Civiltà Colima. Statua.

 

 

 

 

 

 

 

 

Civiltà Colima. Sciamano.
Secondo Valeria Mazzoleni:
Sciamano danzante che porta la maschera del "cactus", il "bezote' (barba posticcia) ed il fungo sotto il braccio (psilocybe mexicana, fungo allucinogeno usato nelle cerimonie insieme ai boccioli del cactus lophophora williamsii).
Secondo volume di pubblicazione sotto citato:
Suonatore di tamburo.
La fessura posta sopra la protuberanza superiore alla testa e il foro posteriore ad essa potrebbero far intenderne l'uso come fischietto. Ceramica ocra-aranciata con tracce di decorazione rosso-bruna; bella patina con importanti depositi di biossido di manganese. E' un fischio, più che raro unico, sia perché non si conoscono altre sculture similari sia perché appartiene al Preclassico, periodo quasi introvabile nella cultura Colima. Queste probabilmente le ragioni della sua pubblicazione nel 1977. A parte la piccola mancanza e due frammenti incollati è in ottime condizioni. Date le piccole dimensioni e la fragilità i prelievi per la termoluminescenza sono sconsigliati. Epoca Tardo Periodo Preclassico, 300-100 a.C.. Dimensioni: h.cm.17.
Provenienza:
collezione Theodore Nye, Washington (USA).
Mazzoleni Sambonet Arte, Milano (I). 1996.
Pubblicazioni:
"Art de Mesoamerique", E.Deletaille-G.Van Swieten-A.Dorsinfang Smets, ed. SGdB, Bruxelles (B). 1976. Foto 54.
Expo:
"Art de Mesoamerique", curatore E.Deletaille, Sociètè Gènèrale de Banque, Bruxelles (B), 17.11.1976-08.01.1977.
Expertise:
Spencer Throckmorton III, M.A., New York (USA).
Valeria Mazzoleni, Milano (I). 1996.
Catalogazione: AP 2/1996.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tratto da: "L'America precolombiana. Il Messico. Dalle origini agli Aztechi". 1992.
Ignacio Bernal y Garcia Pimentel, Mireille Simoni-Abbat.

 

