Giugn 2023. Gli USA nella prima guerra mondiale.
“El mestée” è dedicato ad un’analisi storica sulla politica degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale.
Un’analisi curata dal controverso storico svizzero Daniele Ganser, che, supportato da documentazione adeguata, dimostra il comportamento USA dettato sostanzialmente dal potenziamento e tutela dei propri interessi economico-finanziari nel contesto del primo conflitto mondiali. Una ricostruzione che trascende dalla storiografia ufficiale per interpretare, sempre con richiamo a dati oggettivi, una narrazione alternativa in parte occultata dalla manifestazione del “pensiero dominante” consolidato nell’identificazione -quasi esclusiva- degli Stati Uniti quali sostanziali difensori dei sistemi democratici nell’interventismo bellico.
La ricostruzione parte dai fatti che determinarono le dichiarazioni di guerra, le scelte opportunistiche degli schieramenti o alleanze da privilegiare, alla gestione degli avvenimenti bellici in corso d’opera.
I brani sono tratti dal volume di Ganser “Breve storia dell’impero americano”, edito nel 2021.
Se la guerra è un “crimine organizzato”, per riprendere l’azzeccata espressione dell'alto ufficiale statunitense Smedley Butler, la prima guerra mondiale è uno dei peggiori crimini del XX secolo. Gli USA hanno continuamente combattuto e vinto guerre contro le grandi potenze europee: decisivo è stato il fatto che non hanno mai affrontato quei paesi tutti assieme, ma sempre uno per volta, alleandosi allo stesso tempo con altri contendenti. Nel Settecento gli USA, sostenuti dalla Francia, batterono la Gran Bretagna sul suolo nordamericano; in seguito, alleandosi ai ribelli di Cuba e delle Filippine, si imposero anche sulla Spagna.
Nel primo conflitto mondiale le truppe statunitensi sbarcarono per la prima volta sul suolo europeo. Se gli inglesi, i tedeschi, gli austriaci, i russi, i francesi e i turchi avessero combattuto congiuntamente gli USA, per Washington sarebbe stato impossibile vincere in Europa. Ma gli europei, in contrasto fra loro da secoli, si ammazzavano a vicenda, indebolendosi da sé. Gli USA sapevano bene quali tensioni travagliavano la storia europea e vinsero la prima guerra mondiale schierandosi al fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, la cosiddetta Triplice Intesa, imponendosi sulle grandi potenze della Germania e dell'impero austro-ungarico, i cosiddetti Imperi centrali europei, ai quali si unì la Turchia.
1914: l'inizio della prima guerra mondiale.
Il conflitto tra l'Intesa e gli imperi centrali durò dal 1914 al 1918 e costò la vita a quasi 20 milioni di uomini. Insieme alla seconda guerra mondiale, rientra fra le peggiori catastrofi della storia, in quanto causò dolori inenarrabili a una quantità enorme di individui. Soltanto un gruppetto di persone, soprannominate giustamente in America “mercanti di morte”, ne ha tratto vantaggio. Nel corso della prima guerra mondiale, l'idea aggregante della grande famiglia umana venne disattesa da tutti gli Stati coinvolti, che alla fine furono quaranta. Gli uomini vennero aizzati a fronteggiarsi lungo i confini nazionali, per cui quelli nel fiore degli anni si spararono addosso, vestendo le uniformi dei singoli eserciti. Per la prima volta nella storia della strategia bellica furono impiegati carri armati e perfino gas tossici, che contribuirono a rendere il conflitto un massacro atroce.
Ancora oggi gli storici discutono per stabilire quale paese abbia la colpa dello scoppio del conflitto mondiale, questione complicata dall’intreccio di tanti fattori, e quali motivi in generale portarono alla guerra. Esso fu scatenato da un assassinio politico, quando il 28 giugno 1914 a Sarajevo, la capitale del piccolo regno della Bosnia-Erzegovina, allora annesso formalmente all’impero austro-ungarico, un attentatore serbo-bosniaco sparò all'arciduca d’Austria ed erede al trono imperiale, Francesco Ferdinando, e alla consorte, Sofia Chotek von Chotkowa, duchessa di Hohenberg. L’opinione pubblica fu sconvolta dal fatto e alla loro morte seguì la cosiddetta “crisi di luglio”, che sfociò poi nella guerra. La Germania, governata dal Kaiser Federico Guglielmo II, si alleò subito con l’Austria-Ungheria, la quale fece pressione sulla Serbia pretendendo di partecipare alle indagini sull'attentato. Il governo serbo si rifiutò, spalleggiato dalla Gran Bretagna e rafforzato in questa decisione dall’assenso russo a concedergli un supporto militare in caso di conflitto armato. Un mese dopo l’attentato, il 28 luglio 1914, l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia. A quel punto la Russia, per tener fede a quanto promesso, consolidò la propria alleanza con la Francia, che secondo gli accordi preesistenti poteva contare anche sull’aiuto della Gran Bretagna, dato che dal 1907 quest'ultima era legata alla Russia e alla Francia nella Triplice Intesa. Quindi, poco dopo l’attentato di Sarajevo, si trovarono a fronteggiarsi due schieramenti: da un lato, Serbia, Russia, Francia e Gran Bretagna, e, dall'altro, l'Austria-Ungheria con la Germania.
