Mag 2014. 1952-1962.

 

 

 

 

 

 

 

 

Più vai avanti e più capisci
che quello che ti ha fatto muovere per il tempo che ti resta
sono quelle dieci emozioni rubate all'infanzia e all'adolescenza.
I ricordi più antichi, gli odori, i sapori.

 

 

 


 

 

 

 

1952-1962, ovvero i miei primi dieci anni. Alcune immagini della mia infanzia, qualcuna fotografica, qualcuna di succinta narrazione, o meglio di stringati flashback, ma anche immagini del periodo che vi faranno, ovviamente per chi lo ha vissuto, rammentare come eravamo. Collage di scene di vita quotidiana, di costume, di abitudini, di eventi... niente politica o boom economico se non di riflesso nella conclusione del "mestée al mes" dedicata a un capolavoro del cinema italiano di fine decennio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 


Cielo rigato da fili del telegrafo e dell'elettricità.
Tanta campagna, rogge, mucche, cascine appena fuori dei centri urbani.
Morto un papa (Pacelli) se ne fa un altro (Giovanni XXIII).
Brillantina (Linetti e Tricofilina).
Macchina per cucire (Singer e Borletti).
Lucido per scarpe (Brill, Tana e Guttalin).
Per i più piccini a metà mattina Cremina Ferrero di cioccolato e nocciola (allora non si chiamava ancora Nutella...) in vasettini di bachelite a forma di scodellina o di trottola.
Per merenda fruttino Zuegg, piccolo parallelepipedo durissimo e dolcissimo di marmellata alla mela cotogna, ambìto dai bambini perché dentro c'è in omaggio un francobollo straniero.
Qualche volta la veneziana o la cremonese.
Nelle grandi occasioni cioccolato bianco o al latte, la mamma però si mangia il fondente, (Italcima Nestlè e Perugina).
Poi, la sera, ai bambini buoni la dolce Euchessina (e quelli cattivi? non esistono bambini cattivi, ma solo bambini indisposti, anche a loro la dolce Euchessina).
Variante scolastica (da dire solo tra maschi e solo quando la maestra non sente: e quelli cattivi? che spingano) si scrive Andrews, ma si pronuncia Endrius.
Polveri per l'acqua da tavola detta anche acqua di Viscì (Idriz e Idrolitina).
Carta gialla dal macellaio.
Tonno e mostarda venduti sfusi nella carta oleata.
Zucchero venduto sfuso nella carta blu (in milanese carta de sucher) ottima per cataplasmi.
Motom e Cucciolo. Vespa e Lambretta.
Blue jeans, teddy boys, flipper, juke box e rock and roll.
Moneta d'argento da 500 lire con le vele al contrario, così bella che ti viene voglia di collezionarla, anziché spenderla.
Se la squadra del vostro cuore ha vinto brindate con Stock 84, se ha perso consolatevi con Stock 84.
Nelle famiglie à la page Brylcreem e Bio Dop.
In tutte le famiglie spazzolino e dentifricio (Durban's, Colgate, Binaca, Chlorodont).
Spuma... chinotto... tamarindo e relative caramelle... rabarbaro e relative caramelle... mentini (antenati della Menta Caremoli anni '60).
Tram e taxi (almeno a Milano) verde oliva come la maglia della Legnano, che Baldini indossa con un pizzico di tremore, perché fino a tre anni prima è stata la maglia di Bartali.
Giradischi incorporato nella radio.
Mamma mi fai il piacere di far sparire quel pastorello che diventa blu quando c'è sereno e rosa quando piove.
Quel coperchio, come vedi, si solleva e lì dentro ci devo mettere i miei dischi a settantotto giri: Angelini e Fragna... Clara Jajone... Villa e Tajoli... o i quarantacinque giri... Modugno... Buscaglione... gli urlatori.
A Natale il panettone lo offre la ditta, idem per la colomba a Pasqua (Motta nel cartone blu, Alemagna nel cartone azzurro o Frontini nel cartone rosa, tutti con scritte rigorosamente in oro).
Quattro quotidiani del pomeriggio (La Notte, Corriere d'Informazione, Corriere Lombardo e Milano Sera) ciascuno coi suoi strilloni e i suoi titoli a nove colonne: la crisi di Suez e la rivolta d'Ungheria, Wilma Montesi e Fenaroli, il Real Madrid di Di Stefano e il Brasile di Pelé, la Callas e la Tebaldi, Gaul tutto solo sul Bondone innevato e i due matti nella scuola di Terrazzano.
La Domenica del Corriere con le tavole di Beltrame o di Molino: extraterrestri, mostri preistorici che ancora vivono in un lago dell'Ecuador, ma soprattutto esempi toccanti di eroismo quotidiano.
Fungo del Tibet.
Mokarabia, Mokito, Moka Efti.
Caffettiera napoletana in casa, Cimbali Espresso..."un Cimbalino" al bar.
Tinteggiatura arlecchino (Tintal della Max Meyer e Ducocasa della Ducotone).
Sala con buffé e controbuffé in stile chippendale e, alle pareti, due quadri rappresentanti lo stesso paesaggio montano-lacustre in due stagioni diverse.
Cucina "mangiabile", tinello luminoso, abitabile dove prima o poi quando mio marito si deciderà metteremo la televisione.
Comunisti mangiapreti, democristiani forchettoni.
Il venerdì baccalà per gli adulti, palombo per i bambini: peccato mortale, anzi mortalissimo mangiar carne il venerdì, "...e peggio di quello c'è solo un altro peccato... ci siamo intesi?...", e i maschi assentivano e le femmine si guardavano attorno con aria perplessa, salvo poi assentire anche loro per non far la figura delle tonte.
Curato con la veste lunga fino ai piedi, perini in testa ai bambini ribelli al catechismo.
Oratori assolati, monosessuati, asessuati.
Suore all'asilo, in chiesa, in ospedale, per le strade, dappertutto.
Mira il tuo popolo o bella Signora.
Mira Lanza con le figurine nei suoi prodotti Kop, Lip, Ava, Miral da 5 a 100 punti.
Case chiuse sempre aperte, poi la legge Merlin chiude le case chiuse, speranze e timori di una riapertura delle case chiuse (e tu cosa ne pensi? mah, è un bel casino).
"Con l'entrata in vigore della legge Merlin non è più permesso ciò che la legge Merlin proibisce", come ha spiegato Zatterin al telegiornale.
Televisione al bar, il giovedì ed il sabato: Lascia o raddoppia e Musichiere, Mike Bongiorno e Mario Riva.
Radio le altre sere, specialmente il venerdì con Rosso e Nero di Corrado.
Vogliate gradire un programma di melodie e ritmi in attesa di collegarci con Bolzano per trasmettere la radiocronaca dell'arrivo della diciottesima tappa del Giro d'Italia.
Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi.
La Dama Bianca non ha cuore, è una rovinafamiglie e le rovinafamiglie non pensano mai che nella famiglia ci sono i bambini.
I bambini li porta la cicogna.
Bambini non perdetevi Rin Tin Tin e Zurlì mago del giovedì col mantello e la parrucca tutte a lustrini.
Bambini al mare in colonia, tutti in fila con la maglietta bianca ed i pantaloncini marroni sempre troppo lunghi o troppo corti... si fermano le macchine si fermano i tranvai, e noi che siamo giovani non ci fermiamo mai, dai dai dai, combiniamo tanti guai... dai dai dai, combiniamo tanti guai... le nostre signorine van tutte in areoplano, per far vedere il culo al popolo italiano dai dai dai, combiniamo tanti guai... dai dai dai, combiniamo tanti guai... e torneremo a casa con la gioia nei cuori, a rompere le balle ai nostri genitori, dai dai dai, combiniamo tanti guai... dai dai dai, combiniamo tanti guai, però stasera c'è il cinema, forse danno un film di banditi, poi quando torno a casa vado in montagna a Magreglio con mia zia e tu dove vai in campagna? a Caresti, provincia di Castù.
Il nonno che racconta di quella volta che gli arditi presero il Monte Nero e lo zio che racconta di quella volta che i fascisti presero suo fratello (voce alta e squillante nel primo racconto, sommessa nel secondo) al nipote, tanto per fargli staccare gli occhi per un momento dall'albo di Tex o del grande Blek "...mai che leggano Topolino o Tiramolla questi benedetti bambini del giorno d'oggi che non sanno nemmeno cosa siano la guerra, la fame, la miseria, la carne razionata, l'allarme in piena notte...".
Il medico con la Millecento che viene in casa anche di notte... il suo disturbo... mille lire, grazie.
Le punture con la siringa in vetro che va bollita cinque minuti e l'ago durissimo che fa un male della madonna.
Le supposte Causith per gli adulti e le Polagin per i bambini.
Siamo sotto Bruzzano, siamo sotto la DC, siamo sotto gli americani, siamo sotto il padrone, siamo sempre sotto qualcuno.
Uno fisso alla Fiorentina, se vinco alla Sisal non vado più a bottega. (Silvano Maino)

 

 

 

 

 

Il 38 di corso Vercelli da largo Cimarosa.

