Mars 2024. Il fondamentale supporto economico USA alla Germania nazista.
“El mestée del mes” lo dedico al rapporto esistito, poco pubblicizzato per motivi facilmente comprensibili, tra la Germania nazista e il capitale estero soprattutto statunitense, ove si rileva in taluni settori fondamentali e strategici l'indispensabile supporto economico, con l'avallo politico, dato al nazismo per la sua ascesa e nella fase espansiva extra-territoriale. Supporto che ha consentito a Hitler annessioni e aggressioni pre-belliche, nonchè lo scatenamento della seconda guerra mondiale e il suo protrarsi per oltre 5 anni. Ad ennesima dimostrazione che per il capitale-profitto statunitense (e non) la differenza tra “democrazia” e “dittatura” è inesistente e artatamente creata ad usum “anime belle” nel migliore dei casi, se non “utili idioti”.
I testi sono di Arturo Peregalli e Daniele Ganser, con un documentario di Rai3 (purtroppo di pessima qualità), non più ovviamente negli archivi Rai disponibili al pubblico, che ho rintracciato su YouTube e salvato prima che sparisca dalla circolazione: "La doppia guerra di Hitler e le industrie americane".
Estratto da “La natura della seconda guerra mondiale e la dissidenza di sinistra”, di Arturo Peregalli. 1987.
Nel 1939 la macchina bellica nazista era forse il congegno economico meno “nazionale” che si potesse trovare sull’arena degli Stati che avevano partecipato alla Prima Guerra mondiale. L’economista Charles Bettelheim ha scritto che “si può dire che settori vitali dell’economia tedesca erano controllati (…), almeno parzialmente, dal capitale internazionale”. La compenetrazione tra il capitale tedesco e il capitale cosiddetto “democratico” occidentale in Germania aveva raggiunto nel 1939, quando scoppiò la guerra, una fase molto avanzata.
Nel 1938 l’industria automobilistica -essenziale per un’economia di guerra moderna- presentava la seguente situazione: delle quattro maggiori case produttrici presenti in Germania (Daimler, Auto Union, Ford e Opel), la Ford (filiale della Ford statunitense) e la Opel (di proprietà dal 1929 dell’americana General Motors) producevano ben il 52% delle vendite in Germania. Nel 1935, su richiesta dello Stato Maggiore nazista, la direzione della Opel, con sede a Brandeburgo, aveva realizzato un camion pesante che avrebbe dovuto essere “meno vulnerabile agli attacchi degli aerei nemici”. Così, a partire dal 1937, l’Opel Blitz, prodotto a ritmi accelerati, equipaggiò l’esercito tedesco. Due anni dopo anche la statunitense Ford aprì, alla periferia di Berlino, una fabbrica di montaggio per automezzi destinati alla Wehrmacht. Gli affari andarono talmente bene che nel 1941, in piena guerra, Ford decise di aumentare il capitale della sua filiale tedesca, che lavorava per i nazisti, portandolo da 20 a 32 milioni di marchi.
Agli inizi del 1939 la General Motors adibì gli stabilimenti Opel di Russelsheim alla fabbricazione di aerei militari. Dal 1939 al 1945 quegli stabilimenti produssero, da soli, il 50% di tutti i sistemi di propulsione destinati allo Junkers 88, considerato come il miglior bombardiere della Luftwaffe.
Per l’esercito di terra, le filiali tedesche della General Motors e della Ford costruirono il 90% dei camion leggeri (i cosiddetti “muli”) e il 70% di tutti i camion pesanti e di medie dimensioni. Secondo i servizi segreti britannici, tali veicoli costituivano “la spina dorsale del sistema di trasporto dell’esercito tedesco”.
