Setember 2012. I fratelli della costa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ricordo ha contorni sfumati, come una vecchia foto i cui bordi siano andati progressivamente sbiadendo, ma l'ho avuto sempre presente senza comprendere ragione per cui impresso così indelebilmente nella memoria. Io da piccolo, circa 6-8 anni, spiaggia di Cogoleto, periodo delle ferie coi miei, circa un mese, dall'ultima settimana di luglio alla penultima settimana di agosto, pensione completa da Gino sul lungomare.
Rammento che prima o dopo pranzo e cena, o sia prima sia dopo, mi sedevo sulla spiaggia che era di fronte a Gino, oltre l'Aurelia, e, parlando da solo, o meglio raccontandomi, tessevo storie di pirati, di vascelli che si stagliavano sull'orizzonte, di arrembaggi lungo la costa. Per inciso, non so perché il parlare da soli, il raccontarsi addosso, da piccoli è fatto piacevole e accettato, mentre da adulti diviene sintomo di presunto disagio mentale o, nella migliore delle ipotesi, di anomalia comportamentale.
Altro ricordo di quegli anni è lo sceneggiato che trasmise la RAI (eravamo nel 1959), "L'isola del tesoro", dall'omonimo e famoso romanzo di Stevenson, con pirati protagonisti, e, un paio d'anni dopo, è la serie in più puntate di "Giovanna, la nonna del corsaro nero", ovviamente medesimo tema, trasmessa nella TV dei ragazzi.
Imparagonabili Long John Silver e Giovanna, ma soggetto e contesto, seppur con differenti emozioni e coinvolgimento, mi facevano stare irremovibilmente incollato alla televisione.
Sono passati gli anni, e confesso che dopo oltre 50, i Fratelli della Costa mi seducono ancora: non appena ho notizia di pubblicazione di qualche romanzo che ne narra le gesta, corro in libreria, così come al cinema, se trattasi di uscita di nuovo film. Debbo dire che non mi sono piaciuti Pirati dei Caraibi e sequel: fantasy eccessiva e uno Sparrow dandy, con improbabile trucco e altrettanto improbabili movenze, lontano dagli stilemi pirateschi della tradizione e della storia. Molto più afferente all'animus, comportamento, abbigliamento, rimanendo nella cinematografia, è stato capitan Red, in "Pirati" di Polanski, quello per intenderci di "acqua in bocca e pepe al culo".
Perché i pirati, e, per intendersi, i pirati che seminavano il terrore nei Caraibi? Come sempre, quando vi è attrazione, alcune motivazioni sono presumibilmente individuabili, altri non riusciamo a identificarle... risiedono nell'inconscio e non sappiamo darne lettura. Individuabili erano, e sono, il rischio e l'avventura, la libertà di azione, il mare esotico dei tropici, la ribellione, saccheggiare le grandi potenze di allora, giocarsi la vita ad ogni arrembaggio, l'egalitarismo sulla tolda.

 

 

 

 

 

Jack Sparrow(Johnny Depp)

 

 


 
  Thomas Bartholomew Red(Walter Matthau)
 

 
 


Prima di calarci tra i Fratelli della Costa, occorre una precisazione: riaffermare la differenza sostanziale tra pirata, bucaniere, filibustiere e corsaro. La differenza consiste nel fatto che il corsaro era autorizzato ad assalire e depredare i nemici di uno Stato, e quindi doveva essere considerato un combattente regolare. La individuazione quale corsaro veniva comprovata da uno speciale documento detto " lettera di marca " o "lettera di corsa", rilasciato dal sovrano per conto del quale il corsaro agiva. In cambio di tale autorizzazione, lo stato incamerava una percentuale notevole sull'intero bottino.
In genere il corsaro era autorizzato a colpire solo le navi ed i beni di stati nemici, e quindi in teoria era tenuto a rispettare i navigli di stati alleati o neutrali, anche se talvolta tale distinzione non sempre era tenuta in gran conto. La differenza più evidente fra pirati e corsari era che questi ultimi, se catturati, soggiacevano alle norme previste dal diritto bellico marittimo, venendo imprigionati, al pari di un qualsiasi prigioniero di guerra, mentre i pirati catturati erano sommariamente giustiziati, in genere per impiccagione alla varea (estremità, parte terminale) del pennone di un fuso maggiore, al fine di fornire una tangibile prova della potenza della giustizia umana e fungere al contempo da salutare ammonimento per chi fosse tentato d'intraprendere una simile attività. Indi, semplicemente, il corsaro era un mercenario al soldo di una grande potenza dell'epoca, il pirata era un uomo libero.