 

 

 

 

 

Sempre il 38 da corso Vercelli.

 

 

 

 

 

"El gamba de legn" in uscita dal deposito di corso Vercelli.

 

 

 

 

 

"El gamba de legn" in uscita dal deposito di corso Vercelli.

 

 

 

 

 

"El gamba de legn" entra in deposito.

 

 

 

 

 

L'ultimo viaggio de "El gamba de legn", 1957.

 

 

 


La ca' de curs Verceli al 38.


Famiglia allargata: io, mamma Rosetta, papà James, sorella Lalla, nonna Gina e zia Dina. Per la mamma sono "Ninin", per il papà "Remulass".
Papà sarto, un locale destinato a sartoria, lavorano nonna e zia, talvolta qualche lavorante, un altro locale destinato a sala prova. C'è movimento: clienti che vanno e vengono per scegliere l'abito, per la prima e seconda prova. Il locale sartoria è la mia sala giochi: piantare chiodi nel tavolone, disegnare coi gessi, cancellare cogli "spungasc", giocare con ferri, stoffe, ago e spago. Un piccolo blocco di calamita con cui muovere gli spilli sopra il giornale.
Natale con l'albero vero, candeline vere, palle e puntale di vetro. Correre e giocare al pallone nel corridoio: la Moranzoni che sta al piano sotto, regolarmente telefona per il rumore. Con la bicicletta argento a girare sul solaio. Prendere il carbone per la stufa con papà in cantina. Addormentarsi con mamma che racconta Biancaneve o mi legge Topolino.
Cantare le canzoni del festival di Sanremo con Lalla e registrarle col Geloso. Giocare al bigliardino a tasti la sera con zia Dina. La domenica a pranzo pollo in gelatina con sottaceti. Affacciati o chiudi le finestre che sta arrivando El Gamba de Legn. Il tabaccaio di via Belfiore, sigarette Sport sfuse per mamma e il mercato rionale di piazza Wagner. Cagnoni, il paradiso. Il bulldozer a pile, il trenino e il Lego.
Il cortile pieno di gatti. Il primo album di figurine: Centenario d'Italia della BEA, Il Corrierone, la Domenica del Corriere, Selezione da l Reader's Digest. Imparato bene a leggere, salgo sul tavolone e leggo ad alta voce le notizie. Bene, oggi viene nonna Fiorina a trovarmi: mi piazzo in braccio e passo del tempo a farmi pettinare... o meglio a farmi accarezzare i capelli.
A colazione un bell'uovo ... dai mamma fai montare "il bianco" col Girmi, poi aggiungi "il rosso" e di nuovo via col Girmi. Oppure una bella "rusumada": solo "il rosso" sbattuto a cucchiaio con tanto zucchero. A pranzo... accendi la radio che c'è "Il gazzettino padano" con la sigla della "Bella Gigogin, e poi anche "Ciciarem un cicinin".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con Luisa(cugina).

 

 

 

 

 

Con Gino, marito di Luisa.

 

 

 

 

 

Con Lalla.

 

 

 

 

Pioeuv, pioeuv, pioeuv la gajna la faa l'oeuv,
fiocca, fiocca, fiocca la gajna la fa l'oca.
Pioeuv, pioeuv, pioeuv la gajna la faa l'oeuv,
el gallett el và debass tutt i sciuri vann a spass,
vann a spass a vot a vot, tutt i sciuri fan nagott.
 
Crapapelada l'ha faa i tortej,
ghe nà daa minga ai sò fradej,
i sò fradej hann faa la frittata,
ghe ne dan minga al Crapapelada
 

Barbapadana el gh'aveva un gilè
senza el dinnanz e cont via el dedrè,
cont i oggioeu lungh una spana:
l'era el gilet de Barbapadana.
 

Pin pin cavalin sòtta al pè del tavolin
pan poss, pan fresch
mi indovini che l'è proppri quest !
 

Bej cumè num, la mama ne fa pù,
s'è rott la machineta, 'l papà ne cumpra pù.

 
Gh'era una voelta un omm,
ch'al mangiava per e pomm
n'a mangià vun de pù,
gh'è sciupà la pel del cù.
 

Piva, piva, l'oli d'uliva,
l'oli gross che vung el goss.
Dig a to pader che'l cumpra la carna,
dighel a nisun che la mangiarem num.

 

 

 

 

 

Con mamma e l'auto Moretti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con papà.

 

 

 

 

 

Con papà alla Stella Alpina.

 

 

 

 

 

Con mamma alla Stella Alpina.

 

 

 

 

La televisione Admiral.


Papà acquista la televisione poco dopo che la RAI ha iniziato a trasmettere. E' una Admiral, e mi guardo Carosello, il TG, le partite di calcio, il ciclismo, i film: i miei primi film. Anche perchè al cinema non è consuetudine andare per i miei e tanto meno portarmi. Ma i primi due non me li dimentico: Ben Hur (1960) e Viaggio al centro della terra(1960). Ma quel che più interessa è la TV dei ragazzi: Il mago Zurlì, mago del giovedì, L'amico degli animali, Il circolo dei castori, Rin Tin Tin...

 

 

 

 

