Otober 2024. Cambiamento climatico & complottismo.
“El mestée” di ottobre è dedicato ad un articolo, forse non del tutto condivisibile, che ritengo abbia un fascino provocatorio, sia alquanto intrigante redatto da Wu Ming 1 e pubblicato da “Internazionale” nel dicembre 2023. Il tema è clima e complottismo, esaminato con una angolatura particolare per nulla tradizionale che riporta alle responsabilità e cause del cambiamento climatico.
Evito giudizi e considerazioni personali per non orientare o condizionare le valutazioni di chi vorrà con piena libertà mentale leggere l’articolo.
Le foto intercalanti sono estranee agli accadimenti espressi, pur essendo riconducibili ovviamente all'argomento, in quanto immagini della recente alluvione nell'area geografica intorno a Valencia causata dalla Dana.
La Dana è un fenomeno meteo che si verifica generalmente nel Mediterraneo occidentale, Spagna compresa, ed è l’acronimo di "Depresion Aislada en Niveles Altos". Inoltre è anche un omaggio a Francisco Garcia Dana, meteorologo morto nel 1984. La Dana si scatena quando una grande massa di aria fredda isolata ad alta quota forma una depressione che va a scontrarsi con l’aria calda in bassa quota. Questo contrasto crea piogge intense e temporali a "V" che si fanno ancora più forti in corrispondenza dei rilievi montuosi.
Di Wu Ming 1, pseudonimo di Roberto Bui, scrittore e traduttore italiano, membro del collettivo Wu Ming e del precedente collettivo Luther Blissett, vedasi anche QAnon: le farneticazioni demenziali di complotto made in USA(of course).
Nei primi giorni del maggio 2023, e di nuovo due settimane dopo, sull’Emilia orientale e sulla Romagna si abbattono forti nubifragi. La popolazione è colta di sorpresa: si viene da un lungo periodo di siccità.
Fin dalle prime ore il territorio si rivela incapace di reggere l’urto. I fiumi e torrenti che scendono dall’Appennino -Idice, Lamone, Montone, Santerno, Savena, Senio, Sillaro e altri- si gonfiano e scavalcano gli argini, quando non li sfondano e spazzano via.
L’Appennino stesso si sgretola: quasi trecento frane dissolvono crinali e pendii, isolano paesi e aggiungono altra melma alle ondate che travolgono la pianura tra Bologna e il mare. Strade e ferrovie, zone industriali, centri abitati, tutto soffoca nel fango. Tornato il sole, si contano diciassette morti, sessantamila persone evacuate e danni per miliardi di euro.
La melma, il cemento, le nutrie.
“Fango” non rende l’idea: a coprire la pianura è una fanghiglia tra il verdastro e l’arancione, tanto puzzolente da togliere il respiro, piena di escrementi e veleni. Appena oltre gli argini l’acqua ha trovato lo sprawl, l’urbanizzazione selvaggia della terza regione più cementificata d’Italia, sia in assoluto -200.320 ettari di suolo consumato- sia per incremento netto nel solo 2021, 658 ettari persi, dei quali 501,9 in aree a media pericolosità idraulica.
A dispetto di un’autonarrazione trionfalistica, il territorio dell’Emilia-Romagna è molto fragile. Se l’Appennino è dissestato, la bassa è tutta pianura alluvionale, in buona parte risultato di grandi bonifiche, sottratta alle acque con mezzi meccanici. Terra che rimane emersa grazie al lavoro costante di impianti idrovori e migliaia di chilometri di canali. Un territorio sempre in bilico, in cui si dovrebbe costruire con prudenza e parsimonia. Si fa l’esatto opposto.
Nel 2017 la regione si è dotata di una legge contro il consumo di suolo, la cui entrata in vigore è stata più volte prorogata. Legge, in ogni caso, criticata da esperti e addetti ai lavori -si veda la raccolta di saggi critici e interventi “Consumo di luogo. Neoliberismo nel disegno di legge urbanistica dell’Emilia-Romagna”- perché in pratica favorisce il fenomeno che deve contrastare.
Un ettaro di terreno libero può assorbire fino a 3.750 tonnellate d’acqua. Acqua che scende e ricarica le falde. Su una lastra di cemento o asfalto, invece, l’acqua rimbalza e accelera la corsa. Ma non si tratta solo di questo. Nello sprawl emiliano-romagnolo l’acqua ha fatto scoppiare le fogne, ha rovesciato cassonetti e attraversato discariche, ha razziato case, fabbriche, negozi, distributori, autorimesse e magazzini, trascinando con sé detersivi, cosmetici, fitofarmaci, pesticidi, fertilizzanti e tonnellate di plastica destinata a diventare microplastica, ha inondato allevamenti intensivi e trasportato nei dintorni corpi di animali annegati.
“Consumo di suolo” significa urbanizzazione e sempre maggiore diffusione di materiali nocivi, anche in zone a rischio idraulico. Come è accaduto in Emilia-Romagna, presto o tardi l’acqua trova quei materiali, li trascina con sé e li sparge nel territorio.
L’ammasso di bombe chimiche e batteriologiche rimane sui territori per giorni. Conselice, in provincia di Ravenna, è la cittadina simbolo della catastrofe: resta invasa dai liquami per due settimane, il tanfo che la attanaglia si sente a chilometri di distanza. “Sopra quella putredine batteva il sole a picco/quasi volesse rosolarla a punto”, Charles Baudelaire, La carogna, nella traduzione di Gesualdo Bufalino.
