Etruschi. Recipiente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Etruria. Recipiente.
Recipiente (raccoglitore di miele?) in bronzo con lungo manico con decorazione a testa di cigno e poggia pollice. Epoca VI-V secolo a.C.. Dimensioni: cm.38.
Provenienza:
collezione belga, acquistato ca.1980.
Archea, Amsterdam (NL). 2010.
Expertise:
Archea, Amsterdam (NL). 2010.
Catalogazione: AR 14/2010.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Gli etruschi e il miele.

 

Lui e lei mangiavano insieme, li troviamo spesso rappresentati sdraiati sui coperchi dei sarcofagi nelle tombe ipogee. Bevevano, durante il banchetto, vino mescolato a miele, il "mulsum", una gradita bevanda, un nettare d'ambrosia. Parliamo degli Etruschi ovviamente. Infatti solo alle donne etrusche era permesso partecipare ai banchetti insieme agli uomini. E anzi spesso li allietavano con danze velate. Il banchetto era un rito molto importante, sacro, il cibo aveva una funzione nobiliare e catartica, viatico per l'immortalità. "Protinus aerii mellis caelestia dona exsequar: hanc etiam, Maecenas, adspice partem... O Mecenate, qui appresso tratterò il dono celestiale dell'etereo miele: prendi in considerazione pure questa parte...". Inizia così il IV libro delle Georgiche interamente dedicato al miele, dove Virgilio esalta questo nettare come dono degli dei. Il miele aveva un posto di primo piano nel mondo etrusco. Ne osservavano estasiati il colore e ammiravano la società delle api, così ben organizzata a livello sociale. Il suo consumo tornava più volte al giorno nella mensa etrusca sia come "additivo" al vino, sia come base di altre preparazioni, come l'"alica", una farinata di farro, oggetto di omaggio, ritualità: "al(i)cu" o "al(i)qu" significava in etrusco dono-donatore- proprio perché sia il farro, sia il miele avevano proprietà sacre e miracolistiche. Anche della "puls italica", antesignana della nostra polenta, esisteva una variante nobilitata dall'uso del miele. Senza considerare che il miele accompagnava spesso la frutta secca come noci, mandorle, nocciole, fichi, così comuni e graditi nelle tavole etrusche e la frutta cotta con il miele fungeva da contorno ai piatti di carne. Con il miele erano anche varie focacce che diventeranno i "panes melatos" e i "panes pepatos" medievali che conterranno come dolcificanti il miele e il mosto del vino. L'apicoltura etrusca, comunque, non era solo finalizzata alla produzione di miele, quanto a quella della cera, materia prima di enorme importanza economica per i suoi molteplici usi, tanto da farne oggetto di importazione e commercio e Dioscoride, botanico e farmacologo del I sec. a.C, ricorda il potere medicamentoso di una cera detta "Tirrenica". È altresì nota la tradizione degli aruspici etruschi di trarre vaticini non solo dal volo degli uccelli, ma anche da quello delle api e non a caso Cicerone ricorda questo particolare: "Atque in apium fortasse examine nos ex Etruscorum scriptis haruspices ut a servitio caveremus monerent". Come il mondo degli uomini, anche quello delle api poteva attraversare momenti difficili: l'ingresso dell'alveare veniva allora spruzzato di una magica mistura dolcissima a base di " racemi appassiti della vite psitia e timo cecropio e odorosa centaurea", mescolati a vino, a mosto cotto o a polvere di rose e radici di amello, un accattivante ricostituente per le api che non avrebbero così abbandonato l'alveare.