Desember 2014. De magnalibus Mediolani.

 

 

 

 

 

mappa di Mediolano, Pietro del Massaj, 1459.

 

 

 

 

La notte di San Silvestro 2014 ho deciso di trascorrerla narrando alcuni aspetti della Milano del XIII secolo. Il narratore è Bonvesin de la Riva(1240 ca.-1315 ca.) e i brani sono stralciati dal "De magnalibus Mediolani", manoscritto del 1288 rinvenuto solo nel 1894 da Francesco Novati, filologo cremonese, nella Biblioteca Nacional de España, che lo pubblicò in edizione critica nel 1898. "Il manoscritto è composto di 67 carte non numerate di formato 210 x 290, scritto in parte a due colonne in parte a pagina intera da due mani lombarde della fine del secolo XIII o degli inizi del XIV. ...La legatura che spetta al sec. XVII è in cartone ricoperto di cartapecora con legacci. Sul dorso a grandi caratteri gotici si legge questo titolo Flor. Hist. Auct. Bonvicino de Ripa Mss ... Il titolo vago ed inesatto di Flores Historiarum ... è stato poi ripetuto col contorno di qualche altro errore nel catalogo generale dei codici della Nazionale" (F.Novati, 1898). Bonvesin de la Riva, fu magister, o doctor gramaticae, e dopo un periodo di insegnamento a Legnano, venne ad abitare a Milano in porta Ticinese; fu anche frate terziario dell'ordine degli Umiliati e fece parte dei decani dell'Ospedale nuovo.
Le considerazioni su Milano e i suoi abitanti da lui fatte sono enfatiche, elogiative, encomiastiche; è città ideale o idealizzata, ma rimane interessante comunque la testimonianza eccezionale che riporta al lettore dell'epoca e attuale un carattere di indagine concreta, di ricerca sul campo di notizie e dati tratti dalla vita vera, quotidiana, di Milano. A confronto di tale "reportage" ho inserito nel "mestée del mes" uno studio accademico del 2003 di Roberto Bellosta sulla Milano e territorio limitrofo nei secoli XI-XV.
Intrufolate tra le righe alcune incisioni di Milano di Marcantonio Dal Re tratte da "Vedute di Milano". Le incisioni sono della metà del XVIII secolo non avendo purtroppo trovato riproduzioni relative alla Milano medievale.
La traduzione dal latino del manoscritto di Bonvesin è di Giuseppe Pontiggia.

 

 

 

 

 

Rotonda della Besana - Via E. Besana

 

 

 

 

 

Archivio di Stato - Via Senato

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Stefano - Piazza S. Stefano

 

 

 

 

 

Il Duomo - Piazza Duomo

 

 

 

 

 

Palazzo Durini - Via Durini

 

 

 

 

 

Piazzetta delle galline (scomparsa, titolo in parte errato) - Via Tommaso Grossi

 

 

 

 

Elogio di Milano per la sua posizione.

 


