Mag 2013. Follemente artisti/Artisticamente folli.
Mostra affascinante e pericolosa.
Non una passeggiata tra rasserenanti capolavori,
ma un percorso su filo di lama,
sospesi su abissi senza fondo.
E non c'è via d'uscita: delle duecento opere in mostra,
non una che ti riporterà finalmente a casa.
Nessun ponte teso tra realtà e immaginario.
L'artista ti consegna al caos, al nessun luogo.
Il viaggio si conclude, quindi, in quella zona d'ombra
dove i confini tra giorno e notte,
vero e falso, reale e sognato,
sono instabili per definizione.
Garzonio Melisa
Joel Lorand(1962), Freaks
Carlo Zinelli(1916-1974), Senza titolo
Mattia Moreni(1920-1999), Ah quel Freud la psicoanalisi sul divano
Dwight Mackintosh(1906-1999), Senza titolo
Intrigante, inquietante, angosciante la mostra al MAR di Ravenna, "Borderline, artisti tra normalità e follia, da Bosch a Dali, dall'Art Brut a Basquiat", mi impone pretesto per la dedica de "el mestée del mes". Dedica mirata non tanto agli artisti famosi e di mercato, ma testimoniale della creazione artistica dei cosiddetti isolati, solitari, fuori dal mondo, alienati dalla società dei "normali", ritenuti "anomali, outsiders, folli". Come sempre, sul tema nulla di pretenzioso: solo immagini, suggerimenti, insinuazioni, provocazioni... da stimolare l'appetito o da cestinare senza pietà. Le opere riprodotte non sono relative alla mostra, forse qualcuna può occasionalmente esserlo, mentre gli autori sono, con alcune integrazioni e esclusioni, quelli nella stessa esposti.
Una doverosa puntualizzazione: non vorrei che affiorasse dal "mestée del mes" una visione romantica, quasi invidiabile creativamente parlando, del disagio psichico nelle sue multiformi variazioni, una conferma assoluta tout court del nesso tra arte e follia. L'arte può essere anche invenzione, creatività, rottura degli schemi, può rendere visibile ciò che non lo è, esigenza di comunicazione esterna del tuo intimo essere. La follia, non dimentichiamo, è ripetizione, fissazione, terrore di vivere, violenza, emarginazione, imprigionamento in un modo di pensare e agire. Arte e follia non sono conviventi, possono qualche volta farsi compagnia ma non c'è un rapporto preferenziale tra loro. L'arte è un evento piacevole e interessante, mentre la follia è una condizione di vita difficile e dolorosa.
Reinhold Metz(1942), El ingenioso hidalgo don Quixote de la Mancha
Laure (Pigeon Laure 1882-1965), Senza titolo
Guillaume Corneille(1922-2010), Seduction aquatique
Adolf Wolfli(1864-1930), Grammofono
Scottie Wilson(1888-1972), Crystal gazers
Pierre Alechinsky(1927), Central park
Hieronymus Bosch(1450-1516), Trittico del giardino delle delizie
Jean Dubuffet(1901-1985), El descifradory
L'evento: la mostra.
"Borderline", dal titolo della mostra al Mar di Ravenna, diviene oltre le barriere spaziotemporali degli artisti e delle opere rappresentate, "zona di confine o di attraversamento", linea incerta, mobile costantemente valicata e valicabile di tutte quelle esperienze artistiche dette "outsider" posizionandosi su questo limite, risvolto reversibile dell'essere o del pensiero tra l'interiorità del sintomo e l'esteriorità dell'opera. Interroga quella condizione umana o meglio psichica della modernità che si situa su un bordo fluttuante tra disagio esistenziale, del soggetto o del mondo, sofferenza psichica, malattia e creazione artistica. Da una parte nell' esposizione collettiva sono rappresentate opere di artisti noti la cui biografia o lavoro creativo partecipa di questa condizione, dall'altra sono veri e propri autori "outsiders", ai margini dell'arte ufficiale, esperienze artistiche poco conosciute nate nell'isolamento di luoghi di reclusione per malati mentali nella recente storia dal novecento.
L'art Brut, ugualmente presente nell'esposizione, nasce proprio come forma d'espressione auto-didatta, solitaria e marginale, se vogliamo ingenua, avvicinandosi agli esiti delle arti prime o ai tratti dei disegni infantili. E' approccio spontaneo, istintivo, irriducibile necessità interiore nata a lato dei movimenti e dei circuiti ufficiali, al limite non "educata", non cosciente fino in fondo dei propri mezzi ma che riesce, tuttavia, a passare da semplice necessità, terapia o espressione di un'arte "folle" a arte fortemente visionaria, dal potere di rottura e di innovazione prodotta nel silenzio di tali luoghi asiliari.
Il percorso espositivo attraverso una miriade d' opere e artisti conosciuti o meno è suddiviso per aree tematiche che esplorano tutte quelle forme d'arte prodotte valicando i limiti della ragione, esplorando il funzionamento o il 'disfunzionamento' psichico fino al suo limite patologico, il disagio esistenziale, il malessere o la malattia, l'affondamento nell'oscurità di forze psichiche inconsce veicolate dal lavoro creativo. Si parte dai precursori d'un arte del "fantastico" o del "visionario" nella pittura fiamminga del tardo gotico con Bosch e Bruegel, toccando il romanticismo con le sue prefigurazioni simboliste e perturbanti dell'inconscio fino ad arrivare all'esplorazione dell'art brut, dell'arte moderna come "disagio" o malessere di realtà" nell'alienazione del soggetto rispetto alla medesima. Segue la defigurazione del corpo come estensione dello spazio psichico portato sulla superficie della tela con le sue deformazioni e perturbazioni di presenza; si conclude con i "ritratti dell'anima" come auto-analisi d'una verità psichica interiore, esplosa, esplorata, messa a nudo attraverso il lavoro sul ritratto, infine con la creazione di spazi di surrealtà attraverso la pittura comeultima investigazione del meccanismo inconscio.