La Tv italiana nasce il 3 gennaio 1954, con qualche anno di ritardo rispetto agli altri Paesi europei. I primi esperimenti risalgono al 1933, senza diffusione pubblica. Prima della tv le uniche due fonti d'informazione di massa erano radio e cinema. Nel 1954 quasi il 40% dei lavoratori è nel settore agricolo, più del 32% è nell'industria e più del 28% è nel terziario. Il reddito pro-capite nel 1950 era tornato ai livelli del 1938. Parla correntemente l'italiano solo 1/5 della popolazione (quasi il 13% è analfabeta).
Inizialmente la tv viene vista solo in Piemonte, Lombardia, Liguria, Toscana, Umbria e Lazio. Ma già alla fine del 1954 la quota di popolazione servita supera il 48%. Nel 1961 raggiunge il 97% degli italiani. I costi per la gestione di questo servizio sono notevoli, ecco perché nessun privato, in un'Europa che ancora si deve riprendere dalla guerra, è in grado di sostenerli. Si diceva inoltre che le trasmissioni utilizzavano un bene pubblico (l'aria, l'etere), che non poteva essere ceduto ai privati.
Nei primi 10 anni di vita gli abbonamenti crescono costantemente: dai 24.000 del 1954 a oltre 6 milioni nel 1965. Nello stesso periodo il cinema subisce un notevole calo nel numero di biglietti venduti. In ogni casa e ritrovo pubblico si raccoglie tutto il vicinato per vedere la tv.
A differenza degli Usa, dove la tv nasce subito nel circuito commerciale, per cui non si paga canone, in Europa diventa invece strumento culturale delle istituzioni pubbliche. Non essendoci alternativa di scelta, il potere dell'utente era minimo. D'altra parte il fatto di poter scegliere tra tanti canali privati commerciali, come appunto negli Usa, solo apparentemente offre maggiori opportunità.
La tv come "servizio pubblico" viene pensata non solo come occasione di "intrattenimento", ma anche come strumento di "educazione e informazione". Infatti si pensa ch'essa possa aiutare a combattere l'ignoranza derivante dal diffuso analfabetismo. In tal senso essa contribuisce a creare una lingua nazionale molto più di quanto sia in grado di fare la scuola. Negli altri Paesi europei invece la tv può già contare su un livello medio di scolarizzazione.
La serata di punta della neonata tv è costituita dalla prosa del venerdì (il primo divo della tv è Giorgio Albertazzi che legge delle novelle). La tv viene concepita come un "teatro domestico". Inizialmente i programmi durano quasi 4 ore. La pubblicità non esiste. Nei giorni feriali le trasmissioni iniziano alle 17,30 con la "Tv dei ragazzi" (che dura 90 minuti); poi s'interrompono per riprendere col TG delle 20,45, e durare sino alle 23 (replica del TG). La domenica invece s'inizia alle ore 11.
Nel 1957 si ha una prima svolta: viene introdotta la pubblicità con "Carosello", con questa caratteristica: lo spettacolo prevale sullo spot. In un anno vengono trasmessi 1312 spot (circa 4 al giorno), per una durata di 49 ore (in media 9 minuti al giorno). Dopo "Carosello" bambini e ragazzi vanno a letto.
Nel 1958 per la prima volta si decide di organizzare un corso di avviamento professionale per studenti residenti in località prive di scuole. Nel 1960 nasce "Non è mai troppo tardi", per combattere l'analfabetismo.
Nel 1961 nasce il secondo canale. La giornata tv dura quasi 11 ore. Dal 1954 al 1961 la quota di programmi dedicati allo spettacolo cala dal 51% al 21,8%, mentre quella culturale sale dal 21% al 48,8% (stabile quella informativa: 30%).
Col termine "cultura" s'intende in tv la fiction di tipo teatrale: prosa, lirica, originali tv, racconti e romanzi sceneggiati (assai pochi i film, i telefilm, i cartoni, anche perché i produttori non vogliono concedere alla tv i diritti di trasmissione). Molti i classici letterari trasmessi in tv: Delitto e castigo, Orgoglio e pregiudizio, L'idiota, Umiliati e offesi, Piccolo mondo antico... La lirica va presto in crisi perché la tv non è in grado di riprodurre l'atmosfera del teatro. I film sono sempre introdotti da una breve presentazione; i titoli non sono mai recenti e non sempre di grande interesse. Nel 1959 si ridurranno a 86 titoli in tutto.
Ciò che rende la tv molto popolare è l'intrattenimento. Il primo programma che scatena entusiastici consensi è "Lascia o raddoppia?" (che imita un programma francese). Tra i programmi di maggior successo, "Un due e tre": i comici Tognazzi e Vianello vengono espulsi dalla Rai per aver preso in giro il Presidente della Repubblica.
Nel 1961 la trasmissione più seguita resta sempre il TG (70% degli utenti): per anni le notizie date dai telegiornali appariranno come più attendibili di quelle fornite dai quotidiani, in quanto il pubblico percepiva le immagini come "verità oggettiva". Sul piano politico la gestione della Rai è democristiana; la cultura di tendenza è quella umanistica; lo slogan principale è: "I partiti hanno i giornali, il governo ha la Rai". Fino al 1960 nessun leader di partito ha mai parlato in tv. Gli sport più seguiti sono il calcio e il ciclismo.
Nel 1961, a livello nazionale, il settore economico trainante è quello industriale (38%), poi vi è il terziario (32%), infine l'agricoltura (30%). I consumi privati tra il 1951 e il 1960 crescono del 65%. Il tasso di crescita di trasporti e telecomunicazioni cresce del 238%! Questo aumentato benessere fa aumentare gli abbonati alla RAI, la quale inoltre beneficia di maggiori introiti derivanti dalla pubblicità. Il monocolore democristiano, che ha dominato dal 1948, è entrato in crisi e si afferma il centro-sinistra. Di qui la nascita nel 1961 della seconda rete: si diversifica l'offerta televisiva.
Si notano subito tre novità: differenza degli anni '50, allorché si faceva coincidere produzione e messa in onda, si sviluppano i sistemi di registrazione, per cui il prodotto può essere riproposto, conservato e venduto; sul primo canale il punto di riferimento culturale privilegiato era stato il teatro; sul secondo invece diventa il cinema (la tv è disposta a pubblicizzare la cinematografia, cerca dei registi per la realizzazione degli spot di Carosello e per sceneggiati televisivi); sul secondo canale le trasmissioni iniziano e finiscano con mezz'ora di ritardo rispetto al primo e vengono offerte delle proposte alternative.
Nel 1962, per la prima volta, la tv italiana si può collegare in diretta, via satellite, con l'America. Nascono anche le coproduzioni con paesi stranieri. Le ore di trasmissione diventano 12 (gli spot 17 minuti al giorno).

 

 

 

 

La donna italiana, secondo la Settimana Incom(anni '50).

 

 

 

 


Per la musica italiana, la straniera si conosceva poco e si ascoltava di conseguenza salvo eccezioni soprattutto nel periodo fine '50-primi '60, ho deciso di escludere l'imperante melodico tradizionale, il "fenomeno" Modugno col suo "Nel blu dipinto di blu"(1958), gli "urlatori"(tra loro Celentano e Mina di cui mi intriga riportare due video d'epoca). Ricorderò invece Fred Buscaglione, sia perché innovativo e unico nel genere proposto, sia perché la sua parabola artistica iniziò e si concluse nell'ambito del decennio.

 

 

 

 


Adriano Celentano, 1962.

 

 

 

 

 

Mina, 1959.

 

 

 

 

L'anteprima romana de "La dolce vita" di Fellini si tiene al cinema Fiamma, la sera del 2 febbraio 1960 con tutto l'immaginabile carosello di bella gente al seguito. A 200 metri di distanza c'è la via Veneto raccontata dalla pellicola, lì un night che propone come pezzo forte, per quella notte, l'esibizione di Fred Buscaglione. Una grande notte di swing, bulli, pupe, cazzotti e pistolettate come impone il protocollo del "Duro di Chicago" nato sotto la Mole 38 anni prima.
Fred, tra i tavoli, nota una biondona da urlo, la danese Anna Rasmussen seguita da uno stuolo di paparazzi. Dal palco le fa il suo sguardo spavaldo quindi, terminata l'esibizione, le si avvicina e le propone una cenetta intima. La ragazza accetta ed ecco che i due, alle 4, si trovano in una taverna dalle parti della stazione Termini, dove si servono spaghetti fino all'alba. Poi di nuovo a bordo della Thunderbird rosa, fino alla pensione dove la Rasmussen soggiorna. Fred ci prova, come probabilmente ognuno avrebbe fatto al suo posto, ma va in bianco. A volte capita anche a chi ha "il whisky facile". Pazienza. I due si salutano, Buscaglione preme l'acceleratore verso il tragico destino che lo attende a poche centinaia di metri.
"Fred Buscaglione, popolare cantante di musica leggera è morto stamani a Roma, in un pauroso incidente stradale alle sei e venti, all'incrocio di via Rossini con via Paisiello". Così apriva il giornale radio, la mattina del 3 febbraio 1960. Poche ore prima, tra le lamiere della sua Thunderbird, si era conclusa la fulminea parabola del grande Fred.
La vita di Fred era stata breve ma ricca di originalità. Nelle sue canzoni c'era un'ironia goliardica, amabile, non cattiva, un pizzico di anticonformismo e di affettuoso cinismo. Buscaglione cantava un'Italia fiduciosa, bonaria, soddisfatta di sé, maschilista, conservatrice: l'Italia degli anni '50. Aveva avuto due grosse sfortune: faceva parte della generazione che aveva perso gli anni migliori per colpa della guerra e non era stato capace di vendersi. In compenso, aveva alcune grandi chance: era un musicista vero, aveva una voce arrochita inimitabile che coltivava con pacchetti di sigarette Caporal, interpretava un personaggio che piaceva.
Non aveva ancora 39 anni quando, in quella fredda alba invernale, il cantante torinese trovò la morte. Il successo, quello vero, lo aveva raggiunto da poco. Si era fatto conoscere, per la prima volta dal grande pubblico, solo nel '57, con l'apparizione in " Musica alla ribalta". Una trasmissione Rai nella quale artisti del calibro di Renato Carosone, Henry Salvador e Gilbert Becaud si alternavano a cantanti meno noti.
Dopo anni e anni di gavetta, finalmente, la celebrità. Lo stesso Buscaglione in un intervista del '59, su Stampa Sera raccontava: " Sono diventato famoso troppo tardi. [...] Da vent'anni suono nei night club e nelle sale da ballo". Il suo rapporto con la musica era iniziato prestissimo grazie alla madre che lo aveva prontamente affidato alle cure di un maestro di violino di Mortara. In seguito, ci fu l'iscrizione al Conservatorio. Ma il giovane Ferdinando (o Nando come preferiva essere chiamato) non amava quel posto. Per due semplici motivi: per prima cosa, avrebbe preferito il sax piuttosto che il violino e, poi, voleva suonare il jazz. O meglio, era incantato da quelle strane sonorità americane che non sapeva ancora bene che cosa fossero.
Avrebbe avuto tempo di imparare tutto su quel mondo e su quei suoni che avevano, allora, per i pochi iniziati italiani, un sapore esotico e misterioso. Una musica che veniva da lontano, da oltre l'oceano, dai vicoli delle città americane, popolati di duri alla Humphery Bogart o alla Clarke Gable. Gangster , whisky, pistole, cazzotti, sigarette, donne bellissime e fatali. Di tutto questo avrebbe riempito le sue leggendarie canzoni ma, prima, doveva ancora farne di strada... Le sgangherate jam session giovanili, i primi gruppi. Poi le avventure musicali dal fronte, le esibizioni trasmesse da radio Cagliari, il quintetto Aster che si sarebbe trasformato negli Asternovas.
Nel frattempo, si verificarono un paio di incontri fondamentali per la vita di Fred. Quello con Leo Chiosso, che Buscaglione conobbe non ancora 18enne e che sarebbe diventato suo inseparabile amico, nonché paroliere di tutti i suoi successi. E quello con Fatima Ben Embarek, acrobata circense di origine marocchina, destinata a diventare il suo grande amore. Con loro, Fred condivise anni passati nei locali di quart'ordine per cercare di sbarcare il lunario. Ma il successo, alla fine, arrivò. E tutto accadde in poco più di due anni. Tanto bastò a Buscaglione per restare per sempre impresso nella memoria del pubblico.
Nel suo repertorio di trovatore paradossale di un mondo cinico e romantico, popolato di gangster e bambole, c'era di tutto: dalle canzoni romantiche, come "Love in Portofino" e "Guarda che luna", a quelle irridenti, come "Che bambola!", "Teresa non sparare" ed "Eri piccola", a quelle autoironiche, come "Whisky facile".
Fred era un uomo pacifico, civile, innamorato della moglie Fatima, con la tendenza a ingrassare, incline alla malinconia nella vita. Ma fu prigioniero del suo personaggio: "bruciato", spensierato, dedito all'alcol e alle femmine di lusso, randagio. La gente lo vuole così. Il suo pubblico aumenta e lo condiziona. La celebrità gli era arrivata addosso improvvisa, lo credevano un pazzo illuso invece vende più dischi di tutti (un milione di pezzi di Che bambola! nel '56).
Le sue "criminal song" erano sulla bocca di tutti, i suoi "mammiferi biondi" erano le sorelline autarchiche delle dive hollywoodiane alla Marilyn, protagoniste dell'immaginario erotico degli italiani. Guadagnava mezzo milione a sera, ormai era lanciatissimo ma Fred era stanco, fumava troppo, beveva troppo, non dormiva e cantava, cantava, cantava.
Ad un'Italia abituata alle melodie sdolcinate che raccontavano sempre la stessa storia regalò uno spicchio di America. Non di quella reale che non aveva mai conosciuto ma di quella che si vedeva al cinema, un mondo fatto di bulli, "bionde platinée", abitato da Buck La peste, dal dritto di Chicago, da Porfirio Villarosa, Jack Bidone e Billy Car. Un universo noir raccontato con irresistibile ironia e piglio da cabarettista. Era qualcosa che non si era mai visto prima e che avrebbe proiettato un'ombra lunghissima nel mondo della musica italiana. (Liberamente tratto da articoli di Marco Barbonaglia, Stefano Biolchini, Francesco Prisco, Marco Innocenti)