Se la Serbia avesse assicurato all’Austria-Ungheria una piena cooperazione nelle indagini sull'attentato, o se l’Austria-Ungheria non avesse incalzato tanto la Serbia, forse non si sarebbe arrivati alla guerra. E può darsi che, se la Russia non si fosse attivata, la Triplice Intesa non sarebbe entrata in azione. Invece Russia, Francia e Gran Bretagna mobilitarono le loro truppe. Questo preoccupò Berlino, che voleva evitare a tutti i costi due fronti di guerra distinti, e quindi il 31 luglio 1914 inviò tanto alla Francia quanto alla Russia un ultimatum, in cui pretendeva dalla prima la neutralità nel caso di uno scontro fra Germania e Russia, e dalla seconda la cessazione della mobilitazione. Ma poiché Mosca non rispose, il 1° agosto 1914 la Germania dichiarò guerra alla Russia. E dato che pure la Francia, incoraggiata dalla Gran Bretagna, rifiutò di dichiararsi neutrale, il 3 agosto la Germania dichiarò guerra anche alla Francia. Se quest’ultima si fosse proclamata neutrale, può darsi che non ci sarebbero mai stati i massacri che costarono il maggior numero di perdite sia alla Germania che alla Francia. La Germania sperava nella neutralità della Gran Bretagna. Ma quando le truppe tedesche attaccarono la Francia dal settore nord-orientale, infrangendo la neutralità del Belgio il 3 agosto 1914, l’indomani anche la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania. Dal canto suo, l’impero ottomano cercò dapprima di tenersi fuori dalle azioni militari con la sua neutralità, ma nel novembre 1914 Gran Bretagna, Francia e Russia gli dichiararono guerra. A quel punto tutte le grandi potenze europee erano coinvolte nel conflitto e l'Europa era in fiamme.
Nel 1961 lo storico, tedesco Fritz Fischer, docente all'Università di Amburgo, sostenne nel suo libro “Assalto al potere mondiale” che la prima guerra mondiale scoppiò solamente per colpa della Germania, ritenendo che Berlino avesse spinto Vienna a dichiarare guerra alla Serbia troppo presto.
“Poiché la Germania aveva voluto, desiderato e coperto la guerra austro-serba, e ancora nel 1914, confidando nella superiorità militare tedesca, aveva coscientemente lavorato per arrivare al conflitto con la Russia e la Francia, ne consegue che alla direzione politica del Reich spetta una notevole parte della responsabilità storica per lo scoppio del conflitto mondiale”, scrisse Fischer. “Questo non viene attenuato dal fatto che all'ultimo momento la Germania tentò di fermare la sorte”.
Non condivido questa valutazione di Fischer. Secondo me, la tesi che attribuisce unicamente alla Germania la colpa dello scoppio del conflitto è una menzogna di guerra, imposta da Gran Bretagna, USA e Francia a Versailles per indebolire a lungo termine quella nazione ed escluderla dalla gara in corso tra i vari imperi per accaparrarsi le colonie d’oltremare. Non si può attribuire la responsabilità della crisi del luglio 1914 a un solo paese; la Germania ha certamente le sue colpe nelle origini della prima guerra mondiale, ma non più degli altri Stati coinvolti, che cercarono tutti lo scontro.
Anche lo storico australiano Christopher Clark, docente all’università inglese di Cambridge, nella sua ricerca del 2012 è giunto alla conclusione che la colpa non fu soltanto della Germania. Nel suo libro Clark tratta approfonditamente la crisi del luglio 1914 e lo scoppio della guerra, in cui, a causa della compresenza di tanti fattori, è difficile vedere chiaro. “In questa storia non ci sono pistole fumanti [,..], o piuttosto, ognuno dei personaggi principali ne ha in mano una. Se lo guardiamo da questa prospettiva, lo scoppio della guerra fu una tragedia, non un delitto con un colpevole”. Clark ritiene che gli Stati europei siano entrati a tentoni nella prima guerra mondiale, come dei “sonnambuli, apparentemente vigili ma non in grado di vedere, tormentati dagli incubi ma ciechi di fronte alla realtà dell’orrore che stavano per portare nel mondo”.
Gli studiosi inglesi Gerry Docherty e Jim Macgregor sono arrivati a un'altra conclusione ancora. Nel loro libro del 2013, hanno sostenuto che, secondo loro, la responsabilità di aver scatenato la prima guerra mondiale ricade sulla Gran Bretagna. Già prima che cominciasse, infatti, gli inglesi puntavano alla sconfitta militare della Germania; istigati da Cecil Rhodes, un fervente imperialista britannico, i più influenti cittadini britannici e statunitensi avrebbero stabilito di portare le due potenze anglosassoni a dominare il mondo, ad assicurare loro un controllo duraturo e a cacciare i coloni tedeschi dall'Africa. Rhodes, arricchitosi col commercio dei diamanti, da buon razzista scorgeva negli inglesi “la prima razza al mondo” e non teneva in alcuna considerazione il principio della grande famiglia umana. Gli anglosassoni vedevano con notevole disappunto la crescente forza economica della Germania.
Una misteriosa élite di uomini estremamente facoltosi e influenti a Londra e Washington avrebbe dunque deciso di coinvolgere la Germania in una guerra tramite l’attentato di Sarajevo per indebolirla definitivamente. Questo piano sarebbe dunque stato messo in atto con successo, ma tenuto nascosto alla ricerca storica.
Non so se il punto di vista sulla prima guerra mondiale sostenuto da Docherty e Macgregor sia corretto, però è interessante, quindi dovrebbe essere preso in considerazione. Invece, in base alla mia esperienza personale è una prospettiva che in Germania, Austria e Svizzera non viene insegnata né a scuola né all'università. I due inglesi scrivono: “Da quasi un secolo si riesce a tenere nascosto come ebbe inizio tutto quanto e perché la guerra venne proseguita senza necessità ma in modo premeditato ben oltre il 1915. [...] La storia è stata accuratamente deformata per occultare il fatto che fu la Gran Bretagna, anziché la Germania, responsabile del conflitto”.
Già molto tempo prima dell’attentato di Sarajevo anche le “colombe” inglesi sarebbero state intenzionate a muovere guerra; poi, una volta conclusa, “Gran Bretagna, Francia e USA ne hanno addossato tutta la colpa alla Germania. Per giustificare tale giudizio, furono distrutti, celati o falsificati rapporti e documenti”.