Disagio della realtà.
Come si esprime la scissione o lo scollamento inevitabile rispetto alla realtà, alle forme e ai modelli della rappresentazione realista in queste esperienze artistiche d'art brut definite "borderline"? In primo luogo attraverso l'espressione dei cosiddetti "outsiders", esperienze solitarie di autodidatti e artisti sconosciuti nate nella marginalità di istituti asiliari, visionarie perché esperienze del limite e oltre, giustamente sul confine, nell'attraversamento di questa linea sottile che separa l'opera dal sintomo, la creazione dalla malattia, investite dunque di questa forza di rottura uscente dai sentieri battuti. Espressione immediata, creatività primordiale, energia prima del segno che si traduce nella forma e nel tratto d'un disegno elementare a cui artisti come Jean Dubuffet si interesseranno particolarmente a partire dagli anni venti. Negli anni '40 tale sperimentazione pittorica viene rinnovata dal gruppo Cobra (acronimo delle tre città Copenaghen, Bruxelles Amsterdam,) ispirandosi all'automatismo dei surrealisti, alla liberazione del processo creativo oltre i limiti del razionale, allo stravolgimento dell'ordine di realtà nella violenza di un segno antifigurativo e primordiale. Il colore, materia immersiva diviene via d'accesso privilegiato a un'altra visione di realtà; i loro modelli, il disegno infantile, le arti prime e l'arte "outsider" non ufficiale.
Disagio del corpo.
Il corpo come superficie psichica, estensione e prolungamento della medesima nel lavoro di questi artisti vive e porta in sé la rottura, il conflitto, la regressione o la fissazione inconscia. E' superficie lacerata, intaccata, alterata e messa a nudo, ma è anche unità o meglio reversibilità inequivocabile tra un 'di dentro' e un 'di fuori'. Assume in qualche modo quella condizione implicitamente portandola fuori, iscrivendola come non separazione tra il bordo interno e quello esterno dell'essere corpo-pensiero, fuori su una superficie lacerata, o comunque inscritta, incisa.
Da una parte è l'orrore di realtà di cui la guerra, la Grande Guerra si fa portavoce e ineguagliabile cartina di tornasole a condurre questi artisti a espellere e vivere la propria ferita direttamente sulla pelle come un evento che li concerne, li taglia, li distorce, ne percorre tutta l'estensione senza altra profondità possibile che quella significabile, scavabile direttamente sulla superficie. D'altra parte, questo corpo della follia come sottolinea Deleuze è già di suo colto da una miriade di piccoli buchi, la sua estensione è lacerata e nella spaccatura profonda che la attraversa i pezzi si incastrano e gravitano come le parole, il linguaggio penetrando come oggetti corporei là dove interno e esterno, contenuto e contenente non hanno più limiti precisi.
Ritratti dell'anima.
L'emblema stessa del volto come auto-figurazione, l'auto-ritratto, diviene qui luogo di rispecchiamento di molteplici sé che parziali e contrastanti, conflittuali e coesistenti incrinano o inevitabilmente rompono, fanno a pezzi la linea chiusa e icastica della figura come ritratto. Cancellazioni e messe a nudo, metamorfosi del viso per rivelarne la fisionomia interiore danno vita a una rappresentazione spesso disturbante fatta di cancellazioni, distorsioni, o violente aggressioni apportate al volto nella sua unità figurale. Emergenze di altri sé difficilmente ammissibili, mostruosi, oscuri o osceni spinti sul bordo dell'umano come in Francis Bacon sembrano disconoscere una corrispondenza univoca o semplicemente esteriore alle cose insinuando una verità più cruda, diretta e feroce interna alle medesime messe a nudo attraverso il processo di demistificazione d' apparenza.
Il sogno rivela la natura delle cose.
Alcune opere dei surrealisti francesi nell'ultima sezione della mostra visualizzano attraverso la pittura una visione di realtà o meglio di surrealtà generata dal sogno e plasmata più in generale dal funzionamento psichico inconscio: visioni, allucinazioni, fantasie generate da fluttuazioni oniriche di coscienza con rimandi all'arte infantile o primitiva, in generale ad ogni mezzo che permetta di arrivare a una liberazione creativa dell'inconscio. (Elisa Castagnoli, 2013)
Ted Gordon(1924), Senza titolo
Salvador Dali(1904-1989), Geopolitico che osserva la nascita dell'uomo nuovo
Jean Michel Basquiat(1960-1988), Self portrait
Victor Brauner(1903-1966, Turning point of thirst
Pieter Bruegel il Vecchio(1525-1569), Lussuria
Antonio Ligabue(1899-1965), Leopardo assalito da un serpente
Gaston Chaissac(1910-1964), Senza titolo
Magda Gill(1881-1961), Senza titolo
Nell'atto di creazione di ciascun individuo
l'arte nutre l'anima, coinvolge le emozioni e libera lo spirito,
e questo può incoraggiare le persone a fare qualcosa
semplicemente perché vogliono farlo.
L'arte può motivare tantissimo, poiché ci si riappropria,
materialmente e simbolicamente,
del diritto naturale di produrre un'impronta
che nessun altro potrebbe lasciare
ed attraverso la quale esprimiamo
la scintilla individuale della nostra umanità.
Bernie Warren
Max Ernst(1891-1976), Ocell de foc
Joel Lorand(1962), Ames mutantes
Guillaume Pujolle(1893-1971), Les aigles, la plume d'oie
Mattia Moreni(1920-1999), Autoritratto
August Walla(1936-2001), Götter
Salvador Dalì(1904-1989), Sonno
Mary T. Smith(1904-1995), Senza titolo
Friedrich Schröder-Sonnenstern(1892-1982), Die mondmoralische Eifersuchtstragödie
Carlo Zinelli(1916-1974), Senza titolo
Arnold Schmidt(1959), Figur
L'opinione: lo strizzacervelli.
Arte e psicologia in che rapporti sono?