Quando si riesce a far defluire la melma -nell’Adriatico, dove altrimenti?- e le vie tornano asciutte, dei probabili effetti su ambiente e salute non si parla più. Il tema scompare dal discorso pubblico.
Le cause di questo e analoghi disastri sono note. Il riscaldamento globale provoca un’alternanza tra lunghi periodi di siccità e nubifragi, il cosiddetto climate whiplash, effetto colpo di frusta. Allo stesso tempo, esondazioni e distruzioni sono l’esito di politiche che da più di mezzo secolo deturpano il territorio. A partire dai suoi corsi d’acqua, deviati, resi più artificiali, privati delle loro curve, sinuosità e naturali zone d’espansione per lasciare spazio al cemento, spesso anche “tombati”, come il Ravone a Bologna, che nel maggio scorso si è gonfiato ed è tornato in superficie prendendosi via Saffi, una delle principali arterie cittadine.
I boschi ripariali, che manterrebbero gli argini coesi e assorbirebbero l’acqua straripante, sono distrutti con ruspe e motoseghe. Anche abitudini in apparenza banali, improntate al decoro e tipiche di ogni amministrazione locale, si rivelano catastrofiche. Perfino nel pieno di una grave siccità si falcia l’erba dei parchi, dei prati, lungo le strade, sui cigli dei fossi e sugli argini, rasando a zero o quasi. L’erba alta è vista come un esempio di degrado. Ma il suolo, esposto al sole battente, si surriscalda, si secca e muore.
Fa scalpore che a essere messa in ginocchio sia una delle cosiddette locomotive d’Italia, regione virtuosa che ogni giorno si vanta delle sue eccellenze. Sebbene il presidente Stefano Bonaccini ripeta che “non è il momento delle polemiche”, voci autorevoli denunciano lo stato del territorio da ogni punto di vista: geologico, urbanistico, geografico, naturalistico, giuridico, storico. Voci che arrivano dall’Istituto superiore per la ricerca ambientale, dal Consiglio nazionale delle ricerche, dai comitati scientifici delle associazioni ambientaliste storiche. Il Cnr di Bologna lancia un “appello sulla crisi eco-climatica globale”. In poco tempo raccoglie oltre un migliaio di firme.
Ma gli amministratori locali non prestano ascolto a queste voci. Non solo non ammettono responsabilità, ma mettono in circolazione narrazioni diversive incentrate su capri espiatori. Il sindaco di Ravenna Michele De Pascale dà la colpa dell’alluvione alle nutrie, che scavano le loro tane negli argini, e a non meglio precisati ambientalisti che impedirebbero di abbattere le nutrie e gli avrebbero inviato “minacce di morte”. C’è un ovvio nucleo di verità: le nutrie proliferano e bucano gli argini, ma nell’insieme dei processi fin qui descritti hanno un ruolo secondario, e certo non sono colpevoli dello sprawl, dello stato in cui le piogge trovano il territorio.
Riguardo agli ambientalisti, De Pascale è noto per l’indifferenza verso le loro critiche. Ha tirato diritto sull’installazione di un rigassificatore da un miliardo di euro nel mare di fronte alla città e “difende a spada tratta”, come scrive il movimento civico Ravenna in comune, “ogni nuovo via libera alla cementificazione che la sua giunta sparge come il riso ai matrimoni”. Il comune di Ravenna ha il record regionale di consumo di suolo: nel 2021 ne sono spariti 69 ettari, per un totale di più di settemila. Se De Pascale non ha fatto abbattere le nutrie, non è certo per timore di presunti ecologisti. Prima di lui, il sindaco di Massalombarda Daniele Bassi aveva puntato il dito contro gli istrici.
Come si vede, nella fase iniziale le narrazioni diversive sull’alluvione si muovono dall’alto verso il basso: a introdurle nel ciclo mediatico sono rappresentanti delle istituzioni. E se gli esempi sono questi, davvero possiamo biasimare le cittadine e cittadini comuni che nelle stesse ore, su internet, “fanno le loro ricerche”?
Da alcuni anni l’espressione “do one’s own research” ha assunto una connotazione ironica. Indica la pulsione a stabilire a grande velocità correlazioni spurie su cui si formano fantasie di complotto.
L’aereo di Red Ronnie.
In Emilia-Romagna ha appena smesso di piovere quando nelle chat e sui social network si comincia a parlare di un “aereo misterioso”, un bimotore che il 14 maggio avrebbe sorvolato a lungo le zone poi colpite dalle alluvioni, in particolare i dintorni di Cesena, eseguendo “strane manovre”, cambiando traiettoria più volte, come per tracciare invisibili scarabocchi in cielo.
Il mistero diventa sospetto e poi certezza: quell’aereo stava disseminando nelle nuvole sostanze chimiche, allo scopo di provocare le piogge dei giorni seguenti. L’ennesimo blitz di una presunta guerra climatica in corso da anni, condotta da poteri occulti contro l’occidente, per alimentare la convinzione che il riscaldamento globale sia causato dal nostro stile di vita, costringerci a cambiarlo, abbassando le difese della nostra civiltà.
Nel biennio 2022-2023 questi aerei misteriosi sono stati avvistati in varie parti del mondo, sempre all’indomani di nubifragi, tempeste, alluvioni. Per esempio in Australia nella primavera 2022 e in Nuova Zelanda nell’inverno 2023. Ancora prima, nel 2014-2015, erano stati avvistati in California. In quel caso la loro presunta missione non era causare tempeste ma siccità.
