facies neolitica, per quanto siano anche venute in luce in strati più tardi delle tombe, circondate da pietre e coperte da lastre, con suppellettile caratteristica dello stile del Luristan.
Intanto l'interesse suscitato da queste, nuove scoperte porta in questi luoghi inospitali Freya Stark che pubblica nel 1934, con carattere divulgativo, la sua relazione di viaggio -poco consultata e che pure offre note ed osservazioni veramente precise ed utili- in cui menziona siti visitati anche da A. Stein nei due lunghi viaggi del 1932 e del 1936, e finalmente la prima spedizione scientifica dello Schmidt.
Tuttavia, pur essendo così scarse le ricerche in situ, non mancano notizie, studi e teorie intorno a questi bronzi. Esiste anzi su tale argomento tutta una vastissima bibliografia che comprende i grossi nomi degli specialisti di arte orientale: da Dussaud, Pope, Frankfort, Gadd, Legrain, Smith a Przewoski, Elisseeff, Schaeffer, Segall, Maxwell-Hyslop per non citarne che alcuni, i quali hanno permesso con i loro lavori di delineare un quadro abbastanza preciso di questa antica civiltà. Ma fino a quando non si intraprenderanno ricerche sistematiche e scavi con sicuri rilievi stratigrafici non si arriverà a risultati conclusivi. Gli unici dati positivi in nostra mano quindi sono quelli desunti dall'esame tipologico, stilistico ed iconografico dei bronzi.
Sono questi legati all'attività dei fabbri-maghi (venivano in tal modo considerati i metallurgisti in ogni organizzazione umana a carattere nomade della quale costituivano una casta speciale) di un popolo nomade, allevatore di cavalli: così non abbiamo città, templi o monumenti, che possano con maggior evidenza documentarci sulla civiltà di questa gente, ma solo necropoli.
Esiste comunque una costruzione in località Surkh-i Dum, nella pianura del Kuh-i Dasht, ritenuta da Schmidt che ne ha condotto lo scavo nel 1938, un tempio d'epoca assira (883-612 a. C.). Si deve però subito rilevare che la suppellettile in esso ritrovata (figurine, specchi, caratteristiche spille a disco e situle, oltre a numerosi sigilli), notevolmente diversa da quella rinvenuta nelle tombe degli altipiani, e il fatto che tra essa non figurano armi né altri oggetti connessi con l'uso del cavallo, ha fatto nascere l'ipotesi che si tratti di una produzione di altra cultura. Ma la ricerca degli elementi stilistici e di quelli che costituiscono il fondo culturale dà, come ultimo risultato, la certezza che ci troviamo di fronte a due aspetti distinti di un'unica civiltà: cavalieri nomadi, quindi guerrieri e pastori, gli uomini dei monti, coltivatori e sedentari quelli della pianura. I bronzi del tempio di Surkh-i Dum e quelli delle necropoli montane del Luristan appartengono così allo stesso popolo, anche se, sembra, debbano assegnarsi a differenti fasi culturali.
Ma a quale gruppo etnico riportare questo popolo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è dato ancora sapere, né è possibile individuarne il luogo di provenienza. Presumibilmente esso proviene da nord, forse dall'Asia centrale e dal Caucaso, e anche se è ormai superata la prima ipotesi del Godard, che vedeva nei Cassiti i portatori di questa cultura e gli artefici della produzione artistica, pur tuttavia l'elemento cassita non dovette essere estraneo alla formazione stessa di questa civiltà che appare chiaramente composita: è infatti presente un elemento iranico accanto a quello straniero (che è poi quello del gruppo invasore) e non manca un coefficiente assiro-babilonese che accompagna le esperienze dei Lur e passa nella produzione più tarda degli Achemènidi. Pure visibile, in sede artistica, è l'apporto scitico. Malgrado queste componenti la linea estetica è una e coerente e lo stile, pur riconoscendovi sempre l'impronta straniera, è inconfondibile, reso tale da un preciso intento religioso che si vale di un complesso repertorio iconografico che si evolve nel tempo.
I bronzi possono raggrupparsi come segue.