 

 

 

 


 
 William Kidd(1645-1701)

 

 

 

 


 
 Jean David Nau detto Francois l'Olonnais(1634-1671)
 
 

 
 
Per "el mestée al mes" ho riportato, tra l'altro, un riassunto di due saggi di due docenti statunitensi, Marcus Rediker, storico dell'Universita' di Pennsylvania, e Peter T.Leeson, economista dell'università della Virginia, che esprimono interessanti analisi politico-economiche sulla pirateria.

 

 

 

 


 
 Herny Avery(1659-1696?)

 

 

 

 


 
 Samuel "Black Sam" Bellamy(1689-1717)
 

 


 
 "Ho il diritto di far guerra al mondo intero" e questo "me lo dice la mia coscienza". Cosi' dichiarava Charles Bellamy(o forse Samuel Bellamy, mia nota) il pirata, con accenti degni di un "principe sovrano". Persino i pii ministri del culto della Nuova Inghilterra riconoscevano che quelli come lui sapevano "beffarsi della paura" e "ridere degli stessi tuoni di Dio". Siamo nel primo Settecento, e il "libero pensiero" deve ancora dispiegarsi. Da secoli i tutori di Legge e Ordine maledicevano le due maggiori insidie del mare, appunto "tempeste e pirati", questi ultimi dannosi per i commerci e la prosperita' di "regni e repubbliche" ancor piu' delle prime, perche' capaci di sfruttare con astuzia "maligna" le stesse risorse della natura. I pirati rappresentavano "le figure piu' selvagge che la mente possa concepire", scriveva nella sua Storia dei pirati il "capitano Charles Johnson", ovvero Daniel Defoe, che per noi e' soprattutto l' autore di Robinson Crusoe.
La Royal Navy era ormai decisa a spazzar via gli scorridori del mare ovunque minacciassero la rete delle comunicazioni marittime che costituiva la "circolazione sanguigna" dell'impero britannico; coloro che avevano innalzato prima il drappo rosso della ribellione, poi il Jolly Roger, la bandiera nera con il teschio e le ossa incrociate, percepivano piu' o meno oscuramente di aver intrapreso una "crociera per l' inferno"; e ben pochi tra teologi, filosofi, moralisti, giuristi, e cosi' via, avrebbero dato prova nei confronti di tale "geni" a malvagia, stupida, abominevole della moderazione che traspare dal sillogismo dello Stagirita: "le genti di mare sono protette dagli dei; i pirati sono gente di mare; dunque..."anche su di loro dovra' pur posarsi l'occhio benevolo di qualche divinita'. Cosi' insegnava Aristotele, maestro di logica.
Ma i pirati "moderni" sembravano indifferenti tanto a Poseidone quanto a Cristo, come avra' modo di constatare il lettore di questo libro di Marcus Rediker. Che non e' dedicato solo ai predoni degli oceani: l'eroe che gioca la sua sorte "tra il diavolo e il profondo mare azzurro" e' piuttosto il comune "lavoratore del mare", il "Jack Tar" del mondo atlantico, il marinaio semplice perennemente in lotta non solo con le insidie della natura, ma anche con l'avidita' degli armatori, l'egoismo dei mercanti, la crudelta' del capitano e degli ufficiali.
Confinato sul "mondo di legno" di un vascello che materialmente e simbolicamente ha tagliato gli ormeggi con il "mondo civile", arruolato a forza su una nave militare, accettato su una corsara o salariato su un mercantile, Jack Tar sperimenta tutte le perversioni di un microsistema tendente al totalitarismo.
Ma... "giuro su Dio che se vi avvicinate e tentate di colpirmi, vi stacchero' un braccio, Signore", sapeva ribattere un qualsiasi William Garrett, convincendo con un' accetta il suo capitano Stephen Yoakley a piu' miti consigli. Gli uomini del mare, al contrario dei confratelli di terraferma, erano capaci di volgere la situazione a loro vantaggio, non foss'altro per il fatto che il "mondo di legno" isolava i potenti di turno dalle istituzioni da cui traevano autorita' e forza. Come diceva un vecchio lupo di mare a un novizio sul finire del Seicento: "caro il mio ragazzo, a bordo non c'e' ne' giustizia ne' ingiustizia. Ci sono solo due cose e facci attenzione: il dovere e l' ammutinamento".
Se questo era il dilemma di Jack Tar, e' ben comprensibile che la societa' dei pirati rappresentasse ai suoi occhi non l'inferno di cui predicavano i Cotton Mather e i Benjamin Colman, ma il paradiso tutto terrestre di Bartholomew Roberts, il filibustiere che garantiva a tutti i suoi seguaci "l'abbondanza e la sazieta", gli agi e i piaceri, la liberta' e il potere; e chi non la riterrebbe la partita vincente, quando tutto il rischio che si corre e', nel peggiore dei casi, di morire strangolati con un paio di smorfie", sospeso alla forca?
Sulle tracce dei pirati ci porta dunque questo libro di Marcus Rediker: "la mano che rattoppava le vele bianche ricamava poi il teschio e le ossa incrociate su una bandiera nera".
(...)
