Otober 2023. Un italiano anomalo.
"Io son fatto per romper i coglioni a mezza umanità, e l'ho giurato; sì!
Ho giurato per Cristo!
Di consacrar la mia vita all'altrui perturbazione, e già qualcosa ho conseguito,
ed è nulla a paragon di ciò che spero, se mi lasciano fare, o se non possono ímpedirmi il farlo."
Giuseppe Garibaldi, lettera inviata nell'ottobre 1837 da Gualeguay
Dal Testamento di Giuseppe Garibaldi.
"Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada".
“El mestée del mes de otober” è dedicato all’italiano anomalo più conosciuto della storia. Lo definisco “anomalo” perché sostanzialmente privo dei difetti propri dell’italiano, riassumibili, non esaustivamente, nella seguente considerazione di Beppe Grillo.
“Essere o apparire? L'italiano non vuole sapere troppo su di sé. Nel caso sia costretto a guardarsi allo specchio, nega la propria immagine e attribuisce agli altri i suoi vizi, le sue debolezze. Si inventa un mondo di cui è prigioniero, ma di cui possiede le chiavi. Un canarino in gabbia, abituato a non volare, con il terrore di uscire dalla sua piccola prigione.
Odia essere messo di fronte alle sue responsabilità. Ama chi le prende al suo posto. E' un puro, non si occupa di politica, la subisce. E' onesto, non denuncia chi viola la legge perché non è suo compito. E' rassegnato all'immutabilità del mondo, che non ama.
Vive giorno dopo giorno, o forse è meglio dire alla giornata. Gli eroi gli danno l'orticaria, sono un modello che lo mette in imbarazzo. Preferisce chi è peggio di lui, lo fa sentire meglio, e lo nomina suo riferimento, presidente del consiglio, segretario di partito, giornalista.
Il suo ritratto è il più grande nemico. Passa la vita ad evitare il confronto, che, lui sa, potrebbe essere mortale. L'opinione che ha di sé stesso, anche se lui per primo sa essere falsa, è la cosa più importante che possiede. Lo tiene in vita, gli evita confronti dolorosi.
La sua esistenza è un gioco a nascondino, di "vorrei ma non posso", di "è una cosa più grande di me", di "qualcuno ci penserà".
E' un egoista inconsapevole, non sa di esserlo e forse non vuole esserlo. Vive nella paura della luce del giorno, della consapevolezza di quello che potrebbe essere, ma non è.”
Inizialmente marinaio, capitano, poi corsaro, guerrigliero, e, pur essendo già universalmente famoso, sensale mercantile, insegnante di matematica e lingue, operaio, per garantirsi la sussistenza, avendo sempre rifiutato offerte e possibilità di agiatezza.
Cittadino del mondo: Nazioni mediterranee e del Mar Nero, Argentina, Brasile, Uruguay, Regni italici, Gibilterra, Tangeri New York, Boston, Perù, Cuba, Panama, Hawaii, Cina, Filippine, dimenticando certamente qualche luogo ove visse.
Arrestato 9 volte, ferito 6 volte, ufficiale in 6 eserciti diversi, eletto parlamentare i 5 nazioni diverse.
Indispensabile, per una corretta contestualizzazione della figura di Garibaldi, definirne l’azione da un punto di vista marxista. L’assenza, giustificabile anche dalla collocazione temporale dell’operato e dalla formazione culturale di Garibaldi, di una visione comprendente la lotta di classe determinerà la brutale repressione dei moti contadini, di cui Bronte ne diverrà il culmine, nonché alcune divergenze nei confronti della Comune di Parigi e della Internazionale dei Lavoratori fondata nel 1864.
Ma non tutta la sinistra radicale aveva un giudizio critico su Garibaldi. Bakunin nel 1871: "Nessuno ammira più sinceramente, più profondamente di me l'eroe popolare Garibaldi. La sua campagna di Francia, tutta la sua condotta in Francia è stata veramente sublime di grandezza, di rassegnazione, di semplicità, di perseveranza, d'eroismo. Mai mi era sembrato così grande".
Anche Engels ebbe una posizione estremamente positiva sull'operato di Garibaldi.
Per parlarne, una canzone di Massimo Bubola, una essenziale cronologia della vita, una lectio magistralis di Alessandro Barbero, alcuni stralci tratti dal testo “Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo”, di Alfonso Scirocco, che privilegiano l’aspetto personale di Giuseppe piuttosto che la valenza o l’impresa storica.
Nota: La letteratura su Garibaldi è sterminata. I testi talvolta sono discordanti o palesemente romanzati. Ho scelto il libro di Scirocco perché uno dei più accreditati e minuziosi.
1807
Garibaldi nasce il 4 luglio a Nizza, allora appartenente alla Francia. Nel 1814 la città torna a far parte del regno di Sardegna.
1815
L`Italia, in seguito alle decisioni del Congresso di Vienna, è divisa in cinque Stati regionali e tre piccoli ducati.
1824-1833
Naviga nel Mediterraneo come marinaio mercantile. Nel 1832 consegue la patente di capitano di seconda classe.
1833
È affascinato dalle teorie sansimoniane e dalle dottrine di Mazzini, che nel 1831 ha fondato la Giovine Italia, col programma di rendere l`Italia una, indipendente e repubblicana. Alla fine dell’anno si arruola nella marina militare sarda.
1834
È implicato in un moto mazziniano a Genova. Scoperto, riesce a fuggire. È condannato a morte da un tribunale militare.
1834-1835
Si rifugia a Marsiglia, dove vive facendo il marinaio sotto falso nome. Aderisce alla Giovine Europa. Nell'estate del 1835 parte per il Brasile.
1836
A Rio de Janeiro fonda un'associazione mazziniana tra gli esuli italiani.
1837
Come corsaro entra al servizio della repubblica del Rio Grande do Sul, che lotta per ottenere l'indipendenza dal Brasile. Nel Rio della Plata è attaccato dagli uruguayani. Ferito, si rifugia in Argentina, e resta per alcuni mesi in prigionia a Galeguay. Liberato, si ferma per qualche tempo a Montevideo.
