Luj 2014. Controinformazione: il padrone e il servo.

 

 

 

 

Il "mestée del mes" è dedicato alla controinformazione. A quella che non guarda in faccia a nessuno, senza dio né padrone, intransigente e documentata, dove la verità, in quanto tale, è sempre rivoluzionaria. Il lavoro fatto da Alexik, redatto dal novembre 2013 al marzo 2014, è controinformazione: l'ho trovato e lo propongo.
Soggetti sono un padrone delle ferriere e un miserevole servo vestito da "compagno militante" di quella sinistra italiota sempre più subalterna e baciapile. Servo non per costrizione o necessità, ma per libera scelta culturale pronto a conformarsi per deferenza o per interesse alla volontà del potente di turno. Oggetto è una fabbrica della morte, che, imperterrita da decenni, devasta territorio e uccide con l'accondiscendenza foraggiata delle istituzioni, della chiesa, dei sindacati. Dal lavoro di Alexik ho stralciato una parte che trattava la green economy attuata dal miserevole durante il suo governatorato: se volete averne lettura andate sul sito/link http://www.carmillaonline.com/2014/03/30/sinistra-ecologia-parte-settima/. Completano il "mestée del mes" alcune foto e il link alla puntata di Report del 19.01.2014 sul tema.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non potete lamentarvi. Se siete rimasti delusi dalla politica ambientale di Nichi Vendola la colpa è di un vostro fraintendimento grammaticale. Lui una "sinistra ecologia" ve l'ha promessa fin dalla scelta del nome del partito. Se poi non sapete l'italiano e confondete gli aggettivi con i sostantivi, non gliene potrete mica imputare la colpa. Magari vi eravate illusi quando, nel novembre 2008, lo vedeste sfilare per le vie di Taranto nel corteo contro l'inquinamento industriale, promosso dalle associazioni ambientaliste. Nel caso, la telefonata del governatore a Girolamo Archinà, rilanciata ieri dai telegiornali della sera, infrange contro un muro di cinismo qualsiasi residuo di illusione.
Potete giudicare voi stessi il video (https://www.youtube.com/watch?v=01fXp92lBnI) che riprende Archinà, all'epoca responsabile dei rapporti istituzionali dell'Ilva, mentre strappa il microfono ad un giornalista reo di chiedere conto a patron Riva dei tumori di Taranto. Potete giudicare voi stessi i commenti di Vendola (https://www.youtube.com/watch?v=eAMgpUudYs4) a riguardo. E' strano: la scena che diverte tanto il governatore poeta a me fa vomitare. Sarà che le sensibilità sono diverse. Io sono prosaica.
Non posso fare a meno, inoltre, di notare una certa differenza fra i contenuti squallidi di quella conversazione privata, la piaggeria leccosa verso l'emissario dei Riva, a confronto con le figure retoriche a cui il governatore poeta ci ha abituati all'interno del suo discorso pubblico. Solo qualche anno fa l'ascesa di Nichi Vendola alla guida della Regione Puglia aveva creato molte speranze e forti aspettative, alimentate dai suoi primi atti. Era il governatore che aveva avuto il coraggio di bloccare le esercitazioni militari in regione, misurato (per la prima volta dopo 50 anni) i livelli di diossina prodotti dall'Ilva, promosso una legge per contenerne le emissioni.
Era partito bene, insomma, il presidente che prometteva ai bambini di Taranto di brindare, con un bicchiere di latte "quando verificheremo se sul fronte delle emissioni, tutte le emissioni, di tutte le aziende, avremo compiuto significativi passi in avanti. Se non sarà così, vorrà dire che metteremo un marchio su tutte le fabbriche ammazzabambini. E faremo le barricate, con i piccoli e i loro papà. Operai al mio fianco".
Sapeva parlare, il governatore poeta, al cuore dei tarantini avvelenati dall'Ilva. Sapeva evocare immagini potenti: la vita, la morte, il futuro. Nascosta sotto la retorica, più che una progettualità, una contraddizione in termini: la pretesa di ottenere risultati credibili sull'inquinamento di Taranto attraverso un percorso di contrattazione con Riva. Era un progetto piuttosto velleitario, quello di convincere uno dei maggiori artefici del disastro ambientale della città a cambiare rotta, anche perché le motivazioni di patron Riva in senso contrario erano molto più consistenti delle chiacchiere, tanto quanto lo possono essere svariati miliardi di euro sottratti negli anni agli investimenti ambientali e dirottati nel paradiso fiscale del Lussemburgo.
Insomma, il governatore pretendeva di conciliare l'inconciliabile: il capitale con la salute e l'ambiente, gli interessi dei poteri forti con quelli della gente. O forse le uniche cose complesse da conciliare erano le forti aspettative della sua base elettorale con la sua scarsa propensione verso uno scontro serio con il potere industriale.
Se questo era il problema, occorreva almeno far finta di intervenire, ostentando un intenso lavorio, fatto di protocolli di intesa, trattative, accordi, completamente inutili ma mediaticamente spendibili. Insomma "vendere fumo", come disse Fabio Riva con una definizione sintetica e ficcante. Per accreditare i Riva come interlocutori credibili, bisognava intanto dimenticarne il passato. Quello di Emilio Riva condannato per mobbing per il reparto confino della palazzina LAF, dove chi si opponeva alla ristrutturazione del siderurgico veniva annientato psicologicamente. Le voci dall'interno dello stabilimento dicevano che i rapporti di potere, l'arroganza dei capi e i livelli di pericolo e nocività, da allora, non erano affatto cambiati. Lo stillicidio di morti operaie continuava a ritmi regolari. Ma che importa. I Riva erano credibili.
Bisognava inoltre ridimensionarne le responsabilità, tanto per cominciare negando, dall'altare della "evidenza scientifica", che a Taranto vi fosse un disastro ambientale in corso. Riconoscerlo, ratificarlo avrebbe automaticamente chiuso lo spazio ai temporeggiamenti e ai compromessi. Nell'ottobre 2007 il governatore dichiarava: "Per la prima volta in quarant'anni, abbiamo imposto all'Ilva il monitoraggio della diossina. Finalmente cominciamo a discutere, grazie al preziosissimo lavoro svolto dall'Arpa, con dati scientifici secondo i quali la condizione non è quella del disastro ambientale".
Eppure i dati scientifici in questione non erano particolarmente benevoli: "dai campionamenti di metà giugno, realizzati in condizioni idilliache, da "Mulino Bianco", con visibili difformità rispetto alla gestione abituale dell'impianto siderurgico... emergono valori di diossina 27 volte più alti del limite vigente in Friuli Venezia Giulia". Comunque, qualche sospetto sulla gravità della situazione a Vendola sarebbe potuto pure venire consultando i dati (pubblici) dell'European Pollutant Release and Transfer Register, che riportavano gli inquinanti dichiarati dalla stessa Ilva nel 2004:


EMISSIONS TO AIR:
Benzene 183 t, Cadmium and compounds 305 kg, Methane 468 t, Chlorine and inorganic comp. 754 t, Carbon monoxide 446.000 t , Carbon dioxide 9.560.000 t, Chromium and comp. 3,16 t, PCDD + PCDF (dioxins + furans) 76,2 g, Sulphur oxides 40.600 t, Zinc and comp. 13,7 t, Copper and comp. 1,52 t, Fluorine and inorganic comp. 434 t, Hydrogen cyanide 3,04 t, Mercury and comp. 1,14 t Ammonia 25,9 t, Nickel and comp. 461 kg, Non-methane volatile organic comp. 1.500 t, Nitrogen oxides 27.800 t, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons 25,8 t, Lead and compounds 61,1 t.
EMISSIONS TO WATER:


Arsenic and compounds 1,09 t, Cadmium and compounds 384 kg, Chromium and compounds 26,2 t, Copper and compounds 12,2 t, Cyanides 32,0 t, Mercury and compounds 640 kg, Nickel and compounds 4,38 t, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons 2,56 t, Lead and compounds 4,09 t, Phenols 15,2 t, Total nitrogen2.150 t, Total phosphorus 26,5 t, Total organic carbon 979 t, Zinc and compounds 57,9 t.


Anche tenendo conto della probabile sottostima dei dati di fonte aziendale, si trattava comunque di agenti cancerogeni, mutageni, teratogeni, allergizzanti, tossici per il sistema nervoso, per il sistema immunitario, per quello endocrino e per i filtri del corpo (fegato, reni), sparsi ogni anno a tonnellate nell'aria e nell'acqua della città. Non era abbastanza come disastro ambientale? Cazzo voleva Vendola di più, la bomba atomica? Il contenuto di questi dati non era forse sufficiente per attivare un immediato monitoraggio epidemiologico di tutte le patologie correlate ai singoli inquinanti, i campionamenti in aria e acqua di tutte le sostanze dichiarate, oltre alle misure sanitarie necessarie a fronteggiare l'emergenza?
Stiamo parlando delle funzioni istituzionali proprie delle Asl e delle Arpa, attivabili direttamente dalla Regione senza tanti clamori, e soprattutto senza dover contrattare alcunché con i ministeri o con i padroni dell'acciaieria. La prima giunta Vendola (2005/2010) perseguì questi obiettivi in maniera limitata. L'Arpa aggiunse ai monitoraggi standard degli inquinanti urbani quelli sulle diossine e il benzo(a)pirene, sicuramente due fra gli agenti chimici i più micidiali, ma per altri non vi sono tuttora rilevazioni.
Non ci è dato sapere gli effetti sulla qualità dell'aria degli altri componenti a base cloro (organi bersaglio: il sistema nervoso, il fegato e i reni), del cromo (cancerogeno, allergizzante, tossico polmonare), dell'acido cianidrico (organi bersaglio: il sistema nervoso e la tiroide), del fluoro (organi bersaglio: sistema nervoso, ossa, fegato, reni), del mercurio (organi bersaglio: sistema nervoso, reni. Allergizzante). Quanto all'epidemiologia, la giunta aspettò cinque anni prima di finanziare il registro tumori, e i primi risultati vennero resi pubblici solo nel 2013. Sicuramente é meglio tardi che mai, anche se nel 2013 già molto si sapeva comunque, grazie alle perizie disposte dalla Procura di Taranto, al progetto Sentieri dell'Istituto Superiore di Sanità, alle statistiche dell'Inail, all'attività di ricerca del Policlinico di Bari.
Si sapeva già che:
• a Taranto i tassi di mortalità sono molto superiori alla media regionale.
• a Taranto i ricoveri ospedalieri in età pediatrica mostrano un significativo incremento per tumori maligni, malattie e infezioni dell'apparato respiratorio.
• a Taranto una coppia su quattro è sterile, e il 26% delle donne va in menopausa precoce.
• a Taranto la metà dei "codici 048" (che indicano le persone in cura per malattie tumorali) vivono nei quartieri vicini al siderurgico.
• le donne di Taranto subiscono un eccesso di morbilità per tumore al fegato, al sistema linfatico, alla mammella, al colon e allo stomaco.
• gli uomini di Taranto subiscono un eccesso di morbilità per tumore alla vescica, alla testa, al collo, al fegato al sistema linfatico.
• dal 1998 al 2010 sono state denunciate 1696 malattie professionali dai lavoratori del siderurgico.
Mancano i numeri di ciò che non è stato ancora indagato, ma che l'epidemiologia dal basso dei comitati e delle associazioni già sa, vale a dire l'eccesso di tiroiditi autoimmuni, dermatiti, endometriosi, forme infiammatorie artritiche o vascolari, allergie di ogni tipo, sindrome MCS (sensibilità chimica multipla), disturbi bipolari, malattie neurodegenerative, SLA, patologie genetiche, malformazioni alla nascita. L'infinita varietà di forme che a Taranto può assumere il dolore, che segue l'infinita varietà degli inquinanti chimici prodotti da Ilva. Gli effetti di un disastro ambientale.
Si diceva, una volta, che "chi non ha fatto l'inchiesta non ha diritto di parola". Indagare da subito la realtà per poterla svelare, avrebbe forse permesso al governatore poeta di nominare la vita e la morte con più cognizione di causa, magari con termini più appropriati, quali lesioni gravi e gravissime, omicidio, strage. Termini però più consoni al linguaggio giuridico di una denuncia alla Procura che al discorso poetico. Sicuramente imbarazzanti nell'ambito di una trattativa coi Riva.