Eppure nella cultura della pirateria lo scrittore scozzese rintracciava, quasi suo malgrado, un sistema di garanzie e un meccanismo di decisione democratica che, all'epoca in cui si svolgono i fatti, erano introvabili non solo in qualunque contrada dell'Europa continentale, ma anche nelle terre assoggettate alla Corona britannica: "Vogliate scusare, signore", rispose uno degli uomini, "voi ve la cavate in fretta riguardo a qualcuna delle nostre leggi; vi saremmo riconoscenti se deste un'occhiata anche alle altre. Mi prendo la licenza di dire che l'equipaggio non e' soddisfatto, l'equipaggio non vuole essere strapazzato come un punteruolo da velaio, l'equipaggio ha i suoi diritti come gli altri equipaggi; e in base alle regole che dite, ritengo che possiamo consultarci tra noi. Scusate, signore. Per il momento riconosco che voi siete il capitano, ma reclamo i miei diritti e me ne vado fuori a tenere consiglio".
Come aveva ammesso lo stesso Defoe, il tratto piu' affascinante dei pirati non era solo la tolleranza dei vari credo religiosi, delle scelte di vita e dei comportamenti che i loro contemporanei del "mondo civile" giudicavano devianti, ma il loro istinto di liberta'.
Non a caso capitan Johnson aveva paragonato lo spirito di resistenza dei filibustieri a quello di Spartaco o a quello degli indomabili rivoltosi d'Irlanda. Se e' lecito un ricordo personale, ho cominciato ad appassionarmi alle imprese di bucanieri, filibustieri e fratelli della costa sfogliando una memorabile serie di inserti illustrati di Epoca (inventata da Roberto Leydi, Arrigo Polillo e Tommaso Giglio, 1957). Ma ho imparato da Paul Feyerabend che le "strutture protettive" di cui la nostra societa' "aperta e democratica" va tanto fiera non sono mai state concesse da qualche despota illuminato o da qualche e' lite al potere, ma sono state loro strappate con la contrattazione o con la violenza. In questo senso, i pirati hanno insegnato anche agli altri a essere liberi.
Come sottolinea Marcus Rediker, sapevano organizzare all'occorrenza un forum di discussione democratica che ha il suo miglior precedente nelle assemblee del New Model Army al tempo della Rivoluzione inglese. Riconoscevano il piu' ampio diritto di espressione, con un'audacia degna dei ranter (letteralmente "concionatori") piu' sbraitanti dell'eta' del Commonwealth. Sapevano regolarsi secondo "patti del popolo" liberamente sottoscritti, nello spirito di John Lilburne e degli altri coraggiosi livellatori inglesi.
I piu' colti tra loro non disdegnavano di citare l'esempio delle citta' stato dell'antica Grecia o della Roma repubblicana al momento di una votazione, ma concedevano a chi restava in minoranza una sorta di diritto d'uscita, in breve la facolta' di andarsene e tentare la fortuna per proprio conto.
Come disse un testimone, "ogni uomo aveva lo stesso diritto di parlare che aveva il capitano e si teneva le armi indosso anche nel letto". Non pare fuori luogo ricordare che siffatti diritti parvero irrinunciabili ai padri della Costituzione americana, quei "risoluti ribelli" (il termine e' di Abraham Lincoln) che seppero spezzare il legame con il re e il parlamento della "madrepatria". Come nel caso di Charles Bellamy(o forse Samuel Bellamy, mia nota), la coscienza era dunque superiore alla legge. Proprio cio' che vorrebbero farci dimenticare l'armatore Trelawney (il "signore del paese"), il dottore Livesey e il capitano Smollett, tutori della legge sino all'inganno.
E per quanto concerne la (cosiddetta) "violenza" dei pirati, essa rientra in quel processo di formazione delle societa' aperte e democratiche di cui oggi tessono le lodi i moderati di ogni forma e colore: quelli stessi che allora le avrebbero esecrate come esempi di licenza e anarchia. Rediker ricostruisce in questo volume un anello della tradizione di resistenza popolare alle autorita' costituite che va dai Church Rebels del Seicento alle "genti meccaniche" . contadini, artigiani e altri lavoratori "entusiasti", che costituivano il rank and file degli eserciti rivoluzionari d'Inghilterra e d'America, con una particolare attenzione a quello spirito antinomiano e libertario che non s'accontentava della sostituzione di un potere con un altro, ma che sapeva percepire che "ogni vincolo, in quanto vincolo, e' un male". Nelle stive umide e buie... marinai e pirati crearono le basi dello sviluppo sociale della classe lavoratrice in America e Inghilterra. (Giulio Giorello, dalla prefazione al volume "Sulle tracce dei pirati" di Marcus Rediker, storico dell'Universita' di Pennsylvania, che sulla base di ricerche negli archivi statunitensi e britannici ha ricostruito la storia della vita sui mari nel XVIII secolo).

