April 2013. Ribellarsi è giusto.

 

 

 

 

Il ribelle è il singolo,
l'uomo concreto che agisce nel caso concreto.
Per sapere che cosa sia giusto,
non gli servono teorie,
né leggi escogitate da qualche giurista di partito.
Il ribelle attinge alle fonti della moralità
ancora non disperse nei canali delle istituzioni.
Qui, purché in lui sopravviva qualche purezza,
tutto diventa semplice.


Ernst Jünger

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lunga e radiosa vita ai ribelli,
ai lunatici dei della natura,
ai sogni non contaminati,
ai grandi amori capitati a caso,
e che per caso non trovano la fine.
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
alle donne e agli uomini senza compromessi,
alle piante, alla terra, alla fatica,
ai miei animali, a tutte le speranze,
a tutto ciò che vedo e che mi piace.
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
a chi persegue uno scopo con passione,
a chi si batte contro l'egoismo,
a chi riflette prima di parlare.
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
a chi non crede di essere speciale,
alle parole che sono maltrattate,
e a quelle che sono state abbandonate,
ai tempi, ai modi, alle coniugazioni,
ai tanti libri che sono stati scritti,
a quelli di ieri, di oggi, di domani.
Lunga e radiosa vita ai ribelli,
a chi si sente fuori dagli schemi,
a chi non spaccia menzogne ed emozioni,
a chi prova a vivere ogni giorno,
senza risparmio, senza assuefazioni.
Lunga e radiosa vita ai ribelli!
A volte sono strani personaggi,
ma sono loro che scrivono la storia.