 

 

 

 


Fred Buscaglione, Il dritto di Chicago, 1959.

 

 

 

 

Le vacanze.


Le prime vacanze che ricordo sono quelle trascorse a Cogoleto e a Costa Imagna. Da Cogoleto ho diverse foto, solo una da Costa Imagna. Cogoleto venne scelta dai miei, o meglio da mio padre, perché con alcuni amici della Stella Alpina era abitudine seguire in auto la Milano-Sanremo e tra i tanti paesi che ebbe a percorrere scelse proprio Cogoleto per prenotare, insieme ad amici, parenti e relative famiglie, vacanza. Costa Imagna, se non ricordo male, venne scelta perché un amico sempre della Stella Alpina trascorreva da tempo le vacanze con la famiglia, per cui per diversi anni successivamente i miei decisero di trascorrerle insieme a loro. All'epoca la strada da Capizzone a Costa Imagna non era neanche asfaltata e piena di curve: regolari erano le fermate della Moretti per vomitare alla grande.
Cogoleto: il mare, bagni Colombo, la signora Bruna, le piste sulla sabbia, le biglie di plastica con Gaul, Nencini, Baldini, ristorante da Gino, pensione Emma...
Costa Imagna: la casa dietro la piazzetta principale, il locale col juke-box la sera a sentire musica(Sei rimasta sola) e ballare(il liscio, i primi twist, rock & cha-cha-cha), le passeggiate a Valcava e al Pertus... in spagoletta a papà...

 

 

 

 

 

Cogoleto, 1961.

 

 

 

 

 

Cogoleto, 1959.

 

 

 

 

 

Con Norma.

 

 

 

 

 

Con Lalla e Norma.

 

 

 

 

 

Con Norma.

 

 

 

 

 

Con mamma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Costa Imagna, 1958.

 

 

 

 

 

Costa Imagna, 1956.

 

 

 


La cucina italiana degli anni '50.


La dieta degli italiani negli anni '50 subisce una serie di cambiamenti risolutivi. Se nell'Italia agricola e preindustriale era il pane l'alimento principale della maggioranza della popolazione, nel corso degli anni '50 il cibo identificativo dell'intero paese diventa invece la pasta: agnolotti, bucatini, maccheroni, penne, spaghetti, purché sia pasta, condita con salsa di pomodoro che per il pranzo della domenica diventa addirittura ragù. È del 1954 la scena gastronomica più famosa del cinema italiano: Alberto Sordi che non riesce a trattenersi di fronte a un piatto di spaghetti in "Un americano a Roma".
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Durante il decennio post-bellico sono tre i fattori principali che connotano l'alimentazione degli italiani: la stagionalità, la regionalità e non ultimo l'avvento dell'industria alimentare, con la produzione per mezzo di metodi meccanici del cibo. A ben vedere, un altro importante aspetto è rappresentato dall'introduzione degli elettrodomestici, che finiranno col mutare radicalmente le abitudini alimentari degli italiani. Tuttavia è ancora lontano il tempo del cibo surgelato, così solo in primavera si trovano al mercato i piselli, così come solo d'estate sono reperibili le melanzane, i peperoni e i pomodori. Inoltre, la mancanza di autostrade e di collegamenti agevoli non permette commistioni alimentari, dunque il panettone natalizio è una rarità per i meridionali; il pesto lo si può assaggiare solo in Liguria, e per mangiare una vera pizza bisogna andare a Napoli. Ragion per cui, l'alimentazione di quegli anni è totalmente basata su prodotti locali, stagionali e freschi.
Ma come detto poco sopra, il vero salto, insieme economico e culturale, viene favorito dall'avvento degli elettrodomestici, primo fra tutti il frigorifero, che diventa un vero e proprio feticcio per tutte le casalinghe dell'epoca; i primi, messi in commercio dalla Fiat, sono senza congelatore, di color bianco e dal design smussato e tondeggiante.
Nel 1958 la Citterio intriduce sul mercato gli affettati in vaschette sottovuoto, inizia così il lento ma inarrestabile declino di un rituale tutto italiano: il taglio dei prosciutti davanti al cliente da parte del salumiere; le norcinerie, dove sapienti figure artigianali si erano dedicati sino ad allora alla gloria del maiale, cominciano a chiudere, rimpiazzate dai supermercati.
Il primo supermercato apre a Milano nel novembre 1957. A realizzare l'ambizioso progetto sono tre giovani e intraprendenti fratelli della famiglia Caprotti (Bernardo, Guido e Claudio), formatasi in Brianza nel tessile alla fine dell'Ottocento, più Marco Busnelli, la famiglia Crespi e il socio americano Nelson Rockefeller.
L'insegna del grande negozio "Supermarket" è disegnata da Max Huber, grafico e artista svizzero, che nella Milano del dopoguerra ha già lasciato tracce importanti. Nel '57 inventa il logo per il nuovo supermercato. La "Esse", che corre sopra le altre lettere, è in grande evidenza, quasi invadente, altissima, a sovrastare il resto della parola. La "Esse" iniziale battezzerà il nome della società, che sarà chiamata "Esselunga".
Si comincia anche a consumare, sia pur in modeste quantità, la carne in ossequio al regime alimentare iperproteico importato dagli Stati Uniti. (tratto da un articolo di Annarita Curcio e un articolo di Marco Innocenti)

 

 

 

 

 

Il primo supermarket aperto in Italia, Milano 1957.

 

 

 

 

La pubblicità.
50 cartacee e 4 Caroselli...

 

 

 

 

 

 

Carosello China Martini, 1959.

 

 

 

 

 

Carosello brillantina Linetti, 1957.

 

 

 

 

 

Carosello Falqui, 1959.

 

 

 

 

 

Carosello Alemagna, 1958.

 

 

 

 

La Stella Alpina.