L'arte e la follia sono alberi simili. Diverso è solo lo stormire delle fronde.
Perché è tanto importante lo studio dell'arte dal punto di vista psicologico?
Forse nulla più dell'arte e dell'amore vivono di anima e di follia. E "psicologia" significa "parola dell'anima e sull'anima".
Come avvengono a livello pratico gli studi della psicologia dell'arte?
Per me "livello pratico" significa lavoro clinico. Lì mi capita di incontrare e analizzare due "arti" straordinarie: quella della persona in-amorata (nel senso francese di tomber amoureux) e quella della persona folle. Sia l'una che l'altra usano codici di una creatività incredibile e mirabile, che esige da parte mia un esercizio di ascolto e lettura di pari livello creativo. Ogni volta, che ci riesco, mi si riempie l'animo di stupore. L'essere umano è infinita, profondissima, caleidoscopica complessità. Non è complicato; è complesso, divinamente complesso. Cogliere questa complessità è davvero stupefacente.
Ogni essere umano è un potenziale artista?
Sì, perché ogni uomo è anima e follia. A stupirmi non è la presenza di artisti, ma il loro numero limitato. Se ogni uomo è unico e irripetibile, ogni uomo ha in sé la possibilità unica e irripetibile dell'arte, di un'arte del tutto unica e irripetibile. Che solo pochi attuino tale possibilità, questa è la vera tragica follia.
Che finalità ha l'arte nella psiche dell'essere umano?
Dare tempo al tempo, spazio allo spazio, mondo al mondo, vita alla vita, anima all'anima, umanità all'umanità.
La follia è forza creatrice o è un vincolo che distrugge e appiattisce l'energia umana?
Semmai, oggi, a essere distrutta è l'umanità del folle, quando viene negata dallo psicofarmaco o non ascoltata e aiutata da terapie, famiglie, società assurde.
Quali sono i limiti che può porre una malattia mentale in un artista? Ed a che stato la malattia è un limite?
A potere aiutare l'arte sono non il disturbo mentale, ma semmai la elaborazione e la strutturazione della sua presenza e dei suoi dati. L'elaborazione e la strutturazione di ogni esperienza della unicità e della diversità, sono l'emergenza di codici nuovi e, perciò, aprono alla possibilità dell'arte. Chi è diverso - e il folle lo è - deve per forza di cose conoscere almeno due codici, il proprio e quello del "normale". Se gli è data la possibilità di elaborare, strutturare e coniugare tra loro questi due codici, allora l'arte è probabile.
Quando le opere di un'artista sono frutto delle sue carenze psichiche?
Quando in gioco ci sono non le "carenze psichiche", ma la loro elaborazione e strutturazione. Vedi la risposta precedente.
Cosa significa "sublimazione creativa" e come essa si manifesta?
Sublimazione è strategia difensiva, che cerca di aggirare magicamente gli ostacoli posti alfluire del Sé. Di per sé è impotenza, urlo disperato, mistica bestemmia, folle castrazione. Solo se elaborata e strutturata può aprire alla creatività. Molti artisti di oggi e del passato sono soggetti malati mentalmente. C'è chi sostiene che Van Gogh, se non fosse stato psicotico, non avrebbe prodotto l'arte che conosciamo, altri sostengono che la sua arte sarebbe stata comunque quella anche con una piena lucidità. Molti artisti sono vittime delle loro malattie e le loro produzioni artistiche rappresentano questi mali. Frida Kalo, Munch, Kandinskij, Ligabue, Pollock... solo per fare alcuni nomi tra i più noti. Come ho già detto, il disturbo mentale può, se elaborato, aprire all'arte. Ma anche la "normalità", se elaborata, può aprire all'arte. Certo, in questo caso il cammino è più lungo, l'esito artistico meno probabile. Il "normale" non ha alcuna urgenza né nello scoprirsi unico, né nel forzare il codice della propria unicità. Tendenzialmente il "normale" è piatto, troppo omologato. Come può spingere i codici all'assoluto?
Cosa è la creatività? Da cosa nasce? Ve ne sono differenti forme?
Creare è proprio di dio. E dio, a modo suo, è il primo vero grande folle, dato che nessuno è meno "normale" di lui e che nessun codice è più altro e unico del suo. Il suo codice è così creativo che dà ed è l'essere. Quanto più un essere umano scava nella propria diversità unica, quanto più la vive, la ascolta, la apre alla diversità degli altri, tanto più in lui si apre la possibilità non di dare ed essere l'essere, ma di dare vita alla vita e mondo al mondo. Dio crea il mondo, l'uomo può esserlo: nel "tra" della relazione d'amore e nel travaglio artistico. Essere il mondo e i mondi: questa è la creatività.
Chaitin Gregory in un'intervista di Obrist sostenne per rispondere ad una domanda in merito all'ispirazione di un artista: "secondo me è il subconscio che continua a lavorarci sopra come un matto, perfino quando non ce ne accorgiamo - se si è davvero posseduti da quello che si tenta di fare, perfino quando crediamo di non lavorarci". Cosa ci dice in merito?
La nozione di possessione può aprire all'alibi romantico dell'artista come "tempesta e assalto" rifuggenti dalle regole. L'arte non è anarchia, ma piena possibilità espressiva del codice, sua capacità di tradurre e di tradursi, fino a essere il mondo.
Quanto l'arte vista come libertà creativa ed emozionale può influenzare la crescita di un giovane?
Quando quel giovane elabora la propria ferita, la propria unicità, il proprio codice, il proprio amore, con cuore puro, cioè con assoluta sfida, con ostinata fedeltà, con piacere totale, con fatica inestinguibile.
Restando in campo giovanile, a che età l'arte si trasforma e passa da gioco ludico a creazione d'opera vera e propria?