Considerata in rapporto alla sua posizione, la nostra fiorentissima città è famosa perché situata in una bella, ricca e fertile pianura, dove il clima è temperato e fornisce tutto quanto è necessario alla vita umana, tra due mirabili fiumi equidistanti, il Ticino e l'Adda: non senza ragione essa assunse il nome di Mediolanum, come a dire che si trova come una lingua in mezzo ai due fiumi. Alcuni però stranamente affermano che essa prese il nome di Mediolanum da un porco che vi fu trovato con il dorso coperto in mezzo di lana. Anticamente questa città fu anche chiamata Alba perché, essendo la meno macchiata di vizi, brillava più di tutte le altre con fulgente candore. Laa"Storia Lombarda" narra che essa fu fondata dai Galli: perciò alla sua regione diedero il nome di Gallia Cisalpina.
Forse che vi si trovano paludi o acque putride, che corrompono l'aria con le loro nebbie e i loro fetori? No di certo: vi si trovano invece limpide fonti e fiumi fecondatori. Situata quasi a metà strada tra l'ardore del sole e la pianeggiante convalle, essa vanta un clima temperato. Perciò d'inverno il freddo non vi è intollerabile e d'estate l'intensità del caldo non diventa eccessiva. Questa città non è neppure vicina ai litorali marini, dove nella stagione estiva è eccessivo il calore dall'ora nona del giorno fin verso la mezzanotte, mentre poi, fino all'ora terza del giorno, si fa sentire il freddo nocivo di una gelida brezza marina.
Dentro la città non vi sono cisterne né condutture di acque che vengano da lontano, ma acque vive, naturali, mirabilmente adatte a essere bevute dall'uomo, limpide, salubri, a portata di mano, mai scarseggianti anche se il tempo è asciutto, e tanto abbondanti che in ogni casa appena decorosa vi è quasi sempre una fonte di acqua viva, che viene chiamata pozzo. Da una indagine diligente, anche se non del tutto esauriente, ho potuto accertare che più di seimila fonti vive assicurano ogni giorno ai cittadini acqua viva. Ve ne sono moltissime le cui acque risultano al gusto quasi saporite e tale è la loro leggerezza che, versate in recipienti di legno o in ampolle di vetro, in poco tempo li imbevono. A chi ne berrà a sazietà non nuoceranno, perché, fini e leggere come sono, circoleranno, non appena bevute, attraverso i pori delle membra e verranno meravigliosamente digerite.
Anche nel contado vi sono acque di fonte limpidissime, e in alcuni luoghi così gelide che, se d'estate vi si immergono ampolle colme di vino, per rinfrescarlo, i recipienti di vetro si rompono per effetto del freddo, a meno che si tirino fuori dopo breve tempo. Nessun'altra città del mondo si sa o si pensa abbia tale ricchezza e abbondanza di simili fonti. Oso anzi apertamente proclamare che il valore delle abbondanti e preziose acque di Milano è superiore a tutto il vino e l'acqua messi insieme di certe altre città. E questo posso anche affermare con sicurezza: quante città comprerebbero per il proprio comune, se fosse possibile, anche solo tre delle nostre fonti al prezzo di duecentomila marche d'argento! Il territorio di Milano produce in abbondanza, come ciascuno può constatare, biada, vino, legumi, frutta, alberi, fieno e altri beni. Dunque per il suo clima, per le sue acque, per la sua fertile e bellissima pianura, Milano è situata in una posizione mirabile; fulgida prova ne è il fatto che vi si trovano numerosissime persone molto vecchie, uomini e donne, che ci vivono fino a età decrepita, come pure il fatto che la fecondità delle famiglie, la densità della popolazione, la prosperità di ogni bene sono ogni giorno, per grazia di Dio, mirabilmente in aumento.

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Maria della Grazie - Corso Magenta

 

 

 

 

 

Casa degli Omenoni - Via degli Omenoni

 

 

 

 

 

Palazzo dei Vigili - Piazza Beccaria

 

 

 

 

 

Lazzaretto (scomparso) - Un piccolo resto in via S. Gregorio

 

 

 

 

 

Basilica di S. Lorenzo - Corso di Porta Ticinese

 

 

 

 


Chiesa di S. Babila - Piazza S. Babila

 

 

 

 

Elogio di Milano per le sue abitazioni.

 