I mercanti di morte approfittano della guerra.
Il presidente americano Woodrow Wilson del Partito Democratico, alla Casa Bianca dal 1913 al 1921, osservò il massacro in atto in Europa da una distanza di sicurezza e dichiarò che non si sarebbe cacciato in quel conflitto con soldati statunitensi, giacché la maggioranza della popolazione propendeva per l’isolazionismo e rifiutava categoricamente di immischiarvisi. Più di un terzo dei quasi 100 milioni di individui che vivevano allora negli USA era nato in Europa, oppure aveva genitori europei. I legami culturali fra USA ed Europa erano stretti, come lo sono ancora oggi.
Questo però non significa che gli USA fossero neutrali durante quel conflitto. Infatti dal punto di vista economico essi si schierarono palesemente dalla parte di Gran Bretagna e Francia, sostenendo la Triplice Intesa con crediti, mezzi di sostentamento, armi e prodotti dell'industria chimica. Durante la prima guerra mondiale il volume delle loro esportazioni triplicò. Di grande valore strategico furono soprattutto i crediti concessi all’Intesa, per un valore superiore ai quattro miliardi di dollari, a cui vanno aggiunte le esportazioni dell'industria bellica, con armi e munizioni. “Dal punto di vista economico la Grande Guerra fu una vittoria per l’America”, ha scritto la rivista “Handelsblatt” nel 2014, a distanza di cent'anni dallo scoppio della prima guerra mondiale. Infatti il commercio di materiale bellico “fece del paese una potenza mondiale. Nessun’altra nazione trasse un vantaggio tanto consistente dal conflitto”.
In effetti la vittoria nella prima guerra mondiale fu essenziale per l’ascesa degli USA al rango di potenza mondiale. “Mentre gli europei si ammazzavano a vicenda, andando in rovina per conquistare brandelli di terra relativamente insignificanti, grazie al commercio pacifico una nazione diventò una grande potenza passando davanti a tutte le altre, una nazione che non aveva neppure un Esercito, rispetto agli standard europei”, secondo la descrizione del ruolo svolto all’epoca dagli USA proposta dallo storico tedesco Jörg Friedrich. Egli ritiene che, se Gran Bretagna, Francia e Russia non avessero ricevuto un flusso costante di armi e munizioni dagli USA, forse quelle potenze avrebbero perso la guerra già nel 1915: “Già dopo tre mesi gli USA erano diventati l’effettiva struttura portante della guerra condotta sul campo e il fabbisogno bellico la struttura portante economica degli USA. Di certo gli USA non sarebbero potuti esistere senza la guerra in Europa, perlomeno non come ciò che diventarono grazie a essa, ma d’altro canto la guerra non sarebbe potuta proseguire senza di loro: sarebbe implosa per forza. Gli USA furono la chiave di volta essenziale per tutte le grandi potenze, molto prima che sbarcasse anche un solo soldato”.
Le potenze dell’Intesa non avevano abbastanza soldi per acquistare tutto il materiale bellico che importavano dagli USA. Perciò grossi istituti bancari statunitensi concessero crediti per milioni di dollari, contribuendo in questo modo a mandare avanti il conflitto in Europa. Inizialmente il governo statunitense aveva rifiutato tali operazioni alle nazioni in guerra, dato che così avrebbe vanificato la sua neutralità. Però nel settembre del 1915 il presidente Wilson cambiò improvvisamente idea, dando carta bianca agli istituti di credito statunitensi. Già in quello stesso mese, la banca J.P. Morgan Chase erogò un prestito di 500 milioni di dollari a Francia e Gran Bretagna, cui ne fecero seguito molti altri per svariati milioni concessi da Wall Street agli stessi due paesi. Nel 1917 i debiti del War Office britannico presso J.P. Morgan Chase e altre banche statunitensi avevano già raggiunto la cifra di 2,5 miliardi di dollari, e alla fine del conflitto, nel 1919, il totale dovuto dalla sola Gran Bretagna agli istituti americani era salito alla cifra allora sbalorditiva di 4,7 miliardi di dollari. Nello stesso periodo, la Germania aveva avuto crediti presso le banche statunitensi per un totale di soli 27 milioni di dollari.
Il movimento pacifista negli USA ebbe una posizione critica su questi affari legati alla guerra e definì le persone e le aziende coinvolte con l'efficace espressione di “mercanti di morte”. Nel 1934, sedici anni dopo la fine della prima guerra mondiale, al Congresso fu istituita una commissione d'inchiesta per fare piena luce sui motivi che portarono il paese a entrare in guerra nel 1917 e sui profitti generati da quei “mercanti di morte”. Essa era guidata dal senatore Gerald Nye del Nord Dakota, un deciso oppositore dell'impegno bellico americano nei paesi stranieri. Questi dichiarò saggiamente: “Quando la commissione senatoriale avrà concluso i suoi lavori, scopriremo che la guerra e il suo allestimento non hanno nulla a che fare con l'onore e la difesa della nazione, ma col profitto a vantaggio di pochissimi individui”.
Dopo la fusione con la Chase Manhattan Bank, avvenuta nel 2000, la J.P. Morgan Chase è diventata la banca più grande degli USA e la terza azienda mondiale quotata in borsa, secondo quanto risulta dal suo bilancio complessivo; quindi oggi J.P. Morgan Chase appartiene ai pesi massimi dell'ambiente bancario. Ci si è però dimenticati quasi completamente del modo in cui questo istituto ha conseguito il suo potere e la sua influenza. La commissione presieduta dal senatore Nye confermò che la banca Morgan Chase di New York ebbe un ruolo centrale nel finanziamento della prima guerra mondiale. Fra gli oltre 200 testimoni convocati da Nye c'erano anche il banchiere statunitense John Pierpont Morgan junior e il trafficante d'armi Pierre du Pont, due dei mercanti di morte. J.P. Morgan Chase vendette interi carichi di munizioni statunitensi alla Gran Bretagna durante il conflitto. Inoltre era al vertice del cartello di banche statunitensi che sostennero la Triplice Intesa concedendole crediti per milioni di dollari. Secondo la dichiarazione di un collaboratore dell'azienda americana Colt, rilasciata alla commissione Nye, la vendita delle armi “ha portato allo scoperto il lato peggiore della natura umana, con bugie, inganni, ipocrisie, avidità e corruzione, tutti aspetti con un ruolo centrale nelle transazioni”.