A decidere non è l'età, ma il mestiere, il lungo, appassionato, infaticabile, irriducibile, ostinatissimo mestiere. (Luigi Cortesi, intervistato da D.Lussana)
Karel Appel(1921-2006), Senza titolo
André Masson(1896-1987), In the tower of sleep
Aloïse (Corbaz Aloise 1886-1964), Napoléon III à Cherbourg
Max Ernst(1891-1976), The couple in lace
Pierre Alechinsky(1927), Ciel en circuit fermè
Chris Hipkiss(1964), Cauc futures
Josef Hofer(1945), Senza titolo
Victor Brauner(1903-1966), Conspiration
Vojislav Jakic (1932-2003), Les effrayants insectes cornus
Jean Michel Basquiat(1960-1988), Head
Attraverso l'esperienza artistica,
possiamo sperare di restare in contatto
con il nostro Sé primitivo,
da cui provengono i sentimenti più intensi
ed anche sensazioni estremamente acute.
Saremmo veramente poveri se fossimo solo sani.
Donald Winnicott
Hieronymus Bosch(1450-1516), Trittico del fieno
Gaston Chaissac(1910-1964), Senza titolo
Guillaume Corneille(1922-2010), Soleil rouge ciel blanc
Jean Dubuffet(1901-1985), Dhotel nuance d'abricot
Gaston Duf(1920-1966), Paulichinele gansthers vitres'-he
Antonio Ligabue(1899-1965), Autoritratto
Hermann Nitsch(1938), Senza titolo
Il racconto: l'art brut.
Come tutti gli eventi di grande importanza nelle arti, l'improvviso e sorprendente emergere dell'Art Brut può essere compreso come il frutto dell'incontro appassionato tra le idee di un individuo eccezionale e le manifestazioni di una diffusa sensibilità fino a quel momento inarticolata e latente. La genesi della nozione di Art Brut può essere ricondotta all'estremo disagio provato dall'artista francese Jean Dubuffet; fin dall'età di diciotto anni Dubuffet aveva sognato di diventare pittore ma aveva sempre provato disgusto per le istituzioni artificiali, elitarie, veniali e propagandistiche affermatesi per sostenere l'arte.
Fino all'età di quarantadue anni Dubuffet si era sentito intrappolato in una condizione di paralisi creativa causata dalla discrepanza tra la sua visione dell'arte come impresa delirante, solitaria e altamente idiosincratica e le norme e i regolamenti degli scambi istituzionali del campo artistico. Non era inoltre meno disturbato dal peso di una tradizione artistica il cui apprendimento giudicava irrilevante, se non dannoso, così come era sbigottito dai roboanti slogan delle avanguardie che gli parevano solo costrittivi. Per quanto riguardava la sua carriera personale Dubuffet avrebbe dovuto presto sottomettersi all'inevitabile paradosso di essere al contempo un colto borghese e un artista convinto; decise quindi di entrare nel sistema adottando il ruolo del nemico che lancia il suo attacco dall'interno, invocando il principio del cavallo di Troia.
Questa soluzione non impedì a Dubuffet di continuare ad accarezzare l'ideale di un'arte che non avesse una concezione della propria discendenza, in altre parole, un'arte libera dalle imposizioni delle tradizioni o della moda, un'arte libera da ogni compromesso sociale, un'arte indifferente al plauso degli iniziati, un'arte che derivasse la propria forza da una impetuosa urgenza, da una quasi-autistica necessità interiore. Questa è la definizione di Art Brut. Naturalmente l'insolente indifferenza dei vincoli implicita in una tale esorbitante avventura dell'immaginazione non poteva avere nessuna relazione con le strategie promozionali e commerciali che regolano il mondo normale dell'arte. In questo contesto è curioso notare che le rivoluzioni artistiche più radicali di questo secolo hanno lasciato intatti quei meccanismi che consacrano e commercializzano l'impresa artistica, vale a dire la rete delle gallerie e dei musei, i circoli di esperti, critici, distributori e collezionisti. Anche quegli artisti che si sono spinti più a fondo nella distruzione degli stereotipi estetici lo hanno fatto servendosi dello stesso apparato, non interferendo con la sua struttura in alcun modo. E sarebbe strano se la loro docilità verso il sistema dell'arte e la sua rete della comunicazione non fosse rispecchiata nei loro lavori (non si dà il caso infatti che il "medium sia il messaggio"?).
La galleria d'arte, esattamente come la pittura a cavalletto o l'uso della vernice ad olio, è indissociabile da un preciso insieme di esiti predeterminati. Solo un modo di fare arte che sia alieno al sistema delle gallerie può sperare di scuotere via quella eredità culturale che così gravemente pesa sulle spalle dei professionisti. Per questo non ci si dovrebbe sorprendere scoprendo che l'art brut sia associata con i disadattati sociali; marginali,solitari, anarchici, persone guidate da impulsi devianti che talvolta conducono alla loro ospedalizzazione come pazienti psichiatrici.
Così accadde che Dubuffet si innamorò dei fiori selvatici che trovò sbocciare ovunque eccetto che nei letti ben fatti dell'Arte Colta, cercandoli negli angoli dove nessuno altro si sarebbe sognato di guardare, tra gli illetterati piuttosto che tra gli intellettuali, tra i poveri piuttosto che tra i ricchi, tra gli anziani piuttosto che tra i giovani, tra le donne piuttosto che tra gli uomini, e così via. Riconoscendo che lui stesso non poteva vantare alcuna pretesa di dipingere Art Brut, Dubuffet divenne un collezionista e lo fece proprio quando i suoi lavori stavano cominciando a diffondersi nel mercato dell'arte e nei musei. Forse sentì che il tempo, i soldi e più di tutto le energie emotive che dedicava ai "valori selvaggi" rappresentassero un'attività di dissidenza che poteva salvare la sua partecipazione sociale dal diventare eccessivamente compromissoria.