Quanto alle abitazioni tanto... verità alla vista di chi osserva. Vi sono in questa città vie assai larghe, palazzi assai belli, numerose case, non sparse, ma contigue, decorose, decorosamente ornate. Le porte a battenti che danno sulle pubbliche vie arrivano, secondo gli accertamenti, al numero di dodicimilacinquecento circa. In moltissime case più famiglie coabitano con una moltitudine di servi: da ciò si deduce la mirabile densità della popolazione. I porticati comuni a edifici vicini in quelle piazze chiamate generalmente "coperti" ascendono fino a circa sessanta. La corte del comune, degna di tale e tanta città, occupa una superficie di dieci pertiche o pressappoco. E perché qualcuno possa forse intendere meglio, dirò che da oriente a occidente misura centotrenta cubiti, e da settentrione a mezzogiorno centotrentasei. Al suo centro sorge un mirabile palazzo; nella stessa corte vi è inoltre una torre, con quattro campane del comune. Sul lato orientale vi è il palazzo dove hanno sede il podestà e i giudici, e all'angolo settentrionale di questo palazzo vi è la cappella del podestà, costruita in onore del nostro patrono, il beato Ambrogio. Il lato settentrionale è chiuso da un altro palazzo e quello occidentale da un altro ancora. Sul lato meridionale vi è una loggia, dove viene fatta lettura pubblica delle sentenze dei condannati.
Questa stessa città ha forma circolare, a modo di un cerchio; tale mirabile rotondità è il segno della sua perfezione. Un fossato di sorprendente bellezza e larghezza circonda questa città da ogni parte e contiene non una palude o uno stagno putrido, ma l'acqua viva delle fonti, popolata di pesci e di gamberi. Esso corre tra un terrapieno all'interno e un mirabile muro all'esterno, il cui circuito, misurato con estrema accuratezza, è risultato corrispondere a diecimilacentoquarantuno cubiti. La larghezza del fossato, lungo l'intero circuito intorno alla città, è di trentotto cubiti. Al di là del muro del fossato vi sono abitazioni suburbane tanto numerose che basterebbero da sole a formare una città. E nota che il cubito di cui sto parlando è lungo due piedi e largo altrettante dita di un uomo di grande statura. Si girino tutte le città del mondo: difficilmente si potrà trovare un'opera di così grande pregio e così mirabile bellezza. Anche le porte principali della città sono solidissime e arrivano al numero di sei. Le porte secondarie sono invece dieci, si chiamano "pusterle" e hanno tutte, come si può osservare, il mirabile fondamento, da ogni parte, di un mirabile muro. Ciascuna delle porte principali ha due torri, non però finite, le cui basi solidissime poggiano anch'esse su un fondamento solidissimo.
Le chiese, degne di tale e tanta città, sono, soltanto entro le mura, circa duecento, con quattrocentottanta altari. Onde chi desideri verificarlo, vada pure a osservare attentamente, dentro e fuori, la chiesa del beato Lorenzo maggiore, che si dice sia stata costruita da una regina di nome Galla Patrizia, con le sedici colonne all'esterno, e tutte le altre chiese, tanto numerose e tanto grandi e di tale qualità, e vedrà le meraviglie di Dio, che in un'altra città mai o rarissimamente gli sarà dato di ammirare. Ed è mirabile come e quanto questa città veneri la vergine Maria. Solo al suo culto infatti sono principalmente dedicate in città trentasei chiese e nel contado sicuramente più di duecentoquaranta. In città i campanili, costruiti alla maniera delle torri, sono circa centoventi e più di duecento le campane; nel contado invece il loro numero è imprecisato e non ne faccio e non ne farò menzione. Se infine qualcuno avesse piacere di vedere la forma della città e la qualità e quantità dei suoi palazzi e di tutti gli altri edifici, salga con grato animo in cima alla torre della corte comunale: di lassù, dovunque volgerà lo sguardo, potrà ammirare cose meravigliose.

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Carlo (scomparsa) - Via Moscova, accanto all'ex chiesa di S. Teresa

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Giorgio al Palazzo - Via Torino

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Sepolcro e Ambrosiana - Piazza S. Sepolcro

 

 

 

 

 

Basilica di S. Ambrogio - Piazza S. Ambrogio

 

 

 

 

 

Portale del Seminario Maggiore - Corso Venezia

 

 

 

 

 

Castello Sforzesco

 

 

 

 

Elogio di Milano per i suoi abitanti.

 