1838-1841
Passato nel Rio Grande, combatte contro i brasiliani per mare e per terra. A Laguna, nel 1839, incontra Anita; nel 1840 nasce il figlio Domenico, che chiamerà sempre Menotti.
1841-1848
Torna a Montevideo. Combatte per l'Uruguay, aggredito dall’Argentina, che appoggia il ribelle Oribe. Nel 1842 è incaricato di una spedizione sul fiume Paraná, poi partecipa alla difesa di Montevideo, assediata, nel 1845 comanda una spedizione sul fiume Uruguay, nel febbraio 1846 respinge forze superiori nella battaglia di San Antonio al Salto, che da grande risonanza, quindi ritorna a difendere la capitale. La fama delle sue imprese si diffonde in Europa. A Montevideo nascono Rosita (morta in tenera età), Teresita e Ricciotti.
1848
Il 15 aprile parte da Montevideo per l'Italia, dove giunge a giugno. E in corso la prima guerra d'indipendenza. Nella convinzione che gli italiani debbano essere uniti per sconfiggere l'Austria, offre la sua spada a Carlo Alberto. Non accettato nell'esercito piemontese, ottiene un comando dal governo provvisorio milanese. Combatte in Lombardia contro gli austriaci da irregolare dopo l'armistizio Salasco. Rientra a Nizza, quindi con un gruppo di volontari s'imbarca per portare aiuto alla Sicilia, in rivolta contro i Borboni. A Livorno decide di restare in Toscana, poi passa nello Stato pontificio.
1849
Combatte per la difesa della repubblica romana, proclamata dopo la fuga di Pio IX. Caduta la repubblica, a luglio, decide di raggiungere con alcune migliaia di volontari Venezia, assediata dagli austriaci. Costretto a sciogliere le truppe a San Marino, cerca con pochi compagni di raggiungere egualmente Venezia, ma deve rinunziare. Nell'agosto, durante la fuga, muore Anita. Lui a stento sfugge alla caccia che gli danno austriaci. In settembre è in salvo in Liguria.
1849-1853
Riprende la via del1'esilio. Si trattiene a Tangeri, dove comincia a scrivere le Memorie. Poi si reca in America, negli Stati Uniti. Naviga nel Pacifico. Sul finire del 1853 si imbarca per l'Inghilterra.
1854-1859
Toma in Italia. Si ferma a Nizza. Il padre è morto nel 1841, la madre nel 1852. Acquista parte dell’isola di Caprera e vi si trasferisce. Dal punto di vista politico, accantonate le idealità repubblicane, aderisce alla Società Nazionale, ritenendo opportuno che gli italiani collaborino con Casa Savoia, unica monarchia costituzionale in Italia, per raccogliere le forze contro l'Austria.
1859
Nella seconda guerra d'indipendenza è generale dell'esercito piemontese, al comando dei Cacciatori delle Alpi. Da Battistina Raveo ha la figlia Anita. Dopo l'armistizio di Villafranca assume il comando dell'esercito della Lega nel]'Italia centrale. Si dimette quando è impedito di invadere lo Stato pontificio.
1860
A gennaio sposa la marchesina Raimondi, dalla quale si divide dopo pochi giorni. Nell'aprile si oppone invano alla cessione di Nizza alla Francia. Il 6 maggio parte da Quarto con mille volontari, per appoggiare in Sicilia la rivoluzione contro i Borboni. L'11 maggio sbarca a Marsala, il 14 a Salemi assume la dittatura, il 15 batte i borbonici a Calatafimi, il 27 entra a Palermo, il 6 giugno è padrone della città. Il 20 luglio batte nuovamente i borbonici a Milazzo, il 19 agosto attraversa lo stretto di Messina e sbarca in Calabria, il 7 settembre entra in Napoli. L'1-2 ottobre annulla la riscossa borbonica nella battaglia del Volturno. Dopo che con un plebiscito è stata decisa l'unione di Mezzogiomo e Sicilia al regno sabaudo, il 26 ottobre incontra a Teano Vittorio Emanuele II e il 7 novembre rimette il potere nelle sue mani a Napoli. Il 9 riparte per Caprera.
1861
Nel marzo è proclamato il regno d’Italia. Nell’aprile Garibaldi ha in Parlamento uno scontro con Cavour sul trattamento fatto ai volontari.
1862
Nell'intento di liberare Roma con l'iniziativa popolare parte dalla Sicilia con 2.000 volontari, ma il 29 agosto è fermato in Calabria, sull’Aspromonte, dall'esercito italiano, Ferito, è tenuto prigioniero fino all'ottobre.
1864
In aprile compie un trionfale viaggio in Inghilterra.
1866
Nella terza guerra d`indipendenza comanda un corpo di volontari che combatte in Trentino. Riporta a Bezzecca l’unica vittoria di una campagna sfortunata per le armi italiane.
1867
Da Francesca Armosino nasce la figlia Clelia. Riprende il progetto di liberare Roma con una spedizione. A settembre partecipa a Ginevra al Congresso per la pace. Nell'ottobre si mette a capo dei volontari che hanno invaso il Lazio, ma la campagna per Roma termina infelicemente il 3 novembre a Mentana.
1869
Da Francesca Armosino nasce la figlia Rosita (che morrà nel gennaio 1871).
1870
Dall'ottobre al gennaio 1871 partecipa alla guerra franco-prussiana, in favore della repubblica proclamata in Francia. Inizia un'attività letteraria, che lo porterà a pubblicare tre romanzi ed a completare le Memorie.
1871
Torna a Caprera. Prende posizione in favore della Comune di Parigi e del socialismo.
1872
Alla morte di Mazzini ordina che sulla sua salma sventoli la bandiera dei Mille, benché dissenta dalla sua linea politica. Nel novembre cerca di unire le forze della democrazia italiana col Patto di Roma.
1873
Da Francesca Armosino nasce il figlio Manlio.
1875
Si trattiene a Roma sostenendo un progetto per la canalizzazione del Tevere.
1876
Accetta un dono nazionale, dopo che la Sinistra è andata al potere.
1879
Nell'aprile fonda a Roma la Lega della Democrazia) che promuove l’agitazione legale per la riforma elettorale.
1880
Ottiene l’annullamento del matrimonio con la Raimondi e sposa Francesca Armosino.