Dal 1945 in avanti, Dubuffet cominciò a cercare lavori che corrispondessero ad una concezione dell'arte peculiarmente asociale ed estremista. Intraprese così un viaggio in Svizzera in compagnia di alcuni amici, lo scrittore Jean Paulhan e il pittore René Auberjonois. Le sue scoperte più significative risalgono agli ospedali psichiatrici e alle prigioni Svizzere -Adolf Wölfli, Aloïse Corbaz, il Prigioniero di Basilea, per non dire della collezione di arte psicotica dello psichiatra ginevrino Professor Charles Ladame-. Così, fin dagli inizi, l'Art Brut si dispose sotto il segno della pazzia, agli occhi di Dubuffet, la quintessenza dell'inventività.
Quel che Dubuffet considerava patologico non era l'infermità mentale quanto piuttosto la cosiddetta normalità e gli standard accademici: "Intendo dire che non solo i meccanismi che governano la pazzia sono tanto visibili nel sano (o supposto tale) quanto nel malato ma che in molti casi essi ne rappresentano lo sviluppo e il definitivo fiorire. Io credo, infatti, che l'occidente sia completamente in errore a trattare la pazzia come qualcosa di negativo; è mia personale opinione che la pazzia sia un valore positivo, una risorsa preziosa e fertile. A me, la sua influenza non pare affatto nociva per il genio della nostra razza ma al contrario invigorente e desiderabile. Non credo affatto che la pazzia abbia raggiunto proporzioni epidemiche nelle nostre società occidentali ma che, al contrario, sia qualcosa di troppo poco diffuso". (Dubuffet, J. Honneur aux Valeurs Sauvages, 1951).
(...)
Nota mia: il testo prosegue narrando il percorso storico-organizzativo che portò Dubuffet -dal 1947 al 1976- alla istituzione della Collection de l'Art Brut nel museo di Losanna.
(...)
La Collection de l'Art Brut fu ufficialmente inaugurata nei suoi nuovi spazi di Losanna il 26 febbraio 1976. Piuttosto di lasciare che il museo si trasformasse in un mausoleo di lavori imbalsamati e senza vita, in accordo con gli stessi desideri di Dubuffet, fu deciso di adottare una politica che animasse il museo grazie all'aggiunta continua di nuovi lavori ed un programma che comportasse il susseguirsi di esibizioni temporanee. L'accessibilità pubblica della Collezione insieme alla notorietà internazionale che presto si è guadagnata ha portato una varietà di collezionisti, sponsor e psichiatri a contribuire con importanti donazioni (da notare in particolare i nuovi pezzi di Aloïse, Jules Doudin, Carlo Zinelli e Vojislav Jakic e le nuove scoperte di autori come Samuel Failloubaz, Célestine, Johann Hauser, August Walla, Reinhold Metz, Josef Wittlich). In questo modo l'inventario della Collezione si è allargato, dal momento del suo trasferimento a Losanna, fino a comprendere quasi diecimila pezzi.
Jean Dubuffet ha continuato a fornire supporto morale e materiale all'impresa fino al giorno della sua morte nel 1985. Quella dell'espandibilità della Collezione non fu una decisione facile. Al momento del trasferimento della Collezione a Losanna nel 1975 la questione relativa alla possibilità di nuove acquisizioni fu ampiamente dibattuta. Dato l'impatto dei media e della comunicazione di massa - in altre parole, del condizionamento di massa - era possibile che continuassero ancora ad esistere individui così idiosincratici e indipendenti da essere capaci di costruire una mitologia personale e un personale linguaggio pittorico? Non esisteva il rischio che la Collezione potesse perdere la sua forza con l'assimilazione di materiale di qualità inferiore?
La discussione acquisì colori anche più accesi in seguito ad un importante evento: dopo il 1950 l'incidenza dei casi di Art Brut dentro gli ospedali psichiatrici era improvvisamente crollata. La ragione era abbastanza ovvia: l'introduzione del Largactyl e dei farmaci psicotropi. Senza dubbio lo sviluppo della psicofarmacologia ha avuto molti effetti benefici dal punto di vista medico; tuttavia, nella misura in cui previene i deliri e le allucinazioni da cui spesso nasce l'ispirazione artistica ha avuto un impatto fatale sulla creatività artistica all'interno dei luoghi di cura.
Sotto il regime degli antipsicotici i pazienti sono passati da una condizione di esaltazione e autocontrollo ad una di stupore alterato. Ma in verità, qualcuno potrebbe obiettare, la produttività artistica non era mai stata così diffusa negli ospedali psichiatrici come durante gli anni cinquanta grazie all'attivazione di gruppi di lavoro improntati all'arte-terapia, alla terapia occupazionale e simili. Prima di quel momento, infatti, aveva regnato lo scoraggiamento attivo, per non dire la vera e propria repressione dell'espressione simbolica di coloro che ancora erano visti molto più come detenuti che come pazienti.
Si deve dunque ammettere che le nuove strategie psicoterapeutiche abbiano prodotto una abbondanza di produzioni pittoriche e scultoree, ma questo è vero solo in senso quantitativo.
Il contesto protetto nel quale queste attività avevano luogo ha seriamente minato la spontaneità, il fervore e l'afflato ribelle che sono i costituenti necessari della vera invenzione artistica. La produzione artistica come pratica sanitaria dissuade il creatore potenziale da ogni tipo di sperimentazione poiché anticipa ogni iniziativa e la orienta in una direzione preordinata verso un obiettivo meramente ortopedico. Proprio come il sesso, l'arte perde tutte le sue attrattive quando è prescritta come esercizio terapeutico.
In ogni caso l'evidenza è di fronte ai nostri occhi: ad eccezione dello spettacolare esempio della Haus der Künstler ("La casadegli artisti") di Gugging in Austria -il cui successo riflette, precisamente, le priorità artistiche di psichiatri che non hanno alcuna illusione terapeutica- si deve riconoscere che nulla di veramente originale è mai uscito e mai uscirà dai laboratori di arteterapia.