Qualcuno cerca l’aereo che ha sorvolato la Romagna sui siti Flightradar24 e FlightAware, scoprendo che è un Beechcraft Super King Air B200 della compagnia francese Aéro Sotravia, marca d’immatricolazione F-gjfa. Il suo volo è siglato Asr153. Decollato il 14 maggio alle 12:12 da Ancona, è atterrato a Bologna alle 18. Sul cesenate, in effetti, ha seguito traiettorie aggrovigliate.
Dunque del volo è disponibile ogni dato, e fin da subito. Per scoprirne anche lo scopo basterebbe un piccolo sforzo, ma nessuno di quelli che denunciano la guerra climatica ha in mente di compierlo. È più comodo, più aerodinamico saltare a conclusioni, prendere le scorciatoie dove il pensiero trova meno attrito, abbandonarsi alle spinte di pregiudizi cognitivi.
Per primo il pregiudizio di intenzionalità, in base a cui ogni evento è l’esito diretto di un agire premeditato, insieme a quello di proporzionalità: se l’evento ha conseguenze su vasta scala, dev’essere vasto anche il piano messo in atto. C’è poi il primacy effect: la nostra mente tende a dare maggiore rilievo e plausibilità alla prima spiegazione che riceve, a maggior ragione se solletica i bias, pregiudizi, di intenzionalità/proporzionalità e se colma un vuoto di senso.
All’indomani delle alluvioni, gli amministratori, invece di parlare delle cause principali, hanno dato la colpa alle nutrie, agli istrici, alla sfortuna. Ciò ha contribuito a creare un vuoto, che la storia dell’aereo misterioso ha riempito.
A seguire, è scattato il pregiudizio di conferma: dopo che ci si è fatta un’idea, si tende a scartare o sminuire ogni fonte che la metta in discussione.
Resistere a questi bias è difficile. Collegare l’alluvione al centro commerciale vicino a casa, alle villette a schiera che gli stanno attorno, al nuovo parcheggio che è tanto comodo, al rumore di motoseghe e decespugliatori che ogni tanto entra dalla finestra, ai pennacchi di fumo che escono da comignoli e ciminiere richiede fatica cognitiva. È più facile immaginare il grande piano segreto che figurarsi i molteplici flussi, progetti, processi, interessi, automatismi, consuetudini e spinte inerziali che ogni giorno muovono il capitalismo.
La storia dell’aereo misterioso è presto rilanciata dal bolognese Gabriele Ansaloni, in arte Red Ronnie, giornalista e conduttore televisivo, un tempo vicino al centrodestra, oggi ai margini del mainstream anche per via di tesi azzardate su cui fioccano battute e imitazioni.
Ammettere di aver preso una posizione sbagliata costa fatica cognitiva.
Il 18 maggio Ansaloni pubblica un video intitolato Bologna oggi, non piove. Ma chi ha provocato questo disastro? Misterioso volo insistente di un aereo. Lo schermo è diviso in due. A sinistra la scheda del B200 ripresa da Flightradar24: data, rotta, tipo di aereo, quota mantenuta; a destra via Indipendenza, a Bologna, filmata da Ansaloni mentre cammina e domanda: “Qualcuno mi può spiegare perché questo aereo ha fatto tutte queste rotte? Non so, attenzione, non che io pensi male, però se qualcuno me lo spiega, io sarei molto felice, anche per fugare tutti quei complottisti che dicono che esistono le scie chimiche. La stessa cosa accadde giù nelle Marche, o in Umbria, non mi ricordo più, un aereo fece molti giri su in cielo poi ci fu l’alluvione. C’è anche qualcuno, chiaramente in malafede che dice che il terremoto in Turchia è accaduto dopo dei lampi incredibili…”.
Da quel momento la fantasia di complotto esce dalle nicchie e ha una vasta, anche se momentanea, diffusione. Fra i detrattori, il bimotore diventa “l’aereo di Red Ronnie”.
Eppure l’idea fa presa. Perfino lo scrittore e opinionista Stefano Massini, in un monologo durante la trasmissione "Piazzapulita" su La7, sembra alludere all’aereo misterioso, o almeno collegare le alluvioni al cloud seeding, l’inseminazione delle nuvole: “Ogni volta che vedo le immagini terrificanti che vengono, come in questo caso, dall’Emilia-Romagna, io non riesco a non pensare a questo pianeta Terra usato da noi uomini come un giocattolo dove [l’uomo] si è addirittura convinto di riuscire esattamente come dio a comandare il clima bombardando le nuvole, decidendo se far piovere o non far piovere”.
Nel frattempo la spiegazione è arrivata, qualcuno la scrive anche nei commenti in calce al video di Red Ronnie. Il B200 è l’aereo che segue il Giro d’Italia e fa da ponte radio alle riprese tv. A ogni suo viaggio recente corrisponde una tappa della gara ciclistica. Il 14 maggio si svolgeva la nona tappa, da Savignano sul Rubicone a Cesena. L’aereo vola in quel modo perché, viaggiando molto più veloce dei ciclisti, per ricevere i segnali delle riprese da quad, furgoni ed elicotteri deve continuamente tornare indietro.
Ora tocca al pregiudizio chiamato “intensificazione dell’impegno”, che spinge a tenere il punto contro ogni evidenza. Ammettere di aver preso una posizione sbagliata costa fatica cognitiva, a maggior ragione se ci si è espressi in pubblico e con i toni drastici tipici delle schermaglie sui social network. Ecco perché chi ha sposato la tesi dell’alluvione provocata dal cloud seeding incorpora la spiegazione nella fantasia di complotto: il compito di fare da ponte radio per il Giro è solo “un’ottima copertura”.
Cloud seeding e guerra climatica.
