Villanova. Rasoio.
Villanova. Rasoio.
Rasoio con frammenti di lama di ferro e impugnatura in bronzo traforato. Epoca VIII secolo a.C.. Dimensione: cm.24,8.
Provenienza:
collezione Axel Guttmann, Berlino (D).
galleria Royal-Athena, New York (USA). 2011.
Expertise:
Jerome M. Eisenberg, New York (USA). 2011.
Catalogazione: AR 26/2011.
La civiltà detta di Villanova è una delle più importanti della prima età del ferro (v. ferro, civiltà del), la cui conoscenza è fondamentale per la preistoria della penisola appenninica. Confusa dapprima con l'etrusca, se ne distaccò chiaramente quando si scopersero i resti della città etrusca presso Marzabotto. Villanova è una località a pochi chilometri a sud-est di Bologna, dove G. Gozzadini scoperse, verso la metà del sec. XIX, una necropoli famosissima, che subito attrasse l'attenzione dei dotti del Congresso preistorico internazionale adunato in Bologna nel 1871. Erano tombe di combusti, fatte a pozzetto, nelle quali, sotto un mucchio di sassi, dentro una cassetta costruita con sei lastre di arenaria sfaldata, stava l'ossuario accompagnato, nelle tombe più recenti, da numerosi vasi accessori. L'ossuario, come in genere la ceramica, era fatto a mano, di caratteristica foggia biconica, come se risultasse di due tronchi di cono saldati per la base, con un'ansa a maniglia orizzontale impostata sulla carena e con la bocca coperta da una ciotola capovolta. Con l'"ossilegium" erano deposti oggetti, specialmente ornamenti personali. Gli ossuari erano ornati di meandri o di zone incise o stampate con cerchietti concentrici, piccoli quadrati, triangoletti, piramidette, e, nelle fogge più recenti, segmenti meandroidi, ocarelle, segni cruciformi o svastiche, ecc. Uno speciale carattere viene a questo stile geometrico dall'essere gli elementi suoi distinti, accostati disposti in serie o zone, per cui lo stile si disse "frantumato", ma meglio dovrebbe dirsi "coordinato". Più accurata era la fattura dei vasi minori, ugualmente ornati. Abbondantissime, eleganti talvolta, sono le fuseruole o grani di collana. Abbondanti i bronzi, eccezionali gli oggetti di ferro. Si notano: asce ad alette, asce a cannone, asce con cartoccio di bronzo e tagliente di ferro, asce di ferro; coltelli di bronzo e di ferro; caratteristici i "rasoi lunati" che derivano da quelli quadrangolari delle terramare, e certi piccoli bastoncelli con pallottola terminale, di bronzo, che s'interpretarono come mazzuoli per battere su placche di bronzo, o simboliche asce laminari, per ottenerne un suono e allontanare il fascino. Tra gli ornamenti: spilloni con testa di vetro blu o di ambra; centinaia di fibule svariate, più spesso ad arco semplice; braccialetti; anelli, ecc. Si aggiungano alcuni frammenti di "aes rude". Contemporanee delle numerosissime tombe di combusti sono certamente quattordici sepolture che contengono invece lo scheletro, accompagnato dallo stesso corredo dei combusti.
Nelle immediate vicinanze di Bologna e nella città stessa gli scavi incontrarono successivamente altre sepolture, che permisero di distinguere tre facies successive nella civiltà villanoviana, indicate con i nomi Benacci I, Benacci II, Arnoaldi. Nel periodo Benacci I gli ornati vascolari sono generalmente incisi, di rado impressi. In progresso di tempo appaiono vasi accessori con ornato geometrico rilevato in bianco o giallo. L'ascia con larga penna espansa ha la base ad alette o a cannone. Si hanno cinture di bronzo ornate anch'esse col motivo frequente dei cerchielli, morsi per cavallo, fibule di svariata foggia. Nelle tombe del periodo Benacci II la forma dell'ossuario è modificata: esso è provvisto di piede, e può essere, oltre che fittile, di bronzo. Anche i vasi accessori possono essere di bronzo. Notevoli le ciste, di argilla di bronzo, e le situle, quest'ultime soltanto di bronzo. Vi sono spade di bronzo con impugnatura ad antenne; abbondano oggetti di ferro, fra cui anche fibule.
Nel periodo Arnoaldi ci si presenta un più largo orizzonte. Resta la sagoma dell'ossuario, che è di varia grandezza e quasi sempre decorato a stampo, come i vasi accessorî, assai numerosi. La decorazione comprende, oltre ai noti motivi geometrici, anche motivi fitomorfi e faunistici (ocarelle, scimmie). Si hanno vasi fatti al tornio. Le armi sono soltanto di ferro. Si notano influssi orientali dimostrati dalla comparsa di rappresentazioni del leone e dell'uomo d'avorio, di scarabei di pasta azzurra, di idoletti egizi. Sui vasi si osservano segni alfabetiformi, graffiti all'esterno o all'interno. Grande è il numero degl'inumati commisti alle tombe dei combusti: l'inumazione tende a sostituirsi all'incinerazione: si assiste al trasformarsi della civiltà.