 

 

 

 

 

 

 

 

A discolpa di Nichi Vendola potremmo dire che non fu lui ad inaugurare la stagione della subalternità ai padroni delle ferriere. Al suo esordio da governatore, infatti, c'era già una lunga e consolidata tradizione di amichevoli confronti e leziosi convenevoli fra potere politico e vertici del siderurgico. La trattativa Stato/Ilva iniziò già all'indomani della privatizzazione. In ostaggio migliaia di lavoratori e un'intera città, ma la contrattazione, purtroppo, non verteva sulla loro liberazione in vita e in salute. Semmai il contrario. Mediare al ribasso ciò che non era contrattabile, dilazionare all'infinito l'esercizio del diritto (costituzionale?) alla salute, non c'era altra via che consentisse ai pubblici poteri di proteggere i profitti dei Riva dai costi di una reale bonifica dello stabilimento. Altrimenti perché mai glielo avrebbero svenduto per quattro soldi e senza condizioni?
In prima fila nella trattativa la Regione Puglia, che dal lontano 1997 si adoperò con continuità per farsi prendere per il culo in una serie di accordi disattesi. Risaliva al 30 giugno di quell'anno, infatti, il primo piano di intesa "circa l'urgente necessità e l'indispensabilità di procedere in tempi congrui alla riduzione delle emissioni in atmosfera derivanti dal centro siderurgico di Taranto, con l'utilizzo delle migliori tecnologie"(1). Ah, le migliori tecnologie!!! Quante volte in questa storia verranno evocate!!! Il piano del '97 era rivolto alla messa a norma dell'impianto di produzione del coke, dove l'Asl aveva rilevato alte concentrazioni di cancerogeni. L'accordo non si dimostrò molto efficace. Nel 2001 la situazione era del tutto immutata, tanto da indurre il sindaco di Taranto ad emanare un'ordinanza per il fermo di due batterie di forni, che venne fatta rispettare con un sequestro della procura. Insomma, nonostante l'urgente necessità, la Regione se la fece menare per 5 anni, fino a che qualcun altro non si pose il problema dell'esercizio dell'uso della forza nella pratica dell'obiettivo.
La stagione dei protocolli di intesa continuò nel nuovo millennio sotto il governatorato di Raffaele Fitto, tutto fiero di aver aperto "un percorso che apre alla comunità tarantina un futuro di sviluppo nel rispetto ambientale"(2). Che bella l'armonia fra ambiente e sviluppo!!! Un' immagine di pace e di speranza che anche nella retorica vendoliana diventerà ricorrente come un tormentone balneare. Ma Fitto poteva dirsi fiero di che? L'accordo del gennaio 2003 individuava, come sistema "realmente efficace" per proteggere gli abitati dalle polveri dei parchi minerali l'ampliamento delle collinette artificiali e delle alberature fra lo stabilimento e le aree urbane, oltre a una migliore filmatura dei cumuli in stoccaggio. La "reale efficacia" di tali misure è ben conosciuta da ogni tarantino che osi ancor oggi appoggiare le mani sulle lapidi del cimitero o su un davanzale del rione Tamburi.
Secondo l'accordo, una nuova autorizzazione per gli scarichi idrici dello stabilimento avrebbe garantito la salvaguardia delle acque, e quanto alla salubrità dell'aria, l'Ilva si impegnava a completare il sistema di monitoraggio in continuo dei camini dei forni a coke e dell'agglomerato entro 60 giorni dalla data dell'accordo. Di sicuro, nel 2012, di tali campionamenti - da tempo resi obbligatori dal DM 5 febbraio 1998 - non vi era ancora tracccia(3).
Si prevedeva infine la copertura dei nastri trasportatori, la bonifica dall'amianto e la sostituzione dei trasformatori al PCB (probabilmente già obsoleti). Tutte azioni lodevoli, se non fossero una goccia nel mare della nocività complessiva dell'Ilva. Fra l'altro, alla faccia della bonifica, l'amianto continua tuttora ad emergere qua e là, scoperto ora dagli operai, ora da un tornado.
Per ampliare la barriera di collinette Fitto annunciò trionfalmente uno stanziamento di 56 milioni di euro, ma ancora nel 2005 di euro non se ne era visto manco uno. Forse fu una fortuna, data l'idiozia del provvedimento. Insomma, al suo arrivo ai vertici della regione, Vendola aveva già tutti gli elementi necessari per giudicare il grado di inaffidabilità dei Riva all'interno di un percorso negoziale, e se la via del patteggiamento fosse foriera di risultati credibili, o solo un modo per procrastinare interventi di bonifica da attuarsi non più per obbligo, ma come risultato di uno scambio dove la Regione doveva pure impegnarsi a buttarci pubblici quattrini. Il neo governatore poteva scegliere se percorrere la strada già battuta, oppure se cambiare rotta, affrontando finalmente la realtà.
E la realtà era(e per molti aspetti continua ad essere) quella che segue: 70 ettari di parchi minerali - immensi cumuli di materiali ferrosi, coke e carbon fossile- che inondano di polveri nocive le periferie della città. Un ciclo di produzione del coke che sputa emissioni cancerogene non convogliate, perché gli impianti presentano perdite e mancano di aspirazioni in varie fasi del processo. Inoltre il materiale refrattario dei forni prima o poi si crepa, lasciando uscire fumi e gas in maniera incontrollata.
Seguono duecento camini privi del monitoraggio in continuo (obbligatorio dal '99 per le polveri, il carbonio e il suo monossido, gli acidi cloridrico e fluoridrico e il biossido di zolfo). Tutti tranne l'E312, quello del reparto di agglomerazione, che ha il monitoraggio però è incriminato per la diossina(4). Prive del controllo di efficacia anche le torce per la combustione dei gas in eccesso. Si continua con l'acciaieria, dove le colate di ghisa vengono versate troppo in fretta per tagliare i tempi di produzione, creando le nubi di polveri rosse ("slopping") che si innalzano in continuazione sulla fabbrica e si depositano sul territorio.
Le discariche interne di rifiuti tossici (residui chimici di lavorazione, solventi, ceneri di carbone, fanghi di filtrazione dei fumi, fanghi oleosi, batterie al nichel cadmio, fanghi da acque reflue industriali, amianto, stando a quelli dichiarati(5), sono a contatto con la falda acquifera. Le acque superficiali e quelle profonde sotto lo stabilimento presentavano nel 2006 parametri oltre i limiti di piombo, ferro, manganese, triclorometano, alluminio, tetracloroetilene, cromo, nichel, arsenico, ipa (benzo(a)antracene, benzo(a)pirene, benzo(a)fluorantene, ecc.), 1,2 dicloropropano, dicloroetilene, cianuri, benzene, xilene, etilbenzene, cloruro di vinile monomero, antimonio, cobalto, mercurio, sostanze oleose(6). Per finire in bellezza, l'Ilva manca del piano di emergenza esterno in caso di incidente rilevante previsto dalla Direttiva Seveso 2(7).
All'interno, il siderurgico è un inferno dantesco, così descritto da un operaio: "Io ogni giorno faccio cinque chilometri a piedi, con la polvere; certe volte mi esce il sangue dal naso perché la polvere nel naso si indurisce. ...Arriviamo allo spogliatoio divorati dalla polvere, la polvere è come una estrema unzione"(8). Le analisi dei sedimenti interni allo stabilimento hanno rilevato, in questa polvere onnipresente, tutto il campionario dei metalli pesanti, le diossine, il PCB, gli idrocarburi policiclici aromatici(9).
E qui vorrei aprire una parentesi. Vendola ha sempre lamentato le lacune di una normativa ambientale costruita apposta per dare campo libero agli inquinatori (e questo è vero) che gli avrebbe legato le mani (e questo è un alibi). Omette completamente l'esistenza di un altro corpo normativo, quello sull'igiene e sicurezza del lavoro, molto più imperativo e già in vigore a partire dagli anni '50. Un ambito dove l'organo di vigilanza (i servizi ispettivi dell'Asl) dipende dalla Regione. Solo a volerne usare gli strumenti, le disposizioni sui cancerogeni avrebbero permesso fin da subito il blocco di vari impianti inquinanti del siderurgico e l'imposizione di interventi di bonifica a spese dell'azienda. Partire dall'integrità fisica degli operai, i primi ad essere ammazzati dalle emissioni dell'Ilva, avrebbe salvaguardato così anche quella dei tarantini, dimostrando nei fatti che gli interessi del lavoro coincidono con quelli della gente, e non con quelli dei padroni. Ma con i se e con i ma non si costruisce la storia, che infatti continua in un altro modo.
Da una visione di insieme di questo contesto disastroso, poteva risultare chiara l'inconsistenza di interventi "cosmetici", parziali, diluiti e centellinati nel tempo. Ma il nuovo presidente scelse comunque la strada già battuta del "confronto costruttivo" con i Riva, rendendola giusto un po' meno monotona con qualche breve deviazione. Nei primi due anni di mandato si fece sostanzialmente custode degli accordi già firmati dal suo predecessore (con i risultati che sappiamo), limitandosi a controllarne il cronoprogramma e a complimentarsi con l'Ilva per la rispondenza agli impegni assunti (!!!).
Fino a quando. nella primavera 2007, un'intensa campagna di denuncia promossa da associazioni e comitati non portò la diossina di Taranto alla ribalta sulla stampa nazionale. A quel punto l'inerzia sarebbe risultata deleteria per l'immagine pubblica del governatore, che per cavalcare l'onda del fondatissimo allarme diossina decise di indossare la sua veste più barricadera.