All’epoca in America si discusse apertamente dei mercanti di morte. “Prendiamo un po' i nostri amici du Pont, produttori di polvere da sparo”, scrisse il maggior generale Smedley Butler facendo i conti dopo la guerra. Com’è andata la loro azienda durante il conflitto? Prima, dal 1910 al 1914, il profitto annuale si aggirava sui sei milioni di dollari. “Non era granché, ma bastava ai du Pont per sopravvivere”, commentava Butler in modo caustico. Ma durante la guerra il loro utile passò alla cifra favolosa di 58 milioni di dollari: “Praticamente dieci volte di più degli anni precedenti”, aggiungeva Butler, “un incremento del 950 per cento!” Ecco perché i titolari dell'azienda, che non andarono a combattere in prima persona nelle trincee, erano interessati alla guerra. Anche il produttore statunitense d'acciaio Bethlehem Steel trasse vantaggio dalla prima guerra mondiale. Fra il 1910 e il 1914, quando la sua impresa realizzava ponti e rotaie ferroviarie, l’utile rimaneva sui 6 milioni di dollari, ma in seguito l'azienda orientò la sua produzione su prodotti bellici e, secondo Butler, ogni anno che durò il conflitto, il profitto salì a 49 milioni di dollari.
Anche gli utili delle banche sarebbero cresciuti a dismisura, ma non sono stati esibiti pubblicamente. In tempi normali, un’impresa statunitense poteva conseguire un utile del 6, 10 o anche 12 per cento. “Invece gli utili raggiunti nei tempi di guerra sono completamente diversi, schizzano verso l'alto, rendendo così possibili incrementi del 20, 60, 100, 300 o addirittura 1.800 per cento”, come riferisce criticamente Butler sui mercanti di morte.
Dato che le banche statunitensi come J.P. Morgan Chase avevano prestato agli inglesi oltre 4 miliardi didollari per finanziare i loro acquisti di armamenti, l'élite del potere americano non voleva in alcun modo che la Germania vincesse la prima guerra mondiale, altrimenti quei crediti alla Triplice Intesa sarebbero stati un investimento fallimentare di proporzioni colossali. Per le banche in America la restituzione di quel prestito immane con gli interessi dovuti era fondamentale. Tuttavia non c’era alcuna certezza di battere la Germania.
“All’inizio del marzo 1917 risuonano nello Studio Ovale di Washington notizie sconvolgenti: ribellioni nell’Esercito francese! Accanto a esse, si va delineando progressivamente il crollo della Russia. E in alto mare, la Germania sembra prevalere con i suoi sommergibili. Una vittoria della Germania significherebbe la perdita di tutti i prestiti di guerra all'lntesa e va quindi impedita a ogni costo, perché un crollo dell'impero retto dalla J.P. Morgan Chase vrebbe comportato l'implosione di Wall Street”, spiega lo storico tedesco Wolfgang Effenberger, autore insieme a Willy Wimmer di un ampio lavoro sulla Grande Guerra. Solamente la scesa in campo degli USA cambiò le sorti a favore di Francia e Gran Bretagna, e questa fu la mossa con cui i mercanti di morte riuscirono ad assicurarsi il pagamento dei loro crediti.
1913: il Federal Reserve Act.
Per tutta la durata della sua presidenza, il presidente americano Woodrow Wilson fu un servitore fedele delle banche del suo paese. Ancor prima dello scoppio della Grande Guerra, nell'aprile del 1913, a seguito delle insistenze del suo consigliere Edward Mandell House e di banchieri influenti come J.P. Morgan e Paul Warburg, Wilson aveva appoggiato un progetto di legge segreto per regolamentare la banca centrale, che incrementò in maniera considerevole il potere degli istituti di credito statunitensi. Questo progetto importante fu approvato dalla Camera dei rappresentanti il 22 dicembre 1913 (e il giorno dopo anche dal Senato) come Federal Reserve Act, passando quasi del tutto inosservato agli occhi dell'opinione pubblica americana. Con la firma di Wilson il 23 dicembre 1913, quella legge controversa entrò in vigore il giorno prima della vigilia di Natale: fu un grande trionfo per i banchieri, ma la popolazione statunitense non vi prestò la minima attenzione.
Non fu un caso che la cosiddetta “legge-FED” venisse approvata in tutta fretta poco prima di Natale, cioè quando l'attenzione della maggior parte dei deputati e anche della gente comune era rivolta alla grande festa da trascorrere in famiglia. In realtà, nemmeno tutti i rappresentanti eletti avevano votato quella legge estremamente importante, in quanto una parte dei deputati e dei senatori si era già messa in viaggio per tornare a casa durante le festività. Quella disposizione servì a trasferire alle banche statunitensi il potere di produrre moneta privata; in tal modo il Congresso rinunciò alla sua prerogativa di battere moneta, rimettendo quell’incarico alle banche consociate nel Federal Reserve System, che per raggiungere quello scopo avevano foraggiato in abbondanza schiere di lobbisti. Si trattò di una vera e propria rivoluzione nella storia della finanza statunitense.