Circolo ENAL, bocciofila, giardino, sala da ballo, via Bligny angolo via Bocconi. Papà presidente. Si gioca a carte, scopa, briscola, cirula, trisett ciapa no, scala 40, e biliardo, stecca e boccette, giorno e sera, a bocce "alla milanese" giorno e sera ma solo nella bella stagione, si balla il liscio al chiuso e all'aperto(nella bella stagione) il giovedì sera, il sabato sera, la domenica e i festivi pomeriggio e sera. Musica dal vivo con fisarmonica e piano. Primi amici e giochi in compagnia. Ballano tutti, anche i bambini... io no. Bersò di uva americana da cogliere a settembre. Vigilia di Natale: messa di mezzanotte e poi ritorno in Stella Alpina, gran tavolata a mangiare il panettone. Le veglie ballanti di capodanno e di carnevale: il brivido inenarrabile di "stare su" sino a notte inoltrata a giocare. Gita sociale in pullman, una volta all'anno. Ma che meraviglia poter giocare in quel grande giardino, cosa impossibile in corso Vercelli, non solo di giorno, anche la sera al buio, nascondersi nel "gabiott"... . Patatine Pai e spuma bianca, rossa, nera, qualche volta gazosa, Coca Cola o Lemonsoda. Ahi, mi sono rotto il braccio giocando a pallone. E poi Rosangela, Patrizia, Angelo, Giampiero, Tiziana, Ornella, Manuela, Cecilia, Valerio... Rosangela: il vero primo amore.

 

 

 

 

 

Stella Alpina. Foto soci della bocciofila.

 

 

 

 

 

Gita sociale. Con Patrizia, Renzo, Valerio, Rosanna e Lalla.

 

 

 

 

 

Gita sociale. Con Manuela, Cecilia, Ornella e altre di cui non ricordo il nome.

Fin da piccolo sempre circondato da gentili donzelle...

 

 

 

 

 

Gita sociale. Con Tiziana, Rosangela, Patrizia.

 

 

 

 

 

Gita sociale. Con Manuela, Cecilia, Ornella.

 

 

 

 

 

Gita sociale. Con Tiziana, Patrizia, Rosangela, Lalla e papà.

 

 

 

 

Le "cicche" a palline.


Ma bando alle ciance: finita la guerra finito il chewing-gum? No, ovviamente, perché l'ondata masticatoria non accennava a diminuire (soprattutto fra i ragazzi) e uscirono italianissimi prodotti, chiamati ben presto "cingomma", o "cicca", o in altre cento regionali varianti. Per esempio, ci fu un malluccone rosa, all'inizio di caramelloso gusto e di incerta masticazione, che presto esauriva gli effluvi saporosi. L'astuto ragazzo allora lo tuffava nello zucchero e rimasticava, perché si guardava bene dal gettare via il bolo, ma, al primo (anche al secondo) accenno di male alle ganasce, lo riponeva saggiamente in tasca per ritirarlo fuori a una nuova bisogna e indi ricacciarlo in bocca dopo averlo sommariamente ripulito da briciole e peluzzi vari.
Ma il vero divertimento non era tanto masticare quanto infilarsi pollice e indice in bocca ed estrarne un lungo filo rosato, badando bene che non si spezzasse, rimettere il tutto in bocca e ripetere l'operazione ad libitum, in special modo alla presenza di adulti che gridavano naturalmente allo schifo. Dopodiché veniva ficcato di nuovo in tasca e li, a volte dimenticato, si trasformava presto in reperto archeologico.
Uscirono però quasi subito forme più umane di gomme, alcune delle quali contenenti la figurina di un famoso ciclista o di un noto calciatore, il che aumentava la preziosità dell'acquisto. Ma il vero colpo fu l'invenzione della bubble-gum, la gomma che faceva i palloni. Tu masticavi rimasticavi e poi saggiata fra lingua e denti la giusta consistenza, soffiavi tenue fino a ottenere la fuoriuscita, fra le labbra, di un palloncino che i più abili riuscivano a foggiare di notevoli dimensioni. Scoppiava anche con un caratteristico e sonoro "ciac", che, ripetuto più volte, era utilissimo a far girare le scatole a un vicino adulto(e a far partire pure uno schiaffo). Unico svantaggio, il palloncino poteva esplodere sulla faccia rendendo oltremodo difficile il nettarla dai filamenti gommosi. Ma da bambini non sono cose che preoccupano. Questi giochi sono misteriosamente scomparsi da adolescenti. (Liberamente tratto da un racconto di Francesco Guccini)

 

 

 

 

 

 

 

 

La scuola Giovanni Pascoli.


Non ricordo molto della scuola. C'è l'approccio traumatico per cui in prima, nei primi giorni, piango come un vitello quando devo lasciare mia madre. E poi c'è la Lapini Clementina che mena le mani. Il banco in legno col calamaio a incasso, il grembiule nero con fiocco blu. L'abbecedario, i quaderni a righe e a quadrotta. Greche e aste, pensierini e conticini. Tutti in piedi che entra il preside Lumachi.

 

 

 

 

 

La I B

 

 

 

 

 

La II B

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I pennini.


Chi ha avuto la ventura di adoperarli a scuola li ha in mente con una certa nostalgia ricordando a volte le titaniche lotte, spesso perse, che col pennino venivano condotte. Ma facciamo, come nei romanzi d'appendice, un passo indietro. Nelle scuole di allora c'erano i banchi. Di legno, monumentali, pesantissimi. A due posti (tu e il tuo compagno di banco, il famoso compagno di banco), avevano il ripiano a scrittoio ribaltabile in legno laccato tinta noce stinto dall'uso. Era anche scomodissimo sedere su quei sedili di legno, antisalutare, e partivano scoliosi da coltivarsi poi per tutta una vita, lì immobili o quasi per quattro ore di fila, se non la breve pausa, alzando una timida mano, per andare in bagno, quando ci lasciavano andare.
Il probabile progetto didattico degli adulti però cozzava con l'istintivo anarchismo dei bambini (di noi, allora, bambini), e il ripiano a scrittoio era non levigato e polito come ogni Alta Autorità Scolastica (mai stati, evidentemente, bambini, loro) avrebbe desiderato e sognato, ma era un intreccio di segni, scavi, calanchi e Grandi Canyon, scritte anche oscene (oscene come può immaginarsele un bambino, naturale), ottenuto in anni e anni di incessante e metodico lavoro di intere generazioni, di ere geologiche diverse, realizzato in maniera artigianale ma efficace con le punte più disparate, da un banale chiodo al più sofisticato coltellino. A volte anche con la punta di un semplice pennino (ma del g pennino parlerò fra poco). Per i lavori d'incisione si andava da un banale sfregio a più complesse losanghe, ghirigori, costruzioni di quadrati e rettangoli, fino a scritte vere e proprie come un sobrio "culo" o il più ricercato "Gianni puzza".
Il piano inclinato finiva con un'asse nera in pari che aveva al centro e all'estrema destra (i mancini non dovevano esistere in natura) un buco. Era il sito per il calamaio. Questo, di vetro spesso, coi bordi ingrossati nella parte superiore per appoggiarsi al foro e la parte inferiore tondeggiante a paiolo, veniva riempito di inchiostro (nero, ovvio) da un solerte bidello che periodicamente, con un enorme boccione, provvedeva al rabbocco.
Non so che inchiostro fosse, forse era del più fino e puro ottenuto dai Laboratori e distillerie di Stato, che distillavano in partenza essenze pregiate e a volte financo odorose per la gioia di noi piccoli tesi nello sforzo di imparare (a leggere, scrivere e far di conto), solo che, o il bidello in parte lo vendeva e riempiva il boccione con un inchiostro di terza categoria, o dentro al calamaio avveniva un misterioso processo chimico per cui spesso l'inchiostro si trasformava in una massa maleolente e putrida, colma di strane e malvagie creature che, catturate dal pennino intinto, lo abbandonavano appena raggiunta la superficie e si trasferivano immediatamente sulla candida pagina del quaderno e tutta l'insozzavano. O magari si trattava soltanto di pezzetti di carta che, inseriti nel calamaio così da intingersi di inchiostro per poi essere allegramente lanciati contro un altro compagno, erano sfuggiti dalle mani bambine e lì dentro avevano trovato la morte e la putrefazione. E non bastavano i pennini più sofisticati per evitare tale scempio (da cui erano misteriosamente esenti gli alunni più bravi).
I pennini, pensati forse per i compiti più ardui e ornati di bella calligrafia, avevano forme le più strane e nomi i più immaginifici. Cera il "gobbino", piccolo e maneggevole, nervoso, atto a bella scrittura se saputo manovrare con decisione; c'era la "torre", un qualcosa che poteva vagamente ricordare la Tour Eiffel, forse pronto per imprese barocche; c'era la "manina", foggiato a mano chiusa con l'indice sfrontatamente puntato, in tempi in cui non solo non si usava, ma anche dai più si ignorava il significato di levare il medio. E quanti altri ve n'erano, ma è inutile qui continuare con nomi e fogge, tipi e modelli, perché ciascuno avrà avuto i suoi, di nomi, differenti da scuola a scuola, da città a città. Forse, in qualche oscura fabbrica (probabilmente tedesca), un trust di ingegneri aveva dato un nome ufficiale a un pennino appena progettato,anzi, più che un nome una sigla o un criptico acrostico, che so, "K740", o "SBUFF", ma poi il pennino era andato libero per il mondo assumendo la veste e il nome che la cosmogonia popolare e bambina gli i avevano affibbiato. (Liberamente tratto da un racconto di Francesco Guccini)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Sorpasso.