Non vi è alcun dubbio che Dubuffet avesse ragione nel sostenere che i creatori ai quali si era appassionato non facevano arte per curare la propria pazzia quanto piuttosto per stimolarla. Così, per tornare al problema che la Collezione dovette affrontate nel 1975, una scelta prudente avrebbe potuto essere quella di impedire ogni ulteriore espansione. La prudenza però non era mai stata il forte di Dubuffet che era un tipo da scommesse. E quella scommessa ripagò ampiamente perché divenne chiaro che -nonostante l'incredibile impatto delle camicie di forza chimiche negli ospedali psichiatrici, nonostante lo sviluppo di mezzi di condizionamento di massa, nonostante una normalizzazione sociale e mentale su scala planetaria- esistono ancora, contro ogni aspettativa, degli individui refrattari che si attaccano ostinatamente alla loro originalità a tutto dispetto del conformismo.
Gli esempi di Joseph Wittlich, Reinhold Metz ed Helmut N. in Germania, Willelm Van Genk in Olanda, Vojislav Jakic in Yugoslavia, sono una prova vivente che, nell'era della comunicazione di massa, si possono ancora trovare individui capaci di costruire un sistema filosofico, intellettuale e formale che non deve nulla alle sollecitazioni di qualunque altro essere umano. Vero, sarebbe sbagliato sostenere che questi creatori siano totalmente "impermeabili alla cultura" per dirla con Dubuffet. Ciò che fanno, però, è appropriasi indebitamente, in modo completamente imprevedibile, degli elementi culturali che incontrano, sbarazzandosi delle ricette ortodosse e agendo in uno spirito d'improvvisazione spensierata, raccogliendo solo quegli elementi che più gli convengono e integrandoli in combinazioni imprevedibili e interamente originali.
Un altro paradosso che differenzia l'Art Brut dall'Arte Culturale è il seguente. L'Arte Culturale è associata con la gioventù, che la nostra società ha elevato a valore supremo, una metafora brillante di tutto quanto concerne l'invenzione, la libertà, l'anticonformismo. I giovani hanno il completo monopolio delle premurose preoccupazioni della società, essendo diventati l'oggetto dei più importanti investimenti in termini sociali, educativi, professionali ed economici, oltre che il fondamentale bersaglio di tutta la pubblicità. I giovani finiscono per diventare vittime di un programma di omologazione forzata realizzato attraverso la musica rock che impone che si tengano al passo, attraverso gli imperativi della moda, che li obbliga a indossare delle uniformi e attraverso l'assalto dei media che regolano ogni loro pensiero.
Al contrario, e in modo completamente diverso da quanto accadeva nelle società tradizionali, gli anziani sono sempre più ignorati e marginalizzati, degradati al livello degli ultimi delle nostre società e talvolta "invitati" in quelli che paiono "comodi" campi di concentramento. In definitiva gli anziani oggi occupano la posizione che un tempo era riservata ai pazzi; sono i paria moderni e sono loro dunque quelli che hanno seguito il filo dell'Art Brut. Naturalmente la maggior parte delle persone anziane reagisce alla propria situazione di abbandono con amarezza e non si può certo biasimarli.
Alcuni però sembrano trovarsi a proprio agio in questa condizione. Poiché non hanno più niente né da perdere né daguadagnare, assolti da ogni responsabilità e liberi da ogni preoccupazione per quel che le persone potrebbero dire talvolta si "mettono in proprio" recidendo tutti i legami sociali e mentali e riescono a spingersi verso complesse stravaganze artistiche delle quali sono gli unici protagonisti. E' un fatto notevole che creatori come Gaston Teuscher, Alois Wey e Hans Krüsi abbiano scoperto la propria vocazione artistica solo dopo il pensionamento.
Si può avere l'impressione che, da un giorno all'altro, abbiano ritrovato la propria impetuosità giovanile, repressa durante gli anni del lavoro, come se tra i dieci e i settanta anni avessero semplicemente aspettato perché un monotono interludio passasse. Anche nel campo dell'Arte Culturale, a dispetto di tutti gli slogan demagogici che si ripetono riguardo alla gioventù, è diventato abbastanza ovvio -come testimoniano le recenti grandi esibizioni dedicate agli ultimi anni di Cézanne, Matisse, Klee, Picasso e Dubuffet- che "il futuro appartiene ai vecchi".
L'Art Brut, comunque, può essere considerata come una forma d'arte che appartiene in via prioritaria agli anziani; servono sette decadi per diventare un anarchico. In qualità di teorico dell'Art Brut, Dubuffet era naturalmente preoccupato per l'integrità della sua Collezione. Naturalmente si deve sottolineare che i concetti polari di Art Brut e di Arte Culturale rappresentano delle linee guida molto più che compartimenti stagni. E' d'uopo ricordarsi infatti che un certo lavoro è sempre più o meno dipendente dalla cultura.
Un lavoro può essere etichettato come appartenente all'Arte Culturale o all'Arte Brut solo in conseguenza del suo essere più vicino ad un polo piuttosto che all'altro. Ci sono comunque alcuni casi di confine che non possono essere ignorati. Ciò che ho in mente sono artisti provenienti da contesti culturalizzati e la cui singolarità è comunque canalizzata dentro la tradizione figurativa, artisti del calibro di Louis Soutter, Marguerite Burnat-Provins, Mario Chichorro. Penso anche a creatori che, durante la loro vita hanno preso parte al mercato dell'arte, per esempio, Gaston Chaissac e Friedrich Schröder-Sonnenstern. Questi sono stati certamente artisti di valore; si doveva però impedire una loro completa assimilazione dentro la Collection per evitare che la categoria di Art Brut si diluisse poco a poco e scivolasse gradualmente dentro l'arte genericamente intesa. Dubuffet cominciò quindi a disporre questi lavori di confine in un gruppo speciale che chiamò Annex Collection.