Il cloud seeding, la tecnica per aumentare le precipitazioni, nasce nel dopoguerra. Gli esperimenti cominciano nel 1946, nei cieli di Schenectady, nello stato di New York, su iniziativa di scienziati stipendiati dalla General Electric. Uno di loro è Bernard Vonnegut, fratello maggiore di Kurt, futuro romanziere. All’epoca anche Kurt lavora alla General Electric, ma all’ufficio stampa.
Nelle prime inseminazioni si usa ghiaccio secco, cioè anidride carbonica allo stato solido, poi Bernard scopre che spargendo ioduro d’argento si ottengono risultati migliori, o almeno così sembra.
I militari tendono subito le antenne. Dopo la bomba atomica, forse si è scoperta un’arma ancora più potente: il controllo del clima. In accordo con la General Electric, l’esercito coopta gli scienziati nel cosiddetto progetto Cirrus. Nel nuovo contesto Bernard, pacifista, si trova sempre più a disagio, finché non dà le dimissioni. La storia è ricostruita nella sontuosa biografia di Ginger Strand I fratelli Vonnegut. Fanta-scienza nella Casa della magia, da poco uscita in italiano per Treccani.
Le ricerche dei militari proseguono. Il cloud seeding è usato a fini bellici durante la guerra del Vietnam. L’operazione viene chiamata Popeye: dal marzo 1967 al luglio 1972 -si scoprirà con la pubblicazione dei celebri Pentagon papers- l’aviazione statunitense cerca di prolungare le stagioni dei monsoni per sabotare le operazioni delle forze nord-vietnamite. Non è chiaro se e in che misura l’operazione ottenga risultati. Ed è proprio questo il punto.
Un aereo della Csrio, l’agenzia nazionale australiana per la ricerca scientifica, usato per una missione di cloud seeding tra Richmond, Canberra e la costa meridionale dell’Australia, marzo 1965.
Nell’atmosfera non si possono fare esperimenti controllati, cioè cambiando una variabile alla volta. Non si può dire con certezza cosa sarebbe successo in una certa area se non si fossero inseminate le nuvole. Quindi non c’è modo di stabilire un nesso causa-effetto tra cloud seeding e piogge. Per questo, quasi ottant’anni dopo i primi esperimenti, restano forti dubbi sull’efficacia di questa tecnica.
Come racconta Strand, tra il 1946 e il 1951 la stampa statunitense descrisse il cloud seeding come un deus ex machina che avrebbe abolito la siccità, trasformato i deserti in giardini, spento gli incendi e deviato gli uragani. Diminuito l’entusiasmo, si vide che i risultati, ammesso che ci fossero, erano molto inferiori alle aspettative. I mezzi d’informazione spensero i riflettori e la tecnica fu ridimensionata, ma non abbandonata. Vi si fa ricorso anche in Europa, più spesso negli Stati Uniti, con maggiore regolarità in Cina e negli Emirati Arabi Uniti, ma non è lo strumento miracoloso vagheggiato a suo tempo, men che meno la super arma sognata dal Pentagono.
Spegnere gli incendi, rendere fertili i deserti, piegare alla nostra volontà gli uragani… Le cronache di questi anni dovrebbero, come si dice, parlare da sole: siamo più che mai in balia degli elementi. Ma le fantasie di complotto, reversibili e multiusi, si adattano a qualunque cosa succede: quando c’è siccità, con annessi incendi e processi di desertificazione, vuol dire che si è inseminato per impedire la pioggia. Quando arrivano nubifragi e tifoni, si è inseminato per far piovere.
Nuclei di verità.
Le fantasie di complotto sulla guerra climatica hanno un nucleo di verità, anzi, ne hanno diversi. Partiamo dal più ovvio: se i militari potessero controllare il clima con una super arma, lo farebbero senza remore.
È stata questa consapevolezza a ispirare l’Enmod, la convenzione sulla modifica dell’ambiente, il cui nome esteso è convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o ad ogni altro scopo ostile. È in vigore dal 1978 e vi aderiscono 78 paesi.
I militari hanno sognato e sognano di controllare gli eventi meteorologici. Ci hanno anche provato. Ma non si sa se ci siano riusciti. E in ogni caso, la guerra del Vietnam gli Stati Uniti la persero.
Le fantasie di complotto sopravvalutano il cloud seeding e la capacità dei potenti di usarlo a proprio piacimento perché sopravvalutano i potenti, ne celebrano in modo obliquo il genio, l’infallibilità, la capacità di prevedere ogni evento.
Del resto, stiamo parlando di un’evoluzione della fantasia di complotto sulle scie chimiche, secondo cui l’intera realtà che viviamo, la nostra percezione, i nostri umori e sentimenti sarebbero condizionati dal rilascio nell’atmosfera di sostanze al tempo stesso tossiche e psicoattive. Stando a quel che si legge sui siti dedicati alle scie chimiche, ogni malattia o disturbo di cui soffriamo, dal reflusso all’acufene, dall’aritmia cardiaca alla stipsi, fino alla patina bianca che a volte si forma sulla lingua, sarebbero conseguenza di un piano che va avanti da decenni in tutto il mondo, complice l’intera aviazione militare e civile.
Di cosa ci parla l’aereo misterioso.
Che problemi crea una fantasia come quella dell’aereo misterioso a chi, dentro la crisi climatica, lotta per l’ambiente, la difesa del suolo, la cura del territorio?