1882
Ritorna a Napoli e a Palermo. Muore a Caprera il 2 giugno.
Giuseppe Garibaldi, con Dante, Cristoforo Colombo, Leonardo da Vinci, è uno dei pochi italiani conosciuti e ammirati in tutto il mondo, l`unico dei tempi moderni, il solo a essere amato, oltre che ammirato. La sua vita, ricca di eccezionali imprese compiute in America e in Europa, è un romanzo di avventure, abbellito dal fascino dell’esotico; l'abilità con cui tiene testa ad avversari più forti lo accomuna agli eroi dei poemi epici, sbriglia la fantasia dei narratori, attira ammirazione e simpatia.
Coraggio e ostinazione, audacia e fortuna, s'intrecciano mentre, per dieci anni, pirata centauro, veleggia sui grandi fiumi e cavalca negli spazi sterminati di Brasile, Uruguay, Argentina, e quando combatte in Italia, sempre inferiore di uomini e di mezzi, sette campagne dal 1848 al 1867 contro austriaci, francesi, napoletani, e l'ottava in Francia nel 1870 contro i prussiani. Sorprende il nemico con inventiva e astuzia: in Brasile trasporta le navi dalla laguna al mare per via di terra, in Italia nel 1849 sfugge alla caccia di tre eserciti, nel 1860 beffa i borbonici, fingendo di ritirarsi mentre piomba su Palermo.
La fama delle imprese che lo vedono protagonista per mare e per terra vola nel mondo. Si occupano di lui governi e parlamenti, a Rio de Janeiro, a Montevideo, a Buenos Aires, a Parigi, a Londra, a Vienna, a Torino, a Roma, a Napoli. Se ne parla in Europa e in America. Combattono al suo fianco in America brasiliani, uruguayani, emigrati italiani e fuorusciti argentini, in Europa italiani di tutte le regioni e di tutte le condizioni, democratici francesi, inglesi, americani, tedeschi, esuli polacchi, ungheresi, russi, slavi.
Già noto nel Sud America, il suo nome dal 1845 si affaccia prepotentemente sui quotidiani europei; riviste a diffusione internazionale ne pubblicano i ritratti, ne illustrano le imprese con i servizi giornalistici di disegnatori e fotografi che lo seguono sui campi di battaglia; ritratti e rappresentazioni di episodi che lo riguardano sono diffusi con litografie a basso prezzo, in ogni angolo dell'Europa e delle due Americhe. Si moltiplicano biografie, spesso romanzate, in italiano, in inglese, in francese, in tedesco, in tutte le lingue.
L'enorme popolarità che ha tra i contemporanei non si spiega soltanto con l’eccezionalità delle imprese compiute. Ciò che colpisce la fantasia è lo straordinario disinteresse, la fermezza con cui rifiuta ricompense e onori, la semplicità della vita, che sconfina nella povertà, la modestia con cui ritorna nell'ombra appena ritiene terminata la sua opera, la disponibilità con cui mette la sua vita al servizio dei ribelli del Rio Grande, dei difensori di Montevideo, dei repubblicani francesi, lontano da egoistici interessi nazionalistici. Sul fascino di una personalità, in cui convivono stranamente temerario sprezzo del pericolo in guerra e gentilezza di modi nella vita quotidiana, s’interrogano uomini politici, letterati, giornalisti. Lo idolatrano le donne, nobili e popolane, ricche e povere.
Si forma presto il mito del combattente per la libertà e l’indipendenza di tutti i popoli, che lo accompagnerà per tutta la vita.
“Uomo di fama mondiale”, lo saluta nel 1850 “The New York Daily Tribune”; il russo Herzen lo esalta nel 1854 come “un eroe classico, un personaggio dell'Eneide [...] attorno al quale, se fosse vissuto in altra epoca, si sarebbe formata una leggenda”, e dieci anni dopo come “l’unica grande personalità popolare del nostro secolo elaboratasi dal 1848”, “Uomo della libertà, uomo dell'umanità”, lo definisce nel 1860 il francese Victor Hugo; tre anni dopo è considerato “l’uomo più grande del secolo” dal presidente argentino Bartolomeo Mitre; nel 1867 e chiamato dallo svizzero James Fazy “l'uomo più valoroso e più disinteressato del suo secolo”; nel 1870 all'inglese Philip Gilbert Hamerton sembra “il più romantico eroe del nostro secolo, l'uomo più famoso del pianeta, il capo più sicuro di vivere nel cuore delle future generazioni”; alla sua morte la tedesca “Deutsche Zeitung” invoca un nuovo Omero “per cantare degnamente l’Odissea di questa vita”.
Garibaldi appare l'eroe per antonomasia, ne attendono la spada liberatrice i contadini russi e i magnati ungheresi. Nel 1860 la fama dell'incredibile conquista di un regno si diffonde attraverso canali misteriosi tra operai e contadini di mezza Europa.
È questo il Garibaldi tuttora vivo. Anche se ha compiuto la sua più grande impresa in Italia e per l’Italia, egli ha rivolto l'animo alla liberazione di tutti i popoli oppressi e alla redenzione degli umili in un sogno di giustizia sociale, concepito in giovinezza con l'adesione a principi di umanitarismo e cosmopolitismo. Benché si senta nato per combattere (“la guerra es la verdadera vida del hombre”, è un motto a lui caro) considera la guerra una necessità dolorosa, determinata dall'ingiustizia.
Secondo gli organizzatori del Congresso internazionale per la pace di Ginevra il suo nome “vuol dire eroismo e umanità, patriottismo, fraternità dei popoli, pace e libertà”, In effetti la sua voce si leva spesso in favore della pace e della collaborazione tra i popoli. Nell'ottobre 1860, dopo la vittoria sul Volturno, rivolge un appello alle potenze europee perché formino un solo Stato, e successivamente propone un congresso mondiale per giudicare le controversie tra le nazioni, e incoraggia ogni iniziativa che abbia aspirazioni di pace. Nello spirito della fratellanza degli uomini nel 1871 esprime simpatia per il nascente socialismo, vedendo in esso soprattutto “un sentimento di giustizia e di dignità umana”.