Di fatto, negli stadi iniziali, questo si rivelò essere un luogo conveniente per l'inclusione dei casi problematici. Nel corso degli anni settanta questi casi intermedi tra l'Art Brut e l'Arte Culturale crebbero notevolmente di numero. Sempre più artisti il cui stile era originale, anche se non interamente libero da influenze, vollero far conoscere il proprio lavoro al pubblico anche se erano imbarazzati dalla natura speciosa dell'addestramento artistico che si impartiva nelle scuole e sopra ogni cosa, dalla distanza tra il sistema delle belle arti e la genuina creatività.
Scoprirono ben presto che invece di stimolare l'invenzione ed assicurarne la trasmissione il sistema elitario dell'arte aveva uneffetto intimidatorio, dissuasivo ed asfissiante che costringeva la produzione artistica in un comodo milieu artificiale, dominato dall'ossessione per quel che era di moda e quel che non lo era, per l'appartenenza a determinate categorie, per il sistema di valori del mondo del commercio. Per un numero crescente di artisti, dunque, la Annex Collection divenne un modo per superare l'ortodossia dell'establishment.
Jean Dubuffet aveva sempre manifestato un vivo interesse per quel che il sistema non riusciva a digerire e col tempo finì per acquisire lavori con la deliberata intenzione di aggiungerli alla Collezione Annessa che quindi, gradualmente, perse la sua funzione negativa di semplice deposito per i casi inclassificabili e acquisì un ruolo proprio e positivo.
Per confermare questo nuovo approccio rivalutativo, nel 1982 Dubuffet decise di rinominare la Collection Annex, Neuve Invention, con l'intento di designare quei lavori che, sebbene non caratterizzati dalla stessa assoluta autonomia creativa dell'Art Brut, erano comunque sufficientemente indipendenti dal sistema dell'arte per costituire una sfida alle istituzioni culturali. La collezione della Neuve Invention che oggi annovera più di cinquemila lavori dispone di uno spazio proprio nel Museo ed è oggetto di prestiti intermuseali, contrariamente alla Collezione di Art Brut a cui, come da desidero di Dubuffet, non è consentito di entrare nei circuiti culturali della promozione artistica e quindi essere prestata e viaggiare.
L'emergere di questa forma di arte "indisciplinata" chiamata Neuve Invention o forse anche Outsider Art, che ha già acquisito un profilo moderatamente alto nel mercato dell'arte, può diventare fonte di apprensione. Non potrebbe accadere infatti che le mode del mondo dell'arte, entusiaste da tempo per tutto quel che appare anche solo moderatamente selvaggio, inducano i professionisti a misurarsi con una deliberata e artificiale produzione di Art Brut? Se accadesse, come si potrebbero distinguere i ciarlatani dagli autentici artisti, la vera Art Brut dalle sue copie? La questione dell'autenticità, la pratica di giudicare un lavoro dalla sua etichetta o dalla sua firma, è senza dubbio cruciale per il modo in cui opera il mercato dell'arte, poiché riflette il valore percepito di un'opera.
I collezionisti sembrano da sempre preferire un Courbet genuino di qualità modesta ad un falso Courbet di alta qualità per ragioniche sono ovviamente finanziarie piuttosto che estetiche. Ciò che amano davvero è possedere arte non ammirarla. Dal canto opposto coloro che fanno Art Brut non sono affatto legati alla questione dell'autenticità. Perché sono tutti pazzi no? Cioè imbroglioni per definizione? In altre parole, come creatori, svelano il segreto, ammettendolo candidamente, che l'intero business dell'arte, che in definitiva si fonda sulle immagini, non è altro che una vasta impresa di simulazione. Ogni artista essendo il produttore di un simulacro è un falsario. L'unica distinzione che si deve fare è quindi quella tra un buon falsario e un cattivo falsario. Quando Courbet, verso la fine della sua vita, cominciò a mescolare i propri lavori, come fanno tutti i pittori d'altra parte, non riuscì ad avvicinarsi nemmeno agli standard di alcuni contraffattori.
Dove sta allora l'autenticità? Perché non facciamo noi stessi la prova? Perché non proviamo a realizzare un'opera di falsa Art Brut? Inizialmente vi sentirete certamente maldestri e incapaci (come accade ai "veri" creatori di Art Brut nelle loro prime prove). In ogni caso, se vi impegnate completamente vi troverete sempre più coinvolti nell'affare della contraffazione, forse fino al punto di dimenticare qualsiasi altra cosa intorno a voi: i vostri compiti quotidiani, i vostri appuntamenti, i vostri obblighi professionali e familiari. Correrete il rischio di perdere il vostro lavoro, il vostro stipendio, e di conseguenza le attenzioni del vostro partner.
Vi ritroverete con una personalità alterata, perché avrete perso il vostro io, avendo cominciato a comprendere che anche questo era soltanto un'immagine, finzione, il più pericoloso di tutti i simulacri. Come la mette Nietzsche "felici sono i poveri di spirito che non hanno una sola anima immortale ma un migliaio di anime mortali!". In questo modo, come compensazione per la perdita di alcune comodità sociali, che non sono altro che illusioni comunque, potrete sperimentare la mentalità raminga e, sopra ogni cosa, il sottile piacere della produzione di "genuine contraffazioni". Piuttosto che produrre banconote contraffatte nel modo che è comune, comincerete ad emettere la vostra personale valuta senza interessarvi del valore che potrebbe avere sul mercato. Cosa avverrà poi sarà che potreste essere invitati al museo dell'Art Brut passando per la porta principale, cioè come creatore e non più come semplice visitatore. In breve, la vostra salute mentale sarà ristabilita completamente! Tutte le strade portano a Roma, ahimè, eccetto quella della pazzia, che è un altro modo per dire simulazione totale. Questa è la strada che si deve seguire per creare autentica Art Brut che, come sappiamo tutti bene, sta agli antipodi di Roma.