Il Federal Reserve Act permette ancora oggi alla FED, la banca centrale degli USA, di stampare denaro e prestarlo al governo americano dietro interessi. “La banca centrale FED produce, all’occorrenza, dollari in banconota, allo stesso modo in cui la ditta Hakle fabbrica rotoli di carta igienica”, fu una volta il secco commento in Svizzera di Walter Wittmann, docente di Economia all'Università di Friburgo. Dato che la FED può alzare o abbassare gli interessi, è la banca centrale a guidare l’andamento dell’economia. Questo privilegio enorme della FED fu sempre e immancabilmente criticato, in quanto le banche e i proprietari membri della Federal Reserve Bank sono società private, che grazie al privilegio di battere moneta hanno acquisito un potere enorme. Tra i critici più severi negli USA c’era il repubblicano Ron Paul, dal 1976 al 2013 deputato del Texas alla Camera dei rappresentanti. Egli esortava: “Dobbiamo smantellare il potere monopolistico della FED, dato che non è legittimo”, ma al Congresso non riuscì mai a ottenere la maggioranza necessaria a raggiungere tale obiettivo.
1915: l’affondamento del Lusitania.
Nella prima guerra mondiale la flotta tedesca era inferiore a quella britannica, che poteva disporre di varie basi navali in tutto il mondo ed era alimentata a nafta, un derivato del petrolio, mentre quella tedesca funzionava ancora a vapore, prodotto dalla combustione del carbone. La Germania aveva solamente due porti, a Kiel e Wilhelmshaven, più quello di Tsingtao (Qingdao, in pinyin) nella baia di Kiao-Ciao della Cina nord-orientale. Già prima del conflitto gli inglesi avevano organizzato nei dettagli il blocco dei porti tedeschi, che passarono ad attuare subito dopo l’inizio delle ostilità, nell’agosto del 1914; esso fu mantenuto sino al giugno del 1919 e per le restrizioni agli approvvigionamenti provocò una carestia in Germania che fece 700.000 morti. Con quel blocco Winston Churchill, Primo Lord dell'Ammiragliato inglese, puntava allo “strangolamento economico” della Germania. A quest'ultima ci vollero quasi sei mesi per riprendersi e reagire, finché nel febbraio del 1915 cominciò a utilizzare i primi sommergibili per affondare le navi britanniche, cercando così di spezzare il blocco.
All’inizio del conflitto Germania e USA non erano in contrasto fra loro, ma gli inglesi volevano far scendere in campo gli americani contro i tedeschi. Le prime gravi tensioni fra USA e Germania si verificarono il 7 maggio 1915, allorché la nave passeggeri britannica Lusitania venne affondata da un siluro lanciato da un sommergibile tedesco al largo della costa meridionale dell’Irlanda: persero la vita 1.198 uomini, 128 dei quali di nazionalità statunitense. Il Lusitania faceva servizio fra Liverpool e New York ed era uno dei piroscafi a vapore più veloci, riuscendo a compiere la traversata da una costa all'altra in soli quattro giorni.
Ma quello che all’epoca non sapeva quasi nessuno era che gli inglesi lo utilizzavano per trasportare di nascosto materiali bellici dagli USA alla Gran Bretagna. Il carico scottante viaggiava etichettato come “cartucce da caccia”. Subito dopo l’affondamento della nave, il presidente americano Woodrow Wilson venne informato dell’accaduto dai suoi servizi segreti. Secondo la lista di carico, sul transatlantico erano stivate 1.248 casse con granate da 7,5 cm, 4.927 casse con cartucce varie e altre 2.000 casse con munizioni per armi da fuoco portatili; ma “Wilson era deciso a nascondere la verità”, scrive “Der Spiegel”. La lista di carico sparì in un archivio segreto e “i verbali delle dichiarazioni dei marinai e dei passeggeri sopravvissuti furono tolti di mezzo”.
Dato che con il blocco navale gli inglesi intendevano mettere in ginocchio la Germania, nel febbraio 1915 il governo tedesco aveva dichiarato zona di guerra tutte le acque attorno alla Gran Bretagna: qualsiasi bastimento nemico navigasse al loro interno poteva essere distrutto senza preavviso dai sommergibili tedeschi. Il ministro degli Esteri statunitense William Bryan era del parere che gli statunitensi dovessero fondamentalmente tenersi fuori dalla zona di guerra, per non correre il rischio di essere uccisi. Inoltre egli riconosceva alla Germania il diritto di impedire il trasporto di materiale bellico ai suoi nemici. Quattro giorni prima dell’affondamento, Bryan avvisò Wilson che il Lusitania trasportava di nascosto munizioni da guerra, pregandolo di informarne la popolazione statunitense, ma Wilson rifiutò di farlo.
Uno dei peggiori guerrafondai degli USA era il diplomatico texano Edward Mandell House, che aveva sostenuto la candidatura presidenziale di Woodrow Wilson quando questi era governatore del New Jersey. House era molto intimo di Wilson, al quale fungeva da consigliere di politica estera, pur non avendo mai rivestito quella carica specifica. Nel corso della prima guerra mondiale House si recò nelle maggiori capitali europee, dove ebbe incontri al vertice con i capi politici. E quando, prima dell’incidente del Lusitania, il ministro degli Esteri britannico gli chiese: “Cosa farebbe l'America se i tedeschi affondassero una nave passeggeri con turisti americani a bordo?”, House rispose: “Dovremmo entrare in guerra”.
Ma House si sbagliava: gli USA non entrarono in guerra subito dopo l’incidente, anche se questo era ciò che avrebbero voluto gli inglesi. Il giornalista inglese Nicholas Tomalin, che ha realizzato un documentario sull'argomento per la BBC e la ARD, sostiene che il Lusitania sia stato piazzato davanti ai siluri dei sommergibili tedeschi dall’Ammiragliato britannico, guidato da Winston Churchill, apposta per indurre l’antagonista a reagire e fare in modo che gli USA si schierassero finalmente a fianco di Londra nel conflitto. Anche per Gerd Schultze-Rhonhof, maggior generale delle forze armate tedesche, l’affondamento del Lusitania fu “chiaramente un’abile mossa del Primo Lord dell’Ammiragliato britannico per convincere gli americani a entrare in guerra a fianco dell’Inghilterra”.