 

Note.
1. Dossier: Il lavoro ai tempi del disastro ambientale - Il caso Ilva.
2. Regione Puglia, Ilva di Taranto, raggiunto l'accordo, 8 gennaio 2003.
3. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull'Ilva di Taranto, 2012, p 534.
4. Ibidem, pp. 534-535.
5. Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel Comune di Taranto, 19/07/2011, p. 201. Per verificare i codici CER clikkare qui. 6. Ibidem, p. 105.
7. Comitato Donne per Taranto, Una polveriera senza Piano d'Emergenza per Incidente Rilevante, 28 novembre 2012.
8. Fulvio Colucci, Giuse Alemanno, Invisibili. Vivere e morire all'Ilva di Taranto, Edizioni Kurumuny, 2011.
9. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull'Ilva di Taranto, 2012, pp. 529-533.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"Quelle ciminiere, che pure hanno causato inquinamento, significano anche lavoro, benessere, evoluzione della civiltà in una regione dove, ancora negli anni '50, i suoi abitanti erano affetti dalla pellagra"(1) (Nichi Vendola agli industriali, febbraio 2008). "Per anni la Puglia ha subito crimini ambientali e forme di colonialismo economico che l'hanno trasformata in un territorio a perdere; bucato, eroso, avvelenato, spolpato, "celebrato" con i fasti e i nefasti di tanti piccoli e grandi ecomostri"(2) (Nichi Vendola ai bambini di Taranto, giugno 2008). Chissà se il governatore pugliese non soffrisse di un leggero disorientamento nel sostenere tutto o il contrario di tutto in base al tipo di interlocutore.
Nell'attesa che decidesse come pensarla, quell'anno i tarantini (non particolarmente felici di essersi evoluti dalla pellagra al cancro) il monitoraggio biologico avevano cominciato a farselo da soli. Del resto nessuna istituzione aveva ancora provveduto in tal senso, nonostante i risultati dei primi campionamenti ambientali della diossina fossero già noti e non lasciassero presagire niente di buono.
L'Associazione Taranto Viva fece analizzare il sangue a dieci volontari, riscontrando livelli di diossina quattro volte superiori a quelli accettati dalla comunità scientifica internazionale(3). "Bambini contro l'inquinamento" rese pubblici i risultati sul latte materno di tre mamme tarantine, che certificavano una presenza di diossina e Pcb trenta volta maggiore dei limiti consentiti negli alimenti(4). Peacelink si occupò delle analisi del formaggio di un caseificio artigianale sotto il raggio di azione dell'Ilva, con una quantità di diossina tre volte superiore alla norma(5). In febbraio i risultati dell'Arpa sul camino E312 dell'impianto di agglomerazione avevano cominciato a declinare in nanogrammi a metro cubo le dimensioni del disastro. Circa 8 ng/Nm3 di tossicità equivalente alla tetracloro-dibenzo-p-diossina, che potrebbe sembrare una modica quantità, se non fosse che l' E312 sputa fuori 3 milioni di metri cubi all'ora. Sulla base dei dati Arpa, l'ammontare complessivo di diossine sparse sul territorio venne stimato da Peacelink in 7 chili e mezzo (considerando i 43 anni di funzionamento del siderurgico), da addebitare in parte all'Ilva e in parte alla vecchia Italsider. In pratica, tre volte quanto fuoriuscito ufficialmente dall'Icmesa di Seveso(6). Solo che, a differenza di Seveso, nessuno aveva mai provveduto ad evacuare la zona.
Ad ogni nuova indagine gli effetti collaterali dell'attività dei Riva diventavano sempre più difficili da negare, ma anche difficili da contrastare fintanto che il limite di emissione per le diossine consentito dalla legge nazionale(7) rimaneva pari al livello assurdo di 10.000 ng/m3. Su questo terreno, finalmente, la Regione si schierò, praticando l'unica strada che le consentiva di aggirare l'ostacolo: legiferare in proprio sui limiti di emissione. Era il novembre del 2008 quando il disegno di legge antidiossina, che fissava il limite a 0,4 ngTEQ/Nm3, venne presentato dal governatore a tempo di reggae, sulle note dei Sud Sound System. Il provvedimento, al centro di un aspro scontro con i padroni del siderurgico e con il Ministero dell'Ambiente (la cui guida nel frattempo era passata alla Prestigiacomo), sembrava aver definitivamente archiviato la politica dei compromessi al ribasso. Vendola si era guadagnato il diritto di sfilare con gli ambientalisti con la credibilità alle stelle, ma per non giocarsela avrebbe dovuto dimostrare la capacità di mantenere dritta la barra del timone, tenendo conto che quello della diossina, per quanto importante, non poteva che essere un primo passo.
Intendiamoci, le diossine sono fra i più potenti veleni conosciuti. Provocano cancro, endometriosi, lesioni cutanee, danni al cuore, ai reni, allo stomaco, al fegato, alla funzionalità respiratoria, al sistema linfatico e a quello nervoso. Interferiscono col metabolismo dei grassi e degli zuccheri, con la biosintesi dell'EME (un legante dell'ossigeno nel sangue), danneggiano lo sviluppo dell'embrione e del feto. Bioaccumulano nell'organismo sciogliendosi nei grassi, e una volta inalate o ingerite non le smaltisci più.
Ma sono solo una delle varie forme di nocività made in Ilva, e anche eliminandole completamente i tarantini continuerebbero ad ammalarsi di Ilva e a morirne lo stesso. Per questo l'approvazione della Legge Regionale 44/08 ("Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio: limiti alle emissioni in atmosfera di policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani") era il primo banco di prova da cui partire per affrontare le altre fonti di morte chimica. Oltre tutto, la legge non poteva dirsi esaustiva nemmeno del capitolo diossina, visto che considerava solo quella in uscita dai camini, e non le numerose emissioni non convogliate.
La triste storia di questa legge ha già trovato spazio sulle pagine di Carmilla grazie a Girolamo De Michele, che ci racconta come la diossina calò "miracolosa/mente" (http://www.carmillaonline.com/2012/11/13/vendola-riva-lilva-come-la-diossina-cal-miracolosamente/), e come alla Legge 44/08 seguì, appena tre mesi dopo, "l'interpretazione autentica" che ne snaturava i contenuti(8). Cos'era successo di così catastrofico da indurre il governatore a ritornare sui suoi passi?
Convocato nel febbraio 2009 nelle stanze romane del Ministero dell'Ambiente, sopraffatto da preponderanti forze nemiche (la ministra, la dirigenza Ilva, i sindacati confederali) che paventavano scenari apocalittici per la chiusura dello stabilimento, Vendola aveva accolto il suadente invito di Gianni Letta a trasformare la sua legge migliore in un capolavoro di paraculaggine. Non doveva abrogarla, né ritoccarne i valori limite, ma semplicemente renderne impossibile la verifica sostituendo i controlli in continuo (da effettuare con un impianto di monitoraggio a spese dell'azienda) con 3 striminzite campagne di misurazione.
In pratica il campionamento delle emissioni passava dalle 8.760 ore previste nella prima versione del testo di legge a 72. Dulcis in fundo, "l'interpretazione autentica" avrebbe camuffato gli sforamenti dei limiti con un artificio aritmetico e consentito la diluizione dei fumi per adduzione di ossigeno. Il fatto che il direttore dell'Ilva, all'epoca Luigi Capogrosso, uscisse da quell'incontro pienamente soddisfatto avrebbe dovuto indurre qualche perplessità. E Capogrosso, che di ciminiere teneva esperienza (già condannato in giudicato con Emilio Riva nel 2005 per violazione delle norme sulle emissioni in atmosfera(9) ) sapeva bene che campionamenti così rarefatti avrebbero permesso all'azienda di creare, in occasione delle analisi, le condizioni ad hoc per truccare i risultati, per esempio riducendo la produzione. Tanto poi si sarebbero rifatti del tempo perduto spingendo gli impianti al massimo nel turno di notte, quando il controlli non si fanno.
Anche volendo, le ispezioni non avrebbero mai potuto essere troppo frequenti, visto che nell'organico dell'Arpa i tecnici incaricati delle rilevazioni sulle ciminiere dell'intero territorio regionale erano solo in due. A detta di Roberto Giua, direttore del Centro Regionale Aria: "dei 252 camini dell'Ilva noi riusciamo a controllarne tre o quattro, quelli più rilevanti. Sarebbe interessante monitorare anche gli altri, ma materialmente come facciamo? Con questo organico possiamo solo andare dietro alle emergenze"(10). Ma in definitiva, il compromesso accettato da Vendola, sia pur sotto le pressioni del ricatto occupazionale e delle minacce governative di ricorso alla Consulta, poteva considerarsi dignitoso? Vedete, far compiere i campionamenti dall'Arpa in modo da sottostimare la realtà delle emissioni è peggio che non farli affatto. Fornisce agli inquinatori la possibilità di sostenere in un giudizio la propria conformità alle norme di legge sulla base dei dati "incontrovertibili" prodotti da un organismo pubblico. Sarebbe dunque questo il risultato finale dei tanti sforzi profusi nella ricostruzione (praticamente da zero) dell'Arpa Puglia, nel suo adeguamento tecnico con le costose apparecchiature per la rilevazione della diossina? Reggere il gioco ai Riva con misurazioni edulcorate?
Nel 2012, la perizia chimica disposta dal gip di Taranto nell'ambito del procedimento contro l'Ilva, riportava quanto segue: "si evidenzia come questa emissione (del camino E312) viene campionata e misurata secondo quanto previsto dalla norma regionale, in particolare per quanto riguarda le diossine, e risulta conforme ai limite regionali prescritti per le diossine"(11). In realtà la conformità a quei limiti in assenza di campionamenti in continuo nessuno poteva saperla. Una volta fatta la legge e trovato l'inganno, i rapporti fra Ilva e Regione Puglia si rasserenarono moltissimo. Pure troppo. La retorica del governatore virò dai toni bellicosi contro i biechi inquinatori alla celebrazione della nuova attitudine ecologista dei padroni delle ferriere, convertiti dalla sua opera di apostolato al verbo della green economy.
All'inizio del 2010, fra fanfare e taglio di nastri, Vendola fu chiamato a inaugurare non solo il nuovo impianto di depolverazione dell'Acciaieria 2, ma addirittura "una nuova era nei rapporti tra industria e comunità di Taranto"(12). A dire il vero le prospettive della "nuova era" potevano apparire un po' fumose, a giudicare dalla scarsa efficacia del nuovo impianto, immortalato lo stesso giorno dell'inaugurazione da una foto del Coordinamento Altamarea. Ma si sa, la propaganda non necessita di riscontri reali, e in questa nuova narrazione, dove il governatore vestiva il ruolo del santo del miracolo, capace di ammansire le belve e cambiare il colore del cielo di Taranto, erano ammessi solo atti di fede.
Ogni dubbio sul nuovo vangelo cominciò a diventare bestemmia, e tale doveva suonare il nuovo allarme dell'Arpa, che nei primi cinque mesi del 2010 aveva registrato nel rione Tamburi un valore di benzo(a)pirene triplo rispetto ai limiti di legge(13). La blasfemia fu resa ancor più grave dalla diffusione della notizia, che non rimase relegata nelle segrete stanze. Fu così che Giorgio Assennato, l'ordinario dell'Università di Bari fortemente voluto da Vendola alla direzione dell'Arpa Puglia, si ritrovò a ricoprire suo malgrado il ruolo dell'eretico.
C'è da dire che Assennato non è propriamente un pasdaran dell'ecologismo militante. Per intenderci, è quello che, in concorso con altri, sostenne che l'arsenico nel sangue degli operai di Manfredonia era dovuto al consumo di gamberoni, e non all'inquinamento dell'Enichem(14). E' quello che andò a spiegare agli abitanti di Torchiarolo che si ammalavano di tumore la colpa era dei camini a legna, e non della centrale a carbone(15). Ma questa volta, il benzo(a)pirene del rione Tamburi era veramente troppo anche per lui.
 