Un ulteriore domanda dello stesso tenore: non è forse emerso un mercato per l'Art Brut che minaccia di pervertire, deformare, appropriarsi di questi artisti? Il campo di quella che è stata definita "Outsider Art" è stato certamente commercializzato. Quando mi resi conto di questo sviluppo supposi ingenuamente che l'interesse economico della gente avrebbe portato a nuove scoperte. Ma ho osservato con costernazione che, per lo meno per quanto riguarda l'Europa, i galleristi non si affidano mai ai propri occhi e ai propri giudizi cercando piuttosto l'etichetta.
E l'etichetta "Art Brut" significa l'esposizione nel museo che porta questo nome. Se Aloïse entrasse oggi in una galleria con una pila dei suoi disegni probabilmente il direttore della galleria si limiterebbe a controllare se il suo nome appare sulla nostra lista. L'idea è ovviamente assurda perché non potrebbe mai esserci un Aloïse che facesse il giro delle gallerie. Sono gli artisti professionisti che seguono questa strada. (E chiaramente non si può davvero disapprovare questa strada se quello che gli artisti vogliono è comunicare e vendere il proprio lavoro). D'altra parte, i veri creatori di Art Brut, per definizione, si astengono da ogni operazione il cui risultato sia l'integrazione in un sistema dedicato alla promozione e alla vendita.
Riguardo a questo vorrei raccontare un interessante aneddoto. Alcuni anni fa, sentì parlare di una signora di settantacinque anni che viveva in un ospizio e, si diceva, producesse magnifici lavori a maglia. Quando riuscì ad andarla a trovare, trovai una donna completamente assorbita nel proprio lavoro. Una tessitura di qualcosa come venti trame diverse cadevano dai suoi ferri in continuo movimento in un grande cestino di lavoro stipato di gomitoli di lana. La signora stava improvvisando, senza alcun programma predefinito, assemblava immagini di grandissima originalità. Dopo che l'ebbi informata dell'esistenza dalla Collezione dell'art Brut, la nostra conversazione procedette come segue: "Il suo lavoro è assolutamente magnifico! Sarebbe così gentile da permettermi di esibirlo nel museo di Losanna?" "Mio caro signore, cosa va mai pensando, queste non sono certo cose da mettere in mostra in un museo! Sono solo una vecchia signora sulla sua sedia a dondolo che continua a lavorare a maglia solo per passare il tempo." "Non solo ritengo che questi lavori siano assolutamente esponibili, ma, col suo permesso, ne comprerei anche alcuni per la collezione del museo."
"No, non potrei mai prendere soldi per questa robaccia, sarebbe peggio che rubare. In ogni caso non c'è niente che potrebbe portare con sé perché io disfo quel che ho appena intessuto così da usare la lana di nuovo." "Ma non mi permetterebbe almeno di prendere questo qui, che vedo ha quasi finito, e io le comprerei tutti i gomitoli di lana che desidera?" "Certamente no, signore. La lana è troppo cara e lei non ha diritto di sperperare il suo denaro in tali schiocche stravaganze." Ero mortificato. Non faccio fatica ad immaginare che questa moderna Penelope che deve avere modellato centinaia di sublimi seppur effimeri capolavori sia nel frattempo morta senza lasciare alcuna traccia del suo valore artistico. Fino alla fine era rimasta la sola spettatrice del suo lavorio. Aveva scoperto un progetto creativo così esaltante e avvincente che, in paragone, i plausi o le attenzioni delle altre persone non avrebbero fatto assolutamente nessuna differenza.
Questo è, nella sua forma più estrema, l'atteggiamento tipico dei creatori di Art Brut verso quella che è comunemente chiamatala "carriera artistica". Ai loro occhi, l'essenza dell'arte è concentrata e realizzata nell'atto stesso, nell'esultante avventura che vivono quando si confrontano, con la tela, la carta, i ferri da maglia. L'allucinazione creativa si interrompe bruscamente come un film dove la parola "FINE" annuncia il ritorno alla triste realtà. E' ovvio che se si provasse ad introdurre persone del genere nel mercato dell'arte si produrrebbe la loro condanna, o più probabilmente, un'ondata di attacchi cardiaci tra i direttori delle gallerie d'arte.
Quindi non si dà affatto il caso che il mercato dell'arte stia spingendo l'Art Brut verso una crisi, piuttosto è vero il contrario! E per quel che ci riguarda (con "noi" intendo i funzionari che sono interessati all'Art Brut senza alcuna prospettiva di guadagno economico) il denaro investito nel campo dell'Art Brut non ha davvero cambiato molto le cose. Tutto ciò che ha fatto è stato di lanciare una sfida salutare: scoprire e collezionare lavori prima che diventino l'oggetto di valutazioni proibitive e dei cui profitti, comunque, i creatori non ricevono che le briciole; e provare a proteggere quelli più vulnerabili tra loro dai compratori più aggressivi reintroducendo la convenzione dello pseudonimo, come si usava fare, anche se per diverse ragioni, un tempo in psichiatria.
Detto questo, la speculazione nel commercio dell'arte ha avuto almeno il merito di produrre una specie di controprova: inquest'epoca di rampanti privatizzazioni appare più che mai evidente che l'unico status a cui l'Art Brut può mirare è quello pubblico e che le uniche fonti dalle quali può assorbire nutrimento sono le collezioni di quei musei che (per quanto ancora?) rimangono indipendenti dalle strutture economiche del mercato. Questo significa forse che l'Art Brut dovrebbe essere considerata un arcaico relitto dell'era precapitalista oppure che rappresenta l'alternativa simbolica che stiamo cercando? Questo è il problema! (Michel Thévoz, 1994)
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Se la pittura non penetra l’oggetto
e non ne svela le vibrazioni,
se non arriva partendo dall’oggetto
e dall’osservazione sentimentale di esso
alla creazione di un equivalente plastico dell’oggetto,
non si perviene alla poesia, ma si precipita nella fotografia.
Non imitazione del vero apparente,
ma elaborazione poetica fondata su una sensazione umana,
comprensione lenta e graduale di un fenomeno fisico,
che si trasforma fatalmente in poesia,
nell’espressione pittorica.
Renato Guttuso