Le più note sepolture villanoviane si trovarono entro la città stessa di Bologna, in più luoghi; estesissima la necropoli fuori porta S. Isaia; altri sepolcri s'incontrarono sui colli di Ronzano e lungo la vallata superiore del Reno, a Casalecchio, Moglio, Pontecchio, Sasso, Canovella, inoltre a S. Giovanni in Persiceto, S. Agata. Più numerose ad ovest di Bologna, a Calcara, Monteveglio, Bazzano, Castelfranco, Montese, Savignano e a est a S. Lazzaro, Settefonti, Quaderna, Castel S. Pietro; in parecchie località dell'Imolese, nel Riminese, segnatamente a Verrucchio. Ricca di sepolture villanoviane è l'Etruria: a Chiusi, Cortona, Volterra, Tarquinia, Vetulonia, Montenero presso Livorno, entro la città stessa di Firenze; altre sepolture si trovano a Cerveteri, Vulci, Allumiere, Orvieto, Bisenzio, Narce, ecc..
A Bologna si scoprì anche l'abitato villanoviano. Erano fondi di capanna, a centinaia, circolari o ellittici, con pareti di frascame intonacato di argilla, con abbondantissimi e tipici resti della suppellettile. Il famoso ripostiglio di piazza S. Francesco, con quattordicimila ottocento quarantun oggetti di bronzo, integra il quadro di questa cultura. Vi sono ben quattromila asce ad alette o a cannone, come quelle delle necropoli predette; novantadue asce ad occhio, un numero straordinario di coltelli, scalpelli, falci, seghe, arpioni, ami, spade, pugnali, frecce, lance; morsi equini e falere per i cavalli; fibule, spilloni, armille, cinturoni, pendagli, pettini, frammenti di vasi di bronzo. Come per altri ripostigli coevi, non è facile stabilire lo scopo per cui esso fu costituito.
Per qualche tempo si credette che la civiltà villanoviana si fosse estesa a quasi tutta l'Italia, giungendo fino a Taranto e a Torre del Mordillo in Calabria, e le si attribuirono necropoli d'inumati perché presentavano il vaso villanoviano, restato come accessorio, e qualche altro oggetto. In seguito, si vide la necessità di fare diverse partizioni: si distinse la civiltà euganea, quella di Golasecca, la picena, la laziale, la campana, la apulo-lucana, la calabra. Concludeva P. Orsi per le necropoli pre-elleniche calabre, sull'impossibilità che la civiltà villanoviana fosse l'esponente di una sola cultura e di un solo popolo. Restarono unite le facies primitive del bolognese e dell'Etruria. Per vero, i più antichi pozzetti dell'Etruria si legano a quelli bolognesi specialmente per l'ossuario biconico, differiscono per qualche particolare di corredo, per la presenza di custodie di tufo e di nenfro in cui è accolto l'ossuario, in luogo della cassetta di pietre, e per la frequenza del rito dell'inumazione. Le differenze si accentuano nel secondo periodo (Arnoaldi) sotto gl'influssi dell'Oriente mediterraneo, più attivi sulle spiagge tirrene.
La civiltà laziale si distingueva specialmente per la presenza dell'urna-capanna in luogo dell'ossuario biconico, urna-capanna che apparve anche a Bisenzio, Vetulonia, Tarquinia, ridotta talora alla riproduzione fittile soltanto del tetto della casa, usata come coperchio dell'ossuario. Di singolare interesse sono anche i cinerari di Tarquinia, con il coperchio costituito non da una ciotola, ma dalla riproduzione fittile dell'elmo. Si rispecchia tuttavia in queste necropoli, nonostante talune particolarità della suppellettile, una civiltà che risale a una comune sorgente. La più sicura conquista dell'indagine scientifica sta nell'aver dimostrato che tanto a sud quanto a nord dell'Appennino centrale la civiltà villanoviana propriamente detta è il substrato sicuro dell'etrusca. Il dibattito sull'origine della civiltà villanoviana è tuttora vivo: prodotto indigeno o indice di un nuovo popolo?
L. Pigorini aveva da tempo posto in rilievo i rapporti tra suppellettili terramaricole e villanoviane, rapporti che venivano poi stretti dalle dotte e acute analisi di G. A. Colini, il quale aveva accettato l'idea della derivazione dei Villanoviani dai Terramaricoli. Ostava il fatto, bene rilevato per primo da G. Chierici, della mancanza del villanoviano nella Valle Padana, e però il Pigorini suppose che l'evoluzione fosse avvenuta quando i discendenti dei Terramaricoli, valicato l'Appennino, erano giunti sul Tirreno, dove avevano subito gl'influssi di correnti straniere e meridionali. Ma a partire dal 1884 egli guardò sempre alla Valle Padana, o almeno al territorio bolognese, come culla del villanoviano. E. Brizio invece distaccò nettamente i Terramaricoli dai Villanoviani riconoscendo nei primi i Liguri, che in una seconda fase della loro vita avrebbero cambiato il rito funebre, nei secondi gli Umbri, che sarebbero discesi dalle Alpi più orientali. Sembra in ciò apparire una contraddizione per la mancanza, avvertita dallo stesso Brizio, di tracce villanoviane nell'Italia superiore.