In piena guerra, i trasferimenti e gli scambi di materiali continuarono tranquillamente tra il quartier generale di Detroit della General Motors, le varie filiali dislocate nei paesi alleati e quelle insediate nei territori dell’Asse. I registri contabili della Opel avrebbero in seguito rivelato che, dal 1942 al 1945, la fabbrica di Russelsheim aveva elaborato le proprie direttive di produzione e di vendita in stretto rapporto con gli stabilimenti della General Motors di tutto il mondo (Brasile, Olanda, Uruguay, Giappone, Hong Kong e Shanghai), nonché, ovviamente, con la sede centrale negli Stati Uniti.
Nel 1943, mentre gli stabilimenti statunitensi di quella multinazionale rifornivano l’aviazione USA, il gruppo tedesco costruiva i motori del Messerschmitt 262, uno dei primi caccia a reazione del mondo.
Dopo la guerra, sia la Ford che la General Motors riuscirono ad avere il risarcimento dei danni di guerra subiti dalle loro fabbriche situate nei territori controllati dall’Asse, dovuti ai bombardamenti alleati: nel 1967 la General Motors avrebbe infatti ottenuto dal governo statunitense ben 33 milioni di dollari, contro un solo milione ricevuto dalla Ford.
Un altro esempio ci viene fornito dal caso della International Business Machines Corporation, la celebre IBM statunitense, che era proprietaria di molte fabbriche in Germania e nel resto d’Europa, i cui stabilimenti venivano addirittura considerati come un importante elemento dello sforzo bellico tedesco. Detentrice del 94% delle azioni della Munitions Manufacturing Corporation, essa fabbricava anche per gli Alleati bombardieri, cannoni e parti di motore per aerei. Questo sforzo a favore del “mondo libero” gli avrebbe fruttato un guadagno di oltre 200 milioni di dollari. Nel frattempo, la holding svizzera della IBM continuò, per tutta la guerra, a ricevere i profitti delle fabbriche del gruppo dislocate in Germania, mentre quelle situate vicino a Parigi, a Corbeil-Essonnes, sarebbero state amministrate fino alla Liberazione da un capitano delle SS.
L’esempio della IBM ci chiarisce anche perché molte fabbriche tedesche non venivano bombardate, mentre invece si radevano al suolo interi quartieri operai. Il capo del personale del gruppo canadese della IBM Frank MacCarthy, che era membro dell’equipaggio di un bombardiere della Royal Air Force britannica, nel corso di una missione sulla città di Sindelfingen sganciò le sue bombe a caso per evitare di colpire una fabbrica dell’IBM.
Anche per quanto riguarda i rifornimenti petroliferi, fondamentali per una nazione moderna in guerra, i nazisti dipendevano da industrie di proprietà delle “democrazie occidentali”. Fino a quando i tedeschi iniziarono a produrre petrolio sintetico, il 53,5% del petrolio distribuito in Germania era controllato da tre monopoli: la Standard Oil (USA), la Shell (Regno Unito) e la Interessen-Gemeinschaft Farbenindustrie (IG Farben). Quest’ultima non era un’impresa puramente tedesca in quanto un gran numero di sue azioni, per un totale di parecchi milioni di dollari, era posseduto da varie banche statunitensi, tra cui la Chase National Bank (il cui azionista di maggioranza era John D. Rockefeller) e la J.P. Morgan Bank, nonché dalla tedesca M.M. Warburg Bank.
Per avere un’idea dell’importanza della IG Farben -la quale, sia detto per inciso, era l’industria che fabbricava il famoso Zyklon B, il gas mortale utilizzato dai nazisti nelle camere a gas-, basti pensare che nel 1932 essa era l’azienda chimica più importante del mondo: controllava 400 compagnie tedesche e 500 imprese commerciali, e possedeva ferrovie, miniere di carbone e fabbriche in parecchie decine di paesi. Va inoltre tenuto presente che questa holding, come altre d’altronde, non ha mai smesso di sovvenzionare il partito nazista.
Quando la macchina bellica nazista, in piena guerra, ebbe la necessità di una maggiore quantità di petrolio, si pensò di produrlo attraverso l’idrogenizzazione del carbone. A tale scopo si addivenne ad un accordo tra le tre società summenzionate (e cioé Standard Oil, Shell e IG Farben) per la produzione di questo tipo di petrolio, con la partecipazione nell’affare di un terzo per ciascuna di esse.