L’ambasciata tedesca a Washington era consapevole della possibilità che con l’affondamento del transatlantico gli USA si schierassero accanto alla Gran Bretagna nel conflitto europeo. Per questo la stessa ambasciata aveva informato, tramite una nota pubblicata sui quotidiani statunitensi il 23 aprile 1915, del rischio di imbarcarsi su qualunque tipo di piroscafo: “Attenzione! Si rammenta ai viaggiatori intenzionati a varcare l’Oceano Atlantico, che la Germania e i suoi alleati sono in guerra con la Gran Bretagna e i suoi alleati; che la zona interessata dal conflitto comprende anche le acque attorno alle isole britanniche; che, in accordo con la notifica formale emanata dal governo tedesco imperiale, tutte le navi battenti bandiera della Gran Bretagna o di uno dei suoi alleati corrono il rischio di venire distrutte in dette acque; e che chi viaggia su navi della Gran Bretagna o dei suoi alleati lo fa a proprio rischio e pericolo”.
House, lo stretto collaboratore del presidente Wilson, aveva ragione a supporre che l’affondamento del Lusitania avrebbe accresciuto l'odio contro la Germania e affrettato l’entrata in guerra degli americani. Nel suo diario, infatti, il 30 maggio 1915 scrisse: “Ho deciso che la guerra contro la Germania è inevitabile”. In pubblico Wilson continuava a sostenere che gli USA erano neutrali e che non avrebbero inviato truppe sul suolo europeo, conquistandosi in tal modo il sostegno dei votanti. Nella lotta per le elezioni i democratici lo appoggiarono con lo slogan “Ci tiene lontani dalla guerra”. La popolazione vedeva in lui, ma a torto, una garanzia a favore della pace. Dunque il 7 novembre 1916 Wilson fu rieletto, assicurandosi un secondo mandato presidenziale alla Casa Bianca.
1917: l’ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale.
Tuttavia subito dopo la sua riconferma alla guida del paese, Wilson puntò all'entrata in guerra, per tutelare gli investimenti delle banche statunitensi. Però il presidente aveva bisogno di un evento che facesse scalpore per far cambiare idea al popolo e al Congresso, più propensi all’isolazionismo, e persuaderli a concedere l’invio, per la prima volta, di soldati statunitensi sul suolo europeo. E di nuovo furono gli inglesi a svolgere un ruolo chiave. Il 19 gennaio 1917 all'ambasciata tedesca di Washington arrivò un telegramma, da inoltrare a quella nel Messico, nel quale il segretario di Stato tedesco, Arthur Zimmermann, a capo del Ministero degli Esteri, incaricava l'ambasciatore tedesco nel Messico di stringere un'alleanza fra Germania e Messico, nel caso in cui gli USA avessero rinunciato alla loro neutralità e avessero partecipato alla prima guerra mondiale. Se ciò fosse avvenuto, il sostegno della Germania avrebbe potuto far sperare al Messico di riconquistare quelle porzioni del suo territorio perse nel 1848, quando col trattato di Guadalupe Hidalgo dovette cedere agli USA la California, il Nevada, l'Arizona, il Nuovo Messico e lo Utah. Il telegramma di Zimmermann era segretissimo, in codice e riservato unicamente alla comunicazione interna fra i diplomatici tedeschi, ma venne intercettato dal servizio segreto della Marina britannica, decrittato e inoltrato al presidente Wilson.
Per fomentare l'odio contro la Germania, Wilson fece diffondere il testo del telegramma, che il 1° marzo apparve sul quotidiano “The New York Times”, suscitando sdegno nell’opinione pubblica statunitense. I giornali americani sostennero che la Germania si fosse alleata col Messico per tentare di strappare agli USA gli Stati di confine, ma non era così: l’alleanza non era stata ancora stretta.
Il telegramma invitava soltanto l'ambasciatore tedesco nella capitale messicana a sondare la possibilità di una simile coalizione, nel caso che gli USA avessero abbandonato la loro politica neutrale e dichiarato guerra alla Germania; però questa informazione fu tenuta nascosta scientemente ai lettori dei quotidiani americani.
Tanto la pubblicazione del testo del telegramma di Zimmermann quanto l’affondamento concomitante di navi commerciali americane da parte dei sommergibili tedeschi fecero cambiare radicalmente opinione negli USA, che il presidente Wilson seppe sfruttare immediatamente. Il 2 aprile 1917 egli intimò ai deputati di dichiarare guerra alla Germania affermando tra l’altro: “Constato che la politica seguita negli ultimi tempi dal governo imperiale tedesco non è niente di meno che una guerra contro il governo e il popolo degli Stati Uniti”. Egli affermò inoltre che non era lui a cercare la guerra, ma era la Germania a costringervi gli USA: “Dunque il Congresso accetti formalmente lo stato di guerra che gli è stato imposto. È tremendo portare in guerra questo grande popolo amante della pace, ma il diritto è più prezioso della pace”.
Tanto il Senato quanto la Camera dei rappresentanti fornirono un ampio consenso a Wilson. Tuttavia, ci fu anche chi si oppose: alla Camera cinquanta deputati votarono contro la guerra, fra i quali anche Jeannette Rankin del Montana, la prima donna nella storia dell’America a essere eletta al Congresso. Al Senato, appena sei onorevoli rifiutarono la guerra, fra i quali anche il repubblicano Bob LaFollette del Wisconsin: questi chiese saggiamente di indire una consultazione popolare sulla guerra o sulla pace, contando sul fatto che i cittadini si sarebbero espressi contro la guerra alla Germania in rapporto di dieci a uno.