Note.
1. Domenico Palmiotti, Vendola "senza industria si producono solo cartoline", Gazzetta del Mezzogiorno, 11 febbraio 2008
2. Regione Puglia, Presidenza della Giunta Regionale, Sognando nuvole bianche, I bambini di Taranto contro l'inquinamento della città, Giugno 2008, p.6)
3. Michele Tursi, Diossina nel sangue. E ora?, Corriere del Giorno, 10 febbraio 2008
4. Maria Rosaria Gigante, "Mamme, continuate ad allattare", Gazzetta del Mezzogiorno, 11 aprile 2008
5. Nazareno Dinoi, Diossina tre volte al di sopra della norma, Corriere del Mezzogiorno, 6 marzo 2008
6. A onor del vero, si mormora ufficiosamente che dall'Icmesa di Seveso di kg di diossina ne siano usciti 18
7. Decreto legislativo 152/06
8. Legge Regionale 8/2009
9. Tribunale di Taranto, Riesame avverso ordinanza emessa dal GIP in data 25 luglio 2012, 7 agosto 2012, p. 17/18
10. Stefano Martella, Due uomini per controllare mille camini. Questa è l'Arpa Puglia, 28/10/13
11. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull'Ilva di Taranto, 2012, p. 535
12. Angelo di Leo, Sbuffi sospetti dall'Acciaieria: "veleni" tra Ilva e Altamarea, Corriere del Giorno - 15 gennaio 2010
13. Coordinamento di cittadini e associazioni Altamarea, Quartiere Tamburi, i nuovi dati Arpa: il benzo(a)pirene è 3 volte sopra i valori fissati dalla legge, 15 luglio 2010
14. L. Vimercati, A. Carrus, T. Gagliardi, G. Sciannamblo, F. Caputo, V. Minunni, M.R. Bellotta, G. de Nichilo, L. Bisceglia, V. Corrado, P. De Pasquale, G. Assennato, Monitoraggio biologico dell'esposizione professionale ad as inorganico in lavoratori di un impianto industriale dismesso nell'area di Manfredonia, in "Sicurezzaonline" 12/05/08. Anche sulla base di questo studio nel marzo 2012 vennero assolti in via definitiva gli ex dirigenti Enichem/Anic dall'accusa di omicidio colposo di 17 operai e lesioni gravissime per altri 5
15. Marco Marangio, Assennato contestato a Torchiarolo, 02 marzo 2011.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"Ognuno fa la sua parte, dobbiamo però sapere che a prescindere da tutti i procedimenti, le cose, le iniziative, l'Ilva è una realtà produttiva a cui non possiamo rinunciare. ...Volevo dirglielo perché poteva chiamare Riva e dirgli che il Presidente non si è defilato". Era il sei luglio 2010 quando il Presidente della Regione Puglia si scomodava personalmente (gesto già di per se inusuale) per contattare Girolamo Archinà, il sottopanza dei Riva(1), con una telefonata tornata di recente agli onori della cronaca. Al di là di frizzi, lazzi e risatine, l'argomento della conversazione era maledettamente serio: come porre rimedio alla "scivolata" di Giorgio Assennato, il direttore dell'Arpa Puglia che aveva permesso -orrore !- la diffusione dei risultati di un monitoraggio così sputtanante per i vertici dell'Ilva?
Correlando le misurazioni degli inquinanti alla direzione del vento, l'Arpa aveva fornito infatti la dimostrazione scientifica sull'origine nell'Ilva degli altissimi livelli di benzo(a)pirene nel rione Tamburi(2). I risultati del rapporto impegnavano implicitamente la Regione ad intervenire sulla fonte degli inquinanti, a meno di non voler spostare gli abitanti della periferia tarantina tutti quanti sopravento nei giorni di maestrale, quando la brezza proveniente dallo stabilimento innalzava la concentrazione di benzo(a)pirene fino a 3.88 ng/m3 (quasi il quadruplo del valore obiettivo). Il documento dell'Arpa aveva già indotto il sindaco di Taranto Ippazio Stefano ad emanare un'ordinanza che imponeva all'azienda di ridurre le emissione di B(a)P entro 30 giorni. Sotto accusa la cokeria del siderurgico, che assieme all'altoforno ed al reparto sinterizzazione risultava di gran lunga la maggior fonte di idrocarburi policiclici aromatici della città(3)

 

 

La pubblicazione dei dati poneva non solo l'Ilva, ma anche i vertici regionali in forte imbarazzo. Avrebbero dovuto riaprire uno scontro col potere economico, come ai tempi della legge sulle diossine, infrangendo la ritrovata armonia? Ammettere che la "nuova era nei rapporti tra industria e comunità di Taranto" era una supercazzola? Che il "governatore della provvidenza", nel caso dell'Ilva, non aveva ancora risolto un granché? La normativa ambientale prevedeva che le Regioni intervenissero sulle fonti di emissione del benzo(a)pirene al superamento del valore obiettivo, pari ad 1 ng/m3 (4). Dato che tale valore era ampiamente superato e la fonte emissiva certa, la Regione Puglia si trovava nell'obbligo di imporre all'Ilva il risanamento della cokeria in base alle migliori tecniche disponibili. Intervento piuttosto oneroso, dato che si trattava (e ancora si tratta) di un impianto vetusto, una sorta di colabrodo sempre più deteriorato dalla carenza di investimenti e dai ritmi eccessivi imposti dalla produzione.
Venne descritto così, in seguito all'ispezione del NOE del novembre 2011(5): "I C.C. avevano notato la generazione di emissioni fuggitive provenienti dai forni che, una volta aperti per far uscire il coke distillato, lasciavano uscire i gas di processo che invece dovrebbero essere captati da appositi aspiratori/abbattitori installati sulle macchine scaricatrici, anche se una di tali macchine addirittura ne era sprovvista. Inoltre ... nella parte superiore dei forni le bocche di caricamento che dovrebbero essere sigillate prima dell'inizio della cottura, in realtà sfiatavano durante il processo a causa della loro non corretta chiusura. In ultimo, anche nella fase di scaricamento del coke, si evidenziavano copiose emissioni di colore scuro...".

 

 

In mezzo a queste nubi scure, centinaia di operai si sono avvicendati nei turni, giorno dopo giorno, anno dopo anno, tumore dopo tumore. Nel 2002 l'ultimo monitoraggio da parte di strutture pubbliche sui loro livelli di idrossipirene urinario aveva dimostrato il superamento del limite biologico di esposizione agli IPA per 51 operai (sui 325 della cokeria). Alcuni lo superavano 10 volte(6). Anche per loro sarebbe stato d'obbligo il risanamento del reparto, in base alle norme di igiene e sicurezza del lavoro. Ma non di questo si parlò nella telefonata fra Vendola e Archinà, e nemmeno nella riunione urgente che si tenne pochi giorni dopo fra la Regione e i vertici dell'Ilva. Almeno a giudicare dai commenti dei convenuti(7): Fabio Riva (ragionando su cosa dire in un comunicato stampa): "...si vende fumo, non so come dire! Si, l'Ilva collabora con la Regione, tutto bene". E di fumo, in effetti, Riva ne aveva da vendere.
Girolamo Archinà: "Siamo stati da Vendola... e con Vendola avevamo concordato... un certo discorso, in pratica che dovevamo fare con questo tavolo tecnico... che aveva più obiettivi. Uno di quelli in ordine di tempo, uno di quelli, il primo, sconfessare i lavori dell'Arpa Puglia". Archinà riferiva anche dell'umiliazione subita dal direttore dell'Arpa ("Assennato è stato fatto venire al terzo piano però è stato fatto aspettare fuori") e di un ordine del governatore a un dirigente: "Esci fuori vai a dire ad Assennato che lui i dati non li deve utilizzare come bombe di carta che poi si trasformano in bombe a mano!". Indagato per concussione con l'accusa di aver esercitato pressioni su Assennato, oggi Vendola sostiene che le parole e le azioni attribuitegli da Archinà erano una mera invenzione per millantare credito. Ma il fantasioso tirapiedi dei Riva si era proprio inventato tutto?
Il giorno dopo l'incontro con i vertici dell'Ilva, l'assessore regionale all'ambiente Lorenzo Nicastro annunciò in una conferenza stampa la creazione di un tavolo tecnico dove si sarebbe definito il cronoprogramma per "avviare il primo vero monitoraggio diagnostico del benzo(a)pirene", con l'installazione di nuove centraline. "Abbiamo avvertito la necessità di andare oltre per capire in che quantità e soprattutto in che luoghi c'è la maggiore concentrazione di questo idrocarburo. Poi, dati scientifici alla mano, si deciderà sul da farsi". Tradotto in altre parole: il monitoraggio già effettuato dall'Arpa, quello foriero di risultati inquietanti, non è né vero né scientifico. I dati di quel monitoraggio non servono per decidere già da ora sul da farsi. Si rimanda ogni decisione ai risultati del vero monitoraggio che, essendo molto approfondito, necessiterà di moolto, ma mooolto tempo. Et voilà! Il "tavolo tecnico per sconfessare i lavori dell'Arpa Puglia" è servito. Fra l'altro, all'incontro con i giornalisti il direttore dell'Arpa era stranamente assente(8).
Era ormai evidente che Regione non sarebbe intervenuta sulla cokeria dell'Ilva, né utilizzando i poteri che ancora aveva grazie alle norme ambientali, né mobilitando i servizi ispettivi dell'Asl in materia di sicurezza del lavoro. Rimaneva in piedi almeno l'ordinanza del sindaco di Taranto, che intimava all'Ilva il rispetto dei valori obiettivo, ma ancora per poco.
Nell'agosto 2010, con il D.Lgs. 155, il governo Berlusconi -sempre solerte nel ricambiare quei 120 milioni di euro sborsati cash dal patron dell'Ilva per l'Alitalia- provvide ad abrogare tutta la normativa preesistente sul benzo(a)pirene, spostando il termine per il rispetto del valore obiettivo di 1 ng/m3 dal primo gennaio 1999 a fine dicembre 2012(9). In pratica veniva cancellato un obbligo già in vigore da tempo per rimandarne l'applicazione di altri due anni e mezzo(10). Nel frattempo il benzo(a)pirene rimaneva privo di limiti, ovviamente non solo a Taranto, ma in tutt'Italia, ché qui mica si fanno leggi ad aziendam!
Contro il decreto del governo le associazioni tarantine insorsero. La Regione Puglia no. Nonostante le sollecitazioni degli ambientalisti(11), non impugnò davanti alla Corte Costituzionale un provvedimento che impediva agli enti locali di intervenire su inquinamento urbano e tutela della salute (sulla quale la Regione ha competenza concorrente). In compenso promise di promulgare una legge regionale sul benzo(a)pirene, che sulla falsa riga di quella sulle diossine ripristinasse i valori obiettivo per il territorio pugliese.
Nel frattempo la strategia del "vendere fumo" continuava alla grande. Nel novembre 2010 l'Ilva cominciò ad editare una rivista patinata, probabilmente di fantascienza, visti i contenuti oltre i confini della realtà. Il primo numero ospitava una lunga intervista a Nichi Vendola(12): "Dal mio primo incontro con l'ing. Riva sono cambiate molte cose. In primo luogo è cambiata la fabbrica. Negli ultimi anni sono stati realizzati numerosi interventi di ambientalizzazione, sono state avviate importanti campagne di monitoraggio della qualità dell'aria, sono stati cambiati alcuni processi produttivi. Sono cambiate inoltre le modalità di relazione fra l'Ilva e il mondo esterno".... "gli investimenti dal punto di vista ambientale sono stati notevoli, sebbene rimanga ancora molto da fare. In moltissimi settori sono state applicate le migliori tecnologie disponibili, come previsto dalla legislazione europea, e a breve il cronoprogramma per l'ambientalizzazione completa dell'Ilva sarà attuato al 100%". Niente male come marchettone filoaziendale, soprattutto se riferito a gente che stava platealmente gasando la periferia di Taranto con zaffate cancerogene e genotossiche!
L'operazione propagandistica venne completata con la pubblicazione da parte aziendale del "Rapporto Ilva Ambiente e Sicurezza 2010", che fra le immagini di mari azzurri, voli di fenicotteri, impianti tirati a lucido e governatori pugliesi con l'elmetto dell'Ilva in testa, riportava vere e proprie perle del tipo: "L'indice di polverosità (dei parchi minerali e fossili)... nel periodo 2005-2009 si è ridotto dell'85%", o "La cokeria dello stabilimento Ilva di Taranto è attualmente adeguata alle Migliori Tecniche Disponibili"(13).
Possiamo figurarci con raccapriccio quali possano essere le peggiori. Il Rapporto Ilva venne accolto con entusiasmo dalla Fiom(14), e dalle 650 pecore degli allevamenti tarantini appena abbattute a causa della contaminazione da diossina(15). La legge regionale sul benzo(a)pirene vide la luce alla fine di febbraio 2011(16). Venne votata all'unanimità anche dai consiglieri del centrodestra, e già questo fatto doveva suggerire qualche dubbio. L'Ilva ne accolse l'approvazione con un comunicato stampa che recitava: "La legge sul benzo(a)pirene non è "contro" nessuno ma traccia un principio di attenzione per le tematiche ambientali condiviso anche dall'Ilva". Beh, se l'avessi scritta io, avrei cominciato a chiedermi: "dove ho sbagliato ?".
In realtà, come sostenne il Coordinamento Altamarea, si trattava di una legge "generica, piena di indeterminatezze, priva di effettiva incisività, foriera di contenziosi e di allungamento di tempi"(17). Poteva trovare applicazione solo dopo un ulteriore anno di misurazioni. Dopodiché, una volta accertato il superamento del valore medio annuo di 1 ng/m3, la Regione avrebbe definito un piano di risanamento delle aree esposte intervenendo anche sulle fonti industriali, laddove si stesse verificando il pericolo di un grave danno sanitario. E qui sarebbero passati altri mesi, garantendo complessivamente ai tarantini almeno un altro paio d'anni di inalazione di B(a)P in dosi da cavallo.
La legge non stabiliva termini precisi per il rispetto dei valori obiettivo, né sanzioni per le industrie inquinanti, né particolari criteri vincolanti di intervento per la Regione stessa. Il primo "Piano di risanamento dell'aria del Quartiere Tamburi" venne stilato nel luglio 2012(18), dopo altri 16 mesi di sforamenti, quando l'incriminazione dei padroni e dirigenti dell'Ilva per disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di cose pericolose e inquinamento atmosferico, erano già cosa pubblica. Le prescrizioni del piano regionale (quali la copertura degli stoccaggi pulvirolenti esterni) non sono state ancora ottemperate. Il benzo(a)pirene in compenso è calato, grazie al fermo di varie batterie per la produzione del coke, gentilmente indotto dall'intervento della magistratura tarantina.
 