Garibaldi è vissuto in un'epoca contrassegnata da una grande fioritura di sistemi politici ispirati dalla ricerca della giustizia sociale, dal sansimonismo e dal mazzinianesimo al socialismo anarchico di Proudhon e Bakunin e a quello scientifico di Marx. Si è avvicinato ad alcuni, in particolare ai primi due, senza identificarsi con nessuno. Ciò è stato considerato segno di superficialità e di mediocrità intellettuale da parte dei contemporanei e dei primi biografi. Nel XXI secolo, dopo il tramonto delle ideologie che hanno dominato la storia del Novecento, possiamo avere maggiore comprensione per il desiderio di indipendenza mentale di un idealista senza ideologie.
Avverso a etichette e preclusioni, e stato uomo della libertà, cittadino del mondo. Questo sogno ha dato un significato universale alla sua avventura umana, che ha affascinato romanzieri e poeti, da Alexandre Dumas a Giosue Carducci, e affascina ancora quanti credono nella forza animatrice dell'ideale. (Alfonso Scirocco)
La svolta della vita. Il sansimonismo.
L’anno dopo gli si manifesta lo scopo a cui dedicarsi. È la svolta della sua vita, articolata in due momenti immediatamente successivi. Sulla Clorinda nel marzo 1833 si imbarcano a Marsiglia tredici passeggeri francesi, diretti a Costantinopoli. Sono un gruppo di sansimoniani. Il conte Claude-Henri de Saint-Simon è uno dei primi teorici del socialismo. Vissuto a cavallo tra Settecento e Ottocento, partendo dall'esperienza della rivoluzione francese e della rivoluzione industriale, ritiene che con la distruzione delle antiche istituzioni e con la crisi delle tecniche di lavoro tradizionali si sta aprendo la via a un’epoca in cui si avrà il trionfo degli “industriels”, cioè della classe lavoratrice comprendente tutti i produttori di ricchezza, compresi scienziati e artisti, sugli “oisifs”, gli oziosi, dai nobili ai militari, cioè quelli che consumano senza produrre.
Saint-Simon propugna una società pianificata, diretta dai banchieri quali regolatori dell'impiego dei capitali, e dagli industriali, che promuovono le attività più redditizie, elevando il livello generale di vita: una società in cui ciascuno sarà remunerato secondo la sua capacità produttiva, espressa dai servizi resi alla collettività.
La realizzazione della giustizia sociale, accompagnata dal rispetto della legge, assicurerà la pace interna degli Stati e la felicità delle classi laboriose. La collaborazione fra i capitalisti per lo sviluppo economico mondiale, favorito da grandi opere pubbliche, estenderà questi benefici a tutta l`umanità, preparando l’unità dei popoli. A coronamento del nuovo ordine sorretto dalla scienza Saint-Simon pone una nuova religione, che appaghi gli insopprimibili bisogni spirituali.
Alla sua morte (1825) i discepoli sviluppano le intuizioni del maestro. Alcuni privilegiano gli aspetti filosofici, altri gli aspetti organizzativi che mettono in primo piano la funzione dei tecnici dell'economia, altri gli aspetti religiosi connessi alla guida dell'umanità verso la pace universale. Sotto la guida di Barthelemy Prosper Enfantin prende vita un movimento che mescola la fede nella capacità civilizzatrice della scienza a una visione religiosa del cammino dei popoli verso l’unità. Si forma una specie di chiesa, con una gerarchia che fa capo all'Enfantin e con l'elaborazione di una dottrina che indica ai fedeli precetti di vita. Si attende la venuta di una Mère, la Madre che si unirà al Padre per simboleggiare l’unità di intelletto e sentimento. Negli anni Trenta i sansimoniani si diffondono in Francia, mal visti dal governo perché contestano l'assetto della società borghese e sono accusati di combattere il diritto di proprietà e di volere il libero amore. Si imbastisce un processo. Enfantin è condannato a un anno di carcere e i suoi seguaci sono allontanati dal paese.
Il gruppo che parte sulla Clorinda appartiene a questo movimento. Esiliato dalla Francia, si reca in Turchia per cercare la Madre nell'Oriente misterioso. L’imbarco avviene di notte, sotto il controllo della polizia, alla presenza di una folla che saluta entusiasticamente i partenti. E una scena insolita per l'equipaggio della nave mercantile, che guarda con ammirazione i passeggeri. Durante la traversata il capo, Emile Barrault, uomo di cultura (è professore di retorica), dalla figura austera, illustra con fervore le sue convinzioni.
Garibaldi rievocherà con Alexandre Dumas (il famoso romanziere, diventato suo amico e biografo) i lunghi colloqui “durante quelle trasparenti notti d'Oriente [...], sotto quel cielo tutto cosparso di stelle” (si aggiunge l’abbellimento narrativo del grande autore dei “Tre moschettieri”. Gli vengono esposte le teorie sansimoniane, intravede “orizzonti ancora non intravisti”. Gli si spalanca la visione di una umanità che va verso la pace e il benessere. Lo colpisce l’affermazione “che l'uomo, il quale, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità per patria e va ad offrire la spada e il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia, È più di un soldato: E un eroe”. E una illuminazione. Oltre “le anguste questioni di nazionalità” in cui era chiuso il suo patriottismo, a Garibaldi si rivela la vocazione di combattente per la libertà dei popoli oppressi, in ogni luogo del mondo. La testimonianza di quanto sia profonda l'emozione dell'incontro è data da un fatto. Barrault dona al giovane ufficiale una copia del Nuovo Cristianesimo di Saint-Simon con la sua firma: il libro accompagnerà il Nizzardo lungo tutta la vita avventurosa e sarà nella sua stanza a Caprera al momento della morte. (Alfonso Scirocco)
Anita, Montevideo 1840.