Abner Rossi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dovendo intervenire in una discussione dedicata all'idea di ribellione, la prima delle cose da fare è senz'altro quella di interrogarsi sulla definizione del ribelle, e il miglior modo di farlo è forse quello di paragonare la figura del ribelle a due altre figure, il cui nome comincia tra l'altro con la stessa lettera: il rivoltoso e il rivoluzionario. Queste tre figure hanno indubbiamente degli aspetti in comune. Il ribelle, il rivoltoso e il rivoluzionario, per esempio, incarnano tutti e tre una legittimità che si oppone alla legalità dell'ordine costituito. Ma tra di loro vi sono anche delle differenze. Il rivoltoso appartiene senza alcun dubbio a tutte le epoche, e il nostro passato ne è testimone.
La storia della Francia e dell'Europa può infatti leggersi come un susseguirsi quasi ininterrotto di rivolte popolari, movimenti di protesta e insurrezioni. Dalle antiche jacqueries contadine alla rivolta della Vandea, dall'epoca di Cartouche e di Mandrin all'insurrezione dei canuts lionesi, dalla Guerra dei Contadini tedeschi alla molto socialista e molto patriottica Comune di Parigi, la tenace disobbedienza di certe province e di certi ambienti sociali insofferenti, refrattari e renitenti, è una costante della nostra storia che la storiografia ufficiale ha peraltro troppo spesso trascurato. Per esempio, mentre alcuni storici avevano creduto di poter parlare di "relativo rappacificamento" a partire dal 1670, Jean Nicolas ha contato recentemente qualcosa come 8500 atti di ribellione o di rivolta in Francia tra il 1661 e il 1789. Di generazione in generazione, ci si rivolta contro la tirannia, contro la pressione fiscale, contro l'ingiustizia sociale, l'assolutismo o i poteri costituiti, ed il bersaglio è di volta in volta il principe, il prete, l'aguzzino o il tiranno. In ognuno di questi casi al rifiuto di una costrizione insopportabile si aggiunge un vero e proprio istinto di rifiuto, molto spesso alimentato dall'appartenenza culturale o linguistica, dalla solidarietà professionale o sociale, dalla chiara coscienza di appartenere ad un'entità collettiva.
Naturalmente le rivolte non sono una prerogativa dell'Ancien Régime, ma sono continuate anche nel periodo repubblicano, e ciò è un segnale di come l'avvento dell'ideologia dei diritti umani non abbia per nulla cambiato le cose. Quest'ultima, universalizzando alcuni valori particolari, ha messo fine a certe oppressioni, ma in compenso ne ha da subito suscitate delle nuove; preoccupandosi degli individui, si è disinteressata delle comunità e dei popoli; affrontando da un punto di vista esclusivamente giuridico e morale -quello dei diritti soggettivi inerenti alla natura umana- problemi legati alla nozione essenzialmente politica di libertà, ha finito per eluderli.
Il rivoluzionario appare invece in circostanze storiche molto particolari. Rispetto al rivoltoso, presenta soprattutto due grandi tratti caratteristici: da una parte è dotato di una coscienza ideologica molto più forte, dall'altra manifesta un'esigenza di trasformazione molto più radicale. Ecco perché si oppone a ciò che considera come puramente istintivo, se non ingenuo, nella semplice rivolta. Ed ecco perché, allo stesso modo, rifiuta ogni riformismo, contrapponendo all'ideologia dominante una visione del mondo diversa. In questo senso, il rivoluzionario è una figura della modernità, che non può che apparire nel momento in cui le ideologie profane hanno preso il posto dei grandi racconti religiosi, nell'epoca in cui la società, erosa dall'interno, sta per esplodere sotto l'effetto delle azioni rivoluzionarie.
Tuttavia, accanto ai rivoltosi ed ai rivoluzionari, ci sono anche i dissidenti, i liberi pensatori e i non credenti, i fondatori di samizdats ante litteram, le vittime dei cacciatori di streghe e dei tribunali della Santa Inquisizione, tutti coloro che nel corso della storia sono stati perseguitati, censurati, imprigionati per anticonformismo rispetto alle ortodossie del momento, tutti coloro che, secolo dopo secolo, si avvicendano e comunicano, formando una lunga catena fraterna i cui anelli sono le parole d'ordine del pensiero libero. Tutti questi sono già dei ribelli, e continuano ad esistere al giorno d'oggi. Sono coloro che disturbano, coloro di cui i guardiani del pensiero unico hanno deciso di non parlare; se non sono imprigionati, sono messi al bando. Le loro pubblicazioni sono a malapena tollerate, in ogni caso emarginate, condannandoli in questo modo alla morte mediatica e sociale.