Anche la multinazionale statunitense International Telephone & Telegraph (ITT), che possedeva importanti imprese sul suolo tedesco, partecipò allo sforzo bellico di Hitler. Solo per fare un esempio, nel 1938 la Lorenz-ITT, con l’accordo di Hermann Gohring, rilevò il 28% del capitale dell’azienda aeronautica che avrebbe costruito il Focke-Wulf, un micidiale cacciabombardiere che fece strage dei convogli alleati. Non solo: dal 1941 al 1944 oltre metà della produzione delle fabbriche spagnole della ITT fu destinata a sostenere lo sforzo bellico nazista. E dagli USA, sempre attraverso la Spagna, la ITT trasferì alla Germania, almeno fino al 1944, materie prime fondamentali per la produzione bellica. Si è detto che il presidente di tale società, Sosthenes Behn, “è talvolta criticato in alcuni circoli politici americani”, ma “sa che può contare sull’appoggio totale degli ambienti militari”. Mentre i Focke-Wulf che la ITT statunitense aveva contribuito a fabbricare mitragliavano le truppe e i convogli alleati, la stessa ITT perfezionò, per i bombardieri americani, la messa a punto di un sonar ad alta frequenza destinato ad intercettare i sottomarini tedeschi. Behn avrebbe ricevuto nel 1946, dalle mani del presidente Harry S. Truman, una medaglia al merito per il suo contributo allo sforzo militare statunitense. Forte dei suoi diritti, la ITT sarebbe riuscita anch’essa ad avere dal governo USA 27 milioni di dollari come risarcimento dei danni subiti dalle fabbriche del Focke-Wulf che erano state bombardate dagli aerei alleati.
Occorre poi aggiungere che Alfried Krupp non era il solo a fornire all’esercito di Hitler l’acciaio per i suoi cannoni. Anche la statunitense U.S. Steel, proprio grazie ai Krupp, riuscì a realizzare durante la guerra grossi profitti in Germania, facendo funzionare le sue fabbriche nella regione della Ruhr.
Nell’industria elettrica ed elettrotecnica, il capitale straniero investito in Germania ammontava al 23% del capitale complessivo. Nella Siemens tedesca c’erano capitali britannici e svizzeri. La summenzionata ITT controllava in quel periodo ben venti società. Nel 1933 l’industria del vetro era controllata all’80% dal capitale straniero, ma quattro anni dopo, nel 1937, tutta l’industria vetraria era passata in mano al gruppo belga Solvay e alla francese Saint-Gobain. Il trust britannico-olandese Unilever aveva una buona partecipazione nell’industria della carta. Per completare il quadro, va sottolineata l’esistenza di stretti legami tra molte banche tedesche, britanniche e statunitensi.
Pochi, allora, denunciarono la collusione tra il capitale cosiddetto “democratico” e quello cosiddetto “totalitario”. In Italia certamente nessuno, per quanto ne sappiamo. In Francia, il giornale trotskista “La Verité” segnalò invece (ma invano) nel 1944 il passaggio, alla frontiera tra la Spagna e la Francia, di treni-cisterna pieni di benzina diretti verso la Germania. Il giornale in questione rivelava che la vendita ai tedeschi del petrolio proveniente, in pratica, da società statunitensi, non era un caso isolato. In esso si può infatti leggere: (…) Abbiamo già segnalato l’invio di aerei americani alla Germania attraverso il Portogallo. (…)
Si deve inoltre aggiungere che anche il Messico “democratico” e “progressista”, sotto la guida del presidente Làzaro Càrdenas, vendette petrolio alla Germania in guerra senza che gli Stati Uniti, che erano al corrente del traffico, vi si opponessero.