Anche P. Ducati crede che Umbri possano dirsi i Villanoviani, venuti traverso le Alpi Carniche, ma egli suppone che essi avessero raggiunto le spiagge tirrene con rapido moto, forse al principio del sec. X a. C. In seguito si compiva un movimento culturale da sud a nord, che determinava il fiorire del villanoviano felsineo. Ciò il Ducati era indotto ad ammettere sia dal ricordo del noto passo erodoteo (IX, 49), che vede gli Umbri nelle valli del Danubio (Istro), della Sava e della Drava, sia dal considerare più antica la facies villanoviana presentata dalle tombe di Tolfa e Allumiere.
Registriamo la recentissima opinione di G. Sergi. Egli aveva sostenuto che gl'incineratori dell'Etruria e della necropoli laziale preromulea del Foro, erano illirici. Oggi egli medesimo ritiene questi incineratori celti, perché avvicina le strutture delle tombe vetuloniesi a quelle di Golasecca.
Grandissima è la difficoltà di questi problemi, come sempre quando si tratta delle origini. Si aggiunga che la discussione sorgeva quando non erano ancora ben note le altre civiltà italiche. Pertanto il dibattito ci condurrebbe ben lungi per la necessità di procedere con larghi esami comparativi dei materiali e per la valutazione delle opinioni espresse dai vari dotti, tra i quali sono molti stranieri, che pure hanno recato utili contributi (F. v. Duhn, O. Montelius, B. Modestov, R. MacIver, F. Schachermayer, A. Grenier, M. Mayer, E. Peet, J. Sundwall, ecc.).
In conclusione risultano, e devono in ogni modo essere tenuti presenti, i seguenti dati incontrovertibili: localizzazione della civiltà villanoviana felsinea, che è tipica, tra il Panaro e il mare (Rimini, Verrucchio); persistenza nella civiltà villanoviana di alcune fogge della suppellettile terramaricola; esistenza di una facies di transizione attestata dai sepolcreti di Fontanella di Casal Romano (Mantova), Bismantova (Reggio nell'Emilia), Bologna-S. Vitale, Pianello di Genga (Ancona), in cui tra l'altro appare la forma ancestrale dell'ossuario villanoviano. Più lontano, e più difficile da spiegare, rimane il sepolcreto di Timmari, nel Materano: anch'esso tuttavia è da ritenere spettante al periodo di transizione tra l'età del bronzo e quella del ferro.
Ma per quanto riguarda il secondo punto delle conclusioni accennate, i fatti accertati vanno considerati secondo una nuova incidenza. Invero, non sono soltanto fogge terramaricole che persistono nel villanoviano o in altre civiltà italiche affini, ma più in generale diremo che sono oggetti dell'età del bronzo che perdurano, poiché la civiltà enea non si esaurisce nelle terramare. Così per citare un esempio solo, il più ripetuto, la famosissima ansa lunata non fu invenzione esclusiva dei terramaricoli. La troviamo ben più varia e più ricca presso gli extra-terramaricoli appenninici ed è ovvio che da questi essa passasse alle varie civiltà del primo periodo del ferro; quindi non può essere presa per restringere esclusivamente ai terramaricoli le culture italiche meridionali. Così qualche altro oggetto che non si trova nelle terramare, appartiene agli extra-terramaricoli, e la sua foggia continua, identica o poco modificata, nelle civiltà italiche. Sotto questo riguardo si ricordi che elementi della decorazione incisa, propria degli extra-terramaricoli, risorgono, modificati, nel primo periodo del ferro. Per queste ragioni taluni autori (G. Patroni, E. Gabrici, G. Pinza) avevano legato la civiltà campana e quella laziale alle culture precedenti non terramaricole.
Forse si può qui richiamare, con la maggior cautela, l'idea che le grandi immigrazioni si debbano contenere in più modesto ambito. Forse può ritenersi che i terramaricoli, la cui civiltà si era gradatamente elaborata nella Valle Padana per la fusione di elementi indigeni e allogeni, esulassero, al finire dell'età del bronzo, dalle loro sedi. Fu allora che talune di quelle genti sostarono nel Bolognese e più giù nelle Marche, dando luogo alla cultura per ora rivelataci dai sepolcreti di Bologna-S. Vitale e del Pianello di Genga (Ancona), in cui si possono vedere i protovillanoviani destinati a valicare l'Appennino per raggiungere l'Etruria e il Lazio. È questo il sorgere del mondo villanoviano, che ha valore dominante nell'Italia centrale. Le varie civiltà italiche dell'età del ferro si presentano con colore diverso sia perché in minor grado in esse penetravano elementi terramaricoli, sia per il diverso modo col quale l'elemento fondamentale indigeno, mediterraneo, dell'età del bronzo, reagiva agl'influssi stranieri, introdotti con la navigazione e con i traffici, ormai più intensi.