A Montevideo Anita sopportò i disagi di un tenore di vita assai modesto. Varie testimonianze attestano la povertà della casa, priva persino di sedie, le ristrettezze economiche che impedivano l'acquisto di candele e si riflettevano nella modestia del vestire: conseguenze della condizione degli assediati e della fermezza con cui il guerrigliero italiano rifiutò compensi, che pure gli erano dovuti, e agevolazioni, per mantenere un carattere di idealità alla sua presenza in Uruguay. Si aggiungeva l'isolamento dovuto alla rozzezza dell'estrazione contadina, all’analfabetismo, all'essere brasiliana, di lingua portoghese. Benché fosse la moglie del comandante della marina, non partecipò alle iniziative delle signore altolocate in favore dei soldati e delle loro famiglie: non la troviamo nella Società filantropica delle dame orientali, presieduta dalla moglie di Rivera, rivolta a raccogliere fondi per l'ospedale e ad assicurare l'opera di infermiere volontarie. Certamente non andò ad assistere agli spettacoli che si tenevano per beneficenza al Teatro del Commercio, dove furono rappresentate opere liriche italiane. (Algonso Scirocco)
Uruguay, II metà anni’40.
Il ministro inglese William Gore Ouseley teme la disonestà dei funzionari uruguayani. Prende contatto con lui, incoraggiato dalla reputazione di cui gode, “non solo come uomo d'arme, ma per qualità di onore e di integrità”. Ricorderà che Garibaldi andava a incontrarlo di sera, perché non aveva i mezzi per comprare una lampada e per il suo lavoro utilizzava la luce del giorno fino al calar del sole, ed era sempre avvolto in un poncho, per nascondere lo stato pietoso degli abiti. Il diplomatico rileverà che “è capace insieme di comandare e di agire, sia in mare che a terra, ed è un marinaio eccellente, con grandi conoscenze nautiche”, apprezzerà l'estrema modestia dei suoi modi tranquilli e riservati, il disinteresse.
Lord Howden ha modo di costatare la sua integrità. Nel 1849 alla Camera dei lord testimonierà che “egli solo era disinteressato tra una folla di individui, i quali non cercavano che il loro personale ingrandimento”, e lo definirà “un uomo dotato di gran coraggio e di alto ingegno militare”.
Il suo disinteresse è proverbiale. Pare che nel 1847 Rosas suggerisca a Oribe di offrirgli 30.000 dollari per convincerlo a passare coi “blancos”, e che l'alleato gli risponda che è impossibile comprarlo: “E’ un selvaggio dalla testa dura”. (Alfonso Scirocco)
Braccati per l’Italia. La morte di Anita. Mandriole (Ravenna), 1849.
Il biroccino procede lentamente sotto il sole del pomeriggio. L’uomo, affranto, va a piedi, terge con un fazzoletto una spuma bianca che esce dalle labbra dell’agonizzante. A sera, alle Mandriole, alla fattoria Ravaglia, li attende un medico. In quattro prendono il materasso dagli angoli, trasportano Anita nella camera dei Ravaglia. “Nel posare la mia donna in letto, mi sembrò di scoprire sul suo volto la fisionomia della morte. Le presi il polso... più non batteva! Avevo davanti a me la madre dei miei figli, ch’io tanto amavo! Cadavere!”.
È una morte misera, come misera è stata la sua vita. Muore su un carretto o su un letto altrui, vestita di panni regalati per carità, lontano dalla patria e dalla famiglia. Ha lasciato tutti, anche i figli, non perché non li ami: li ha raccomandati al padre negli ultimi momenti di lucidità. Ha voluto stare fino alla fine vicino al suo uomo, sola ragione della sua vita. Unico conforto, lo ha avuto accanto nei momenti estremi.
(...)
Per tutti i protagonisti di quell'infocato inizio d'agosto le traversie non sono finite. Nemmeno per Anita. La regolare sepoltura di una donna non del posto richiamerebbe l`attenzione. La sera stessa del 4, al calar delle tenebre, i fratelli Ravaglia avvolgono la salma in un lenzuolo, la caricano su un biroccino, scavano in fretta una fossa poco profonda in un terreno incolto a meno di un chilometro dalla fattoria, vi depositano il cadavere, lo coprono con un po' di terra. Sei giorni dopo una ragazza, giocando nei paraggi, vede sporgere dalla sabbia una mano e un avambraccio, rosicchiati dalle bestie. Inorridita, corre dal padre, che avverte i gendarmi. Il cadavere è dissotterrato, esaminato e sezionato dal medico legale, riconosciuto per quello della donna che accompagnava Garibaldi, e sepolto al più presto per l’avanzata decomposizione. Provvede il parroco delle Mandriole, autorizzato dal vescovo ad accoglierlo nel cimitero locale. (Alfonso Scirocco)
1851-1865. L’acquisto e costruzione dell’abitazione a Caprera.
Nel 1851 il governo le aveva tolto i privilegi del porto franco. Cominciava a sentirsi più vicina alla Francia che al regno sardo. Garibaldi non vi si ritrovava. L'uomo, vicino ai cinquant’anni, invalidato dall’artrite, deluso dalla politica, desiderava vivere in disparte, in un luogo tranquillo. In un primo tempo volse lo sguardo al Capo Testa, sulle Bocche di Bonifacio, di fronte alla Corsica. I fratelli Susini lo invogliarono, invece, a comprare un appezzamento di terreno a Caprera, piccola isola semideserta vicina alla Maddalena. L’acquisto fu stipulato il 29 dicembre 1855. Garibaldi vi impiegò un gruzzolo derivante dall’attività marinara, e un'eredità di 35.000 lire, lasciatagli dal fratello Felice, morto nel novembre. Per il momento non andò a vivervi. Vi si recò saltuariamente, con pochi amici, accampato in una tenda, e cominciò a costruirvi una casa con materiali portati da Genova.
(…)
Caprera, un'isola prevalentemente rocciosa di 16 kmq, a 2 chilometri dalla Sardegna e a poche centinaia di metri dalla Maddalena, era abitata da pochi pastori e da una coppia di inglesi, i Collins, proprietari di metà del suolo. Garibaldi, aiutato da amici e dal figlio Menotti, cinse la sua parte con un muro, per difenderla dalle incursioni degli animali del vicino. Costruì una casa in muratura, a un solo piano, col tetto a terrazza, secondo lo stile delle case sudamericane, e la ampliò negli anni con i locali che servivano agli scopi che si proponeva.