Alla pari del rivoltoso, il ribelle rifiuta l'ordine dominante del mondo in seno al quale è stato gettato. Come il rivoluzionario, lo rifiuta in nome di un altro sistema di valori, di una concezione del mondo che trova in se stesso e di cui si fa portatore. Tuttavia, al contrario del rivoltoso o del resistente, il ribelle trae innanzitutto da se stesso ciò che anima il suo atteggiamento. La rivolta è legata ad una situazione, ad una congiuntura che ne è la causa, e si spegne nel momento in cui tale causa sparisce e la situazione cambia. La ribellione invece non è legata solamente alle circostanze, ma è di ordine esistenziale. Il ribelle sente fisicamente ed istintivamente l'impostura. Rivoltosi si diventa, ma ribelli si nasce.
Il ribelle è ribelle perché ogni altro modo di esistere gli è impossibile. Il resistente cessa di resistere quando non ha più i mezzi per farlo. Il ribelle, anche in prigione, continua ad essere un ribelle. Ecco perché se può dirsi perdente, non può mai dirsi vinto. Non sempre i ribelli possono cambiare il mondo. Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli. Il ribelle può essere attivo o contemplativo, uomo di cultura o d'azione. Sul piano strategico, può essere leone o volpe, quercia o canna. Ci sono ribelli di ogni sorta, e ciò che hanno in comune è una certa capacità di dire no. Il ribelle è colui che non cede, colui che rifiuta, colui che dice: non posso. È colui che disdegna ciò che cercano gli altri: gli onori, gli interessi, i privilegi, il riconoscimento sociale. Al tavolo da gioco, è colui che non gioca. Lo spirito del tempo scivola su di lui come pioggia sui vetri. Spirito libero, uomo libero, per lui non c'è nulla al di sopra della libertà. È la libertà stessa. "È ribelle -scrive Jünger- chiunque sia messo in rapporto con la libertà dalla legge della sua natura".
Di fronte ad un mondo per il quale non prova altro che un divertito disprezzo o un dichiarato disgusto, il ribelle non può limitarsi all'indifferenza, essendo essa ancora troppo vicina alla neutralità. Il ribelle è fatto per la lotta, sia essa anche senza speranza. Il ribelle si sente straniero al mondo che abita, ma senza mai smettere di volerlo abitare: sa che non si può nuotare contro corrente se non a condizione di non abbandonare mai il letto del fiume. La distanza interiore che lo caratterizza non lo conduce a rifiutare il contatto, poiché sa che il contatto è necessario alla lotta. E se fa "appello alle foreste"per riprendere un'espressione conosciuta, non è per rifugiarvisi -anche se spesso è in esilio-, ma per riprendere forza.
D'altra parte, scrive ancora Ernst Jünger, "la foresta è dappertutto. Ci sono foreste nel deserto così come nelle città, foreste in cui il ribelle vive nascosto dietro la maschera di qualche professione. Ci sono foreste nella sua patria, così come in ogni altro suolo in cui si può concretare la sua resistenza. Ma ci sono soprattutto delle foreste nelle retrovie del nemico". Se ciò che distingue il rivoluzionario è la volontà di raggiungere uno scopo, il ribelle incarna innanzitutto uno stato d'animo ed uno stile. Ciò non toglie che sappia anche fissarsi degli obiettivi. Nei confronti del mondo che lo circonda, nei confronti del "corso della storia", della congiuntura, si sforza di identificare e cogliere il momento favorevole. Per rompere l'accerchiamento, per tentare di introdurre un granello di sabbia nell'ingranaggio, ragiona su situazioni concrete. In questo è innanzitutto mobile. Mobilita il pensiero, e fa uso di un pensiero mobile. Non è soldato ma partigiano. Non resta dietro il fronte, sa attraversare tutti i fronti.
Gli spiriti ribelli sono sempre esistiti. Ma il mondo attuale riserva loro un posto del tutto particolare. All'epoca della modernità, il ribelle appariva in ritardo rispetto al rivoluzionario. Oggi che la modernità è agli sgoccioli, egli riconquista completamente il suo posto. La mondializzazione, fa della Terra un mondo senza esterno, che non si può più attaccare dal di fuori. Un mondo siffatto è destinato non tanto all'esplosione, quanto alla depressione implosiva. La mondializzazione consacra l'avvento delle reti, la cui influenza si propaga come un virus. Il ribelle si confà a questo mondo, proprio perché anima delle reti diffonde le sue idee in modo virale.
In un mondo che tende all'omogeneo il ribelle, infine, rappresenta la singolarità stessa. In un mondo sempre più conformista, egli è l'anticonformismo stesso. In un mondo destinato alla trasparenza totalitaria, egli è un punto oscuro, un soggetto che ha saputo rimanere reale in un mondo di oggetti virtuali, un insorto per antonomasia in un mondo destinato alla sorveglianza totale, uno straniero che potremmo escludere di diritto in nome della lotta contro l'esclusione se lui stesso non si fosse escluso a priori. Ecco perché il futuro appartiene al pensiero ribelle, a quel pensiero che segue e traccia confini inediti, disegna una nuova topografia, prefigura un mondo diverso. La storia non è mai finita, rimane aperta. È sempre imprevedibile. Ecco perché non bisogna mai abbassare la guardia di fronte a ciò che ci aspetta, di fronte a ciò che riusciamo solamente a presagire e intravedere, ma non a prevedere. (Alain De Benoist-Estratto da una conferenza tenuta a Parigi, 2002)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A tutti i folli. I solitari. I ribelli.