Note.
1. Ilva, audio choc di Vendola. La telefonata integrale con Archinà.
2. Arpa Puglia,Benzo(a)pirene aerodisperso presso la stazione di monitoraggio della qualità dell'aria di via Machiavelli a Taranto. Attribuzione alle sorgenti emissive. Relazione preliminare, 4 giugno 2010, p.33.
3. Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) costituiscono una folta famiglia di idrocarburi variamente tossici o nocivi. Alcuni (Acenaftene) provocano effetti su fegato, reni, vie respiratorie, altri (Antracene) sono allergenici. Molti sono cancerogeni (o sospetti tali) o mutageni. Nel caso del benzo(a)pirene, esso è classificato dalla Iarc nel gruppo 1 (cancerogeno per gli umani) e genotossico (danneggia il DNA). Per approfondire: IARC, Benzo(a)pirene. Monografia 2010, p.144.
4. Decreto Ministeriale del 25/11/1994 , Decreto Legislativo 3 agosto 2007, n. 152.
5. Tribunale di Taranto, Riesame avverso ordinanza emessa dal GIP in data 25 luglio 2012, 7 agosto 2012, pp. 27/28.
6. Tribunale di Taranto, Riesame avverso ordinanza emessa dal GIP in data 25 luglio 2012, 7 agosto 2012, p. 74.
7. Giusi Fasano, Ilva, le intercettazioni. I Riva: "Vendiamo fumo. Diciamo che va tutto bene", Il Corriere della sera, 15 agosto 2012. Francesco Casula, Ilva, Riva al telefono: "Ho visto Vendola, vendiamo fumo", Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2012.
8. Michele Tursi, Colpo di spugna sulla cokeria, Corriere del Giorno, 16 luglio 2010.
9. Peacelink, Dossier. Le norme sul Benzo(a)pirene cancellate dal dlgs 155/2010, 17 novembre 2010.
10. Non era l'unico aspetto bislacco del decreto. Esso, infatti, veniva preso in attuazione della Direttiva 2008/50/CE che non parlava affatto di benzo(a)pirene, ma di altri agenti nocivi. Non parlava di benzo(a)pirene neanche il testo del provvedimento presentato e approvato dalle commissioni di Camera e Senato. Il B(a)P fu inserito di soppiatto all'ultimo momento. Vedi: Ornella Bellocci, E il governo vara la legge che aiuta i grandi inquinatori, Il Manifesto , 27 ottobre 2010
11. Email a Vendola e Nicastro dal Coordinamento Altamarea con oggetto: Ricorso al TAR Lecce c/o Regione con rilievi di incostituzionalità del D. Lvo 155/2010, 9 novembre 2010.
12. Vendola Nichi, Il ponte, novembre 2010, pp. 4/9.
13. Ilva, Rapporto Ambiente e sicurezza 2010, p. 160.
14. Fiom, Presentato il "Rapporto Ambiente e Sicurezza 2010" per l'Ilva di Taranto, 25 novembre 2010
15. Coordinamento Altamarea, Taranto: diossina. Abbattute 650 pecore di due aziende agricole tarantine, 31/12/10.
16. Legge regionale 28 febbraio 2011, n. 3
17. Antonello Corigliano, Legge regionale sul benzo(a)pirene, quanti interrogativi..., www.pugliapress.org, 3 marzo 2011.
18. Taranto, qualità dell'aria: Giunta regionale approva il piano di risanamento anti polveri, www.ecodallecitta.it, 18 luglio 2012.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


"È orribile il sospetto che il potere possa mangiare l'anima di chi lo esercita". (Nichi Vendola)