Il Sorpasso (1962), viaggio cinematografico, a tratti antropologico, di Dino Risi attraverso l'Italia del boom economico e del miraggio del benessere, l'Italia delle vacanze e delle soste agli autogrill, delle canzonette, dei clacson e delle auto come status symbol, dei risparmi per la macchina e per le ferie, l'Italia dei Bruno Cortona e dei Roberto Mariani. "Il Sorpasso" è uno dei film più affascinanti all'interno del panorama cinematografico italiano degli anni sessanta, ma non solo italiano, se pensiamo che, per stessa ammissione di Dennis Hopper, ispirò "Easy Rider" (il titolo americano del film di Risi è "The easy life"); e non solamente per quanto riguarda gli anni Sessanta se consideriamo le implicazioni profonde dei personaggi costruiti a trecentosessanta gradi, così come la pregevole struttura narrativa a episodi emblematici, di pezzi messi l'uno accanto all'altro, additiva. Si fa presto a raccontare la storia: Bruno Cortona (un magnifico Vittorio Gassman), quarantenne inaffidabile e mefistofelico, incontra Roberto Mariani (un perfetto Jean-Louis Trintignant), timido e introverso studente di giurisprudenza, in un giorno di ferragosto a Roma e lo trascina con sé in un viaggio (interiore) attraverso il quale Roberto risulterà profondamente mutato, fino alle estreme conseguenze.
La storia dura esattamente un giorno circa, un giorno e mezzo. Tanto basta a Roberto per compiere quel percorso interiore che lo porterà sempre più a somigliare a Bruno, a staccarsi lentamente di dosso le convenzioni e il perbenismo della società borghese da cui proviene, e con essi tutti i (magari pochi, magari discutibili) valori che la contraddistinguono. Come ogni viaggio nel cinema, il percorso non è solo uno spostamento nel tempo e nello spazio, ma anche all'interno dei personaggi stessi. E qui, il personaggio che "viaggia" dentro la propria interiorità, è, come detto, Roberto-Trintignant, che non a caso Risi, Ettore Scola e Ruggero Maccarsi scelgono come "io narrante". L'intreccio è costituito magistralmente da una serie di episodi legati gli uni agli altri, quasi dei piccoli "quadri" attraverso cui i personaggi sono lentamente delineati. Il film si apre sulla città di Roma deserta a Ferragosto, con solo una Lancia Aurelia Sport che si muove veloce lungo le strade.
A bordo un uomo alto e affascinante, impegnato a soddisfare uno dei suoi bisogni primari: fumare. Gli altri sono guidare, andare a donne e mangiare. Bruno Cortona fondamentalmente è tutto qui: intrigante e inaffidabile. Si ferma a bere ad una fontana e scorge un'ombra alla finestra di un palazzo. Si tratta letteralmente di un'ombra, perché al momento di girare questa prima scena dell'incontro tra i due, Risi non aveva ancora scelto l'attore per interpretare Roberto, quindi quello che vediamo nel campo lungo è una controfigura di Trintignant, che girerà in seguito i controcampi del dialogo. Con la scusa di fare una telefonata, Bruno sale in casa di Roberto, e in poco tempo lo convince ad andare a pranzo con lui.
I due non si conoscono, ma intuiamo subito le loro differenze: Roberto, riservato, ben educato e impaurito ("Sono nelle mani di un pazzo") dalla guida "sportiva" di Bruno, e quest'ultimo chiacchierone, fanfarone, filosofo da supermercato, dispensatore di vacue pillole di saggezza, fulminato da passioni improvvise come la poesia (il disco di Lorca che recita ad alta voce in varie occasioni), la musica (la "profondità" de "L'uomo in frac" di Modugno e "quella roba che va di moda oggi: l'alienazione", occasione per una frecciata spietata al cinema di Antonioni di quegli anni, e tutta un hit-parade che comprende gli immancabili Edoardo Vianello e Peppino Di Capri), e poi in seguito la campagna, il mare ("Eh, sì, io prima o poi mi imbarco"), uomo dai mille propositi che con la sua inaffidabilità non metterà mai in pratica, con un passato a pezzi e un futuro incerto.
E le donne, ovviamente. I due abbandonano il proposito del pranzo per inseguire due turiste tedesche (preda d'eccellenza del vacanziere nostrano) che ritroveranno poi in un cimitero, primo simbolo di quello che sarà il finale. Il secondo avviso sarà poco dopo, l'incidente di un camion di frigoriferi dove ci scappa il telo bianco sopra un cadavere. Bruno prova a monetizzare l'occasione chiedendo all'autista del camion il numero del proprietario in modo da poter rivendere i frigoriferi incidentati, ma l'uomo è troppo disperato per rispondere. Questo è quello di cui vive Bruno Cortona, affari improvvisati, traffici provvisori. Il viaggio continua, con Bruno che lentamente mette in discussione tutte le certezze di Roberto, i suoi studi di giurisprudenza, le sue insicurezze nell'approccio con la ragazza di cui è innamorato, il suo stesso modo di vestire ("Pure la canotta, ma sei proprio un selvaggio"). Certezze e convinzioni anche dell'infanzia, spezzate una alla volta nella scena della visita in campagna ai parenti di Roberto, una delle scene più agrodolci e malinconiche del film, un'escursione nel passato.
Qui Bruno si presenta in casa dei familiari di Roberto proprio come se il parente fosse lui e Roberto l'estraneo (per dirlo con le parole di Trintignant), e spiega a Roberto una serie di macroscopici dettagli che lui non aveva mai notato, dall'omosessualità del domestico alla vera paternità dell'ultra conservatore (ultra antipatico) cugino Alfredo, che tra l'altro si attesta come uno degli obiettivi (forse il destino sociale) della vita di Roberto, con la Fiat millecinque e la moglie che gli dà sempre ragione. A Bruno non solo è concesso di toccare la pendola che era un tabù dell'infanzia di Roberto, ma persino i capelli della zia di Roberto di cui lui era innamorato da bambino. Così come arriva in questa casa di campagna a spezzare la monotonia, in un momento Bruno se ne va, facendo ricadere la casa nel silenzio (con la splendida immagine della zia di Roberto che li osserva andarsene alla finestra e si risistema i capelli per ritornare alla noia della vita di campagna). Vita di campagna che Bruno vivrebbe per sempre, salvo poi ricredersi dopo mezz'ora.
La "conversione" di Roberto in Bruno avviene per piccoli passi, fondamentalmente tre. Il primo è quando approccia una ragazza torinese alla stazione dei treni utilizzando una storia riciclata da Bruno. Bruno e Roberto giungono ad un night-club dove Bruno trova un certo "socio", un commendatore milanese a cui aveva raccontato di essere altrove (una delle sue solite balle praticamente), e in un attimo, per questioni di affari, è costretto a mollare Roberto, che quindi, ritenuta l'avventura conclusa e scoperta la vera natura di Bruno (come se ci fosse stato bisogno di un ulteriore chiarimento), si reca alla stazione per rincasare da solo. Qui incontra la ragazza torinese, ma non ha fortuna, e in più non ci sono treni per Roma fino al mattino, e quindi raggiunge nuovamente Bruno al night-club.
Qui la macchina da presa indugia sulle danze (le danze che scattano in un attimo all'autogrill, e che saranno poi preludio del finale), sull'atmosfera notturna, su Bruno che balla con la moglie del "commenda" (ventre contro ventre, con la lapidaria battuta di Gassman, "Modestamente"), ed è sempre Bruno motore dell'azione, che scatena una rissa nel momento in cui viene raggiunto da altri due automobilisti che per colpa sua hanno subito un incidente. Il commendatore con la propria compagnia se ne va indignato, e Bruno e Roberto sono di nuovo soli.
Secondo passo, Roberto comincia a bere e si ubriaca. Il che ci porta alla terza e ultima fase, quella in cui Roberto guida la Lancia Aurelia, a strattoni e brusche frenate, fino a una villetta della riviera toscana, appartenente a "gente" che Bruno conosce, e che si rivela essere niente meno che la sua famiglia. L'ex moglie e la giovane figlia. "Da quanto tempo vi conoscete, Lei e Bruno?" chiede la moglie di Bruno a Roberto. "Da questa mattina" risponde Roberto. "Allora lo conosce bene. La prima impressione che si ha di lui è quella che conta". Poco dopo la figlia di Bruno, la pupa -come continua a chiamarla lui, inconsapevole del fatto che la ragazza è una giovane indipendente (simbolo della prima libertà sessuale degli anni)- rientra a casa in compagnia di un milanese di mezza età. Inevitabilmente scatta lo scontro/confronto tra Bruno e il fidanzato attempato e ricco della figlia, che si condensa nella dicotomia stereotipata Roma/Milano. In questo momento, tornato a casa dopo anni, Bruno tenta di fare per pochi minuti il padre modello. La commedia dura poco, dato che prova un approccio improbabile con l'ex moglie, viene cacciato e ripara nella spiaggia con Roberto per passare la notte su delle sdraio.
