Agust 2022. Cellule, virus, mutazioni, vaccini.

 

 

 

 

Il “mestée” del mese è dedicato a fare il punto sugli aspetti biologici, virologici e immunologici che il covid19 ha portato all’attenzione del grande pubblico. Dopo tante discussioni inutili, fake news e polemiche, conoscere bene un argomento, sapere di cosa parliamo, ci consente non solo di essere più coscienti e preparati ma anche di difenderci meglio da false notizie e bufale.
Il testo riportato è del dr. Giuliano Parpaglioni (biologo) e data aprile 2022.
Un collegamento “di mestiere” è da farsi, a tuo volere e piacimento, col “mestée” al link

https://www.mwankana1952.it/pag.php?id=45&idsc=79

 

 

 

 


 

 

 

 

Due anni di pandemia, due anni di problemi enormi dal punto di vista organizzativo, sanitario e sociale. In questi due anni abbiamo imparato parole nuove, che ormai sentiamo anche a livello colloquiale: Coronavirus, proteina spike, anticorpi, vaccino a mRNA.
Molti sono abituati a sentire parlare di queste cose, ma la diffidenza che si ha verso i vaccini, gli attacchi agli hub vaccinali e la diffusione degli alternativi che instillano paura nella popolazione dimostrano che, per molti, queste parole sono ancora misteriose. Eppure, nascondono un mondo affascinante: capire queste parole significa capire perché il corpo umano reagisce in un dato modo, perché il virus muta e perché abbiamo bisogno di un vaccino. I dettagli sono complicati, ma cercherò di semplificare, iniziando a parlare di cosa succede alle cellule del nostro corpo. Dovrò necessariamente sorvolare sui dettagli, spero che gli addetti ai lavori perdonino le inevitabili imprecisioni.


La cellula, ovvero: da dove spuntano le proteine.
Le cellule del nostro corpo hanno tutte la stessa struttura: una membrana esterna fatta di grasso in cui sono inserite una quantità di proteine, un ambiente interno pieno di organelli con le funzioni più disparate e immersi in acqua, e un nucleo, separato dall’ambiente acquoso interno, di nuovo da una membrana fatta di grasso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’ambiente acquoso compreso tra il nucleo e la membrana esterna avviene la maggior parte delle cose che avvengono in una cellula. Ad esempio, qui troviamo i ribosomi, che sono organelli dalla struttura piuttosto complicata e che hanno un compito molto importante: sintetizzare le proteine. Per farlo, i ribosomi raccolgono dall’ambiente acquoso gli amminoacidi e li legano insieme: una proteina è infatti una catena di centinaia, a volte migliaia di amminoacidi.
Come fa il ribosoma a sapere quale amminoacido va messo in quel dato punto della proteina? Ora ci arriviamo.
Nel nucleo della cellula risiede il DNA, che tutti conosciamo anche come patrimonio genetico o materiale genetico. I geni, in particolare, sono parti di DNA che funzionano da stampo per la sintesi di una molecola simile, l’RNA messaggero, o mRNA. Dato che il DNA non può uscire dal nucleo, anche l’mRNA si forma nel nucleo, ma lui può uscirne. Una volta uscito dal nucleo incontra i ribosomi, e qui avviene la magia: i ribosomi sanno leggere l’mRNA e a ogni porzione sanno abbinare uno specifico amminoacido. Una volta usato dai ribosomi, l’mRNA viene degradato [distrutto, ndr].
Riassumendo: un particolare gene, ovvero una piccola porzione di DNA, fa da modello per un mRNA, questo esce dal nucleo e viene letto dai ribosomi che fanno una vera e propria traduzione: traducono il linguaggio dell’mRNA in quello delle proteine. Esistono migliaia di tipi diversi di proteine perché esistono migliaia di geni che danno origine a migliaia di mRNA che vengono tradotti dai ribosomi. Ultima cosa da sapere: le proteine hanno forme tridimensionali specifiche e dalla loro forma dipende la loro funzione. La sequenza di amminoacidi che la compone decide se la proteina è globulare, filamentosa, a forma di uncino, a forma di Y e così via. Anche solo la sostituzione di un singolo amminoacido su migliaia potrebbe cambiare la forma della proteina, modificando l’efficacia della sua funzione.