“Vero agronomo” -scrisse alla sua morte un esperto di agricoltura, il professor Galante-, “Garibaldi trasformò la sua Caprera in una vera fattoria: con l’abitazione padronale, la stalla per vaccini ed equini, la concimaia normale, la capanna per mangimi e lettimi, i magazzini per le grascie, la colombaia e il pollaio perfezionati, il portico per gli attrezzi, strumenti rurali, una macchina a vapore fissa, un mulino a vento, perché ivi il vento è una vera forza motrice, il pozzo con tromba, il forno, l'orto, il giardino, i muri di cinta, comode strade.”
Vi introdusse alberi da frutto, cereali, ortaggi, foraggi, vi allevò equini, bovini, ovini, esercitò l’apicoltura. A tanto giunse col tempo. Nel 1865 gli ammiratori acquistarono e gli donarono la parte posseduta dai Collins. Divenne l'unico proprietario di Caprera.
Visse la vita semplice che sognava, con la famiglia, poche persone di fiducia, occupandosi della terra e degli animali, provvedendo personalmente all’abbigliamento (si industriava a tagliare e cucire i calzoni), leggendo i libri della sua biblioteca. Una vita patriarcale, dalla quale lo trasse l'altro grande sogno, quello dell'unità nazionale italiana. (Alfonso Scirocco)
Il pragmatico.
Abbenché nato rivoluzionario io non ho mancato, quando necessario, di sottopormi a quella disciplina necessaria, indispensabile alla buona riuscita di qualunque impresa, e sino dal tempo ch'ío m'ero convinto dover l'Italia marciare con Vittorio Emanuele, per liberarsi dal dominio straniero, io ho creduto un dovere sottomettermi agli ordini suoi a qualunque costo, anche facendo tacere la coscienza mia repubblicana. (Dalle "Memorie", Giuseppe Garibaldi)
I Mille. Bronte, 1860.
In tutte le province contrasti locali e rivolte contadine sfociavano in fatti di sangue. La rivoluzione per l'unità, quale era intesa dai garibaldini, diventava lotta di classe. A Giuseppe Cesare Abba un giovane frate, prima dell'entrata in Palermo, aveva osservato che la libertà non bastava a chi non aveva pane, che occorreva “qualcosa di più” della caduta dei Borboni, una guerra “degli oppressi contro gli oppressori grandi e piccoli, che non erano soltanto a Corte, ma in ogni città e in ogni villa”. L'insofferenza per la miseria e l'eterna questione delle terre demaniali avevano provocato una serie di sollevazioni, un tumultuoso e spontaneo movimento delle masse contadine, particolarmente esteso nel giugno-settembre. Non mancarono di farsi sentire le pressioni dei proprietari terrieri su Crispi e sullo stesso Garibaldi. Il governo intervenne duramente utilizzando reparti della Guardia nazionale, e facendo giustizia sommaria con Consigli di guerra e Commissioni speciali.
A protestare non erano solo privati e antichi feudatari. Il console spagnolo segnalò l`occupazione di terre appartenenti al duca di Ferrandina, e il console inglese si rivolse a Garibaldi, ritenendo minacciati i beni dei discendenti dell'ammiraglio Nelson a Bronte. Il Dittatore, da Messina, scrisse di suo pugno al governatore di Catania l’ordine di inviare “immediatamente una forza militare atta a sopprimere i disordini che vi sono in Bronte, che minacciano la proprietà inglese”: era il minimo che potesse fare per ricambiare la protezione ricevuta da “codesti Signori dell'Oceano”.
A Bronte, come altrove, le masse contadine si erano sollevate per ottenere la divisione delle terre demaniali, abbattendo siepi, occupando i terreni contesi, uccidendo i “galantuomini” che si opponevano, o si erano opposti in passato.
(...)
Il colonnello Giuseppe Poulet, capo delle milizie insorte a Catania il 31 maggio, giunto a Bronte il 3 agosto, aveva riportato la calma dando ascolto ai lamenti della turba ancora insanguinata.
Aveva affidato la sicurezza ai capi della rivolta e proceduto al disarmo. Un atteggiamento conciliante verso i sovvertitori dell’ordine borghese non era piaciuta al console. Nino Bixio partì da Messina al comando di un contingente di truppa, con la “missione maledetta (così scrisse alla moglie), dove l’uomo della mia natura non dovrebbe essere destinato”. Si trattava di dare un terribile esempio. Giunse il 6. Chiamata da un centro vicino la Commissione speciale, procedette rapidamente con giudizi sommari, arresti in massa, fucilazioni immediate.
Fu una triste pagina, dettata dal timore che il diffondersi delle agitazioni contadine compromettesse il proseguimento della guerra al Borbone, obiettivo principale, perché la vittoria avrebbe assicurato l’indipendenza nazionale. Garibaldi e i suoi non conoscevano i problemi propri della Sicilia e del Mezzogiorno, che immaginavano simili all’Italia settentrionale nella composizione della società, nell’economia e nei rapporti tra le classi. Anche se in Sicilia, come avveniva contemporaneamente in Europa, l'Eroe era immaginato come il protettore degli oppressi, in concreto l'apertura ai ceti umili restava più emotiva che politica. (Alfonso Scirocco)
I Mille. Napoli, 1860.
Palazzo d'Angri, diventato sede della dittatura, è perennemente affollato da militari e civili, da autorità e popolani. Garibaldi ha scelto per sé una stanzetta arredata modestamente con un lettino di ferro, e vi riceve ogni giorno dalle dieci alle undici chiunque chieda di parlargli. Lo avvicinano gentildonne napoletane e straniere, invaghite del leggendario guerriero. Viene a conoscerlo la scrittrice francese Louise Colet, che gli parla di Venezia, da lei visitata pochi giorni prima: il Dittatore le conferma il proposito di liberarla insieme con Roma; torna accanto a lui Speranza von Schwartz. Secondo il "MacMillan’s Magazine" un gruppo di ammiratrici inglesi ottiene di dargli ciascuna un bacio e tagliargli una ciocca di capelli per ricordo: Türr si occupa di ravviargli la chioma con un pettine. Corre voce che, per evitare che il Nizzardo, molto sensibile al fascino del bel sesso, sottragga troppe energie alle cure del governo, i suoi ufficiali si preoccupino di fornirgli una non richiesta guardia del corpo. (Alfonso Scirocco)
I Mille. Teano, 1860.