Basta aprire certi cataloghi di vendite all'asta o di mostre oppure osservare le vetrine di certi antiquari per notarvi quelle figurine in ceramica, diverse e tuttavia affini, tanto numerose e che a molti sembrano riassumere Parte dell'Antico Messico. In massima parte provengono dal Messico occidentale, dalla costa del Pacifico, dagli odierni Stati del Michoacán, di Colima, del Nayarit, del Jalisco e da una parte del Guerrero e del Guanajuato.
Questa produzione ceramica è diversa, così poco mesoamericana che abbiamo deciso di non trattarla nel corso di questo volume. Qui, più che in qualsiasi altra parte del Messico, gli "huaqueros" sono responsabili delle migliaia di statuette che invadono il mercato, lasciandoci nella più completa ignoranza del contesto dove furono scoperte. Questa zona conosce solo da poco scavi scientifici, ancora rari, e che riguardano esclusivamente le tombe. L'inverosimile abbondanza di queste figurine nei musei e nelle collezioni private aveva consentito, fino a questi ultimi anni, di redigere soltanto classificazioni stilistiche. Da C. Lumholtz (1902) e da A. Hrdlicka (1903) questo stile, nel suo complesso, fu battezzato "tarasco". In realtà, anche se in epoca storica il regno guerriero del Michoacán esercitava in queste regioni il proprio dominio, l'arte e lo stile di questa ceramica sono molto anteriori. La regione costiera appare in disparte riguardo alle grandi civiltà unificatrici dell'epoca classica, più ancora del Michoacán, e la sua arte conserva le tradizioni del preclassico. Il pieno rigoglio di quest'arte viene oggi fatto risalire al protoclassico, ossia agli inizi della nostra era, e non al post-classico o al classico come si era a lungo creduto.
Ma il problema è ulteriormente complicato, da un lato, dal fatto che le tombe furono riutilizzate durante secoli da generazioni di genti appartenenti o no a una medesima stirpe e, dall`altro, dalla constatazione che questa produzione di statuette in ceramica va attribuita a botteghe paesane locali che perpetuavano le stesse forme (e senza dubbio le stesse credenze) lungo intere generazioni.
Inoltre spesso le tombe contenevano oggetti di varia provenienza. I quattro grandi stili locali individuati a tutt'oggi altro non sono quindi che indicazioni stilistiche. Vengono chiamati: Las Ortices (Colima), Ameca (Jalisco), Ixtlán del Río (Nayarit) e Compostela (Nayarit). Il sito cardine è senza dubbio El Opeño (nel Michoacán nord-occidentale), dove furono trovate cinque tombe a pozzo che risalgono al preclassico (1500 a.C.?). All'interno le offerte, numerose, erano costituite sia da figurine in ceramica molto vicine a quelle di Tlatilco, il grande sito coevo della valle di Mexico, sia da statuette in giada o in pietra dura dove si legge l'influenza olmeca.
Le tombe a pozzo si compongono di una lunga apertura verticale che sfocia in un corridoio orizzontale sul quale si aprono una o più camere funerarie. L'entrata è riempita e spesso nascosta da un masso. Questa forma di sepoltura, che diventerà la norma sulla costa del Pacifico, è assolutamente originale rispetto al resto della Mesoamerica. Si avvicina soltanto a un certo tipo di tomba che si trova nella parte settentrionale dell'America del Sud: Ecuador, Columbia, Perù del Nord. L'ipotesi di un'attività di cabotaggio sulla costa del Pacifico e di rapporti fra le due regioni sarebbe dunque da tenere in considerazione sin dalla metà del secondo millennio prima della nostra era.
Le parentele sono del pari evidenti nell`arte: la ceramica a ingobbio rosso di Colima, in particolare, è definitivamente più vicina a una tradizione giunta dall'America del Sud che a quella della Mesoamerica, prima di tutto per la sua fattura e poi per quello che evoca: frutti, legumi, animali, crostacei, rappresentazioni falliche, scene della vita quotidiana.
È stato detto spesso che l'arte di questa regione appariva la più "laica", cioè quella meno carica di valori religiosi, delle arti mesoamericane. Tesi recenti vogliono attribuire la sua apparente frivolezza a rituali sciamanici. L`abbondare delle rappresentazioni di piccoli cani grassi è dovuta a una predilezione per la rappresentazione artistica degli animali o non si tratta piuttosto della raffigurazione del cane assistente dello sciamano, destinato ad accompagnare il defunto in un'altra vita? Un vaso che rappresenta un cane che reca una maschera permette di propendere per la seconda ipotesi. Anche l'abbondanza di raffigurazioni di esseri deformi, di mostri, di malati può provenire tanto da una tradizione mesoamericana quanto da una volontà curativa. Le figurine umane generalmente interpretate quali giocatori di palla o ballerini mascherati sarebbero allora, come i cani, gli aiuti dello sciamano, i guardiani delle tombe e dei segreti dell'aldilà. Resta tuttavia il fatto che 1'arte di questi vasai paesani, talvolta sciatta, talaltra compiuta, è vivace, spesso prossima alla macchietta colta di getto e alla caricatura. È ben lontana dal rigore formale dei suoi vicini e conquistatori in epoca tarda; sfasata nel tempo, quindi, ma anche nello spazio.
Un posto a sé va riservato all'arte del Guerrero, sulla quale bisogna soffermarsi, anche se brevemente. Sulle rive del rio Balsas domina l'arte lapidaria, non la ceramica. Devastata anch'essa dagli "huaqueros", questa regione ha rivelato migliaia di figurine di giada o di pietra dura. Molte tradiscono un'influenza olmeca tanto profonda da indurre a credere che quella civiltà fosse nata qui. L`assenza di qualsiasi centro cerimoniale e di ogni grande scultura porta piuttosto a credere che il commercio, già inteso prima della nostra era, spingesse i mercanti olmechi a venire a cercare la giada, la pietra verde, sulla costa del Pacifico. Alcuni oggetti, intagliati sul posto, vi sarebbero stati poi abbandonati.
Poco più tardi, dopo che l'influenza diretta degli Olmechi cominciò a diminuire, iniziarono a farsi strada due stili locali. A nord, lo stile Chontal, naturalistico, ancora impregnato delle forme olmeche e di quelle del Veracruz. A sud del rio Balsas, lo stile Mezcala, molto stilizzato e che spesso rappresenta modellini di templi o silhouettes maschili quasi schematiche. Di queste figurine, le prime che possiamo datare con certezza provengono da Teotihuacán e risalgono all'inizio del classico. Sembra quindi che, alla fine del protoclassico e all'inizio del classico, le due zone abbiano avuto contatti frequenti, poiché molte statuine di serpentino di Teotihuacán sembrano ispirate dall'arte del Mezcala.

 

 

 

 

 

 

 

 

I funghi nei Codici precolombiani.

Giorgio Samorini.