Considerata in rapporto ai suoi abitanti, Milano, rispetto a tutte le altre città del mondo, mi sembra la più splendida. I nativi di Milano di ambo i sessi sono di una statura particolare, hanno aspetto sorridente e piuttosto benevolo, non ingannano, usano malizia meno degli altri popoli, così che sono distinguibili anche più degli altri dalle restanti popolazioni. Vivono con decoro, ordine, larghezza, dignità, indossano vesti onorevoli; dovunque si trovino, in patria e fuori, sono piuttosto liberi nello spendere, onorano e fanno onore, e sono urbani nel loro modo di comportarsi e di vivere.
Come il loro idioma, tra le diverse lingue, si parla e si capisce più facilmente di ogni altro, così essi stessi, tra qualsiasi gente, sono riconoscibili dal solo loro aspetto. Sono religiosi più di tutti gli altri, a qualunque patria appartengano... fuori dalla loro patria più probabilmente... Non sono dunque, tra tutte le genti, i più degni di stima? A questo punto qualcuno mi obietterà: "Perché colmi di tante lodi Milano per i costumi dei suoi abitanti? Non sono forse noti a tutti i loro odi e tradimenti reciproci, le loro discordie civili, le loro crudeli distruzioni? Dunque tu non parli a proposito".
Rispondo che questo argomento non ha valore, come non lo avrebbe quest'altro: "Tra i dodici apostoli vi furono dissensi, vi fu il tradimento di Giuda, vi fu anche chi rinnegò Cristo tre volte; dunque gli apostoli non si dovrebbero affatto lodare". Magari un altro obietterà ancora: "Perché, se hanno le qualità che tu decanti, la loro bontà non mette un freno a tanta malvagità". Rispondo: "Perché la potenza temporale tocca più spesso ai corrotti, e i figli delle tenebre, nelle loro iniquità, operano spesso con più passione e cautela che i figli della luce nelle loro opere. Questo lo lascio a voi: io continuerò a trattare quello che mi sono proposto".
Perché non dovrebbe essere giusto il mio calcolo, se soltanto nella popolosissima città vi sono sicuramente centoquindici parrocchie, tra le quali ve ne sono alcune che annoverano senz'altro più di cinquecento famiglie e altre che ne annoverano circa mille? Quante comunque siano le bocche umane che abitano una città così grande lo calcoli chi ci riesce. Se lo saprà fare fino in fondo, arriverà, ne sono convinto, alla somma di duecentomila circa, giacché serie e accurate indagini hanno provato con certezza che nella sola città si consumano ogni giorno, in media, milleduecento moggi di grano e anche più; e la verità di questa asserzione è garantita da quelli che fanno pagare ai mulini i tributi sul grano macinato.
Se uno vuole sapere quanti possano essere i guerrieri in una guerra, sappia che complessivamente abitano questa città più di quarantamila uomini, capaci ciascuno di maneggiare singolarmente contro i nemici una lancia o una spada o un'altra arma. Quanti cavalieri atti alla guerra sia in grado di mettere in campo questa città lo posso dichiarare, giacché più di diecimila uomini, tra essa e il contado, potrebbero facilmente presentarsi, a un ordine del comune, con cavalli da guerra; e affinché anche delle cose analiticamente dette la verità enucleata risplenda in qualche modo più luminosa, per altra via, alcuni nuclei li snoderò dalle pieghe dell'insieme.
Vi sono nella sola città centoventi giureconsulti in entrambi i diritti, e il loro collegio, sia per numero sia per sapienza, si crede non abbia l'uguale in tutto il mondo. Tutti costoro, pronti a emettere giudizi, accettano volentieri denaro dai litiganti. I notai sono più di millecinquecento; moltissimi tra loro sono ottimi estensori di contratti. I messi del comune, che la gente chiama servitori, sono sicuramente seicento. Sei sono i trombettieri principali del comune, uomini dignitosi ed egregi, i quali, in onore della loro così grande città, non solo possiedono cavalli, ma conducono anche una vita decorosa alla maniera dei nobili. Essi suonano la tromba in modo mirabile, diverso da quello di tutti gli altri trombettieri del mondo. Il clangore stesso delle loro trombe, terribile e oltremodo adatto ai tumulti delle battaglie, e di cui non ne abbiamo udito un altro simile in tutto il mondo, esprime a un tempo la grandezza e la forza di questa città. I periti medici, che vengono chiamati comunemente fisici, sono ventotto. I chirurghi delle diverse specialità sono più di centocinquanta. Moltissimi di loro sono eccellenti medici naturalmente, perché continuano a esercitare, per antica tradizione di famiglia, la chirurgia appresa dai loro predecessori. Si crede che non possano avere l'uguale nelle altre città della Lombardia.
I professori di grammatica sono otto; ciascuno di essi tiene sotto la propria bacchetta una numerosa scolaresca. Ho effettivamente constatato che essi superano i dottori delle altre città, insegnando la grammatica con grande impegno e diligenza. Quattordici sono i dottori espertissimi in canto ambrosiano; da ciò si può dedurre quanto siano numerosi in questa città i chierici. I maestri elementari superano il numero di settanta. I copisti, benché in città non vi sia Studio generale, superano il numero di quaranta. Trascrivendo ogni giorno libri con le loro mani, essi provvedono al pane e alle altre spese.
I forni che in città, come si sa dai registri del comune, cuocciono il pane ad uso dei cittadini sono trecento. Ve ne sono anche moltissimi altri esenti, che servono monaci o religiosi di ambo i sessi; penso siano più di cento. I bottegai, che vendono al minuto un numero incredibile di mercanzie, sono sicuramente più di mille. I macellai sono più di quattrocentoquaranta; nei loro macelli vengono vendute in abbondanza ottime carni di ogni tipo di quadrupedi adatti al nostro consumo. I pescatori che quasi ogni giorno pescano in abbondanza nei laghi del nostro contado, più di diciotto, pesci di ogni tipo, trote, dentici, capitoni, tinche, temoli, anguille, lamprede, granchi e ogni altro genere infine di pesci grossi o minuti, e che pescano nei fiumi, più di sessanta, e che portano in città pesce pescato nei ruscelli innumerevoli dei monti, assicurano di essere più di quattrocento.
Gli albergatori che a pagamento danno albergo a gente che viene di fuori sono circa centocinquanta. I fabbri che attaccano zoccoli di ferro ai quadrupedi sono circa ottanta; da questo si può dedurre l'abbondanza dei cavalieri e dei cavalli. Quanti siano i fabbricanti di selle, di freni, di sproni e di staffe, non sto a dirlo. I fabbricanti di campanelle di oricalco che, appese al collo dei cavalli, danno un dolce suono e non sappiamo se vengano fabbricate anche altrove, sono più di trenta; ciascuno di loro ha sotto di sé molti collaboratori che lo aiutano nell'arte sua. Se volessi elencare ordinatamente anche il numero degli artigiani di ogni tipo, dei tessitori di lana, di lino, di cotone, di seta, dei calzolai, dei conciatori di pelli, dei sarti, dei fabbri di ogni genere e così via, e poi dei mercanti che girano ogni parte della terra per i loro mercati e sono parte importante nelle fiere delle altre città, e infine dei merciai ambulanti e dei venditori all'asta, io credo che quanti mi leggono e mi ascoltano ammutolirebbero, per così dire, dallo stupore.