1. Armi.
a) Pugnali con manico incrostato, in legno o in osso, del tipo conosciuto anche nel Talish e nel Caucaso; altri con lama ed impugnatura fuse insieme che portano una decorazione a mezzaluna nel punto di congiunzione; un esemplare di questi pugnali, il cui manico ha la forma di una testa umana, richiama quello così simile ritrovato ad Ur. Queste armi sembrano essere le più antiche.
b) Pugnali e spade che presentano, come motivo ornamentale dell'impugnatura, teste stilizzate di animali. Le spade sono rare; una forgiata in ferro, di epoca tarda quindi, mostra una decorazione due testine umane che sporgono dal pomo del manico, che richiama, a nostro avviso, la tecnica ed il gusto dei metallurgisti dell'Urartu.
c) Lance, giavellotti, mazze d'armi, punte di freccia coniche o trilobate di chiara origine nordica; pietre per affilare, a forma tubolare, il cui manico bronzeo porta decorazioni animalistiche.
d) Asce di vario tipo: a lama lunga e stretta; a lama in forma di S e con tubo di innesto obliquo; altre con lunga lama quasi a mo' di picca dove l'innesto presenta varietà di forme fino ad arricchirsi di sporgenze aculeate, prototipo di quelle cosiddette "a digitazione" la cui lama, che si inclina fino a scendere a formare un arco, fa ritenere che avessero una funzione prettamente rituale; il tipo conosciuto come "ascia a doppio traforo" (double evidement) gode di una certa popolarità in molti paesi (quest'ascia è vista anche in Siria e persino in Egitto, dove, presto rilevata su un vaso predinastico, è usata ancora durante la XII dinastia) e sembra, attraverso successive modificazioni, determinare la caratteristica ascia a mezzaluna o ascia lunata, che è certamente più tarda -inizi del I millennio a. C.- anche se può trovare precedenti in esemplari babilonesi (l'esempio più antico sembra essere l'ascia a lama curva ritrovata ad Ur nella tomba della regina Shub-ad).
2. Oggetti d'ornamento.
a) Morsi di cavallo del tipo a barra spezzata (che denuncia un'epoca più tarda) e a barra rigida, le dimensioni e la ricca decorazione animalistica di quest'ultimo tipo, che sovente è stato trovato sotto la testa del morto a mo' di guanciale, fanno pensare ad una destinazione per usi funerari.
b) Insegne ed idoli che venivano montati (infissi) su sostegni a forma di bottiglia.
c) Spilli decorati geometricamente o con stilizzate testine di animali.
d) Placche di cintura ornate con scene di caccia; e poi specchi, braccialetti (ad armilla o chiusi, con motivi ornamentali semplici), collane e molti pendagli.
3. Oggetti votivi.
a) Talismani e amuleti a forma di piccoli animali-capridi, cavalli, uccelli che denunciano nella tecnica a tutto tondo e nello stile improntato a forte realismo, una ispirazione dall'arte del Caucaso specialmente di Kuban.
b) Spille a disco, sormontate cioè da una placca a cerchio, e ornate da singolarissimi motivi iconografici.
4. Oggetti rituali.
a) Vasi di libazione o situle decorate con scene di caccia, di banchetti e con animali reali ed esseri fantastici: leoni, tori alati, chimere.
b) Vasi a lungo becco che si legano per la particolare forma a quelli in ceramica e in bronzo, per la verità questi ultimi molto rari, provenienti dalla Necropoli B di Tepe Siyalk, accanto ad un tipo più tardo, sempre a lungo beccuccio, a forma di calice, attestato anche nella produzione hittita di Bogazköy.