 

Nei diversi manoscritti pittografati chiamati "Codici messicani", datati per lo più al XVI secolo, si trovano riferimenti iconografici relativi alla conoscenza e all'uso di diverse fonti inebrianti, fra cui i funghi.
Uno dei documenti più importanti è rappresentato dalla pagina 24 del "Codice Vindobonensis". Questo documento, noto anche come "Codice Yuta Tnoho" o "Codice di Vienna" (poiché è conservato presso la Biblioteca Nazionale di Vienna), è datato agli inizi del XV secolo, è di origine mixteca e tratta di temi mitologici cosmogonici e dell'origine delle piante e degli animali. Nella pagina 24 sono presenti numerose raffigurazioni di divinità antropomorfe che stringono fra le mani da uno a due oggetti (in un caso tre) in forma di fungo. Caso (1963, p. 34) ha interpretato la scena come un banchetto di divinità celebrato con canti e al cospetto del dio solare Piltzintecuhtli. Nella pagina successiva del medesimo codice (25) è rappresentata una scena di libagione divina di "pulque" (bevanda messicana molto alcolica, prodotta dalla fermentazione del succo zuccherino estratto da una varietà di agave).

 

 


Pagina 24 del "Codice Vindobonensis". Biblioteca Nazionale di Vienna.

 


Wasson ha offerto la seguente descrizione di questo documento:
"Per leggere la pagina 24 del Codice si deve iniziare nell'angolo inferiore destro e avanzare verso l'alto dalla colonna destra sino a giungere all'estremo superiore, dove il banchetto celestiale di funghi occupa entrambe le colonne. Vicino alla pagina incontriamo il dio Quetzalcoátl con tutti i suoi attributi, e portante una maschera con becco di uccello. Il dio ascolta rispettosamente un altro dio, di maggiore età, che sembrerebbe dargli delle istruzioni. Nel successivo livello verso l'alto, a destra, v'è una donna mascherata seduta insieme a due sfere di copale accese. Questa figura femminile è l'incarnazione dello spirito dei funghi e ha quattro funghi sui capelli. Alla sua sinistra, Quetzalcoátl sembra portare questa donna sulle spalle, nel modo in cui un uomo appena sposato si porterebbe sua moglie. La donna porta ancora funghi sui capelli. Nel livello successivo appare nuovamente Quetzalcoátl, che ora è girato verso destra e sta cantando mentre suona uno strumento musicale sinistro, un cranio appeso a un anello di corda. Di fronte a lui v'è Piltzintecuhtli, "il più nobile signore", che si identifica con certezza dal suo segno calendariale, Sette Fiore, e che tiene in mano due funghi. Dal suo occhio cade una lacrima, in risposta alla parola magica di Quetzalcoátl. Si osservi che Piltzintecuhtli è un aspetto di Xochipilli, il dio del Sole, il Principe dei Fiori. Sopra e verso la sinistra di questa scena vediamo sette dei e dee; ciascuno tiene in mano un paio di funghi che (supponiamo) stanno per mangiare. V'è un'eccezione: nell'estrema parte sinistra della pagina, nella seconda fila, un vecchio tiene, stranamente, un solo fungo. Anche la seconda divinità della prima fila sembra tenere un solo fungo: tuttavia, nel codice questa figura è così deteriorata che non possiamo dire con certezza che cosa tenga in mano (Wasson, 1983, pp. 143-6)".
Più recentemente, il gruppo di studiosi guidato da Faustino Hernández-Santiago ha proposto un'interpretazione più consona alle più recenti cognizioni nei confronti di questo codice mixteco. Nelle pagine 24 e 25 vi sarebbe raffigurato il racconto mitico della prima nascita del sole, che sarebbe in stretta relazione con i funghi allucinogeni e con il "pulque". Una storia che si riesce solamente ad abbozzare con le limitate conoscenze di cui disponiamo. La storia inizia con l'incontro di due esseri "ñuhu", uno rosso e l'altro dorato, sulle sponde del fiume Apoala o Yuta Tnoho. Gli esseri "ñuhu" fanno parte dell'insieme di esseri sovrannaturali della cultura mixteca anche oggigiorno. Sopra a questi appaiono due divinità che dialogano fra di loro, un vecchio venerabile uomo e l'eroe dei Mixtechi 9-Vento o Coo Dzavui, che rappresenta Quetzalcoatl, il serpente piumato dei Mexica. Sopra di questi appare la divinità 4-Lucertola trasformata nel sacro fungo che deve essere consumato. Segue 9-Vento che porta sulle spalle 4-Lucertola (ma nella didascalia è riportato 11-Lucertola, forse erroneamente). Queste divinità si recano verso la valle dell'antica gente morta dove vive Tlaloc e il mais primordiale. Segue la scena del dio 9-Vento che canta e suona percuotendo con un osso lo strumento musicale fatto da un teschio. Di fronte è raffigurato 7-Vento o Pilzintecuhtli con la lacrima che esce dall'occhio. La lacrima potrebbe essere causato dallo stato di trance. Dietro questa divinità sarebbero nuovamente raffigurati i due "ñuhu" rappresentati all'inizio e con un insetto notturno, un fatto che suggerirebbe che la cerimonia con i funghi è tenuta di notte. Uno dei due "ñuhu" e l'insetto sono parzialmente distrutti. Nella riga superiore sono raffigurati alcuni oggetti, fra cui una stuoia, un trono, una culla, una città murata, intesi come "elementi di un messaggio di come creare un buon regno". Seguono (continuando a leggere da sinistra a destra) sette divinità che tengono in mano dei funghi, interpretati da questi studiosi come "trasparenti". Il primo di questi, dipinto in nero, non sembra avere un nome; quello che segue non è stato identificato; seguono 4-Movimento, 1-Morte, 1-Aquila (quest'ultima la signora dei fiumi, con due funghi), 9-Erba (con due funghi) e 5-Pietra focaia (con un fungo). Segue, in basso, una scena poco chiara, dove qualcuno in nero viene gettato nel fiume e, più sotto, sembra riemergere come 7-Vento con una doppia faccia e che tiene in mano piante o funghi di colore bruno-giallastri. Di fronte a lui v'è 7-Movimento con la testa di giaguaro. Nelle pagine successive del codice si osserva la nascita del nuovo sole, e ciò è avvenuto anche mediante la cerimonia di pagina 24, che ha coinvolto 9-Vento, l'eroe dei Mixtechi, il quale ha portato i funghi sacri che sono stati consumati in totale da otto divinità del rango più elevato (Hernández-Santiago et al., 2017).
I funghi sono raffigurati anche in altri documenti. In una mappa datata al 1549 e relativa ai terreni del villaggio di Tetela, nello stato di Morelos, i nativi si lamentavano del fatto che il Marchese del Valle, per farvi passare una strada, aveva confiscato dal 1532 alcuni appezzamenti di terra chiamati Nanacatepeque che parrebbero essere stati coltivati a canna da zucchero. Questo nome, che significa "il monte dei funghi", è rappresentato da un glifo raffigurante un monte con in cima due funghi. Caso (1963, p. 34), notando la similitudine grafica di questi due funghi con quelli tenuti in mano dalle divinità della pagina 24 del Codice Vindobonensis, propose l'interpretazione fungina di questi ultimi.