Una prima riflessione che è possibile fare a partire da tutto ciò è la seguente: una guerra, e a maggior ragione una guerra moderna come la Seconda Guerra mondiale, non può essere condotta senza mezzi tecnici ed economici adeguati, e questi mezzi vengono forniti dal capitale, indipendentemente dalla sua nazionalità. L’esercito nazista era equipaggiato in buona parte con mezzi forniti dal capitale cosiddetto “democratico”, e moltissimi automezzi militari e carri armati tedeschi erano alimentati da benzina fornita dalle compagnie occidentali “democratiche”.
Per inciso, vorrei aggiungere che, dal 1939 al 1941, anche la Russia fornì alla Germania nazista ben 900mila tonnellate di petrolio, 100mila tonnellate di cromo, 500mila tonnellate di minerali di ferro, 2,5 tonnellate di platino e un milione di tonnellate di granaglie.
Un’altra considerazione da trarre è che il capitale tedesco di quel periodo era condizionato da quello degli Alleati molto più di quanto lo stesso capitale tedesco potesse condizionare quello occidentale.
Estratto da “Breve storia dell’impero americano” di Daniele Ganser. 2021.
Spesso la narrativa sulla seconda guerra mondiale sostiene che gli USA sono rimasti osservatori neutrali fin quando l'attacco giapponese a Pearl Harbor li ha trascinati nel conflitto, sia pure controvoglia. Ma le cose non andarono così. Già prima della loro entrata in guerra ufficiale, gli USA erano intervenuti dietro le quinte, con rifornimenti di petrolio alla Germania del cancelliere Adolf Hitler. Si trattò di un aspetto decisivo, dato che la seconda guerra mondiale era caratterizzata da un grande dinamismo delle truppe al suolo, nei mari e nell’aria, che poteva essere assicurato soltanto grazie a un apporto costante di energia, fornita in primo luogo dal petrolio. Tuttavia la Germania non disponeva di apprezzabili giacimenti petroliferi nel suo territorio quindi dipendeva dalle importazioni.
(…)
Hitler sapeva che i piccoli giacimenti in patria non potevano bastare per una guerra offensiva. Nel quadro del cosiddetto “Reichsbohrprogramm", Hitler fece trivellare tutto il paese alla ricerca del petrolio, ma con risultati assai scarsi. Perciò i nazisti tentarono di ricavare combustibile per i motori delle macchine belliche dal carbone, materia che invece si trovava in abbondanza in tutta la Germania. Il colosso chimico IG Farben (la cui denominazione è l’abbreviazione di “conglomerato dell’industria dei coloranti e dei prodotti chimici”, con sede principale a Francoforte, fu il maggior produttore di quella “benzina sintetica", un surrogato che veniva realizzato anche nella città di Leuna, ragion per cui quel carburante derivato dal carbone era noto anche come Leunabenzin. Tuttavia il processo di trasformazione era costoso e servivano quasi cinque tonnellate di carbon fossile per ottenere una tonnellata di carburante. “Non conta nulla quanto incidano i costi di produzione di queste materie prime”, dichiarò Hitler, per il quale il carburante tedesco doveva “diventare una realtà, anche se sono necessari dei sacrifici”.
Ma a dispetto della benzina sintetica e della campagna di prospezioni condotta, alla vigilia del secondo conflitto la Germania era ben lungi dal poter sopperire al fabbisogno di petrolio con il carbone o il petrolio estratti in patria. Il consumo di petrolio si misura in barili, la cui capacità è fissata convenzionalmente in 159 litri. Dei 100.000 barili al giorno di cui aveva bisogno la Germania, appena 2.000 erano quelli prodotti artificialmente con la lavorazione del carbone, ai quali se ne potevano aggiungere altri 10.000, provenienti dai modesti giacimenti nel sottosuolo tedesco. Dunque con questi 12.000 barili Hitler riusciva a coprire solamente il 12% del suo fabbisogno ed era molto dipendente dalle importazioni dall'estero per fare fronte agli altri 88.000 barili necessari ogni giorno.