Vittorio Emanuele si trattenne un po' in disparte a colloquio col generale. Poi si avviò, cavalcando, con Garibaldi a sinistra. A venti passi di distanza seguivano alla rinfusa gli ufficiali garibaldini in camicia rossa e quelli dell’esercito regolare nelle eleganti divise. Nelle vicinanze di Teano si separarono. Il re proseguì per la cittadina, dove i cuochi lo avevano preceduto per preparare il pranzo. Garibaldi prese una via laterale. Si fermò in un casolare.
Pranzo “seduto su una pancuccia, a due passi dalla coda del cavallo: stavagli davanti un barile in piedi, sul quale gli fu apprestata la colazione. Una bottiglia d`acqua, una fetta di cacio e un pane. L'acqua per giunta infetta”. Il giorno dopo, a Jessie White Mario, che chiedeva provvedimenti per i feriti, disse tristemente: “Signora, ci hanno messi alla coda!”. Il re gli aveva comunicato che le operazioni di guerra sarebbero state continuate dall’esercito regolare, I corpi volontari ancora utilizzati sarebbero stati comandati da Della Rocca.
Per il conquistatore di un regno gli ultimi giorni furono un susseguirsi di amarezze. “Si voleva godere il frutto della conquista, ma cacciarne i conquistatori”, fu il suo giudizio. In realtà Cavour aveva fretta di mostrare alla diplomazia che l'avventura rivoluzionaria in Italia era finita. Era urgente ristabilire a Napoli l'ordine politico-sociale garantito da un governo universalmente riconosciuto, mettere fine a una situazione anomala, quale era la dittatura, e rendere vane le minacce per Roma. In questo senso l'intransigenza verso Garibaldi e i garibaldini mostrata a Napoli dal re e dal suo entourage aveva un'incontestabile validità. Non fu, però, accettabile l’ostentazione di questa intransigenza, il silenzio sui Mille e il loro duce in tutti gli atti compiuti in quei giorni in nome della monarchia, il gretto spirito burocratico con cui furono trattate le camicie rosse, l’insensibilità ai sentimenti di Garibaldi mostrata da Cavour con l`invio al fianco del re di Fanti e Farini, considerati da lui suoi nemici personali: Farini si gloriò di non avere stretto la mano al Dittatore.
Così, fu il solo Garibaldi a dare un segno di riconoscenza ai volontari. Il 31 ottobre, a Napoli, nella piazza del Palazzo Reale, consegnò alle formazioni ungheresi le bandiere donate dalle donne napoletane, e il 4 novembre distribuì ai Mille di Marsala (ne erano presenti 426) la medaglia decretata dal municipio di Palermo. Il 6 a Caserta, davanti alla Reggia, passò in rassegna le formazioni che avevano combattuto la guerra vittoriosa. Il re aveva promesso di assistere a questo atto solenne. Non si presentò. Il comandante Forbes sostenne che era impegnato in un convegno galante a Capua (caduta il 2); più probabilmente, dai suoi consiglieri fu dissuaso dal convalidare l`opera della rivoluzione.
Garibaldi non ricambiò le scortesie. Il 7 novembre fu al fianco di Vittorio Emanuele, che fece l'ingresso ufficiale a Napoli, accompagnandolo nell'itinerario di prammatica, alla reggia e al Duomo. L'8, nella sala del trono del Palazzo Reale, presentò al nuovo re i risultati del plebiscito; per cortesia, prese parte al successivo ricevimento. La sua autorità cessava. Aveva chiesto di rimanere nel Mezzogiorno per un anno come luogotenente: gli fu negato, per le valide ragioni politiche che conosciamo; aveva chiesto che il suo esercito non fosse disperso: anche questo gli fu negato, per ragioni meno plausibili. Gli furono offerte cariche e prebende, che, secondo il solito, rifiutò: il collare dell'Annunziata (massima onorificenza del regno, conferita al Pallavicino), un titolo nobiliare, la promozione a generale d'armata, un castello, una nave, una tenuta per Menotti, una dote per Teresita, la nomina di Ricciotti ad aiutante di campo del re.
Parti, mesto, all’alba del 9. “Ecco, Persano -confidò all'ammiraglio-, degli uomini si fa come degli aranci; spremutone il succo fino all’ultima goccia, se ne getta la buccia in un canto”. Andò sullo Hannibal a salutare l’ammiraglio Mundy. Poi s’imbarcò sul piroscafo americano Washington. Lo accompagnavano Menotti, Giovanni Basso, Giovanni Froscianti, Luigi Gusmaroli, Luigi Coltelletti, Pietro Stagnetti. Delle ricchezze del regno portava qualche centinaio di lire (messe da parte da Basso a sua insaputa), alcuni pacchi di caffè e di zucchero, un sacco di legumi, un sacco di sementi, una balla di merluzzo secco. (Alfonso Scirocco)
Il visionario europeista e pacifista. 1860-1862.
Il 15 ottobre 1860, dopo la battaglia del Volturno, invia un Memorandum a/le Potenza d'Europa. Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato, è il suo ragionamento, chi mai penserebbe a disturbarla in casa sua?
“E in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte; e gli immensi capitali, strappati quasi sempre ai bisogni e alla miseria dei popoli per essere prodigati in servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a vantaggio del popolo in uno sviluppo colossale dell'industria, nel miglioramento delle strade, nella costruzione dei ponti, nello scavamento dei canali, nella fondazione di stabilimenti pubblici, e nell'erezione delle scuole che torrebbero alla miseria ed all'ignoranza tante povere creature, che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro grado di civiltà, sono condannate, dall'egoismo del calcolo e dalla cattiva amministrazione delle classi privilegiate e potenti, all'abbrutimento, alla prostituzione dell'anima o della materia.”
Nel 1862, dopo Aspromonte, dal Varignano, rivolge all'Inghilterra l'invito a unirsi alla Francia per fondare gli Stati Uniti d'Europa e metter fine alle guerre di conquista. C'è di più: un congresso mondiale dovrebbe giudicare le controversie tra le nazioni. Sarebbero eliminati gli eserciti stanziali. Al posto di bombe e corazze si avrebbero “vanghe e macchine da falciare”.