Egli dichiarò al Senato che da 44 Stati federali gli erano giunte 15.000 tra lettere e telegrammi, più del 90 per cento dei quali dichiaravano l'intenzione di non partecipare alla guerra in Europa. Per questo i mezzi di comunicazione americani denigrarono LaFollette, definendolo “un bieco esecutore degli ordini impartiti dall'impero tedesco”. Il referendum da lui caldeggiato non fu messo in atto, perché negli USA il popolo non può mai pronunciarsi in merito a un conflitto”.
Il 6 aprile 1917 gli USA dichiararono guerra alla Germania e a dicembre seguì una dichiarazione analoga nei confronti dell'impero austro-ungarico. Sempre nel 1917, negli USA fu introdotta la leva obbligatoria per tutti gli uomini compresi fra i diciotto e i trent’anni, e nel luglio del 1917 14.000 soldati americani sbarcarono in Francia: questo fu il primo contingente di truppe nella storia statunitense a essere inviato sul suolo europeo e alla fine del conflitto avrebbe contato due milioni di effettivi. Il Parlamento francese apprezzò l’entrata in guerra del partner statunitense a fianco dell’Intesa e lodò la risoluzione come “l’atto più significativo dall'abolizione della schiavitù”. Anche il premier britannico Lloyd George elogiò la decisione di combattere contro la Germania, dato che quel paese era “il nemico più assetato di sangue che abbia mai minacciato la libertà”.
Gli inglesi e gli americani sapevano bene come si usa la propaganda bellica per indirizzare i sentimenti e i pensieri del popolo e per aizzare l’odio contro l’avversario. Tedeschi, austriaci e turchi erano presentati nei quotidiani britannici come esseri inferiori e violenti, la qual cosa li escludeva così dalla grande famiglia umana. Il 27 agosto 1914 il “Times” di Londra citava un testimone oculare che avrebbe visto “dei soldati tedeschi mozzare le braccia di un bimbo che si stringeva alla gonna della mamma”. Cinque giorni dopo, il medesimo giornale sosteneva: “Troncano le mani ai ragazzini, perché la Francia non abbia più soldati”.
La propaganda bellica americana contro la Germania.
Anche negli USA la Germania veniva screditata in modo sistematico. Il 14 aprile 1917, ad appena otto giorni dall’entrata in guerra ufficiale, il presidente Wilson stanziò 5 milioni di dollari all'anno per il Committee on Public Information (CPI, Comitato di informazione pubblica,), l'ente responsabile della propaganda statunitense nella prima guerra mondiale. Sotto la guida del giornalista George Creel, il CPI pagò centinaia di migliaia di persone, fra le quali scrittori, disegnatori e giornalisti, per tenere brevi discorsi in pubblico a favore dell'impegno bellico. I soldati tedeschi venivano raffigurati come diavoli con le corna e denigrati come “unni e vandali violenti e grondanti sangue”. L'opinione pubblica veniva scioccata da manifesti rozzi e violenti del CPI, come quello in cui alcuni soldati tedeschi strappavano un bambino dalle braccia della madre indifesa. Il Kaiser tedesco era raffigurato come un criminale e gli elmi chiodati prussiani diventarono il tratto caratteristico del tedesco barbaro e pericoloso. Un altro manifesto del CPI ritraeva la Germania come un gorilla inferocito con zanne enormi e l’elmo chiodato in testa in atto di rapire una fanciulla disperata, e riportava la scritta “Distruggete questo bruto impazzito”, accanto all’esortazione ad arruolarsi nell'Esercito statunitense.
Durante la guerra mondiale la propaganda adoperò per la prima volta dei filmati, che presso l'opinione pubblica erano addirittura più apprezzati delle caricature. Il CPI lavorò a stretto contatto con l’industria hollywoodiana, all’epoca ancora agli albori: film come “The Kaiser, the Beast of Berlin” (“Il Kaiser: la bestia di Berlino”) furono proiettati milioni di volte nei cinema americani. Un altro film, intitolato “To Hell with the Kaiser” (“Al diavolo il Kaiser!”), piaceva così tanto che nel Massachusetts i poliziotti dovettero trattenere le persone senza biglietto che davano l’assalto ai cinema. Grazie alla propaganda martellante e ripetitiva, il popolo veniva indotto ad appoggiare la guerra, mentre i giornalisti che vi si opponevano erano denigrati.
“Se un cronista scriveva qualcosa di negativo sul conflitto, la risposta del CPI non si faceva attendere a lungo: l'autore veniva messo pubblicamente alla gogna e accusato di sputare nel piatto in cui mangiava e di essere un traditore della patria”, secondo il giornalista tedesco Andreas Elter.
Negli USA l’odio contro la Germania prese a salire: nelle scuole fu abolito l’insegnamento della lingua tedesca, alle università furono chiusi i dipartimenti di Germanistica. Nelle biblioteche si eliminavano i libri tedeschi, oppure non potevano più essere presi in prestito. L'hamburger cambiò nome in “liberty steak” e i crauti, noti fino allora come “sauerkraut”, diventarono “liberty cabbage”. La caccia alle streghe antitedesca mise sotto pressione tutti i tedeschi che vivevano negli USA e anche gli americani oriundi tedeschi.
“Spesso cittadini di origini tedesche furono cosparsi di catrame e piume e incatenati davanti a tutti nei parchi, dove erano poi costretti a gridare “Al diavolo il Kaiser” e a baciare la bandiera degli USA”, scrive lo storico tedesco Rolf Steininger, docente all’Università di Innsbruck. Quella situazione esasperata portò addirittura a linciaggi: nell'Illinois Robert Prager, di origini tedesche, fu impiccato perché ritenuto una spia ma gli esecutori vennero assolti.