Il giornalista statunitense Russell Freeburg, che aveva combattuto nella seconda guerra mondiale e poi scrisse per il quotidiano “Chicago Tribune”, svolse insieme a Robert Goralski, che era stato anch'egli soldato nella guerra e poi era stato assunto da NBC News, un’indagine sul commercio petrolifero nel corso del secondo conflitto. All`epoca gli USA erano il maggior produttore mondiale di petrolio: quando scoppiò la guerra, la loro produzione era di 3,5 milioni di barili al giorno, che corrispondeva al 60 per cento di tutta l'attività estrattiva nel mondo in quel periodo, ma entro il 1945 gli stessi USA riuscirono a incrementarla fino a 4,7 milioni di barili al giorno. Chi combatte al loro fianco ebbe petrolio a sufficienza e vinse, mentre chi si schierò contro di loro ne aveva troppo poco e perse la guerra.
Freeburg e Goralski dimostrano che gli USA furono il principale fornitore di petrolio per Adolf Hitler. Poco prima dello scoppio del conflitto, la Germania riceveva 25.000 barili al giorno dagli USA, nonché altri 10.000 dalla Romania, altrettanti dal Messico, più altre quantità minori da Venezuela, Russia, Iran e Perù. Tuttavia Hitler non poteva essere assolutamente certo che gli USA sotto la presidenza di Franklin Roosevelt avrebbero mantenuto la fornitura alla Germania, se questa avesse compiuto un'aggressione militare. Una prima prova di forza al riguardo si ebbe a seguito dell'occupazione tedesca del bacino renano demilitarizzato, avviata il 7 marzo 1936. Con questa aggressione Hitler infranse il patto di Locarno, con il quale Francia, Belgio e Germania si erano accordati a non modificare con la forza la linea di confine tra di loro, fissata con la pace di Versailles, che però la Germania riteneva ingiusta. Subito dopo l'occupazione, la Russia blocco la sua fornitura di petrolio alla Germania, ma poiché questo non avvenne anche da parte degli USA, del Venezuela e della Romania, gli approvvigionamenti rimasero assicurati.
La prova di forza successiva si ebbe già nell’estate del 1936, col sostegno accordato da Hitler e Mussolini al colpo di Stato militare in Spagna del generale fascista Francisco Franco. Nel febbraio del 1936 i golpisti riuniti attorno a quest'ultimo avevano rovesciato il governo repubblicano spagnolo, eletto in modo democratico, ma difettavano di risorse per la guerra aerea e quindi chiesero aiuto a Germania e Italia, che nel luglio del 1936 inviarono in Spagna degli aerei da carico. Dato che i repubblicani spagnoli, sostenuti dall'Unione Sovietica e da numerosi volontari di fede socialista convenuti da diversi paesi europei, riuscivano sempre vittoriosi dagli scontri e stavano mettendo in seria difficoltà Franco e i golpisti, il 30 ottobre 1936 Hitler mandò in soccorso di quest’ultimi la Legione Condor.
I caccia e i bombardieri tedeschi, funzionanti a gasolio, irruppero allora nel bel mezzo della guerra civile in corso in Spagna: fu famigerato il bombardamento della cittadina basca di Guernica, il 26 aprile 1937, un massacro che, riprodotto in un notissimo quadro dal pittore spagnolo Pablo Picasso, diventò il simbolo degli orrori della guerra.
L'operazione Condor era assolutamente segreta: i piloti tedeschi entrarono in Spagna come turisti e agirono con indosso uniformi senza alcuna indicazione della loro provenienza. In Germania l’esistenza della Legione Condor fu smentita sino alla fine della seconda guerra mondiale. L'impiego dell'Aviazione militare tedesca si rivelò importante per la vittoria di Franco nella guerra civile spagnola. Eppure gli USA continuarono a rifornire di petrolio il Terzo Reich di Adolf Hitler.