 

 

 

 

 

Ospedale Maggiore - Via Festa del Perdono

 

 

 

 

 

Palazzo Reale - Piazza Duomo

 

 

 

 

 

Basilica di S. Eustorgio - Piazza S. Eustorgio

 

 

 

 

 

Palazzo della Ragione - Piazza Mercanti

 

 

 

 

 

Monastero di S. Ambrogio (Università Cattolica) - Largo A. Gemelli

 

 

 

 

 

Basilica di S. Vittore - Piazza S. Vittore

 

 

 

 

Elogio di Milano per la sua fertilità e la sovrabbondanza di ogni bene(I).

 


L'eccellenza di Milano, considerata in rapporto alla fertilità del suo territorio e alla sovrabbondanza di ogni bene utile all'uomo, appare ormai chiara, ma la spiegherò con maggiore evidenza. I nostri territori, fertili di feraci frutti, producono una così grande e così mirabile abbondanza di ogni sorta di granaglie, grano, segale, miglio, panico, donde si ricava il paniccio e di qualsiasi specie di legumi da cuocere e ottimi da mangiare, fave, ceci, fagioli, cicerchie, lenticchie, che, distribuendoli in diversi luoghi, non solo suppliscono alla mancanza di viveri della città di Como, ma, esportati, rifocillano anche i popoli transalpini.
Perché dubitarne, quando molti l'hanno obiettivamente constatato? Chi potrebbe dire, a questo proposito, di essersi ingannato nelle proprie valutazioni, quando più di trentamila paia di buoi sono impiegati nella coltivazione dei nostri territori? Si producono anche in abbondanza rape e navoni, che assicurano un cibo non poco utile a ricchi e poveri nella stagione invernale. I nostri campi producono anche in sterminata e incredibile abbondanza il lino. I verdeggianti frutteti, e anche gli orti, i campi e le vigne sono spessissimo ricchi di ottimi frutti quasi di ogni genere, che offrono al gusto dell'uomo il piacere di un buon sapore. Producono infatti ciliegie aspre e ciliegie dolci di ogni genere, sia domestiche sia selvatiche, in così grande abbondanza che talora accade se ne trasportino più di sessanta carri in un solo giorno dentro le porte della città; dalla metà di maggio fin quasi alla metà di luglio esse si trovano in vendita in città a qualsiasi ora. Lo stesso vale per le prugne, bianche, rossicce, gialle, damaschine, che, in abbondanza quasi sterminata, vengono vendute mature dalla fine di giugno fino al mese di ottobre.
Nello stesso periodo in cui cominciano ad apparire le prugne, appaiono in sovrabbondanza anche le pere e i pomi estivi e le more e quei fichi che vengono chiamati fioroni; seguono le nocciole domestiche, poi le corniole, più adatte alle donne, e anche le giuggiole e le pesche in mirabile sovrabbondanza, e così fichi e uve di diverse qualità; e ancora le mandorle, benché poche, le nocciole selvatiche, le noci in abbondanza incredibile, che i cittadini, cui questo piace, usano mangiare per l'intero corso dell'anno alla fine di ogni pasto. Le triturano anche e le impastano con uova e cacio e pepe, facendone un ripieno per le carni nella stagione invernale. Dalle noci ricavano pure l'olio, che da noi viene usato largamente. Appaiono poi le pere e i pomi invernali e i pomi cotogni, tutti frutti di cui i nostri concittadini si cibano largamente per l'intero inverno e oltre.
Appaiono anche i pomi granati, buoni generalmente per coloro che sono ammalati. Abbondano le uve delle diverse qualità, che appaiono mature verso la metà di luglio e si trovano in vendita fino ai primi giorni di dicembre o pressappoco. Appaiono poi, in quantità immensa, le castagne, quelle comuni e quelle nobili, che vengono chiamate "marroni", vendute in abbondanza, per l'intero corso dell'anno, tanto ai cittadini quanto ai forestieri. Cucinate in diverse maniere esse rifocillano abbondantemente le nostre famiglie. Si fanno cuocere verdi sul fuoco e si mangiano