Parere favorevole. Nel luglio 2011 la Regione Puglia dava il suo beneplacito all'autorizzazione integrata ambientale (Aia) a favore dell'Ilva di Taranto. Il suo assenso non era vincolante, visto che l'Aia per i grandi impianti è di competenza ministeriale. Ma comunque un voto contrario avrebbe rappresentato un forte segnale politico, oltre che un sussulto di dignità. Perché non si poteva mantenere la dignità appoggiando una simile porcata. Una porcata che autorizzava l'Ilva ad aumentare la produzione fino a 15 milioni di tonnellate di acciaio all'anno(1), nonostante che i livelli produttivi in atto (9,5 milioni dichiarati nel 2005) comportassero già un impatto inquinante insostenibile.
L'Aia/2011 dispensava i Riva dall'obbligo -temutissimo- di copertura dei parchi minerali, liquidando le 743 tonnellate annue(2) di polveri nocive disperse da quei depositi in poche frasi: "il parco minerali PUO' dare luogo a un'emissione di polveri", "in caso di particolari condizioni meteo-climatiche potrebbero verificarsi fenomeni di spolveramento"(3). Un manuale dell'uso dell'eufemismo. Il parere istruttorio, redatto ai fini dell'Aia dagli "esperti"(4) nominati dalla ministra dell'ambiente Prestigiacomo, diceva che nella cokeria si ritenevano già attuati tutti gli interventi di adeguamento alle migliori tecnologie disponibili(5). Quali fossero le "migliori tecnologie" lo documentano alcune foto, scattate clandestinamente dagli operai: colate incandescenti a cielo aperto, nuvole nere senza nessun sistema di captazione, lavoratori circondati da un inferno di fuoco e di fumo.
Si ammetteva candidamente la presenza di innumerevoli emissioni non convogliate (vale a dire nubi incontrollate contenenti diossina, furani, pcb, IPA, metalli pesanti, ecc.) ma a nessuno degli "esperti" venne in mente che forse era il caso di eliminarle alla fonte, o almeno di farle confluire in ciminiera, sottoponendole a sistemi filtraggio e abbattimento degli inquinanti. Bastava, a loro dire, tenerle sott'occhio con sistemi di videosorveglianza. Che so, casomai rubassero. Del resto per le emissioni convogliate non andava molto meglio: l'assenza delle misurazioni in continuo sulle ciminiere, obbligatorie per legge dal 1999, non veniva nemmeno rilevata(6). L'Aia/2011 permetteva all'azienda l'uso di pet coke(7), quello ottenuto dalla distillazione del petrolio, molto più inquinante del coke derivato dal carbon fossile. E dire che nel 2008 i carabinieri del NOE avevano impedito all'Ilva l'uso del pet coke, sequestrandone 16.000 tonnellate e denunciando il legale rappresentante dello stabilimento per reati ambientali. Quanto agli scarichi diretti in mare, si prevedeva che gli inquinanti fossero controllati non alla fonte, ma solo dopo avvenuta diluizione, fatta ad hoc per far rientrare i parametri nei valori limite. Insomma, un'Aia costruita attorno ai Riva, che non solo non gli impediva di inquinare, ma li autorizzava -se possibile- a far di peggio. Il tutto con l'assenso degli enti locali, che lungi dal sentirsi sprofondare nell'onta ne andavano pure fieri.
Così commentava soddisfatto l'assessore regionale all'ambiente Lorenzo Nicastro: "Abbiamo una linea guida, Ilva Regione e altri enti territoriali, e questo serve a migliorare tutti gli aspetti del problema. Serve a migliorare l'aspetto ambientale, serve a migliorare anche l'aspetto produttivo, serve a tenere insieme ecologia, economia, diritto alla salute e diritto al lavoro"(8).
Ma come si era arrivati a questa ennesima genuflessione ai piedi dei Riva? La concessione dell' Autorizzazione Integrata Ambientale era un passaggio cruciale, l'occasione per affrontare l'inquinamento del siderurgico sia nel suo insieme che nei suoi aspetti specifici. Era l'ambito decisionale dove normare tutto -dalle emissioni venefiche, alle discariche interne di rifiuti tossici, alla melma chimica riversata in mare- dettando all'Ilva le condizioni per continuare a lavorare. Era una partita su cui più volte gli enti locali avevano promesso intransigenza. E proprio nella loro fermezza il movimento ambientalista tarantino aveva riposto speranze e fiducia, aspettandosi una dimostrazione di coerenza da quegli stessi personaggi che ad ogni tornata elettorale sbandieravano il vessillo della difesa del territorio e della salute. Sapevano, i tarantini, che la battaglia sarebbe stata dura, con la Prestigiacomo e i suoi funzionari (fra i quali Luigi Pelaggi, arrestato per truffa aggravata, corruzione e traffico illecito di rifiuti) sfacciatamente schierati al fianco dei Riva(9).
Forse non sospettavano, però, che anche il tecnico chiamato a rappresentare la Regione Puglia nel processo autorizzativo fosse uno "yes man" dell'Ilva: quel Pierfrancesco Palmisano che passava all'azienda le bozze dell'autorizzazione da emendare, che concordava con Archinà (l'onnipresente responsabile delle pubbliche relazioni dell'Ilva) i comportamenti da tenere in commissione, che prometteva controlli in azienda all'acqua di rose. Fu proprio Palmisano ad impedire che fosse inserita fra le prescrizioni la copertura dei parchi minerali(10).
Sarebbe però piuttosto ingenuo credere che la strategia della Regione Puglia fosse totalmente nelle mani di un tecnico infedele, di una "serpe in seno" allo staff di Vendola (su cui, comunque, non era stato esercitato il necessario controllo). Prima della ratifica definitiva dell'Aia, infatti, il coordinamento di associazioni tarantine "Altamarea" aveva provveduto ad informare personalmente il governatore sullo stato dei lavori, palesandogli "il proprio assoluto dissenso su un parere istruttorio erroneo, ingannevole, inidoneo e del tutto inadeguato al rilascio dell'autorizzazione"(11).
Le associazioni chiesero a Vendola di battersi per inserire nell'Aia dieci punti considerati irrinunciabili(12), come la copertura dei parchi primari, limiti alla capacità produttiva, bonifica dei siti inquinati, ricevendo rassicurazioni sul fatto che la Regione si sarebbe adoprata "per ridurre il carico inquinante complessivo attraverso prescrizioni dettagliate e per introdurre controlli severi e sanzioni esemplari e pesanti in caso di trasgressioni"(13). A pochi giorni dall'incontro con "Altamarea", con Delibera di Giunta n. 1504/2011 la Regione Puglia stabiliva le condizioni per dare il suo assenso al rilascio dell'Aia. Fra queste veniva reiterata la solita promessa del campionamento in continuo delle diossine sul camino E 312 (da attuarsi in un vago futuro), e la possibilità di ridiscutere l'autorizzazione in caso di superamento dei limiti del benzo(a)pirene. Una presa per il culo, visto che il benzo(a)pirene era oltre i limiti da anni, e la diossina dell' E312 aveva raggiunto, nel maggio 2011, valori doppi rispetto ai 0,40 ng ITE/Nmc fissati dalla normativa regionale(14).
Perché dunque assentire all'Aia, se l'impianto era già in partenza ampiamente fuori norma? Con un inversione dell'ordine del discorso la logica che si applicava non era "tu azienda rientri nei limiti, poi io ti autorizzo a funzionare", ma "io ti autorizzo a funzionare se tu mi prometti che forse un giorno rientrerai nei limiti". In ogni caso, fra le condizioni poste dalla Regione per dare il via libera, non aveva trovato spazio nessuno dei "dieci punti" richiesti dal movimento ambientalista tarantino. I parchi primari restavano scoperti, non solo per il dolo di un funzionario corrotto, ma per decisione politica. Alla fine le blande prescrizioni della Giunta Vendola non trovarono difficoltà ad essere recepite all'interno dell'Aia, mentre "Altamarea", si ritenne "tradita e ingannata come l'intera città", e da quel momento "considerò avversari la Regione e gli Enti Locali protagonisti del clamoroso voltafaccia"(15). Una frattura insanabile resa ancora più profonda dal perpetrarsi di ulteriori insulti all'intelligenza da parte della propaganda vendoliana.
A fine novembre, un videomessaggio(16) del governatore rinverdiva la vecchia retorica trionfalista, inneggiando ai risultati dell'ultimo rilevamento della diossina sull' E312: "Gli ultimi dati dicono 0,2 nano-grammi per metro cubo. E' un dato straordinario! Una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo! Abbiamo non chiacchierato, non innalzato polveroni polemici. Abbiamo operato per amore di Taranto". In piena verve autocelebrativa, Vendola ometteva distrattamente di dire che nelle misurazioni precedenti la diossina dell' E312 aveva spallato di brutto, ed anche che quel monitoraggio durava appena 9 giorni all'anno ignorando i restanti 356. Ma soprattutto, dimenticava che le emissioni dell'E312 erano solo la punta dell'iceberg.
La Relazione sui dati ambientali 2009 dell'Arpa Puglia precisava infatti che "la presenza di diossine nelle deposizioni del quartiere Taranto Tamburi non è dovuta alla emissioni convogliate del camino E312, ma piuttosto a quelle diffuse/fuggitive", cioè non captate dagli aspiratori. Fra le fonti di emissioni diffuse c'erano pure quelle grosse borse (big bags) dove venivano insaccate le polveri abbattute dagli elettrofiltri delle ciminiere, che perdevano inquinanti da tutte le parti(17). In pratica, le diossine dell'E312 venivano prima filtrate, poi insaccate e poi sparse di nuovo nell'ambiente.
Ancora una volta la realtà dello stabilimento si dimostrava lontana anni luce dalla vetrina allestita per rappresentarla. Una farsa che avrebbe potuto continuare all'infinito se, nel gennaio 2012, le perizie disposte dal gip di Taranto non fossero calate su quella vetrina per infrangerla irrimediabilmente. Le perizie -chimica ed epidemiologica(18)- inchiodavano in una sorta di J'accuse i Riva alle loro responsabilità, e i governanti nazionali e locali alle loro ipocrisie. "La risposta è affermativa", scandivano, per la diffusione di sostanze pericolose, per l'avvelenamento della terra, del cibo e del bestiame, per l'omissione di misure antinfortunistiche e di salvaguardia ambientale. "La risposta è affermativa", per 75 morti operaie e 1.696 malattie professionali. "La risposta è affermativa" per 386 decessi fra la popolazione, per 237 casi di tumore, oltre a migliaia di ricoveri per malattie respiratorie (soprattutto in età pediatrica), cardiache, neurologiche e renali.
Contemporaneamente l'incriminazione dei Riva -Emilio e Nicola- con altri tre dirigenti del siderurgico suggeriva al governatore che forse l'enfasi sulla "nuova era nei rapporti tra industria e comunità di Taranto" andava prudentemente messa da parte. Per non restare travolto dal crollo di quell'enorme castello di cazzate pazientemente costruito in tanti anni di esercizi retorici, in marzo il Presidente della Regione Puglia chiedeva al neoministro Corrado Clini la revisione dell'Aia, la stessa che appena otto mesi prima aveva ricevuto il suo parere favorevole. Forse già prevedeva che da lì a poco il precipitare della situazione lo avrebbe costretto a nuovi e più complicati equilibrismi.
 