 

 

 

 


 
 Carta geografica della Tortuga XVII secolo
 

 

 

 


 
 Mappa originale de L'isola del tesoro di R.L.Stevenson
 
 


 
 I padri non riconosciuti della moderna democrazia e delle regole di mercato? Sono i pirati che, in particolare tra Seicento e Settecento, solcavano con le loro navi l'Oceano a caccia di pingui bottini. Per dimostrarlo Peter T. Leeson, docente all'università della Virginia, ha scritto un dotto ma godibilissimo saggio ("L'economia secondo i pirati. Il fascino segreto del capitalismo") nel quale offre prove in abbondanza che i predatori del mare seguivano un comportamento razionale al fine di aumentare il più possibile gli utili, obbedendo in maniera spontanea a leggi che in seguito avrebbero trovato spazio nelle Costituzioni e nei trattati dei teorici del capitalismo. In proposito Leeson chiama in causa le procedure seguite per nominare il capitano di ogni vascello (scelto a maggioranza e con voto palese dall'equipaggio) e per la spartizione dei bottini, sempre divisi in parti eguali.
In sostanza, argomenta lo studioso, la politica dei predoni basata sull'intimidazione contro il nemico esterno e sul buon governo al proprio interno, portava sostanziosi vantaggi, gli stessi che in seguito avrebbero ispirato i padri dei sistemi democratici occidentali. Pura coincidenza, è ovvio. Che però basta a smentire il luogo comune dei pirati come assassini immorali e violenti. In realtà questi gruppi di uomini privi di istruzione furono i primi a intuire i meccanismi fondanti del capitalismo, in seguito fissati da Adam Smith, e ad applicarli nella pratica.
A dispetto di quanto narrato nei romanzi d'avventura oppure nei film, i pirati erano in genere pacifici. La mitica "Jolly Roger", la bandiera nera con teschio e ossa incrociate di colore bianco, veniva issata a beneficio dei mercantili intercettati allo scopo di mandare un messaggio: arrendetevi, mollate il carico e non vi sarà torto un capello. Ci si doveva fidare della promessa? Certamente, sottolinea Leeson documenti alla mano, visto che gli scontri erano rari. Senza contare che gli assalti non convenivano neppure ai pirati, poiché potevano provocare morti o feriti e, dunque, danni e costi inutili. La logica che li ispirava era dunque simile a quella della celebre "mano invisibile" del mercato di cui nel 1776 parlò Adam Smith. E non a caso nella sua versione originale il saggio di Leeson si intitola The Invisibile Hook, ovvero "l'uncino invisibile", con un esplicito rinvio alla teoria del filosofo scozzese. Se per Adam Smith la ricerca dell'utile personale di ciascun individuo produceva la ricchezza complessiva della nazione, allo stesso modo l'egoismo di ciascun pirata era funzionale all'economia di quello "stato in miniatura" rappresentato dalla nave di questi predatori del mare.
I pirati erano, insomma, "fuorilegge assoluti", ma capaci di mettere a punto e di rispettare forme molto articolate di autogoverno che assomigliavano a quelle in seguito adottate dalle democrazie. Per convenienza, è ovvio. E tuttavia con circa un secolo di anticipo rispetto al sistema di checks and balances poi stabilito dai Padri Fondatori degli Stati Uniti e grazie a una governance che farebbe invidia alle multinazionali di oggi.
(...)