 

 


Sx) Mappa dei terreni del villaggio di Tetela, Morelos, Messico, datata al 1549. Dx) Particolare del glifo del Nanacatepeque ("monte dei funghi") (da Caso, 1963, fig. 1 e 2, p. 29).

 

 

Nicholson (1966) ha individuato un altro glifo indicante il nome di una località in una mappa del 1574 che si riferisce agli appezzamenti del villaggio di Tlacopan (Tacuba). Una delle proprietà nella mappa è chiamata Nanacapan, "luogo dei funghi", e il relativo glifo è costituito da tre funghi, sopra ai quali è riportato anche il nome con le lettere dell'alfabeto latino.

 

 

 

Glifo indicante il nome di una località, Nanacapan, "luogo dei funghi", in una mappa del villaggio di Tlacopan (da Nicholson, 1966, p. 110).

 


Un'ulteriore raffigurazione di funghi allucinogeni è presente alla pagina 142 del Libro XI del "Codice Fiorentino", conservato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze. Questo Codice, che contiene il testo bilingue (nahuatl e castigliano) dell'opera di Bernardino de Sahagún "Historia General de las cosas de Nueva España", fu corredato di disegni colorati eseguiti principalmente da nativi cristianizzati, e in alcuni casi possibilmente da degli spagnoli. Il passo dove viene riferito del teonanácatl, il "fungo degli dei", è corredato da un disegno, probabile opera di uno spagnolo, dove sono rappresentati cinque funghi sorvolati da una figura demoniaca. Quest'ultima è disegnata con le caratteristiche iconografiche con cui veniva raffigurato Satana secondo i canoni della pittura gotica spagnola, cioè con artigli nelle mani e nei piedi, di cui uno probabilmente inteso come deformato, e con un becco nel viso. Il piede deformato è un tipico particolare del demonio, considerato generalmente zoppo (Heim & Wasson, 1958, p. 35).

 

 

 

Disegno della pagina 142 del libro XI del "Codice Fiorentino", con rappresentazione dei "teonanácatl", "funghi degli dei" sorvolati da una figura demoniaca.