Note.
1. Ministero dell'ambiente, Autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto, 14 agosto 2011, p. 822. Dall'entrata in vigore del D.Lgs. 59/05, gli impianti industriali sono soggetti, per poter funzionare, ad autorizzazione integrata ambientale, che comprende le autorizzazioni relative a emissioni in atmosfera, scarichi idrici, rifiuti. Ai fini dell'AIA il gestore dell'impianto si impegna ad attuare le "migliori tecniche disponibili" tra quelle tecnicamente realizzabili ed economicamente sostenibili, al fine di garantire le migliori prestazioni ambientali. Giocando sulla ampia interpretabilità dei concetti di "tecnicamente realizzabile" ed "economicamente sostenibile", gli industriali spingono per fare il minimo indispensabile e a poco prezzo. In genere gli enti autorizzatori (Ministeri, Regioni) felicemente accondiscendono.
2. Tribunale di Taranto, Riesame avverso ordinanza emessa dal GIP in data 25 luglio 2012, 7 agosto 2012, p.14.
3. Ministero dell'ambiente, Autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto, 14 agosto 2011, p. 163 e p.172
4. Stefania Prestigiacomo, al suo arrivo al Ministero dell'Ambiente, si premurò subito di cambiare i componenti della Commissione Ippc, quella che redige i pareri istruttori per le autorizzazioni integrate ambientali. Gli "esperti" da lei scelti, sostituiti a studiosi di chiara fama, mostravano curricula di tutto rispetto in termini di incompetenza, precedenti penali, conflitti di interesse. Nel dettaglio: Sandra Amurri, Giochi di Pestigiacomo, L'Espresso, 7 novembre 2008.
5. Ministero dell'ambiente, Autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto, 14 agosto 2011, p. 110
6. Ibidem, p.236
7. Ibidem, p.968. Sulla nocività del pet coke: Bosco ML, Varrica D, Dongarrà G., Case study: inorganic pollutants associated with particulate matter from an area near a petrochemical plant, in Environ Res. 2005 Sep;99(1), pp.18-30; Pet-coke sinonimo di inquinamento secondo l'Università di Palermo, adnkronos, 13 gennaio 2005.
8. Dichiarazione a Telerama, agosto 2011.
9. Corrado Clini, Direttore generale del ministero dell'ambiente e futuro ministro, definito nelle intercettazioni come "un uomo nostro" dal responsabile delle pubbliche relazioni dell'Ilva Girolamo Archinà; Luigi Pelaggi, Capo dipartimento del ministero dell'Ambiente, beccato a rassicurare l'avvocato dei Riva sul fatto che la Commissione Ippc aveva accettato il 90 % delle osservazioni dell'azienda. Pelaggi dava precise istruzioni al Presidente della Commissione Ippc Dario Ticali su come procedere a favore dell'Ilva. Vedi: La nota della Gazzetta, La Gazzetta del Mezzogiorno, 4 agosto 2012. Aria pulita e un po' di chiarezza su Taranto, La Repubblica, 08 agosto 2012 - sez. BARI.
10. Mario Diliberto, Giuliano Foschini, "Così i vertici eludevano i controlli", La Repubblica, 17 agosto 2012. Mario Diliberto, Ma il funzionario regionale in commissione fece passare la norma gradita al siderurgico, La Repubblica, 19 novembre 2013
11. Clara Gibellini, Ilva di Taranto, al via la settimana decisiva su sforamento emissioni e autorizzazioni, Il Fatto Quotidiano, 02 luglio 2011.
12. I dieci punti: 1° Massima capacità produttiva di 10,5 milioni di tonnellate/anno anziché 15; 2° Durata dell'AIA di 5 anni anziché 6 3° Mancanza di certificato prevenzione incendi e nulla osta dell'analisi di rischio di incidente rilevante; 4° Controllo della diossina anche attorno ai filtri, raffreddatori, ecc. e numero massimo di sforamenti della concentrazione fissata, superato il quale scatterebbe l'arresto dell'impianto; 5° Limite quantitativo annuo delle emissioni complessive degli inquinanti con progressiva ma drastica riduzione nel tempo: 6° Controllo del B(a)P anche all'interno dello stabilimento con limite emissivo di 150 ng/mc sul piano coperchi della cokeria (limite adottato in Francia); 7° Controllo e monitoraggio degli inquinanti nelle acque di processo degli impianti non diluite da acque di raffreddamento, piovane, ecc. e quantitativi massimi di inquinanti scaricati in mare; 8° Copertura dei parchi primari come quella in corso sui carbonili di ENEL Brindisi; 9° Bonifica dei siti inquinati; 10° Forti sanzioni fino al fermo dell'impianto in cui venissero violate le prescrizioni dell'AIA
13. Lettera aperta di Biagio de Marzo (Altamarea) al presidente Vendola, 6 dicembre 2011
14. Arpa Puglia, Monitoraggio di diossine all'ILVA di Taranto: risultati del campionamento di maggio 2011, 27 giugno 2011
15. Lettera aperta di Biagio de Marzo (Altamarea) al presidente Vendola, 6 dicembre 2011 16. Videomessaggio del 30 novembre 2011.
17. Rai TV7, I "figli dell'Ilva" di Taranto, 9 marzo 2012, min. 00,40.
18. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull'Ilva di Taranto, 2012, Annibale Biggeri, Maria Triassi, Francesco Forastiere, Conclusioni perizia epidemiologica sull'ILVA di Taranto, 2012.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Nel luglio 2012 gli arresti (ovviamente domiciliari) di Emilio e Nicola Riva, assieme alla prospettiva del sequestro giudiziario dell'area a caldo del siderurgico tarantino, si abbatterono sulla politica locale e nazionale con l'effetto di un cataclisma. Governo e Regione assistettero con sgomentato stupore ad un evento tanto imprevisto quanto inaudito: qualcuno in Procura non era più disposto a farsi coglionare dai Riva all'infinito, ad accettarne la pervicace recidiva dopo le reiterate condanne per reati ambientali, ad accontentarsi di interventi cosmetici al posto di un reale risanamento del siderurgico.
Per impedire l'orrida prospettiva dei sigilli allo stabilimento, quell'estate scesero dall'empireo romano tutti i numi tutelari dei padroni delle ferriere, a cominciare dai ministri Passera(1) e Clini (2) sorretti dallo schieramento bipartisan delle forze politiche che nel corso degli anni patron Riva aveva generosamente foraggiato(3). Si era all'inizio di un duro scontro fra poteri istituzionali, che avrebbe visto il governo Monti e i vertici degli enti locali contrattare con l'Ilva gli interventi per bypassare la Procura di Taranto, tentando di bloccare per via politica/amministrativa le decisioni del Gip Patrizia Todisco. Su questo terreno anche la Regione Puglia non fece mancare il suo apporto, distinguendosi per l'iperproduzione di provvedimenti che, al di là del loro contenuto tecnico, vennero unanimemente considerati come un tentativo di evitare il fermo degli impianti da parte della magistratura(4).
Eppure le perizie(5) chimica ed epidemiologica a supporto delle decisioni del Gip avevano disvelato con semplicità e crudezza che l'Ilva uccideva ancora e non aveva mai smesso nemmeno dopo i vari protocolli di intesa, dopo le leggi regionali antinquinamento, dopo i "numerosi interventi di ambientalizzazione" osannati dal governatore pugliese. Le perizie mettevano spietatamente a nudo l'inconsistenza dei risultati delle politiche ambientali contrattate negli anni con il potere industriale, demolivano a colpi di realtà la retorica con cui tali politiche erano state ammantate.
I nuovi provvedimenti regionali non si ponevano certo in discontinuità con questo passato fallimentare, a cominciare dal Protocollo di intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto(6) siglato il 26 luglio 2012 da Regione e Ministeri. In realtà il protocollo, smentendo il parere di quei malevoli che ne sostenevano l'inefficacia, diede immediatamente un primo risultato tangibile: quello di fornire l'inequivocabile dimostrazione che della magnitudine e gravità del problema, governatore e ministri non avevano ancora capito un cazzo. Col Protocollo venne annunciato al popolo lo stanziamento di 336 milioni di euro, di cui 100 regionali, il resto dello Stato e solo 7,2 di parte privata. In realtà si trattava - per un terzo della somma - di risorse già assegnate negli anni precedenti per interventi promessi e mai attuati. 21 milioni per il risanamento del Mar Piccolo dal Pcb -la tossica eredità dell'Arsenale Militare- erano già stati stanziati (e poi persi) nel 2006, mentre 79 milioni per la riqualificazione ambientale dell'area SIN di Taranto erano nelle previsioni di un altro protocollo del 2009.
Insomma, i fondi per le bonifiche somigliavano agli aerei delle parate militari di Mussolini, nel senso che erano sempre gli stessi che giravano. Ma soprattutto, la somma con cui si prometteva di aggredire l'inquinamento tarantino appariva del tutto ridicola di fronte ai veri costi di ambientalizzazione e bonifica dell'Ilva, che da lì a poco sarebbero stati stimati dalla Procura in otto miliardi di euro (giustamente posti a carico dei Riva). Tre mesi prima, il governo aveva stanziato soldi veri, cinque miliardi, per il disinquinamento e la riconversione produttiva di Porto Marghera(7). Lo scarto fra le cifre necessarie e quelle annunciate era segno di una grave responsabilità politica. Del fatto cioè che nessuna istituzione, nazionale o locale, si era mai posta il problema non dico di risolvere, ma nemmeno di scomodarsi a valutare l'entità del disastro ambientale a Taranto, del quale si continuava ad ignorare anche l'ordine di grandezza. Figuriamoci, quindi, se tali istituzioni avessero una pallida idea su aspetti più complessi, quali ad esempio le modalità operative di un ipotetico risanamento della discarica interna all'Ilva (la Mater Gratiae), il cui percolato tossico si avvicina sempre più alla falda acquifera, o dei terreni agricoli inquinati dalla diossina nel raggio di 20 km dal camino E312, o dei fanghi chimici scaricati a iosa nel Mar Grande. Dunque, di che cosa si stavano riempendo la bocca in quel luglio tarantino? Qualcuno provò anche ad andarlo a chiedere al "rivoluzionario gentile", ma, alla faccia delle gentilezza, venne sommariamente tacciato di "ambientalismo fondamentalista e isterico"(8).
Comunque, anche se del tutto insufficienti per le bonifiche, al governatore e al ministro 336 milioni da sbandierare come propaganda bastavano, almeno per assegnarsi il ruolo salvifico di valorosi nocchieri in grado di portare Taranto fuori dalla tempesta. Alla Regione venne data la guida della cabina di regia per l'utilizzo dei fondi, una sorta di "guardia al bidone vuoto", considerando il fatto che il patto di stabilità ne avrebbe a lungo impedito l'utilizzo(9) . Oggi, a un anno e mezzo di distanza, per gli "interventi urgenti" di bonifica del Mar Piccolo non sono state ancora scelte nemmeno le metodiche(10). Tornando a quei giorni di luglio, la Regione partorì anche la Legge n. 21/2012(11), "Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale". Essa introduceva la valutazione del danno sanitario (VDS), che a detta del governatore sarebbe diventata un "parametro cogente per valutare se un'impresa che non si ambientalizza debba restare o meno in vita". Detta così poteva sembrare una figata, una nuova arma per obbligare l'Ilva a smettere d'uccidere, pena la chiusura. Peccato che la Giunta Vendola, dalla legge sulla diossina in poi, si fosse specializzata nella costruzione di armi che, al momento della battaglia venivano riposte dentro il fodero. Questa in particolare, poi, presentava già nei suoi presupposti un pericolosissimo doppio taglio.
La valutazione del danno sanitario, sulla base della quale la Regione avrebbe formulato i suoi pareri nei procedimenti di autorizzazione integrata ambientale, doveva infatti basarsi sulle mappe epidemiologiche delle principali malattie causate dall'inquinamento industriale, mappe che all'epoca non esistevano e che oggi, a parte il registro tumori, ancora non esistono. Con questa premessa si ponevano le basi non per la valutazione, ma per una pesante sottostima del danno sanitario, soprattutto per quello non cancerogeno, e di conseguenza per pareri autorizzatori tali da permettere alle industrie di provocare ulteriormente malattia e morte. L'anno seguente i risultati della prima VDS sullo stabilimento Ilva avrebbero confermato in pieno questa fosca previsione.
Intanto, in quell'estate calda del 2012, a Taranto scoppiava il delirio. Il 26 luglio un'ordinanza del Gip disponeva il sequestro preventivo senza facoltà d'uso degli impianti, affidandoli a tre custodi giudiziari. L'azienda rispondeva sfruttando l'angoscia di migliaia di operai per bloccare la città, facendo organizzare gli scioperi dai capi reparto, con tanto di fornitura di kit dello scioperante (trombette da stadio, striscioni preconfezionati) e con la promessa -poi non mantenuta- della giornata pagata(12). Strani scioperi, che coesistevano con la produzione del siderurgico tirata al massimo. Scesero in campo per spalleggiare l'Ilva le maggiori forze politiche ed il governo tutto, uniti nella corale evocazione di scenari catastrofici per l'intera economia nazionale e dall'apprensione accorata per la sorte dei lavoratori. Un po' sospetta, per la verità, visto che lo stesso governo aveva appena gettato sul lastrico 314.576 esodati, e senza grossi patemi. I media spinsero la drammatizzazione ai massimi livelli ipotizzando la perdita fino a 100.000 posti di lavoro(13), anche se i dipendenti dell'Ilva Spa in tutto il mondo erano circa in 16.300. Veniva enfatizzata la falsa contrapposizione fra ambiente e lavoro, fra interessi degli operai e quelli della città, esponendo i tarantini, oltre che all'inquinamento consueto, ad un'altissima concentrazione di cazzate, una nocività cerebrolesiva per la quale, purtroppo, nessuno ha mai fissato dei valori limite.
Si ometteva di dire che la vera minaccia per il lavoro a Taranto non era la Gip Todisco, ma l'obsolescenza degli impianti, mandati in malora dalla cronica carenza di investimenti. Si ometteva di dire che per Decisione 2012/135/UE, entro marzo 2016 il siderurgico doveva essere comunque già adeguato alle migliori tecnologie disponibili (BAT). Pena la chiusura, imposta non da un tribunale ma dai padroni dell'acciaio nord europei - Germania in testa - poco disposti a subire il dumping ambientale del nostro capitalismo straccione. Paradossalmente il sequestro giudiziario dell'area a caldo fino a risanamento avvenuto (riconfermato il 7 agosto dal Tribunale del riesame) non era solo una scelta obbligata dal punto di vista sanitario e ambientale, ma anche l'unica scelta sensata dal punto di vista industriale. La Procura stava suo malgrado supplendo alla completa assenza di una politica industriale in questo paese, obbligando i Riva a giocare a carte scoperte sulle reali prospettiva dello stabilimento in vista del 2016: volevano continuare così, spremendo il limone fino all'esaurimento, oppure rilanciare investendoci dei soldi grossi? Altrove, nel mondo, la siderurgia puntava sulle tecnologie Corex e Finex, che abbattono il 90 % degli inquinanti eliminando le fasi della cokefazione e dell'agglomerato.
Non qui. Come avrebbe presto dimostrato la guardia di finanza, i soldi grossi dei Riva prendevano la strada delle isole di Jersey(14), non certo quella dell'innovazione di processo. In settembre i custodi giudiziari, bocciando il piano di risanamento presentato dall'Ilva, prescrissero l'adozione di misure drastiche, del tipo: coprire i parchi minerali; spegnere e rifare da capo 7 batterie della cokeria, gli altiforni 1 e 5 e l'acciaieria 1(15). Poteva essere l'occasione per ristrutturare lo stabilimento da cima a fondo, ma i Riva, per bocca del nuovo A.D. Ferrante, scelsero la continuità, promettendo quattro spiccioli e ritocchi superficiali.
La politica nazionale e locale gli resse il gioco: a fine ottobre il riesame dell'Aia recepiva sostanzialmente il piano dell'Ilva, soprattutto rispetto ai lunghi tempi di attuazione dei provvedimenti più importanti e costosi. La fermata e il rifacimento dell'Altoforno 5 (quello più inquinante) che i custodi chiedevano da subito, veniva rimandata a fine giugno 2014, mentre per la copertura dei parchi primari si accordavano all'azienda ancora tre anni. Il rione Tamburi, ancora per tre anni, poteva schiattare di polveri. L'Aia 2012 riportava i limiti alla produzione di acciaio da 15.000 tonnellate annue a 8.000, una prescrizione a cui l'azienda non fece alcuna fatica ad adeguarsi, visto che a ridurre i volumi produttivi entro quei livelli ci aveva già pensato la crisi. La nuova autorizzazione vietava l'uso e stoccaggio del pet coke, precedentemente autorizzato dalla Prestigiacomo, e questa era una buona notizia, come quella della copertura completa dei nastri trasportatori e degli interventi previsti per gli edifici di cokeria, altoforni, agglomerato per limitare le emissioni fuggitive.
Venivano recepite le richieste della Regione Puglia sull'arretramento e abbassamento dei cumuli di minerali e fossili rispetto agli abitati, e le disposizioni per i "wind days". Queste comprendevano la riduzione delle attività della cokeria, della movimentazione di materiali polverosi e della velocità dei mezzi pesanti nei giorni in cui il vento spingeva le schifezze dell'Ilva verso la periferia della città. Tutte misure sensate, ma la cui osservanza da parte dell'azienda è difficilmente controllabile dall'esterno. Nei wind days andava raddoppiata bagnatura e filmatura dei cumuli di materiali polverosi in stoccaggio, provvedimento che, oltre ad essere considerato dagli operai addetti ben poco efficace, scaricava ulteriore inquinamento al suolo e nelle acque superficiali, anche perché i depositi Ilva non sono dotati di impianti di raccolta e trattamento delle acque di prima pioggia(16). L'efficacia dell'insieme di queste misure venne documentata dal servizio delle Iene del settembre 2013, a un anno di distanza dalla conclusione dell'Aia. Le immagini e le interviste mostravano con chiarezza come sul rione Tamburi calassero ancora nubi nere e pesanti, e come il cambio di direzione del vento continuasse a coincidere con l'assalto agli ambulatori pediatrici per le crisi respiratorie dei bambini.
Eppure lo spostamento dei parchi minerali, la bagnatura e filmatura dei cumuli, le misure nei "wind days" risultavano dalle carte(17) come cosa fatta. A qualcuno sorge il dubbio che non servissero a una ceppa, se non a rimandare la copertura dei parchi minerali. Nel servizio di Nadia Toffa si vede chiaramente che della annunciata bonifica del quartiere non vi è nessuna traccia, che i nastri trasportatori carichi di materiali viaggiano ancora scoperti sulla città, che lo slopping (nuvole rosse dall'acciaieria) e le emissioni fuggitive dagli impianti continuano esattamente come prima. Comunque, nonostante la nuova Aia fosse un ennesimo regalo ai Riva, la Regione Puglia diede il parere favorevole di rito(18), ottenendo che fosse previsto il riesame dell'autorizzazione nel caso la Valutazione del danno sanitario dimostrasse delle criticità. Nel maggio seguente, nel primo "Rapporto sulla valutazione del danno sanitario per stabilimento Ilva di Taranto" le criticità per il rischio cancerogeno venivano dimostrate eccome: "La valutazione del rischio cancerogeno inalatorio delle emissioni 2010 dello stabilimento Ilva di Taranto evidenzia che per una popolazione di circa 22.500 persone residenti a Taranto ...le probabilità aggiuntive di sviluppare un tumore nell'arco dell'intera vita, è superiore a 1:10.000. Considerando lo scenario in cui tutte le prescrizioni previste dall'Aia siano attuate, la popolazione esposta a tale livello di rischio si riduce a circa 12.000 residenti"(19). In pratica, ammesso e non concesso che tutte le prescrizioni dell'Aia 2012 venissero attuate (tralasciando, quindi, le numerose inadempienze in merito certificate dall'Ispra), nel 2016, al termine degli interventi di adeguamento, 12.000 tarantini rimarrebbero comunque esposti a un rischio cancerogeno non accettabile. Ce ne sarebbe stato abbastanza per far richiedere alla Regione una revisione dell'Aia, ma anche questa volta, piuttosto che dare battaglia, l'arma venne lasciata nel fodero.
Dalla fine del 2012 venne riaperta in grande stile la stagione dei "decreti salva Ilva", con conseguenze talmente pesanti da porre in secondo piano anche le infinite ambiguità della giunta Vendola. A colpi di decreto legge i governi Monti e Letta imposero la decadenza del sequestro degli impianti, la nomina di un commissario amico della proprietà, ma soprattutto misero al riparo dall'azione giudiziaria i profitti accumulati dai Riva, ipotecando ogni prospettiva di risanamento e bonifica del siderurgico. Da qui l'attuale situazione di stallo di uno stabilimento dalle casse vuote, dove la gestione commissariale non riesce a portare avanti le prescrizioni dell'Aia perché i proventi di decenni di siderurgia si sono volatilizzati off shore. Se è vero, comunque, che gli ultimi provvedimenti dello Stato sono riusciti a far impallidire, a confronto, anche le responsabilità e ipocrisie dimostrate negli anni dal governatore pugliese, non sono stati tali da cancellarle o farcele dimenticare. Al di là della specificità tarantina, esse rimandano infatti a considerazioni più generali sulla rappresentanza politica dei movimenti, sul ruolo della cd "estrema" sinistra istituzionale, sulla condivisibilità o meno dei suoi obiettivi.
(...)
Che conclusioni trarre al termine di questa lunga saga vendoliana? Si potrebbe obiettare che altri avrebbero fatto di peggio, come quel tal Raffaele Fitto filonuclearista e amante degli inceneritori che riceveva contributi elettorali dai padroni dell'Ilva. Ma la logica del meno peggio serve solo a condurci sempre più in fondo. Il metro di giudizio per valutare l'operato Vendola non è il confronto con il suo mostruoso predecessore, ma con tutte le aspettative di cambiamento da lui generate e tradite.
Qual'è infatti il ruolo svolto dal "rivoluzionario gentile" rispetto a quel vasto movimento che nove anni fa ne sostenne l' elezione? Sicuramente annullarne la spinta dal basso, convogliandola dentro il vicolo cieco delle compatibilità. Ma anche qualcosa di peggio: trarne linfa per concretizzare un'idea di sviluppo antitetica alle istanze che quel movimento esprimeva. Ora, al termine del suo mandato, il governatore lascia ai pugliesi una regione un po' più disastrata, e ai movimenti un monito per il futuro: mai delegare l'attuazione dei propri sogni ai rivoluzionari gentili, perché le "rivoluzioni un po' troppo gentili" non mutano i rapporti di produzione, il fine della produzione, i rapporti sociali, che rimangono sempre gli stessi di prima.