Gli anticorpi sono proteine, i linfociti B sono la loro fabbrica.
Avendo chiaro ora il funzionamento di una cellula in generale, possiamo parlare delle cellule che producono gli anticorpi: i linfociti B. Queste cellule hanno una vita molto rischiosa: la maggior parte di esse, infatti, muore prima di riuscire a maturare. Il fatto è che sono dannatamente pericolose: producono anticorpi, delle proteine speciali capaci di legarsi ad altre strutture e scatenare così una risposta immunitaria contro quelle stesse strutture. Esiste una sola cellula, o comunque poche, per ogni tipo di anticorpo possibile. Il problema grande è che quando dico ogni tipo di anticorpo, intendo anche che ci sono cellule che attaccherebbero le strutture corporee. Durante la maturazione, qualsiasi cellula riconosca qualcosa viene uccisa (accade alla maggior parte delle cellule neonate), rimangono solo quelle che non riconoscono nulla e che, quindi, si scaglieranno contro strutture che non esistono nell’organismo.
Cosa succede quando entra qualcosa di estraneo? Succede che viene processata dall’organismo (ad esempio fagocitato da un macrofago) e alcuni frammenti vengono esposti sulle membrane cellulari (come ho detto: sulle membrane ci sono anche proteine); dopo qualche tempo e qualche passaggio aggiuntivo, questi frammenti arrivano ad attivare i linfociti B, che reagiscono di conseguenza.
La reazione consiste nella produzione di anticorpi e nella moltiplicazione. Più cellule ci sono, più anticorpi si producono e si riesce a contrastare meglio l’agente esterno. Questa cosa richiede tempo, mediamente un paio di settimane per la prima volta che si viene a contatto con un agente nuovo. Dal secondo incontro, i linfociti B sono aumentati di numero e sono già pronti a intervenire, quindi ci vuole molto meno tempo. Gli anticorpi sono proteine dalla forma a Y e sono capaci di riconoscere alcune strutture specifiche, porzioni di proteine o piccole molecole. Una volta riconosciute, si legano a esse e scatenano la risposta immunitaria, facilitando il compito delle altre cellule del sistema immunitario nel combattere l’aggressore.
Può farlo in due modi: legandosi a una struttura importante, per impedirgli di funzionare, o anche legandosi alla struttura estranea e venendo riconosciuto dai macrofagi, che faranno pulizia di tutto. Quando l’agente esterno è un batterio, questo secondo effetto è preponderante: il batterio viene così riconosciuto e fagocitato.
Quando invece è un virus, è importante anche la cosiddetta neutralizzazione, ovvero gli si deve impedire di funzionare. Ma che cos’è un virus?


I virus e il sistema immunitario.
Sir Peter Medawar è stato un biologo britannico, premio Nobel per la medicina nel 1960. Fu lui a dichiarare che i virus sono una brutta notizia avvolta in una proteina, e come definizione è decisamente adeguata. I virus, infatti, sono organismi estremamente semplici e piccoli, molto più piccoli di un batterio. Non hanno una struttura cellulare, non hanno un loro metabolismo, sono strutture biochimiche capaci sono di moltiplicarsi all’interno di una cellula, sono parassiti che sfruttano le cellule per diffondersi e che non hanno senso di esistere senza cellule da infettare.

 

 

 

 

 

 

 


La loro struttura più semplice è formata da un qualche materiale genetico, DNA o RNA, circondato da una struttura proteica. Alcuni, oltre a questo, hanno anche un rivestimento di grasso simile alle membrane delle cellule, con tanto di proteine inserite in esso. Dato che la membrana esterna, quando c’è, è di grasso e dato che la membrana della cellula è pure di grasso, a volte l’ingresso del virus prevede la fusione delle due membrane, per poi far entrare dentro la cellula solo l’interno del parassita. Altre volte è più complesso e prevede una azione attiva della cellula. In tutti i casi, però, c’è bisogno prima di tutto di un riconoscimento: una proteina del virus deve riconoscere una proteina della cellula, per poter attivare qualsiasi tipo di interazione.
Nel caso di SARS-CoV-2, conosciamo tutti gli attori in causa: la proteina del virus è la proteina spike, mentre quella della cellula è chiamata recettore ACE-2.
La cosa funziona un po’ come il velcro: le due proteine si riconoscono e si uniscono. Formato questo legame, il virus può entrare. SARS-CoV-2 libera nell’ambiente acquoso della cellula il suo materiale genetico, rappresentato da una molecola di mRNA che contiene vari geni, quindi codifica per la proteina spike e per tutte le altre proteine virali. Questo mRNA fa quel che fanno tutti gli mRNA prodotti dalla cellula: si unisce ai ribosomi che, ciechi all’origine del filamento e obbedienti alla loro natura, su quello stampo sintetizzano le proteine del virus. A quel punto è fatta: il virus produce le proprie proteine sfruttando la cellula, si moltiplica e si diffonde nell’organismo.