dopo gli altri cibi al posto dei datteri e a mio giudizio hanno un sapore più buono di quello dei datteri. Spesso si lessano senza guscio e, cotte così, molti le mangiano con i cucchiai; oppure, buttata via l'acqua di cottura, spessissimo le masticano senza pane, o anzi al posto del pane. Si danno anche ai malati, dopo averle disseccate al sole e poi cotte a fuoco lento. Le nespole appaiono numerosissime nel mese di novembre, invise ai giocatori spogliati dai dadi. Le bacche di olivo si raccolgono in qualche luogo del nostro contado, anche se non sono estremamente sovrabbondanti, e così pure le bacche di lauro, da prendersi con il vino caldo solamente contro il male di ventre. Vi sono anche altre qualità di frutta, ma per ora basti quanto si è detto. La nostra terra invece non produce datteri né pepe né le numerosissime spezie d'oltremare: non mi dispiace, perché tali piante le producono solo luoghi aridi e torridi.
Vi sono anche gli orti, che fioriscono per l'intero corso dell'anno e producono in abbondanza legumi di ogni genere: cavoli di tutte le varietà, bietole, lattughe, atriplici, sedano, spinaci, prezzemolo, finocchio, aneto, cerfoglio, anice, nepitella, zucche di ogni genere, di orto e di siepe, aglio, porri, pastinache comuni, alfaneria, che è una specie di pastinaca con la cui radice si fa un ottimo e sano composto, borraggine, senape, zafferano, liquerizia, erba cetrina, portulaca, papavero, marrobbio, malvavischio, anagallide o consolida maggiore, enula, ruta, dragonzio, latteride o esula spinosa, che, triturata un poco e cotta, poi bevuta nel vino, si dice sia medicina efficace contro il male di ventre; anche issopo, che ripulisce il petto dal catarro, e molte altre erbe medicinali; anche salvia, menta, basilico, santoreggia, maggiorana e altre erbe che offrono al nostro olfatto un odore gradevole.
Nei giardini poi crescono il trifoglio e le erbe e i fiori, tra i quali le viole, le rose e altri generi di fiori, che ricreano gli occhi di chi li guarda e solleticano le narici di chi li odora: tra tutte la viola, che per prima rinnova a primavera il suo fiore; poi le rose delle diverse specie, la malva marina e gli occhi di Cristo e altri fiori naturalmente variopinti, che riempiono di gioia la vista dell'uomo; poi le fragole, che vi abbondano e sono molto utili, perché danno fiori candidi, poi offrono frutti rossi, graditi al gusto dell'uomo.
I prati sono irrigati da fertili fiumi e da infiniti ruscelli di fonte; essi forniscono, in abbondanza quasi infinita, fieno ottimo per buoi, cavalli, giumenti, pecore e ogni altro genere di bestiame. Per rendere evidente la cosa, dichiaro, anche se apparirà stupefacente, che il solo cenobio di Caravalle raccoglie ogni anno dai suoi prati più di tremila carri di fieno, come mi attestano i monaci di quella casa. Più stupefacente apparirà un altro fatto, ma poiché della sua verità garantiscono quegli stessi monaci, dico con sicurezza che nel contado di Milano i prati sono tanti da assicurarci ogni anno più di duecentomila carri di fieno, e poiché di questo fieno si pascono i buoi, le pecore, le capre, i cavalli, i muli e gli asini, non gli uomini e i cani, chi riuscirà dunque a immaginare l'infinito numero di quei quadrupedi? Essi inoltre non si pascono di solo fieno, ma sono condotti spessissimo a pascolare fra erbe e frondi e si nutrono nelle stalle anche di erba verde, di gambi d'orzo, di rape, di avena e di molte altre biade. Le ville poi largamente forniscono e doviziosamente elargiscono alle mense cittadine quadrupedi da ingrasso e inoltre latte, uova, miele e molti altri beni. Assicurano alla città anche lana ordinaria in abbondanza: quella gentile si fa venire da altri luoghi.