La guerra climatica per mezzo del cloud seeding rientra in un insieme che propongo di chiamare “fantasie di complotto sul clima di seconda generazione”. Quelle di prima generazione sono ancora improntate al negazionismo, concetto che però preferisco non usare, perché logorato da utilizzi troppo estesi e ormai facile insulto da scagliare contro questo o quell’avversario ideologico. Valgano come esempi l’accusa rivolta a storiche e storici di essere negazionisti delle foibe e quella, rivolta a quanti criticavano la gestione della pandemia, di essere negazionisti del covid.
Se nelle fantasie di complotto classiche i poteri occulti cospirano per farci credere a un cambiamento climatico inesistente, o comunque non causato da attività umane, in quelle affermatesi di recente si ammette che qualcosa di enorme sta succedendo, che il clima è cambiato, e si punta il dito su cause legate all’attività umana. Dobbiamo riconoscere che si è fatto un passo avanti.
Il problema è che, sotto l’azione dei vari pregiudizi e in mancanza di un’idea chiara di come funzioni il capitalismo, si denunciano cause fittizie. Che spesso si rivelano concause reali, ma di scarso rilievo. Come ogni aereo, anche quelli del cloud seeding inquinano e alterano il clima. Lo fanno a prescindere da quel che spruzzano nelle nubi, con le loro emissioni di CO2. Ma le operazioni di cloud seeding si rivelano poca cosa di fronte alla vastità del fenomeno: ogni giorno si contano circa duecentomila voli. Il traffico aereo è responsabile del 3,5 per cento delle emissioni climalteranti a livello mondiale.
Se queste fantasie puntano il dito sui dettagli sbagliati, la direzione in cui tendono il braccio è giusta, perché giusta è l’intuizione di partenza: nei cieli succede qualcosa di brutto. Se non ci accontentiamo di un banale debunking, se ci poniamo in ascolto, troviamo non solo nuclei di verità, ma messe in guardia da pericoli reali che incombono.
Senz’altro incombe la geoingegneria solare, un insieme di proposte e tecnologie finalizzate a ridurre l’impatto dei raggi solari sul pianeta e mitigare il riscaldamento globale. La strategia più evocata è l’iniezione di aerosol stratosferico, che consiste nell’alterare l’atmosfera per ottenere un aumento dell’albedo -la parte di radiazione solare che si riflette in ogni direzione -e un global dimming (offuscamento globale). Si vuole imitare, utilizzando aeroplani, palloni aerostatici o razzi, quel che succede dopo grandi eruzioni vulcaniche, come quella del Krakatoa, in Indonesia, nel 1883 o quella del Pinatubo, nelle Filippine, nel 1991. La stratosfera si riempie di anidride solforosa e poi di particelle di acido solforico, che riflettono la radiazione solare verso lo spazio esterno. Di conseguenza, la temperatura media del pianeta si abbassa anche di un paio di gradi, per periodi variabili da uno a tre anni.
La proposta solleva una grande quantità di interrogativi scientifici, etici e politici. Torniamo al problema che rende difficile valutare gli effetti del cloud seeding: nell’atmosfera non si possono fare esperimenti controllati. È impossibile prevedere gli effetti collaterali sul clima, sugli oceani, sulla vita. L’anidride solforosa ha una lunga storia di conseguenze sull’ambiente, è noto da decenni che causa piogge acide.
Nel 1974 Roberto Roversi intitola Anidride solforosa uno dei testi scritti per Lucio Dalla. Darà il titolo al secondo album realizzato insieme. C’è il mare che “si scuote da fare pena”, il “patrimonio forestale in distruzione”, “percentuali di particelle solide presenti nell’atmosfera/tutti i dati raccolti sono trasmessi all’elaboratore”. Elaboratore che ha “per sorte/di aiutare l’uomo a vincere la morte” e saprà dirci “quante volte fare l’amore/e quante volte i fiumi in Italia traboccano”.
L’idea che possiamo cavarcela con un espediente tecnologico e andare avanti con il nostro tran tran è un’illusione e un diversivo. È la trappola del “soluzionismo tecnologico”, come lo ha chiamato il sociologo Evgeny Morozov, che si parli di geoingegneria, dell’intelligenza artificiale generativa come “faro di speranza” che illumina un futuro “climate smart e sostenibile”, di auto elettriche -della cui filiera si è occupata una recente inchiesta di Report- o di paratie contro l’innalzamento dei mari. Tutto questo distoglie l’attenzione dalla lotta per soluzioni vere, strutturali, basate sulla comprensione delle cause e sulla consapevolezza che a metterci in pericolo è questo modo di produzione.
Fino a pochi anni fa si temeva che singole nazioni avviassero programmi geoingegneristici in modo unilaterale. Un simile scenario è al centro di uno dei romanzi più ambiziosi e discussi degli ultimi anni, Il ministero per il futuro di Kim Stanley Robinson (Fanucci 2022). Nel libro, ad agire senza consenso internazionale è l’India.
Oggi a quel timore se ne è aggiunto un altro: che possano farlo dei privati, si tratti dell’Elon Musk di turno o dell’ultimo dei ciarlatani. Ginger Strand racconta che negli anni quaranta, dopo i primi articoli sul cloud seeding, gli Stati Uniti si riempirono di fabbricanti di pioggia. Ogni imbonitore in grado di procurarsi un velivolo e un po’ di ghiaccio secco fondava un’azienda e offriva i propri servizi ad agricoltori e altri soggetti colpiti dalla siccità. Un episodio recente dimostra che potremmo ritrovarci in una situazione simile.
Nell’autunno 2022 la startup statunitense Make Sunsets lancia dalla Baja California, in Messico, due palloni aerostatici pieni di anidride solforosa. Il fondatore Luke Iseman dichiara di avere già eseguito trentatré lanci, finanziati vendendo ai clienti “crediti di raffreddamento”. L’allarme suscitato e le critiche del mondo scientifico spingono il ministero dell’ambiente messicano a proibire ogni esperimento di geoingegneria nel paese.