Quelli che non si adattano.
Quelli che non ci stanno.
Quelli che sembrano sempre fuori luogo.
Quelli che vedono le cose in modo differente.
Quelli che non si adattano alle regole.
E non hanno rispetto per lo status quo.
Potete essere d'accordo con loro o non essere d'accordo.
Li potete glorificare o diffamare.
L'unica cosa che non potete fare è ignorarli.
Perché cambiano le cose.
Spingono la razza umana in avanti.
E mentre qualcuno li considera folli,
noi li consideriamo dei geni.
Perché le persone che sono abbastanza folli
da pensare di poter cambiare il mondo
sono coloro che lo cambiano davvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A chi insegue un sogno nella vita,
ai tenaci, ai testardi, agli ostinati,
a chi cade e si rialza,
a chi ci prova sempre e a chi non molla mai.
Perché loro sono quelli che guardano avanti,
quelli che sperimentano sempre,
quelli che credono nel futuro e non smettono mai di sognare.
Quelli che si sentiranno vecchi
solo quando i rimpianti saranno superiori ai sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è l'organizzazione che cambia il mondo, ma le persone che la compongono, ed a queste manca ancora la preparazione, la coscienza, il giudizio sufficientemente alto per cambiare il mondo stesso. Per prima cosa, occorre cambiare noi stessi. Un ribelle, per come intendo io questo termine, è un fenomeno spirituale. Il suo approccio è assolutamente individuale. La sua idea è questa: se vogliamo cambiare la società, dobbiamo cambiare l'individuo. La società in sé non esiste. Ovunque incontri qualcuno, incontri un individuo. Società non è altro che un nome collettivo privo di realtà, senza sostanza.
Nessuna rivoluzione è ancora riuscita a cambiare gli esseri umani, ma sembra che non ce ne siamo accorti. Ancora continuiamo a pensare in termini di rivoluzione, di cambiamento della società, del governo, della burocrazia, delle leggi, dei sistemi politici. Feudalesimo, capitalismo, socialismo, fascismo: tutti, a loro modo, erano rivoluzionari, e tutti hanno completamente fallito, un fallimento inequivocabile perché l'uomo è rimasto lo stesso.
Il ribelle è tuttora una dimensione inesplorata. Dobbiamo essere ribelli, non rivoluzionari. Il rivoluzionario appartiene a una sfera terrena. Il ribelle e la sua ribellione sono sacri. Il rivoluzionario non può stare da solo: ha bisogno di una folla, di un partito politico, di un governo. Ha bisogno del potere... e il potere corrompe. In particolare, il potere assoluto corrompe in modo assoluto. Tutti i rivoluzionari che sono riusciti a prendere il potere ne sono stati corrotti. Non sono riusciti a cambiare la natura del potere e le sue istituzioni. Il potere ha cambiato loro e la loro mente, corrompendoli. La società è rimasta la stessa, solo i nomi sono cambiati.
Il mondo ha conosciuto solo pochissimi ribelli. Ma ora è il momento: se l'umanità non riesce a produrre un gran numero di spiriti ribelli, i prossimi decenni potrebbero diventare la nostra tomba. Siamo molto vicini a quel punto di non ritorno. Una discontinuità con il passato: questo è il significato della ribellione. La ribellione è una discontinuità. Non è né riforma, né rivoluzione: semplicemente, ti sconnetti da tutto ciò che è vecchio. Le vecchie istituzioni che hanno fallito come le religioni, le ideologie politiche, il vecchio essere umano... ti stacchi radicalmente da tutto ciò che è vecchio. Riparti da zero, inizi la vita da capo. Il rivoluzionario cerca di cambiare il vecchio; il ribelle semplicemente ne esce, come il serpente che si lascia alle spalle la vecchia pelle senza mai guardare indietro. (Zerista Toscano, 2012)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella vita non bisogna mai rassegnarsi,
arrendersi alla mediocrità,
bensì uscire da quella "zona grigia"
in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva,
bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.


Rita Levi Montalcini

 

 

 

 

 

Osvaldo Licini, Angeli ribelli

 

 

 

 

 

Osvaldo Licini, Angeli ribelli

 

 

 

 

 

Osvaldo Licini, Angeli ribelli

 

 

 

 

Io sono come la lupa, me ne vado sola e rido
dovunque sia, poiché ho una mano
che sa lavorare e un cervello sano.
Chi mi può seguire venga con me,
ma io me ne sto ritta, di fronte al nemico,
la vita, e non temo il suo impeto fatale
perché ho sempre un pugnale pronto in mano.
Il figlio e dopo io e dopo... quel che sia
che prima mi chiami alla lotta.
Talvolta l'illusione di un bocciolo d'amore
che so sciupare prima ancora che diventi fiore.


Alfonsina Storni