Negli anni successivi è pronto a incoraggiare ogni iniziativa che abbia aspirazioni di pace. Nella primavera del 1867 l’Europa, scossa dalla potenza militare mostrata dalla Prussia nella guerra contro l’Austria, è corsa da fremiti antibellicisti. Gli operai parigini e berlinesi votano risoluzioni contro la guerra. L’Eroe si associa. E’ tempo che le nazioni si intendano senza bisogno di sterminarsi -afferma nel maggio-. E tempo che il ferro adoperato per terribili apparecchi di distruzione lo sia d'ora innanzi per macchine ed utensili giovevoli al popolo che manca di pane.” (Alfonso Scirocco)
Ritorno a Caprera, 1861.
Un visitatore, Candido Augusto Vecchi, ci fa conoscere come si svolge la vita giornaliera. Arrivato nella tarda mattinata, a mezzogiorno partecipa al pranzo: la sua presenza è festeggiata con “un piatto di classici maccheroni”, poi pesce (pescato dallo stesso Garibaldi), cinghiale arrosto e pernici (procurate nella vicina Sardegna con la caccia da Menotti, o nell'isola, insieme con beccacce e lepri), frutti secchi di Calabria e vino di Capri, dono di ammiratori. A Felix Mornand capiterà di bere vino d’Asti. Torniamo ai vari momenti della giornata. Preso il caffe, ognuno riprende il lavoro. Vecchi si unisce a Garibaldi, che sta alzando un muro a secco. Nel pomeriggio giungono col vapore altri ospiti. C'è Bixio, c'è un medico-filosofo, Timoteo Riboli, che intende studiare il cranio dell'Eroe, per conoscere le ragioni delle sue eccezionali qualità, secondo le teorie della frenologia, e trova consenziente l’illustre paziente.
Alle sei si cena. Garibaldi, che a pranzo beve acqua, la sera beve latte fresco. Ai commensali sono servite insalata e carne, con latte, tè, caffè. Il generale, se è di buon umore, narra con vivacità fatti della sua vita avventurosa. Spesso Teresita suona il piano, canta arie di opere, imitata dal padre. Si associano al canto gli ospiti, si finisce con inni patriottici. Dopo la cena Garibaldi si ritira nella sua stanza e legge un poco, stando a letto. Alle dieci si addormenta, si sveglia alle tre. Chiama Vecchi. Prendono il caffè, fumano un sigaro. Da lui, giornalista e scrittore, si fa aiutare a sbrigare la corrispondenza. Gli giungono lettere da ogni parte. Molte signore, soprattutto inglesi, gli chiedono una ciocca di capelli; generalmente, i corrispondenti desiderano ritratti e autografi. Rispondere è noioso: “son pigro a scrivere”, confessa a Livio Zambeccari. Di solito se ne occupa Giovanni Basso, segretario devoto, con lui dal 1849, ma intere lettere, con la sola sua firma, sono anche d'altra mano.
Al mattino comincia a darsi da fare per la vita quotidiana. Registra accuratamente le variazioni del tempo, i lavori nei campi e nella casa, gli acquisti e le spese, gli avvenimenti salienti. L'agricoltura richiede fatica e non dà le soddisfazioni sperate. Il suolo è sassoso, è necessario spaccare i massi per liberarlo. Spesso a quest'ingrata bisogna si adoperano gli ospiti. Lo fa anche Vecchi. I sassi di Caprera, con coralli e ramoscelli, sono conservati come ricordo dai visitatori, e mandati a chi desidera una testimonianza dell’Eroe. Tra la scarsa coltivazione scorrazzano i cavalli, Marsala, Borbone, un morello tolto a un lanciere a Reggio da Menotti, Said, dono del Khedivè d’Egitto, e asini, ai quali ironicamente Garibaldi ha posto il nome di personaggi a lui invisi. Ci sono ancora tre cani da caccia, pecore e pollame. In complesso le risorse locali sono scarse. (Alfonso Scirocco)
Le dimissioni da deputato, 1867.
I dibattiti alla Camera non lo avevano mai attirato: nell'agosto del 1868 si dimise da deputato. Non rinunziò a intervenire nelle vicende italiane con accesi proclami e prese di posizione. Continuò le invettive contro la Chiesa cattolica e nel 1869 aderì a un Anticoncilio riunito a Napoli, in contrapposizione al Concilio Vaticano I. Levò la voce a deprecare le persecuzioni governative contro i democratici (anche il genero Canzio, accusato di cospirazione repubblicana, fu arrestato nell'estate del 1869, e Ricciotti nel 1870 prese parte a un moto d'ispirazione mazziniana in Calabria), la repressione dei moti popolari scoppiati per la tassa sul macinato, e gli scandali denunziati alla Camera dalla Sinistra. Con distacco, senza più propositi d`intervento, seguiva le lotte per la libertà che si svolgevano in Europa, la rivolta di Creta contro i turchi e i contrasti interni nella Spagna, dove la repubblica non aveva messo radici e si preparava il ritorno della monarchia. Fisicamente sembrava finito.
La salute del vecchio è già rovinata e i medici non gli assicurano un lungo soggiorno tra i vivi -riferì il romanziere polacco Józef Ignacy Kraszewski, andato a visitarlo a Caprera nel dicembre 1869-. Sta a letto da più di un mese, le mani sono rattrappite dalla paralisi, il viso è pallido come carta trasparente, le gambe gonfie [...]. Intorno a sé, purtroppo, vede solo un deserto. La capanna nella quale ha il suo nido è umida e il mangiare, Dio mio, cavoli e fagioli. Lo servono due vecchie streghe, e il suo vecchio amico Basso funge da scriba e da amministratore del podere, che e in stato di decadenza. I figli girano per la penisola e pochi sono coloro che, per visitarlo, rischino un viaggio lungo e stancante da Genova nel periodo in cui il mare è sconvolto dalle tempeste [..,]. Unico divertimento dell'ammalato, che giace su un largo letto contadino, è la corrispondenza. (Alfonso Scirocco)