All'inizio del XVIII secolo un marinaio esperto guadagnava grazie al suo mestiere "legale" tra le quindici e le trenta sterline l'anno, mentre arruolandosi sotto l'insegna della "Jolly Roger" ne ricavava in media mille. Ecco il motivo per cui uno dei predoni più noti dell'epoca, il capitano Roberts, scrisse che chi non preferiva la pirateria era uno sciocco: "In un lavoro onesto ci sono pasti magri, bassi salari e dura fatica; qui da noi ricchezza e sazietà, piacere e agio, libertà e potere; chi non opta per questa scelta, nonostante i rischi che si corrono, merita scarsa considerazione".
Quale lezione si può ricavare, a giudizio di Leeson, dal periodo d'oro dei pirati? La loro epopea, osserva chiudendo il volume, ci fornisce la prova che furono i predoni a mettere a punto, per istinto, un sistema di logica economica dal quale ebbe origine in seguito il sistema capitalista e, a cascata, prese forma la democrazia. Se poi, aggiunge, la storia della pirateria "classica" ebbe in sostanza fine intorno al 1720 la causa va ricercata nel loro successo. Gli inglesi, in sostanza, decisero di non poter più tollerare le ingenti perdite al commercio causate dall'azione dei pirati e inviarono nei Caraibi una flotta per riuscire a smantellarne le basi. Ma la storia dei "banditi del mare" si dimostra ancora assai attuale, secondo lo studioso, visto che "staremmo tutti meglio se tutti i cittadini difendessero la divisione del potere del loro stato con la stessa gelosia che dimostravano i pirati, capaci di inventare quel modello di governance democratica che il mondo moderno considera uno dei suoi valori più alti e più preziosi". (R.Bertinetti)
 
 
 
 


 
 


 Anne Bonny(1700-1782) Mary Read(1690-1721)

 

 

 

 


 
 Edward Low(1690-1724)
 
 
 


 La ciurma conferiva al capitano autorità indiscussa nel combattimento, nell'inseguimento o nella fuga, ma in tutte le altre questioni, di qualsiasi cosa si trattasse, egli era sottoposto alla maggioranza. La maggioranza lo eleggeva, ma lo poteva anche deporre. Ai capitani veniva tolta la carica per codardia, crudeltà o rifiuto di assalire e depredare vascelli inglesi.
(...)

La scelta democratica degli ufficiali riecheggiava pretese simili a quelle avanzate nel New Model Army durante la rivoluzione inglese e contrastava nettamente e significativamente con la struttura quasi dittatoriale dell'autorità nel sevizio commerciale e nella Royal Navy. Per prevenire l'abuso di autorità i pirati delegavano al quartiermastro, eletto per rappresentare e proteggere gli interessi della ciurma, poteri di bilanciamento. [...] Aveva le funzioni di "magistrato civile, e distribuiva le cose necessarie "a tutti con eguaglianza", prendendo attente precauzioni contro l'uso irritante e foriero di divisione del privilegio e delle preferenze.
(...)

Questo contenimento dell'autorità entro un esecutivo duplice e rappresentativo era un tratto distintivo dell'organizzazione sociale dei pirati. Le decisioni più rilevanti per il benessere della ciurma erano in genere riservate al consiglio, l'autorità suprema a bordo delle navi dei pirati, i quali si basavano su una tradizione antica, secondo la quale, nel momento di prendere decisioni importanti, il capitano doveva consultarsi con l'intero equipaggio.
(...)