 

Note.
1. Il debito di Passera nei confronti di Emilio Riva risale al 2008, quando il patron dell'Ilva investì 120 milioni nell'operazione Alitalia, sponsorizzata dall'ex A.D. di Banca Intesa
2. Corrado Clini, ai tempi in cui era Direttore generale del ministero dell'ambiente, veniva definito nelle intercettazioni come "un uomo nostro" dal responsabile delle pubbliche relazioni dell'Ilva Girolamo Archinà. Vedi: La nota della Gazzetta, La Gazzetta del Mezzogiorno.
3. Negli anni 2004-2006 Riva elargì 575mila euro a Forza Italia, 10mila a Maurizio Gasparri e 35mila all'ex governatore della Puglia e poi ministro Raffaele Fitto. Nel 2006/2007 finanziò la campagna elettorale del PdL con 245.000 euro, quella di Bersani con 98.000 euro . L'ex parlamentare PD Ludovico Vico prese 49 mila euro.
4. Lello Parise, Ilva, legge in extremis contro lo stop, La Repubblica sez. BARI, 17 luglio 2012.
5. Annibale Biggeri, Maria Triassi, Francesco Forastiere, Conclusioni perizia epidemiologica sull'ILVA di Taranto, 2012. M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull'Ilva di Taranto, 2012.
6. Protocollo di intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, 26 luglio 2012
7. Accordo su Porto Marghera. Investimenti per cinque miliardi, Corriere del Veneto, 16 aprile 2012
8. Manolo Lanaro, Ilva, Vendola: "Contro industrialismo cieco e ambientalismo isterico", Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2012.
9. Bonifiche Taranto. Nicastro: I soldi sono in cassaforte, ma non ci danno le chiavi, Comunicato stampa della Giunta regionale del 24 Maggio 2013.
10. Bonifica Mar Piccolo: Confcommercio chiede certezze, Inchiostro Verde, 5 febbraio 2014. 11. Legge Regionale 24 luglio 2012, n. 21
12. Comitato Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti di Taranto, ILVA: a proposito di scioperi e blocchi stradali ... "telecomandati".
13. La stima è quella di Oscar Giannino, che nello stesso articolo del Messaggero del 12/08/12 scriveva che l'impianto dell'Ilva rappresentava il 75 % del PIL della Provincia ........ DI BRINDISI (!!!!), dimostrando una profondissima conoscenza del territorio e dei temi trattati.
14. Roberto Galullo, Con la crisi la ricchezza "vola" nei paradisi fiscali, Il Sole 24 Ore, 13 luglio 2013.
15. Francesco Casula, Taranto, il piano dell'Ilva bocciato dai custodi: ecco i motivi, Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2012.
16. Alessandro Marescotti, Ilva, dove finiscono le acque piovane? E quelle dei fog cannon?, da Peacelink, 12 agosto 2013.
17. Ispra, Tabella riassuntiva trimestrale stato di attuazione prescrizioni ad esito verifica ISPRA, maggio 2013, p. 58.
18. Deliberazione della Giunta regionale, 16 ottobre 2012, n. 2065.
19. Arpa Puglia. Rapporto sulla valutazione del danno sanitario - stabilimento Ilva di Taranto. ai sensi della LR 21/2012. Scenari emissivi pre-AIA (anno 2010) e post-AIA (anno 2016), maggio 2013, p.97.
(Alexik, 2013-2014)

 

 

 

 

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