Il giorno dopo, Bruno e Roberto lo passano in spiaggia, in una sorta di tableau vivant della vita di mare dell'epoca (in qualche modo eredità del neorealismo rosa), dove come al solito Bruno si rende protagonista di acrobazie (scambia la figlia con la parrucca per un'altra ragazza e tenta di abbordarla) sulla spiaggia, sugli sci nautici, in una sfida a ping-pong col futuro genero, e in un'ammissione di inadeguatezza a fare il padre che però Lily (Catherine Spaak) minimizza confidandogli di amarlo così com'è, e durante la quale Roberto prende una decisione che ha un sapore di cambiamento deciso, fatale. Dopo una sequenza di ballo (Don't play that song) dove la macchina da presa nuovamente indugia su volti e parti del corpo, Roberto decide di chiamare Valeria, la ragazza di cui è innamorato. Ma non riesce a parlarle, quindi chiede a Bruno di andare a raggiungerla di persona.
I due ripartono in macchina, eseguono una serie di rischiosi sorpassi incitati da Roberto in un impeto di euforia, fino alla curva finale, con il salto della Lancia Aurelia dal burrone, da cui soltanto Bruno si salva lasciando Roberto al proprio destino, segnato in qualche modo dall'ubris greca, l'arroganza di andare oltre le proprie capacità: nel momento in cui Roberto decide di "buttarsi" nella vita, nell'amore, di vivere diversamente la propria vita, inconsciamente, alla Bruno Cortona, muore.
Il film potrebbe essere considerato come un buddy movie, costruito da una coppia, ma che certamente supera il concetto precedente di coppia comica all'italiana con l'attore principale e la spalla. Qui siamo lontani dalla farsa comica degli anni cinquanta, dai Totò e Peppino, dal concetto di commedia leggera, dalle maschere comiche e dalle caricature, ma in un ambito di cinema tout-court, con personaggi veri, reali, formati, modellati, che respirano oltre la loro ombra sullo schermo. Non è una forzatura riconoscere caratteri psicologici associabili alla distinzione di Nietzsche di apollineo e dionisiaco, l'uno legato alla ragione (Roberto/Trintignant), l'altro legato al puro istinto (Bruno/Gassman).
Non è difficile, più banalmente, riconoscersi o nell'uno o nell'altro, o intravedere un po' di se stessi in entrambi, con quello stesso meccanismo di commedia didattica, momento di riflessione, che era proprio dell'antica Grecia. L'iniziazione, dunque, di un giovane per mano di un adulto smaliziato, un tema che nel cinema di Risi tornerà, ad esempio, in "Profumo di donna". Una scena emblematica di questa, al di là di tutto l'intero percorso del film, si svolge nel bagno dell'autogrill, dove Bruno insegna letteralmente il banale utilizzo della toilette a Roberto. Prima di tutto Roberto non è in grado di aprire la porta, e Bruno gli dimostra di dover spingere e non tirare. Poi Bruno utilizza il bagno delle signore fingendo una voce da donna nel momento in cui una signora bussa per entrare - cosa che Roberto non sognerebbe mai di fare. Roberto in seguito rimane incastrato nel bagno, si spezza la maniglia. E nel momento in cui arriva un'Eccellenza per usare i servizi, è lo stesso Bruno che va a recuperare l'amico e lo fa uscire. La scena è apparentemente inutile, un banale intermezzo comico, se non nascondesse "l'educazione" insegnata da Bruno a Roberto.
In questo film ritroviamo alcuni dei topoi tipici della commedia all'italiana. Prima di tutto la critica sociale, la satira di costume oltre le situazioni comiche, di un umorismo però sempre amaro, nostalgico e malinconico, mai di pancia, mai liberatorio, mai fine a se stesso. Le musiche, poi, i suoni e i rumori in questo film sono fondamentali. Per non parlare del continuo chiacchiericcio vuoto di Bruno, le sue perle di saggezza (alcune effettivamente degne di nota, "L'età più bella è quella che uno c'ha, giorno per giorno, finché muore"), e i rimproveri a Roberto, ci sono il clacson della Lancia Aurelia, vero e proprio simbolo e leitmotiv del film, e le musiche d'epoca che costituiscono una vera e propria hit-parade, colonna sonora di quegli anni, che rende ancora maggiore l'effetto di verosimiglianza e ci porta ulteriormente dentro l'atmosfera dei jukebox coi quarantacinque giri che facevano immediatamente partire le danze in qualunque posto (l'autogrill, la spiaggia, la sagra di campagna).
Le figure tipiche dell'Italia dell'epoca: oltre ai protagonisti (l'affascinante viveur cialtrone -o come definirlo?-, e il timido studente), la storia è costellata di eccellenze, preti, commendatori, contadini, vacanzieri, ragazze disinibite e giovani che si accompagnano a ricchi distinti "signori".
E ovviamente le auto, pagate a rate, per cui ogni veicolo rappresenta esattamente la persona che lo guida; qui la Lancia Aurelia Sport di Bruno porta su di sé tutte le cicatrici delle modifiche, e si tratta di un'auto simbolo, che nasce come modello elegante e all'avanguardia, per poi diventare l'auto degli adulti che vogliono fare i ragazzini, aggressiva, facile da manipolare, da tombeur de femme, da Bruno Cortona, insomma. Le code lungo le strade delle vacanze, dei sorpassi e delle curve pericolose, delle carreggiate a tre corsie (la tristemente nota e famigerata "corsia della morte"), del benessere e del meritato riposo estivo frutto dei risparmi dell'anno.
La famiglia, che nella commedia italiana non è certamente il perfetto nucleo che la Chiesa si aspetterebbe, ma qualcosa di moderno, di diverso, di indefinibile: questa di Bruno è disgregata, con lui lontano e assente, che torna a casa dopo anni e una notte, per una mezz'ora si mette a fare il padre. Scene di stampo leggermente neorealista, quasi documentaristiche, se non pasoliniane comunque verosimili, come quella alla stazione delle corriere dove una ragazza viene derubata della valigia e Roberto si propone di aiutarla dimostrando tutta la sua disponibilità, mentre Bruno col suo cinismo lo persuade a lasciar perdere per evitare di passare il ferragosto in un posto di polizia a testimoniare un furto, e lo trascina letteralmente via.
La risata, sicuramente amara, malinconica, spesso dolorosa nel processo di riconoscimento/catarsi che coinvolge lo spettatore dell'epoca (e anche quello moderno) nel vedersi nello specchio deforme del film. I dialetti, il romanesco di Bruno, il toscano, il bolognese, il veneto, il milanese, il siciliano e il torinese. Le regole, del codice stradale, delle convenzioni sociali, da seguire (Roberto) o infrangere regolarmente (Bruno). Le feste, che siano in campagna (vero e proprio spaccato d'epoca), al mare, o nei night club. E la spiaggia, con la sua atmosfera vuota, superficiale, fatta di chiacchiere sotto l'ombrellone, avventure, costumi da bagno -i primi sintomi della libertà sessuale che si manifesterà apertamente qualche anno dopo-, e ancora di musica, uscite in barca, partite a ping-pong, fotografie, gessi da firmare.
E ovviamente un finale amaro, che più amaro non potrebbe essere, impietoso, estremo per una commedia, con la morte di uno dei protagonisti, per quante volte ormai io l'abbia visto, rimango sempre congelato. Per di più considerando che a morire è l'"io narrante" del film in un processo simile a quello di "Sunset Boulevard" di Wilder e in seguito di "Casinò" di Scorsese. I personaggi di Risi erano inizialmente dei poveri ma belli, ma sono col tempo diventati dei mostri, brutti, grotteschi ("I mostri"), persone fragili che vogliono fare i forti ("Il sorpasso"), deboli che vogliono riscattarsi ("Una vita difficile"), con grandi progetti futuri e grandi drammi passati.
Lo sguardo di Risi è clinico (non per niente studiò medicina), radiografico, caustico, tra Cechov e Billy Wilder, disincantato e distaccato, pedagogico ma senza tirate moralistiche, asettico nel cogliere a caldo i mutamenti della società dell'epoca. Società condensata in qualche modo nel finale del film: muoiono i Roberto Mariani, muore l'Italia con principi e valori del passato, sopravvivono i Bruno Cortona, sopravvivono gli arrivisti, cialtroni, infingardi, arrampicatori sociali del boom economico, e restano a guardare incuriositi tutti gli altri, impassibili testimoni di un'epoca che si trasforma, senza fare niente.
Muore l'Italia che sognava il cambiamento, non raggiunge il miraggio della svolta, delle vacanze tutto l'anno, di qui a poco nuovi cambiamenti socio-politici interverranno e gli anni di piombo, della paura, e dell'inasprimento delle lotte politiche non sono lontani. La fine è quella di un sogno che si infrange ad una curva presa troppo velocemente, perché troppo è quello che si voleva, su un'auto che non è mai stata "governata" come si dovrebbe. (Davide De Lucca) 