Il contrattacco. I linfociti B contro il virus.
Una volta entrato, (il virus, ndr) deve moltiplicarsi quanto più gli è possibile prima che il sistema immunitario reagisca. Come ho già detto, se è la prima volta che il virus entra nell’organismo, ci vuole tempo per avere le difese contro di lui: ecco perché la malattia dura giorni o settimane. Purtroppo, per alcuni questo tempo è anche troppo, si aggravano e rischiano la vita.
La maggior parte delle persone, per fortuna, guarisce, e lo fa grazie agli anticorpi prodotti dai propri linfociti B, che si legano alla proteina spike del virus impedendogli di legarsi al recettore ACE-2 e facilitandone l’eliminazione. La risposta immunitaria è ovviamente molto complessa, non riguarda solo i linfociti B: esistono parecchi tipi di cellule del sistema immunitario e tantissime molecole che vengono prodotte contro il virus e a favore di una attivazione sempre più potente della risposta immunitaria. Attenzione: a volte è addirittura questa attivazione molto potente a causare danni, perché il sistema immunitario è programmato per distruggere gli agenti esterni, e facendolo può ovviamente causare danni collaterali. Un esempio di questa reazione estrema è la famosa tempesta di citochine: vengono prodotte moltissime molecole che stimolano il sistema immunitario e quando avviene in parti sensibili del corpo (come, ad esempio, i polmoni) il danno può essere letale. Per fortuna un evento del genere non è sempre presente.


Vaccini e varianti.
Da che mondo è mondo, la ricerca scientifica non si ferma solo perché c’è una pandemia in corso, anzi, mette le ali ai piedi. In tempo di record sono stati sviluppati vaccini contro SARS-CoV-2, vaccini che hanno sfruttato nuove o nuovissime tecnologie, in modo da facilitare la produzione e la diffusione di questi importanti farmaci. Ho già scritto tempo fa un post introduttivo a riguardo, da allora i modi per creare un vaccino sono aumentati e quelli di cui si discute di più sono quelli a DNA e quelli a RNA.
Abbiamo detto che una volta che il virus entra nell’organismo, alcuni linfociti B si attivano, si moltiplicano e producono anticorpi specifici contro di esso e per far questo ci vogliono giorni o settimane. Non sarebbe più bello, invece, se in caso di infezione avessimo già il numero di linfociti B giusto per produrre immediatamente le nostre difese efficacemente? Ecco, questo è lo scopo di tutti i vaccini. Qualsiasi sia la tecnologia vaccinale, l’effetto è sempre lo stesso: andare a svegliare le nostre difese prima che arrivi il patogeno, in modo da averle pronte nel caso in cui arrivasse.
Abbiamo vaccini che presentano l’intero patogeno inattivato (ovvero incapace di moltiplicarsi, morto), oppure patogeni indeboliti (tecnicamente attenuati, ma non si usano molto ormai, perché sono i più rischiosi), o magari solo pezzetti di patogeni o tossine rese innocue. Da qualche tempo, si usa anche un’altra tecnologia: invece di immettere qualcosa di estraneo nel corpo, lo si fa produrre direttamente al corpo.
I vaccini contro SARS-CoV-2 attualmente in commercio funzionano proprio in questo modo: fanno produrre al nostro organismo una singola proteina del virus, che verrà riconosciuta dal sistema immunitario e contro la quale si attiveranno i linfociti B. Questo traguardo lo si raggiunge in due modi: virus a DNA o liposomi con RNA. Nel primo caso, un virus reso innocuo contiene il DNA che codifica solo per la proteina spike, lo fa arrivare dentro al nucleo della cellula (senza integrarlo nel DNA della cellula stessa: servono enzimi e parti specifiche per farlo e, semplicemente, queste cose non ce le mettiamo), lì verrà prodotto l’RNA messaggero che uscirà fuori dal nucleo e produrrà la proteina; nel secondo caso una vescicola di grasso (chiamata appunto liposoma) contiene l’RNA messaggero che codifica solo per la proteina spike, si fonde con la membrana della cellula, anch’essa grassa, e libera l’mRNA, con gli stessi risultati. Tutto ciò dura pochi giorni, trascorsi i quali non c’è più traccia dei componenti del vaccino nell’organismo. Se ci si pensa, è l’uovo di Colombo: istruire le nostre cellule a produrre temporaneamente il bersaglio contro cui il sistema immunitario deve scatenarsi, sfruttando così la più fisiologica delle attivazioni dei linfociti.
Come detto, esistono anche altre tecnologie vaccinali e probabilmente in futuro vedremo anche in commercio cose differenti, ma per il momento abbiamo queste soluzioni. In tutti i casi, una volta immunizzati, se si viene a contatto con il virus lo si può combattere in maniera efficace da subito, scongiurando la malattia o, comunque, riducendone di molto il fastidio.