Ma i pirati democratizzarono queste tradizioni. In genere i loro consigli includevano tutti gli uomini della nave. Il consiglio decideva dove si potevano trovare i bottini più ricchi o come risolvere i dissensi più distruttivi. Alcune ciurme si servivano costantemente del consiglio, decidendo ogni cosa a maggioranza; altri lo attrezzavano come una corte di giustizia. Le decisioni di questo corpo erano sacrosante; anche il più audace capitano non osava disobbedire a un mandato del consiglio. [...] La distribuzione della preda veniva regolata esplicitamente dagli articoli della nave, che distribuivano il bottino secondo le abilità e i doveri. I pirati usavano il sistema precapitalistico dei dividendi per ripartire le spoglie.
Il capitano e il quartiermastro ricevevano da un dividendo e mezzo a due; i capicannonieri, i nostromi, gli ufficiali, i maestri d'ascia e i medici da uno e un quarto a uno e mezzo; tutti gli altri ne avevano uno. Questo sistema di paga differiva radicalmente dalle pratiche adottate dal servizio commerciale, nella Royal Navy o persino nella guerra di corsa. Rappresentava un livellamento dell'elaborata gerarchia dei ranghi di paga e riduceva decisamente la disparità tra la cima e il fondo della scala. Anzi doveva probabilmente trattarsi di uno dei più egualitari piani di distribuzione delle risorse del primo Settecento.
(...)

Ma non tutto il bottino veniva distribuito in questo modo. Una porzione andava in un "fondo comune" per gli uomini che subivano lesioni permanenti. La perdita della vista o di un arto meritava una ricompensa. Con questo sistema di previdenza i pirati tentavano di tutelarsi contro i danni causati dagli incidenti, di proteggere le competenze, di incoraggiare il reclutamento e di promuovere la fedeltà di gruppo. (M.Rediker)

 

 

 

 


 
  Edward "Blackbeard" Teach(1680?-1718) 

 

 

 

 


 
 Bartholomew "Black Bart" Roberts(1682-1722)
 
 

 


 
 
Fu redatto un vero e proprio Codice Etico dei Pirati (Code of the Brethren States), che conteneva regole di massima per tutte le navi della Fratellanza. Ovviamente ogni vascello, poi, era una storia a sé. Prima del contratto d'imbarco, ogni pirata visionava il codice per decidere se era di suo gradimento. Comunque esistono testimonianze scritte del codice, redatte qualche anno più tardi da famosi filibustieri. Ci sono i codici di Edward Low e John Phillips, capitano pirata del Revenge. Il più famoso è quello di Black Bart Roberts, stilato nel 1721. Ispirato, pare, alla versione di Morgan.
Naturalmente ce ne sono molti altri, che presentano anche grandi differenze da questo. Quelli che contengono elementi troppo "romantici", come rimandi all'onore, ai duelli o al rispetto delle donne a bordo, di solito sono dei falsi del XIX secolo, epoca d'oro dei romanzi d'appendice. Ecco le undici regole del codice di Black Bart Roberts:
 
I. Ogni marinaio ha diritto di voto in tutte le questioni; ha ugualmente titolo alle provvigioni fresche e ai liquori forti e può usufruirne in qualunque momento e a piacere, a meno che non ve ne sia penuria. In quel caso, con un voto, la ciurma può decidere delle restrizioni.
 
II. Quando è il suo turno, ogni marinaio può chiedere a bordo una parte del bottino (in aggiunta alla sua parte) se ne ha ragionevolmente bisogno; in queste occasioni può anche chiedere un cambio dei vestiti. Ma se un uomo ruba alla compagnia valuta in moneta, gioielli, oro o altro metalli preziosi, viene immediatamente condannato all'abbandono (cioè veniva lasciato su un'isola o uno scoglio deserto, lontano dalle rotte, con una pistola carica e una borraccia d'acqua, n.d.r.). Se un marinaio dovesse rubare a un altro, il colpevole verrà punito col taglio delle orecchie e del naso, e sarà lasciato a terra; non in un posto completamente disabitato, ma comunque in un luogo poco ospitale.
 