Guarda le scie bianche degli aerei. Guarda quante sono. Sempre più spesso si affiancano e si incrociano, formando una griglia vaporosa che copre gran parte del cielo, quasi da un orizzonte all’altro. Pensaci: ne hai sempre viste così tante?
Quest’esercizio mentale potrebbe essere utile, se si comprendesse che le scie sono un simbolo. Secondo il dizionario De Mauro un simbolo “evoca o rappresenta, per convenzione o per naturale associazione di idee, un concetto astratto, una condizione, una situazione, una realtà più vasta”.
Le scie bianche sono nuvole. Si formano per la condensazione del vapore acqueo presente nei gas di scarico degli aerei. Sono aumentate di numero perché negli ultimi trent’anni, con il successo dei voli a basso costo, il traffico aereo è quadruplicato. Con esso sono aumentate le emissioni di gas serra e sostanze inquinanti e le conseguenze sul territorio: più traffico aereo significa costruzione di nuovi aeroporti, ingrandimento di quelli esistenti, creazione di poli logistici, operazioni immobiliari spinte dalla bolla turistica.
C’è stata una pausa nel 2020, quando dopo i provvedimenti per contrastare la pandemia di covid-19 i voli commerciali internazionali sono diminuiti del 75,6 per cento, ma il traffico è già tornato ai livelli del 2019. In Italia li ha addirittura superati.
Il fitto incrociarsi delle scie è un’immagine forte. Potrebbe tornare utile, se la usassimo come simbolo. Ma non si può, perché se indichi le scie passi per credulone o addirittura per folle, sei colpevole per associazione, sei “come i complottisti”. Cioè coloro che da anni additano il cielo, lo fotografano, lo filmano, denunciano a gran voce l’aumento delle strisce bianche. Per queste persone le scie non segnalano un problema: sono loro stesse il problema. A volte un simbolo rimpiazza la realtà più vasta che dovrebbe evocare. In altre parole, un sintomo è scambiato per il male. Quando succede, è inevitabile sbagliare diagnosi.
Secondo le fantasie di complotto sulle cosiddette scie chimiche, ogni giorno migliaia di velivoli, seguendo le linee di una congiura planetaria, spargono nell’atmosfera miscele di sostanze tossiche, metalli pesanti, solfati e chissà cos’altro. Il fine cambia a seconda delle versioni della storia: condurre esperimenti sulla popolazione, tenerla costantemente ammalata e debole, creare sopra le nostre teste una “fascia chimica psicoattiva” grazie a cui controllare le nostre menti, eccetera. Negli ultimi anni, dalle fantasie sulle scie chimiche sono nate quelle sulla guerra climatica.
Le fantasie di complotto soffrono di una forma di asimbolia, l’incapacità di capire i valori simbolici o i sensi figurati di discorsi, azioni, comportamenti. Quando diciamo che i governi e i padroni ci “succhiano il sangue” stiamo usando una metafora. Ma secondo i seguaci della fantasia di complotto chiamata QAnon, i potenti bevono sangue veramente.
Nel singolo individuo l’asimbolia ha spesso cause neurologiche. Poiché è impossibile che ogni componente delle comunità nate intorno a fantasie di complotto abbia problemi neurologici, dovremo parlare di una forma culturale di asimbolia, creata dagli scambi di messaggi e dall’imitazione reciproca, in contesti fortemente influenzati da determinati bias, pregiudizi, ed errori di ragionamento.
Il punto cieco delle fantasie di complotto.
Le fantasie di complotto sulle scie chimiche esemplificano anche uno dei principali paradossi della cultura cospirazionista: c’è un piano segreto, segretissimo, ma i suoi artefici lasciano che sia esposto nei dettagli e denunciato in tantissimi libri pubblicati in molte lingue, innumerevoli articoli, migliaia di video visti da milioni di persone. Libri, articoli e video disponibili sulle piattaforme di proprietà degli uomini più ricchi e influenti del mondo: Sergey Brin e Larry Page, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk.
A proposito di loro Rebecca Solnit ha scritto che i miliardari “sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica”, perché “funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l’ambiente”.
È un vero e proprio punto cieco della fantasia di complotto. I magnati della Silicon valley esercitano sulla nostra società e sulla nostra cultura una delle più estese e arroganti influenze mai viste. Se ci sono persone di cui, con un’iperbole, possiamo dire che “controllano le menti”, sono loro. Se c’è gente che cospira -letteralmente: respira insieme, negli stessi ambienti, in luoghi inaccessibili ai comuni cittadini -è proprio quella. Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai?
C’è una possibile spiegazione: se Amazon, Facebook, Instagram, X, YouTube e Whatsapp fossero indicati come parte della cospirazione, nella mente di chi la denuncia su quelle piattaforme si produrrebbe una dissonanza cognitiva: percepirebbe il proprio star lì come incoerente, inconciliabile con quel che dice o scrive. Con fatica cognitiva dovrebbe giustificare la contraddizione in qualche modo, oppure rimuoverla. Tutto ciò sarebbe causa di stress. Meglio rimuovere a monte, evitando di pensarci e descrivendo lo scenario più implausibile: un complotto planetario in cui i padroni dei più potenti mezzi di comunicazione del pianeta non hanno alcun ruolo.