Le mutazioni, la biologia molecolare dell’evoluzione.
In tutto ciò, c’è una caratteristica degli esseri viventi (o parzialmente viventi, come i virus) da tenere in conto: cambiano nel tempo. Quando una cellula si moltiplica, deve duplicare il suo DNA. In questo processo possono capitare degli errori e potrebbe succedere che certi geni non funzionino più come prima. Questo rischio c’è ogni volta che la cellula si moltiplica: tecnicamente, si dice che può avvenire una mutazione.
Attenzione: le mutazioni non sono per forza negative, magari quel gene mutato funziona addirittura meglio dell’originale, risultando quindi vantaggioso. Ecco, la stessa cosa succede con i virus: ogni volta che si moltiplicano, il loro materiale genetico può mutare. La maggior parte delle volte queste mutazioni causeranno un danno, ma talvolta potrebbero migliorare l’efficienza del virus e favorirlo. La realtà, in effetti, è molto semplice: più il virus si moltiplica e più la possibilità di mutazione aumenta; più questa aumenta, più è probabile che spunti fuori una nuova variante, con effetti diversi sul nostro organismo. Non c’è una ragione specifica dietro alle mutazioni virali, sono semplicemente errori che fa il virus durante la sua replicazione. Questo le rende imprevedibili, ma tutto sommato c’è anche un limite a quel che può succedere: la proteina spike non può mutare più di tanto, altrimenti non riconoscerebbe più il recettore ACE-2 sulla cellula. Allo stesso modo, dato questo limite, gli anticorpi creati dal vaccino o da precedenti infezioni sono comunque abbastanza efficaci contro il virus. Per spiegarmi meglio facciamo un esempio.
Mettiamo caso che le parole fossero oggetti concreti e che i linfociti B abbiano prodotto anticorpi contro la parola PROTEINA. Data l’alta specializzazione dei linfociti B, abbiamo anticorpi che legano la parte EIN o la parte OTE della parola. A un certo punto, la parola muta, e possono succedere varie cose. Un primo caso è che diventa PROTEINE. In questo caso, entrambi i tipi di anticorpi riescono ancora a legare OTE e EIN senza problemi. Magari diventa PRATEINA, a quel punto abbiamo gli anticorpi anti-OTE che fanno fatica a legarsi, magari ci riescono ancora ma non bene come prima. Abbiamo PRATEANA e la difficoltà è per entrambi i tipi di anticorpi: si legano entrambi, ma molto meno bene. Quando infine diventa PRATAONA, però, il legame è debolissimo… ma è anche possibile che la proteina in questione funzioni male, perché troppo mutata. L’evoluzione del virus è quindi figlia di un equilibrio tra l’efficienza della sua replicazione (e diffusione) e la capacità di sfuggire alle nostre difese: più riesce a moltiplicarsi e più muta. Dalla nostra parte, abbiamo la ricerca scientifica che può aggiornare i vaccini in caso di bisogno.


Due parole finali sulla microbiologia medica.
Si legge spesso in giro la frase “i patogeni tendono a diventare meno pericolosi per adattarsi meglio all’ospite e diffondersi facilmente”. Questa frase è falsa e pericolosa. È sicuramente vero che esistono patogeni che danno malattie quasi del tutto senza sintomi, ma come ho detto l’evoluzione è un fatto casuale, non ha una tendenza predefinita. Esistono malattie estremamente pericolose e dannose che hanno anche un’alta capacità di diffondersi nella popolazione, non lo fanno solo perché incontrano persone vaccinate. Penso ad esempio alla difterite, che ha una letalità del 10% anche tra chi viene curato o al morbillo che nei paesi occidentali può uccidere da una a tre persone ogni mille casi e causare sequele molto gravi. Sono malattie molto facilmente trasmissibili, ma anche molto pericolose se si diffondono.
Il punto fondamentale è che non ci si può basare sulla pericolosità del patogeno: il dato importante è la facilità di trasmissione, che può essere alto anche con una alta pericolosità della malattia. Quello che possiamo fare, quindi, è combattere la diffusione del virus, impedirgli di riprodursi (e quindi mutare) e cercare di contenere la diffusione.