III. Nessuno può giocare d'azzardo a bordo, a carte o a dadi.
 
IV. Le luci e le candele vanno spente alle otto di sera. Se qualcuno dei marinai volesse continuare a bere dopo quell'ora, dovrà farlo sui ponti scoperti.
 
V. Tutti devono mantenere le loro armi, pistole e coltelli puliti e pronti per essere usati.
 
VI. Non sono permessi donne e bambini a bordo. Se qualunque uomo dovesse portare donne travestite a bordo, verrà punito con la morte.
 
VII. Chi diserta dalla nave o non prende parte a una battaglia, sarà punito con la morte o l'abbandono.
 
VIII. Nessun uomo può colpirne un altro a bordo. Le dispute vanno risolte a terra, all'arma bianca o con la pistola.
 
IX. Nessun uomo può dichiarare che un ordine porterà alla morte; se lo farà, sarà punito con mille colpi. Se a seguito di un ordine un uomo perderà un arto, sarà risarcito con 800 dollari, presi dal bottino comune. Se subirà ferite minori, sarà risarcito con una somma minore, proporzionale al danno.
 
X. Il capitano e il secondo di bordo ricevono due parti del bottino; l'ufficiale anziano, il nostromo e il cannoniere una parte e mezza, gli altri ufficiali una parte e un quarto.
 
XI. Chi ne ha diritto può riposare il giorno del Sabbath; ma negli altri sei giorni e notti, nessuno gode di nessun tipo di favore.

 

 

 

 


 
 


La famosa bandiera issata dai velieri dei Fratelli della Costa era chiamata Jolly Roger. Generalmente riportava un teschio sopra due tibie incrociate, ma numerose erano le variazioni, alcune escludenti in toto il simbolo. L'origine del termine "Jolly Roger" non è chiaro. Una teoria vuole che derivi dal francese "jolie rouge", che in inglese venne corrotto in "Jolly Roger". Questo potrebbe essere verosimile poiché esisteva una serie di "bandiere rosse" che erano ben più temute delle "bandiere nere". La bandiera rossa infatti significava morte certa. L'origine delle bandiere rosse è probabilmente legata al fatto che i corsari inglesi del 1694 usavano una "red jack" (un vessillo color rosso, appunto) su ordine dell'ammiragliato. Quando la guerra di successione spagnola finì, nel 1714, molti corsari si diedero alla pirateria e alcuni mantennero la bandiera rossa, poiché il rosso simboleggia il sangue. Non importa quanto gli uomini di mare temessero la bandiera nera dei pirati, tutti pregavano di non incontrare mai la "jolie rouge". La bandiera rossa dichiarava spavaldamente le intenzioni dei pirati, cioè non dare quartiere. Nessuna vita sarebbe stata risparmiata, nessuno scampo concesso.
Solo successivamente, intorno al 1700, il termine venne usato per la bandiera nera con teschio e ossa. Un'altra teoria è che il termine possa derivare dal vocabolo inglese "roger", che significa vagabondo: "Old Roger" era un termine usato per il diavolo. La Jolly Roger veniva issata e sventolata affinché venisse vista dal veliero da arrembare; di primo acchito poteva sembrare inopportuno avvisare il veliero, avvertendolo della presenza di una nave pirata. Tuttavia, questa tattica può essere considerata una forma primitiva di guerra psicologica.
L'obiettivo primario di un pirata era catturare la nave intatta e il suo carico: con una reputazione sufficientemente spaventosa, un pirata che mostrava la Jolly Roger(si comprende ancor più il valore distintivo della personalizzazione del simbolo) poteva arrivare a intimidire l'avversario e costringerlo alla resa senza nemmeno entrare in combattimento. Se una nave decideva di resistere all'abbordaggio la Jolly Roger veniva abbassata ed era issata la bandiera rossa, indicando che la conquista sarebbe avvenuta con la forza e senza pietà.
Di seguito qualche Jolly Roger personalizzata da famosi pirati.

 

 

 

 


 
 Edward Low Jolly Roger

 

 


 
 Edward "Blackbeard" Teach Jolly Roger

 

 


 
Henry Avery Jolly Roger

 

 

 

Jack "Calico Jack" Rackham Jolly Roger

 

 


 
Stede Bonnet Jolly Roger

 

 


 
Thomas Tew Jolly Roger