Succede qualcosa di simile nella narrazione di QAnon, dove si dice che la Cabal -la setta di satanisti pedofili di cui farebbero parte politici e star di Hollywood- controlla gli Stati Uniti… fatta eccezione per le forze armate, che sono rimaste “sane”. Come sia possibile controllare un paese senza controllarne le forze armate -per giunta gli Stati Uniti, che hanno le spese militari più alte del pianeta e un complesso militare-industriale il cui crescente peso politico fu denunciato già dal presidente Eisenhower- è una questione che i seguaci di QAnon non si pongono. Non possono farlo.
Le peggiori narrazioni.
Prima di proseguire è necessario chiarire un punto. Nonostante quanto scritto finora, le fantasie di complotto sul clima non sono le narrazioni più dannose. Neanche il negazionismo conclamato -in Italia espresso da alcuni politici e personaggi da cronaca di costume- è la narrazione più dannosa.
Le peggiori narrazioni sono quelle che fanno greenwashing e spoliticizzano i temi climatici ed ecologici. A promuoverle è un capitalismo che coglie l’opportunità della crisi climatica -crisi causata dai costi esterni della produzione: emissioni, scarti, rifiuti- per continuare a fare profitti, generando nuovi costi esterni ancora poco visibili, come l’impatto ambientale dell’estrazione di litio per le auto elettriche, e pericoli futuri, come gli effetti collaterali delle pseudosoluzioni geoingegneristiche.
Il soluzionismo tecnologico riduce il riscaldamento globale a una questione di momentanea inefficienza tecnica che sarà superata con l’innovazione. Con il boom delle cosiddette intelligenze artificiali generative, questa narrazione è destinata ad avere sempre più presa, ma come scrive Joy Buolamwini, autrice del libro Unmasking Ai: “L’intelligenza artificiale non risolverà il problema del cambiamento climatico, perché le scelte politiche ed economiche sullo sfruttamento delle risorse del pianeta non sono questioni di carattere tecnico. Per quanto possa tentarci, non possiamo usare l’intelligenza artificiale per schivare il duro lavoro di organizzare la società, in modo che il tuo luogo di nascita, le risorse della tua comunità e le etichette che ti ritrovi addosso non determinino il tuo destino. Non possiamo usare l’intelligenza artificiale per evitare discussioni su chi ha potere e chi ne è privo. Dare in outsourcing morale alle macchine le decisioni difficili non risolverà i dilemmi sociali fondamentali”.
Il riduzionismo carbonico consiste nel parlare solo delle emissioni di CO2, rimuovendo dal quadro ogni altro processo: la distruzione di biodiversità, la cementificazione, la manomissione del territorio. In questo modo si può decidere di abbattere decine di alberi e consumare suolo per costruire edifici di classe energetica A4, e dire di aver fatto una scelta green.
L’individualismo verde è la narrazione più consolidata. Sostiene che per risolvere i problemi climatici e ambientali si debba puntare sullo stile di vita e le scelte coscienziose del singolo consumatore. In questo modo le responsabilità sono scaricate da monte a valle: dalle decisioni politiche in tema di produzione energetica e industriale alle piccole, sproporzionatamente meno influenti, scelte che chiunque di noi può fare nel quotidiano.
Un esempio eclatante lo fornisce la produzione di plastica. In un’inchiesta pubblicata dal Guardian qualche anno fa Stephen Buranyi ha spiegato come addossare il problema al singolo consumatore sia stata una strategia promossa direttamente dall’industria dei polimeri, con grandi investimenti e lavoro di lobby, per evitare regolamentazioni del settore. Solo da poco tempo ci si è resi conto di quanto ingannevole sia l’idea che basti fare la raccolta differenziata e usare plastica riciclata o compostabile. Come ha titolato qualche mese fa l’Atlantic, “la plastica compostabile è spazzatura”.
Un altro esempio riguarda la già citata auto elettrica. Nell’intersezione tra individualismo verde e soluzionismo tecnologico troviamo l’idea che basti cambiare il parco auto e voilà, potremo continuare come prima, incoraggiando gli spostamenti privati su gomma, senza investire su un trasporto pubblico, capillare e universale. Come per la plastica, i costi esterni di quest’illusione diventeranno visibili con il tempo.
L’eccezionalismo deresponsabilizzante è la narrazione più recente, tanto che molte persone non sanno ancora riconoscerla. Consiste nell’usare gli eventi estremi come scusa per non cambiare politiche. In Italia si è affermata dopo le alluvioni in Emilia-Romagna del maggio 2023. Il 17 maggio, durante un collegamento con La7, il presidente della regione Stefano Bonaccini ha dichiarato: “Quando in trentasei ore cade l’acqua di sei mesi, e cade dove quindici giorni fa era caduta una pioggia record che aveva fatto cadere quello che cade in quattro mesi, non c’è territorio che possa tenere, anche perché la pioggia cade su un terreno che non assorbe più nulla, va tutta nei fiumi e non può scaricare in mare perché è ingrossato dalle mareggiate: su questo non ci si può far nulla”. Altri amministratori hanno rilasciato numerose dichiarazioni su questa falsariga.
L’enfasi sulla straordinarietà dell’evento -che straordinario sarà sempre meno, perché il colpo di frusta climatico è parte del nuovo clima- rimuove il fatto che un territorio può reggere l’urto di un nubifragio meglio o peggio, in molti o pochi punti, dando a chi ci vive più o meno tempo di organizzarsi. Il territorio emiliano-romagnolo è destinato a cedere sempre più spesso, perché compromesso da scelte che ne hanno peggiorato l’assetto idrogeologico, e attraversato da fiumi costretti in alvei artificializzati da cui alla prima occasione fuoriescono, o che addirittura distruggono con furia. Esondando, non allagano solo campi, come sarebbe successo cinquant’anni fa: travolgono aree urbanizzate, uccidono persone, spargono in giro incalcolabili quantità di rifiuti e sostanze inquinanti. Dire che “non ci si può far nulla” serve a nascondere che, per prevenire il disastro, nulla si è fatto. Intanto si continua a cementificare, ponendo le basi per catastrofi future.