Con l'approvazione dell’”Espionage Act”, una legge contro lo spionaggio, il 15 giugno 1917, diventò reato qualunque discorso pacifista che avrebbe potuto contrapporsi alla propaganda imperante. Quella legge proibiva di tenere discorsi che potessero minare la determinazione a combattere, dunque essa fu concepita non solamente contro le spie ma anche contro i pacifisti e resta ancora una delle norme più repressive nella storia del paese. Del resto con l’”Espionage Act” si rendeva perseguibile legalmente qualsiasi affermazione atta a mettere in dubbio la fedeltà alle truppe combattenti: “La pena per tale reato ammonterà a un'ammenda di almeno 10.000 dollari e/o a una detenzione di massimo 20 anni”. In questa maniera gli oppositori alla guerra vennero ampiamente intimiditi. La legge era una considerevole restrizione alla libertà di parola e di opinione, quindi andava contro il primo emendamento della Costituzione americana, che recita: “Il Congresso non potrà fare alcuna legge [...] che limiti la libertà di parola o di stampa”.
Non tutti però si piegarono alla nuova disposizione. Il 16 giugno 1918 il coraggioso socialista statunitense Eugene Debs tenne lo stesso un discorso a Canton, nell’Ohio, contro la guerra mondiale. “Lungo tutta la storia, la conquista e il saccheggio sono stati le ragioni delle guerre, ed è questa la sostanza della guerra”, proclamò Debs. “La classe dei dominatori ha sempre dichiarato guerre; e la classe dei sottoposti ha sempre combattuto le battaglie”. La guerra non serve agli interessi della classe operaia, spiegava ai suoi ascoltatori: “Il ceto superiore ha molto da guadagnare e niente da perdere, mentre quello inferiore non ha nulla da guadagnare, ma può perdere tutto, a cominciare dalla propria vita”. Perché dunque lo stesso popolo che fa la guerra non può decidere lui stesso quando vada dichiarata? “Voi mettete a rischio la vostra vita! Quindi spetta certamente a voi, più che a tutti gli altri, il diritto di decidere su questioni così importanti, come la guerra e la pace”, proseguiva l’oratore fra gli applausi degli astanti e pretendeva una consultazione popolare, che però non ebbe luogo.
Il governo statunitense andò su tutte le furie, Debs fu denunciato proprio in base all’”Espionage Act” e dovette subire un processo. Oltre un secolo più tardi, anche i whistlebower Edward Snowden e Julian Assange sono stati denunciati a seguito di quella legge repressiva contro le spie, la quale limita fortemente la libertà di parola. “Vostro Onore, da anni ho riconosciuto la mia affinità con tutti gli esseri viventi e sono giunto alla conclusione che io non sono neanche un briciolo migliore dell'uomo più umile sulla Terra”, disse Debs nel discorso di difesa che volle farsi da sé. “Ve lo dissi allora e ve lo dico oggi: finché esiste una classe inferiore, io appartengo a quella; finché c’è un elemento criminale, io vi appartengo; finché c’è un uomo in carcere, io non sono libero”. Ma questo non convinse il giudice: Debs, attivista per la pace, fu condannato a dieci anni di carcere, che cominciò a scontare nell’aprile del 1919 nel carcere federale di Atlanta, in Georgia. Venne rilasciato prima, nel dicembre 1921, grazie al condono concessogli dal presidente Warren Harding.
Quando la Russia sprofondò nella rivoluzione comunista, nel febbraio del 1917, e svanì il fronte orientale contro la Germania, quest’ultima aumentò la pressione sulla Gran Bretagna con i suoi 145 sommergibili, che affondavano con successo le navi inglesi, ed era quindi sul punto di infrangere il blocco navale. L'ammiraglio britannico John Jellicoe, comandante in capo della Grand Fleet, la gloriosa flotta della Marina reale britannica, comunicò al suo omologo statunitense, l'ammiraglio William Sims: “Non potremo assolutamente continuare a combattere, se le perdite continueranno a essere così ingenti. I tedeschi vinceranno la guerra, se non saremo in grado di porre un freno a tali perdite, e anche in fretta”. Le cose presero un'altra piega solamente con l’entrata in guerra degli USA.
L'industria americana sostenne l'Intesa e gli USA cominciarono a costruire navi più rapidamente di quanto i sommergibili tedeschi potessero affondarle.
L’ingresso degli USA nella prima guerra mondiale ne decise le sorti: a fianco di inglesi e francesi, essi riuscirono a sconfiggere l'Austria e la Germania. Dei 2 milioni di soldati americani sbarcati in Francia, 116.000 caddero sul campo. Le perdite degli altri Stati europei furono anche più elevate, superando quelle di tutte le altre guerre precedenti. La Germania pianse 2 milioni di soldati, l'Austria-Ungheria oltre un milione; in tutta l'Europa morirono quasi 10 milioni di soldati e fra gli 8 ei 10 milioni di civili, questi ultimi spesso per malattie o fame, portando il totale complessivo di scomparsi nel primo conflitto a quasi 20 milioni di individui.
1919: le riparazioni di guerra e la pace di Versailles.
Con la vittoria gli USA assursero al ruolo di nuova potenza egemone nel mondo. I mercanti di morte, che avevano ricavato profitti osceni dalla guerra, non furono condannati, dato che non si poteva dimostrare nulla a loro carico. La prima guerra mondiale si concluse con la firma degli accordi di pace a Versailles, in Francia, il 28 giugno 1919. Con la famigerata “clausola di colpevolezza per la guerra” (ossia, l’articolo 231 del trattato di Versailles) la responsabilità per lo scoppio del conflitto fu attribuita unicamente alla Germania, anche se non era vero. La Germania fu tenuta a versare quasi 3 miliardi di dollari come riparazioni di guerra ai paesi che avevano fatto parte dell'Intesa. Thomas Lamont, un importante funzionario della banca statunitense J.P. Morgan Chase, prese parte di persona alle trattative di pace condotte a Versailles per assicurarsi che le somme da versare a Gran Bretagna e Francia mettessero in grado queste ultime di restituire la montagna di soldi che si erano fatte prestare dai mercanti di morte negli USA.
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