 

 

 

 

 

 

 

 

Amica, ricordi "Bonanza"?
Ovvero un anno intorno al '60 tra un film di "Bonanza" e Villa che canta.


I.
Maria di Loreto in cornice, l'effige del papa, la Loren
il poster del Milan (le buone cose di pessimo gusto),
la televisione in salotto, "Conoscere" nello scaffale,
la nuova transistor cordiale annuncia che sono le quattro,
"La Stock di Trieste ricorda e se avete perso consola ..."
sul tavolo la Coca Cola, per terra le scarpe di corda
e sul mangiadischi olandese il nuovo successo di Mina,
("la sua Tintarella di luna però la fa meglio Noschese"),
le chiavi della millecento, le fotografie
e il monito "Babbo non correre!" segnato in timido argento,
il gran lampadario vetusto, o forse la sua imitazione,
che immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,
Tajoli sul video che canta, la fòrmica con sopra il fiasco
di vino Ferrari... rinasco negli anni intorno al Sessanta!

II.
I fratellini in cucina quest'oggi non vogliono stare
perché c'è odor di mangiare: è accesa la tele già in sala.
Ché oggi è più festa che mai. È giunta la grande vacanza:
iniziano i films di Bonanza, la serie con i Cartwright.
È poco che c'è la tivù ma per i bimbi è lo stesso:
da oggi hanno avuto il permesso di stare alzati di più.
Calindri facendo un filotto con fare serio assicura:
"Non può durare, non dura" e beve una china di botto;
ed ecco l'omino coi baffi, la bocca si muove a vocali,
gli slogans un poco banali che sembrano degli epitaffi.
Eppure Ercolino sta in piedi, Modugno con Api già vola
e Carosello consola gli strati di pubblico medi.
"Silenzio bambini, Tognazzi!" -bambini state un po' buoni-
la buona stella Negroni precede uno show di Luttazzi.
Canzoni di buona creanza s'alternano al grosso Bramieri,
saltella sul video Sentieri... "Ma quando arriva Bonanza?".
E l'urlatore riversa imprevedibili acuti
-chissà se Livio Berruti ha vinto i 200 ad Anversa?-
La Mina canta. Canfora suona. Dolce e sbiadito
Aurelio Fierro intona Il mare all'infinito.
Gorgheggi al vento dispersi, gementi tra cuore e cervello
e poi Alberto Lionello con pochi bruttissimi versi:
... splende il
brilla il mar
tutto intorno
più bello appar
se canti
questo allegro ritornello
sempre quello
che fa così:
la la la la
la la la la...
O musica! Lieve armonia! E già nell'animo ascoso
ognuno sorride bramoso sognando la lotteria.
Sorteggi della speranza! Canzoni abbinate al biglietto!
"Bambini andate un po' a letto!" "Ma oggi non c'era Bonanza".


III.
Giungeva lo Zio, signore virtuoso, già caro al Littorio,
ligio al passato al Vittorio Veneto, al monocolore;
giungeva la Zia, con la stola, il tailleur di donna dabbene,
ligia al passato sebbene lettrice di Carlo Cassola.
"Baciate da bravi gli zii!" dicevano il Babbo e la Mamma,
e alzavano il volto di fiamma dei piccolini restii.
"E questa è l'amica di Jenny: si tratta di Annamaria
Capanna: è amica per via del doppio al torneo di tennis".
"Ma bene... ma bene... ma bene..." diceva gesuitico e tardo
lo Zio di molto riguardo "... ma bene... ma bene... ma bene...
Capanna? Conobbi un Capanna mi pare... se non mi tradisce il cervello sicuro,
a Città di Castello studiava, si dava da fare..."
"Gradite un whisky scozzese?" "Ma certo sorella, magari..."
E con un fare cortese sedevano in bei conversari.
"... eh, qui si va troppo a sinistra..." "Mi sembra che questo Fanfani..."
"Hai visto a Verona l'Ernani..." "Moravia non è socialista?"
"Ma Gronchi e Tambroni che fanno? Non son della stessa corrente?"
"Ho visto un sacco di gente all'ultimo derby quest'anno".
"Togliatti? Ma che distensione!" "... Roncalli dai carcerati ..."
"Che scandalo quei due Casati" "... a Reggio la rivoluzione!"
"E questo Lumumba nel Congo che fa il comunista ad oltranza,
non credo abbia molta speranza: l'ammazzeranno, suppongo".
"Sentito? John Kennedy eletto... sarà certo un gran presidente..."
"M'han detto ch'è pure credente, non ha proprio neanche un difetto!"
"È certo uno spirito insonne, e forte e vigile e scaltro..."
"È bello?" "Non brutto; tutt'altro". " Gli piacciono molto le donne... "
"Voi due non andate giù al tennis? ... Sapete, c'è gente per bene!
c'è il figlio del dottor Piovène che pare sia pazzo per Jenny..."
Allora le amiche sornione lasciavano con un banale
saluto studiato e cordiale lo Zio e la Zia col visone.


IV.
La palla per una volée di troppa precipitazione
giù supera la recinzione; "Le cinque: è l'ora del tè".
I jeans di Annamaria son rigidi ancor di bucato
emblemi di un mito importato che sa di cow boy e di Cia.
Si siedono sui tavolini del bar del "Tennis Milano"
scartando i pensieri pian piano racchiusi nei cioccolatini.
"Ah! se tu sapessi che occhioni!" "Quant'anni?" "Ventotto"
"Poeta?" "Macché, fosse matto! Invece compone canzoni".
Nel juke-box han messo su un lento. I Platters s'abbrunano in coro
e con questo dolce sonoro la luna si veste d'argento.
Romantica. Rascel già canta, la musica bacia le chiome
dei pioppi, dolcissima come gli amori degli anni Sessanta.
"Hai letto la vita di Presley sul numero tre di "Anna-bella"?"
"Ho letto. E tu hai letto quella su "Grazia" della Grace Kelly?"
"... mah! Sogni di là da venire!" "Il tè s'è fatto più denso..."
"Che noia!" "Che pensi?" "Non penso". "Ti piacerebbe morire? "
"Sì! Lo farei per Sentieri, per Gianco o per Celentano!
Un giorno l'ho visto a Milano: mi sembra che sia ancora ieri!"
"E l'ami?" "Che versi divini! Mi diede l'autografo, sai?
Non posso scordarmelo mai... È meglio anche di Filippini!"


V.
"Bonanza"! nome non fine, ma dolce sognar per l'utenza!
Resusciti la diligenza, precedi le Kessler divine.
Rivivo le sere, bambino, passate al televisore,
ricordo le sberle sonore per farmi svegliare al mattino.
Rivedo Dorelli che canta, il Mago Zurli, Calimero,
rimpiango forse davvero quegli anni intorno al Sessanta.
Con voi Jenny Luna, Sentieri, Vanoni, Dallara, Vianello,
con voi Walter Chiari, Lionello, Tognazzi, Don Lurio, Bramieri,
con voi Silvio Noto, Sampò, Bongiorno, Tortora, Riva,
un'epoca d'oro nasceva. O forse di piombo, non so.
Ma te non rivedo nel fiore, o Marilyn cara! Ove sei
o sola che, forse, potrei amare, amare d'amore?

 
Gino & Michele, 1979

 

 

 

 

 

 

 


Di una cosa sono sicuro:
per ritrovare meglio quella luce conosciuta nell'infanzia,
bisogna sforzarsi di vivere tutti i giorni nella più grande incertezza.
Tutto qui...
 

Jean-Pierre Abraham