Di fronte a tutto ciò, le fantasie di complotto sulle scie chimiche o sul cloud seeding, la tecnica per aumentare le precipitazioni, sembrano poco più di una curiosità. Invece è indispensabile occuparsene.
L’anticapitalismo e il suo doppio.
Le fantasie di complotto intercettano e traducono a modo loro malcontento, frustrazione, rabbia sociale e paura, mettendo in moto le energie e risorse -tempo, attenzione, inventiva- di persone che forse, in altri condizioni, si impegnerebbero in lotte sociali e ambientali. Quelle energie sono deviate e incanalate verso luoghi dove si dissiperanno o, peggio, rafforzeranno ideologie reazionarie. È quel che scrive anche Naomi Klein, in altri termini, nel suo ultimo libro "Doppelgänger". "A trip into the mirror world", uscito in italiano con il titolo "Doppio. Il mio viaggio nel mondo specchio" (La nave di Teseo 2023).
A Klein è capitato più volte di essere attaccata o, in altre circostanze, elogiata sui social network per affermazioni e posizioni non sue, con cui era anzi in completo disaccordo. La confondevano con un’altra autrice, Naomi Wolf, la sua doppelgänger. In tedesco significa sosia, ma alla lettera è “doppio andante”. Secondo il dizionario dei fratelli Grimm significa “qualcuno ritenuto in grado di apparire in due luoghi diversi allo stesso tempo”. Qualcuno che appare al posto nostro, dove non siamo.
Già teorica femminista, amica dei Clinton e star dei salotti liberal di Washington, negli ultimi anni Wolf ha subìto una metamorfosi. Oggi collabora con l’agitatore di destra Steve Bannon ed è un’accanita propagatrice di fantasie di complotto, specialmente su scie chimiche, guerra climatica e vaccini. Per esempio, ha più volte fotografato nubi “dagli strani comportamenti”, saltando alla conclusione che erano parte di un piano della Nasa per spargere “alluminio in tutto il globo”, in modo da causare “epidemie di demenza”.
L’iperattivismo di Wolf durante la pandemia di covid-19 ha aumentato la frequenza degli equivoci. Klein non si è limitata a spazientirsi, ma ha deciso di andare a fondo, di capire come mai la confondessero tanto spesso con Other Naomi, Altra Naomi, come la chiama nel libro. Presto si è resa conto che quasi ogni presa di posizione di Wolf sembrava il riflesso deformato di una sua analisi o inchiesta, che si trattasse di shock economy, geoingegneria, misfatti dell’industria farmaceutica o altro. A quel punto ha esteso il raggio dell’inchiesta, scoprendo la vastità di quello che chiama “il mondo nello specchio”.
Al libro di Klein torneremo tra poco. Intanto fissiamo il punto: le comunità che si formano intorno a fantasie di complotto sono i doppelgänger dei movimenti anticapitalisti. Più precisamente, le fantasie di complotto sul clima di seconda generazione sono il doppio dell’attivismo climatico.
È possibile impedire lo sdoppiamento? E come rivolgerci ai nostri doppelgänger?
Il doppio nello specchio sono io.
Per prima cosa dobbiamo ricordare che ogni fantasia di complotto si forma attorno a uno o più nuclei di verità, anche se con il tempo quei nuclei sono oscurati, coperti da un gran numero di dettagli inverosimili.
Il termine “verità” può intimorire, gravato com’è da secoli di dibattiti filosofici ed etici. Ma la verità di cui parliamo è relativa, osservata da un preciso punto di vista. I nuclei di verità sono elementi che chi critica il capitalismo può riconoscere come parte della propria esperienza e visione del mondo. Partendo da qui è possibile stabilire un contatto con chi crede a fantasie di complotto e cercare un terreno comune, senza paternalismi o complessi di superiorità, senza il desiderio di blastare tipico dei debunker. Con l’espressione “nuclei di verità” s’intende l’insieme di premesse che accettiamo come plausibili, in base alle quali possiamo relazionarci con chi crede a fantasie di complotto.
Confrontarsi con queste persone non implica dare credito ai propagandisti a tempo pieno di fantasie di complotto, personaggi come Alex Jones o la stessa Wolf negli Stati Uniti, Alain Soral in Francia, Rosario Marcianò, Cesare Sacchetti o Red Ronnie in Italia. Non è con i top influencer, con le star di quel mondo che occorre parlare, ma con le persone arrabbiate e angosciate per lo stato delle cose, spesso umiliate e schiacciate, che sentono sulla pelle quanto la realtà in cui viviamo sia distruttiva e nelle fantasie di complotto cercano spiegazioni. Spesso queste persone le conosciamo bene: sono amiche e amici, parenti, familiari, vecchi compagni di strada. Ecco un’altra ragione per cui è importante occuparsi di questi temi. Ragione che ha a che fare meno con i concetti e più con gli affetti.
A volte i nostri doppelgänger siamo noi. Sei tu, sono io. Chiunque di noi, almeno una volta nella vita, ha creduto a una fantasia di complotto, che riguardasse l’11 settembre o il caso Moro, il black bloc o le tute bianche al G8 di Genova, l’allunaggio o l’omicidio di John F. Kennedy.