Tutti questi bronzi, grosso modo, possono essere distinti in due grandi classi. La prima comprende i prodotti del popolo dei monti (dei cavalieri nomadi cioè -legati per la qual cosa al genere di vita da loro condotto-: morsi, finimenti e ornamenti per cavalcature e armi) la cui decorazione, fortemente stilizzata, si vale soprattutto della rappresentazione animalistica e del motivo, certo offerto dall'iconografia mesopotamica, dell'eroe che domina le belve, il cosiddetto Gilgamesh, il mitico protettore del bestiame e, forse qui per traslato, dei pastori. Gli uomini del Lur subirono molto il fascino dell'eroe mesopotamico se tanto frequentemente lo riprodussero nelle loro opere. Ci resta difficile ritenere tale motivo come puro elemento decorativo anche quando la stilizzazione e la deformazione delle immagini è talmente accentuata che i corpi della figura umana e delle bestie sono ridotti a lineari forme geometriche. Da questa rappresentazione dipende forse anche una composizione che ha perso quasi interamente il senso del soggetto originale del quale non rimangono che degli elementi essenziali ridotti allo schema quasi araldico di due animali affrontati e rampanti. Così più che un eroe divinizzato il Gilgamesh diventa un feticcio, quasi simile ad una figura totemica, e prende il posto che ha la Magna Mater presso la gente della pianura.
Un motivo decorativo particolare, quello di una testa crestata, forse di un gallo -che accompagna la rappresentazione del Gilgamesh usato come giunto, come sporgenza o come terminazione di arti umani ed animali- e la coincidenza che il sostegno, su cui poggia l'oggetto così decorato, è a forma di mazza di guerra, fa credere al Ghirshman che questa figurazione possa identificarsi con Svaosha, divinità iranica dell'Infero connessa con Mitra. Al pensiero religioso dell'Iran sembrano ricollegarsi anche alcuni tra i bronzi che appartengono alla seconda classe, costituita dalle figurine, dagli specchi, dagli ornamenti personali, dagli oggetti rituali -come le situle- e dalle caratteristiche spille formate da una placca discoidale lavorata a sbalzo.
Sono queste spille, verosimilmente, degli ex voto che venivano infissi nei muri dei santuari, come è dato vedere nel tempio di Surkh-i Dum, il quale ha restituito la maggior parte degli oggetti che abbiamo assegnato a questa seconda categoria. Per forma, decorazione e stile tali spilli sono completamente diversi da quelli, più semplici, ritrovati nelle tombe luristane degli altipiani. La loro particolarità sta soprattutto nella decorazione: motivi ornamentali di palmette e di melograni (a questo frutto doveva probabilmente essere legato un simbolico significato di fecondità) accompagnano frequentemente, in una composizione originale, scene di carattere religioso nelle quali sembrano riconoscersi divinità del pantheon cassita, come Kashshu, Anahita e forse Mitra. Ci sembra però che il popolo del Luristan non abbia un pantheon preciso anche se, come ritengono il Ghirshman ed il Dussaud, le immagini raffigurate nei bronzi possono ricollegarsi a divinità ed a culti pienamente iranici. La tesi dei due studiosi costituisce certo un dato di grande importanza per ricostruire, entro certi limiti, il fondo culturale ed il pensiero religioso delle popolazioni del Luristan.
Certamente le nostre conoscenze attuali non ci permettono ancora di parlare di una religione luristana, comunque ci dànno la possibilità d'intravvedere motivi e temi che rivelano una particolare sensibilità magico-religiosa legata ad esigenze cultuali e cerimoniali proprie delle popolazioni nomadi, e di individuarne altri, di certa derivazione straniera, come quello del mitico Gilgamesh, di Enkidu e del sumerico Imdugud, mitico uccello dal corpo di aquila e dalla testa di leone. Questo ultimo motivo, tra l'altro, passa ad adornare in forma molto schematica, i giunti zoomorfi delle asce lunate, assumendo aspetti, secondo il Frankfort, assai vicini a quelli della maschera cinese del "t'ao-t'ieh".
Da quanto esposto sinora, sia pure brevemente, appare chiaro quale peso abbiano avuto, per l'arte del Luristan, i suggerimenti e le esperienze figurative di altri popoli e quanto numerose siano state le influenze esterne che furono comunque assorbite e brillantemente fuse da un gusto ben definito. Tale gusto estetico è realizzato da una fervida immaginazione nell'invenzione dei motivi decorativi e da una predilezione per forme, sia umane che animali, fantastiche e irreali di chiaro contenuto simbolico.
Dal punto di vista stilistico, invece, non si può distinguere una corrente artistica particolare o preferita di espressione, perché l'artista luristano tende sia alla rappresentazione naturalistica che a quella astratta e mostra di conoscere così la visione frontale come quella di profilo.