Non tutti gli uomini che contavano qualcosa negli USA avevano un atteggiamento ostile nei confronti di Hitler. Il produttore automobilistico Henry Ford, convinto antisemita quanto il cancelliere tedesco, ammirava i nazisti e per questo il 30 luglio 1938, in occasione del suo compleanno, ricevette la Gran Croce dell’Ordine dell'Aquila Tedesca, la massima onorificenza che la Germania nazista concedeva agli stranieri, e nell’ufficio di Hitler c'era un suo ritratto. Nel corso del secondo conflitto, Henry Ford rifornì entrambi i contendenti: nel suo paese, la Ford Motor Company era il terzo maggior fornitore dell'Esercito statunitense, ma le officine Ford sfornavano contemporaneamente enormi quantità di mezzi di trasporto militari destinati alle forze armate tedesche. “Se gli industriali tedeschi condotti davanti al tribunale di Norimberga risultarono colpevoli di crimini contro l’umanità, il verdetto avrebbe dovuto applicarsi anche a chi, nella famiglia Ford, aveva collaborato con loro”, spiega lo storico inglese Antony Sutton. “Però la storia della Ford fu tenuta nascosta da Washington, come tutto il resto che riguardava l'élite finanziaria di Wall Street”.
La Germania di Hitler fu responsabile dello scoppio del conflitto, come è stato ormai chiaramente dimostrato dalla ricerca storica, però né gli USA né la Gran Bretagna si limitarono al ruolo di osservatori neutrali. Secondo il filosofo tedesco Edgar Dahl, il presidente Roosevelt aveva fomentato apposta le tensioni fra Germania e Polonia, contribuendo in tal modo allo scoppio della guerra. Anche il politologo Guido Preparata, nato negli USA e docente all'Università di Vancouver, è dell’opinione che gli inglesi e gli americani fossero interessati ad avviare il conflitto.
“Le potenze vincitrici spalleggiarono in maniera del tutto consapevole Hitler, al fine di eliminare una volta per tutte il pericolo che poteva costituire la Germania rispetto agli interessi geopolitici perseguiti dalla confederazione angloamericana”, sostiene Preparata, i risultati delle cui ricerche non sono praticamente presi in considerazione in Germania. L’”aggressività militare” di Hitler e l'”ostilità razzista nei confronti di russi e slavi” portarono la Germania alla rovina: “Fu un trionfo smisurato per gli angloamericani”, secondo Preparata.
Stranamente, neanche dopo l’aggressione alla Polonia del 1° settembre 1939 e l’avvio del conflitto Roosevelt interruppe le forniture di petrolio al Terzo Reich di Hitler. Dopo l'annessione della Polonia, nell’aprile 1940 i tedeschi (sempre grazie alle forniture statunitensi) entrarono in Norvegia e in breve ebbero in mano tutta la regione.
Anche la Danimarca fu occupata dalle forze armate naziste. Tra la primavera e l’estate del 1940 caddero pure il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e infine la Francia. Nell'autunno di quell'anno, dopo la battaglia d'Inghilterra, la Gran Bretagna rimase l’unico avversario che i nazisti non riuscirono a battere, ragion per cui Hitler rinviò la prevista invasione dell’isola. Nel 1941 soccombettero anche la Iugoslavia e la Grecia. Con la guerra lampo, la Germania aveva occupato quasi tutta l’Europa in un tempo straordinariamente breve, un risultato che poté raggiungere proprio grazie all’impiego del petrolio, importato quasi tutto necessariamente dall'estero.
(…)
Stando a Valentin Falin (diplomatico sovietico poi ambasciatore dell’URSS in Germania negli anni settanta), ancora nel 1944 la Germania riceveva quotidianamente una media di 12.000 barili fra carburante e altri derivati del petrolio americano, che passavano attraverso la Spagna. “Così fu”, conclude Falin, “che quasi per tutta la guerra da un settimo a un decimo di tutti i sommergibili, velivoli e carri armati tedeschi, impiegati prima contro l'Unione Sovietica e poi contro gli USA, adoperavano carburante che veniva da distributori occidentali”.