 


Un'interessante raffigurazione di funghi è presente nella pagina 90 del "Codice Magliabecchi", conservato anch'esso a Firenze, presso la Biblioteca Nazionale Centrale. Questo codice fu prodotto da un missionario durante il XVI secolo. Nel disegno sono raffigurati tre funghi che fuoriescono dal terreno, alla loro sinistra un nativo seduto che tiene in mano un fungo e con l'altra mano ne sta avvicinando un secondo alla bocca, nell'atto di mangiarlo, e dietro di lui è rappresentata una figura demoniaca che sta toccando con una mano la sua testa. Questo personaggio rappresenta probabilmente Mictlantecihtli, signore del mondo sotterraneo. Secondo Wasson (cfr. Heim & Wasson, 1958, p. 35), il colore verde dei funghi -quelli raffigurati sorgenti dal terreno- ricorda il colore della giada, che nell'iconografia messicana indicava che l'oggetto così rappresentato era di grande valore.

 

 

 

Particolare della pagina 90 del "Codice Magliabecchi" con raffigurazione di funghi e di un individuo che li sta mangiando.

 

 

Mercedes de la Garza (2012, p. 78) ha voluto vedere una rappresentazione di funghi in una scena del "Codice Laud" (lamina XXXVIII); nello specifico, si tratterrebbe di un'interpretazione iconografica dell'albero sacro di Temoanchan, un albero della cosmogonia della cultura nahua, che ricevette una ferita a metà del suo tronco, dalla quale fuoriuscirono diverse divinità. Nella scena del "Codice Laud" i fiori dell'albero hanno la forma di funghi.

 

 

 

Raffigurazione dell'albero sacro di Tamoanchan nella lamina XXXVIII del Codice Laud (da De La Garza, 2012, p. 78, fig. 13).

 

 

Un'immagine di funghi potrebbe essere presente nel "Lienzo di Zacatepec" n. 1, noto anche come "Codice Martínez Gracida" e conservato presso il Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico. Fu prodotto fra il 1540 e il 1560 a Santa María Zacatepec, ubicata nella Mixteca della Costa, nello stato di Oaxaca. Wasson (1983, pp. 146-7), per merito di Frank Lipp, ha posto l'attenzione su un dettaglio di questo "Lienzo", dove si vede la testa di un uomo con quattro funghi che gli sputano dalla testa, disegnato su un probabile monte.

 

 

 

Dettaglio del "Lienzo de Zacatepec" (da Wasson, 1983, fig. 2, p. 146).

 


Per quanto riguarda la cultura Maya, Lowy (1980) avrebbe individuato riferimenti micologici nel "Codice di Dresda", ponendo l'attenzione su alcune divinità raffigurate in posizione rovesciata, a gambe per aria. Da diverse parti del corpo di queste divinità fuoriescono degli oggetti che ricorderebbero dei funghi. La posizione a testa in giù di queste divinità è stata associata da Lowy ad alcune antiche pietre-fungo maya, dove il gambo è costituito da un personaggio dormiente o sognante con le gambe per aria che sorreggono il cappello. Questa posizione rovesciata del corpo indicherebbe lo stato di ebbrezza fungina.

 

 

 

Esseri antropomorfi disegnati all'ingiù e a gambe all'aria. Sull'acconciatura del primo di sinistra spuntano tre oggetti fungini, e la dea I sulla destra tiene in mano un probabile piatto con dei funghi. "Codice di Dresda", p. 15(15).

 

 

Similmente, nel "Codice di Madrid", altrimenti noto come "Codice Tro-Cortesiano", anche questo d'origine maya, sempre Lowy (1972) ritiene di aver individuato immagini di offerta di amanita muscaria; ma l'identificazione è dubbia, e l'oggetto tenuto in mano dalle divinità è interpretato anche come un incensiere, un ventaglio o un sonaglio (si veda ad es. Vail, 1997).

 

 


Pagina 51b del "Codice di Madrid" (Da De La Garza, 2012, p. 185, fig. 27).

 

 

Più recentemente, Mercedes De La Garza (2012, pp. 184-9) ha riproposto l'interpretazione etnomicologica per questi oggetti e per altre rappresentazioni nel "Codice di Madrid", avendo individuato una ricorrente associazione iconografica fra il dio M -una divinità maya classicamente raffigurata in nero- il dio del mais, le piante del cacao, l'autosacrificio e gli oggetti fungini. L'autrice ha fatto notare la corrispondenza fra l'associazione iconografica fra funghi e cacao e l'assunzione della bevanda del cacao in concomitanza dell'impiego di funghi psicoattivi presso le antiche e odierne etnie messicane.