Con gli schemi iconografici l'artista prende dalla Mesopotamia notazioni stilistiche che vengono poi modificate dalla sua fantasia mossa da una particolare visione del mondo reale. Così le immagini umane ed animali dei modelli originali vengono scomposte, deformate, rese irreali in una intricata composizione. All'amore per tutto ciò che è logico, organico e funzionale, proprio del mondo mesopotamico, si contrappone il gusto e la suggestione per l'elemento caotico e dissociato. Altre volte, attraverso una stilizzazione nastriforme delle immagini, è raggiunto un effetto decorativo, privo di ogni valore emotivo, che trova precedenti nelle pitture vascolari protostoriche dell'Iran.
Le rappresentazioni, invece, degli animali a tutto tondo, spesso il capride dalle lunghe corna, pur risentendo di reminiscenze babilonesi ed assire per il potente verismo con cui sono trattate, ricordano l'arte del Caucaso specie del Kuban e anticipano alcune soluzioni dell'arte achemènide. Persistenti rapporti, poi, si rilevano con le culture del Talish, documentati soprattutto dalla forma di alcuni pugnali tipici della cultura di Veri; mentre addentellati con la civiltà hittita si possono scorgere dalla presenza di piccoli carri e personaggi che denunciano quella origine (forse gli oggetti sono opera di maestranze hittite rifugia tesi nel Lur in seguito al crollo del Nuovo Impero nel 1190 a. C.).
Allo stile provinciale dell'arte assira inoltre s'ispira gran parte della produzione più tarda dove specialmente le situle e alcune placche di cintura riflettono nella forma, nella decorazione, nell'impostazione dei soggetti rappresentati se non la mano, certamente il gusto dell'artefice assiro. Più difficile è determinare l'apporto scitico. Le produzioni dei due popoli presentano molte affinità, ma sugli scambi tra queste non si sa bene quale abbia maggiormente influito, per quanto oggi si pensi che i nomadi Sciti abbiano notevolmente usufruito delle soluzioni e delle ardite invenzioni dei metallurgisti luristani che, tra l'altro, come ritiene il Frankfort, trasmisero al mondo scita anche il motivo del giunto zoomorfo.
Ma l'influsso più determinante resta senza dubbio quello mesopotamico, sia esso sumerico, babilonese o elamita. Infatti anche il citato "falso giunto zoomorfo" è preso dal S -dall'Elam- dove è visto per la prima volta nell'ascia del re Untash-Khuban, vissuto intorno al 1250 a. C. e costituisce anche perciò un dato utile come riferimento cronologico. Tutti questi rapporti dunque ci offrono la possibilità non solo di chiarire lo stile, o meglio i caratteri stilistici dell'arte del Luristan, ma anche di determinarne, almeno entro certi limiti, la cronologia; questo è il problema più discusso e ancora aperto che ci ha dato una serie di varie e contrastanti teorie.
In questi ultimi anni si sono determinati alcuni punti fissi che invalidano sia le teorie favorevoli ad una datazione alta sia quelle che si orientano, invece, verso una data bassissima. La cronologia che più si presta a revisione è quella dello Schaeffer che assegna l'inizio di quest'arte alla metà del III millennio a. C. e la sua fine intorno agli ultimi secoli del Il millennio. I dati emersi, come quelli sopra accennati, e la corrispondenza con alcune culture, cronologicamente meglio classificabili -Tepe Siyalk VI o necropoli B, XI-IX sec. a. c.; Kuban, I millennio; mondo hittita, fine del Nuovo Impero, XII sec. a. C. e molte altre- ci consentono così di ritenere che il periodo della maggior produzione di questi bronzi va dal XIV all'VIII sec. a. C., pur non escludendo un'attività anteriore come periodo di preparazione.
Gli ultimi esiti della produzione luristana si ritrovano in alcuni oggetti di Kalar Dasht e del famoso tesoro di Ziwije. Si rintracciano anche notevoli corrispondenze con la cultura di Hasanlu attraverso i recenti scavi di R. H. Dylon del 1957-58. Tutto ciò dimostra la popolarità e la validità di questa produzione artistica che potrà assumere una fisionomia più definita quando si conoscerà meglio anche la produzione delle culture limitrofe.