 

 

 

 

 

Chiostro del convento di S. Vittore (Museo della Scienza e della Tecnica) - Piazza S. Vittore

 

 

 

 

 

Palazzo Arcivescovile (scomparsa la ponticella) - Piazza Fontana

 

 

 

 

 

Palazzo delle Stelline - Corso Magenta

 

 

 

 

 

Palazzo Litta (visto da via Puccini) - Via L. Illica

 

 

 

 

 

Palazzo Isimbardi - Corso Monforte

 

 

 

 

 

Palazzo Melzi (scomparso) - Via Fatebenefratelli

 

 

 


Elogio di Milano per la sua fertilità e la sovrabbondanza di ogni bene(II).

 


Le vigne numerose producono svariati generi, sia dolci sia aspri, di vini salubri, saporiti, chiari, di colore bianco, giallo, roseo e dorato, in tanta abbondanza che certe famiglie raccolgono ogni anno dalle proprie vigne, al tempo della vendemmia, più di mille carri di vino, altre più di cinquecento, altre più di cento. Sembrerà forse stupefacente anche questa affermazione: che nel contado di Milano più di seicentomila carri di vino, nelle annate buone, vengono messi in botte, come assicurano quanti hanno fatto diligenti indagini e dichiarano di potere offrire valutazioni esatte. Non ho dubbi che siano moltissime le città nei cui territori tutte le viti insieme non riuscirebbero a produrre neppure il vino con cui si ubriacano i nostri beoni e neanche le vinacce da cui esso si spreme. E si noti che dalle nostre vigne si ricavano insieme e in abbondanza quattro prodotti utili all'uomo: primo, perché dalle viti si ricava il vino; secondo, perché dai vari alberi cui sono addossate le viti si raccolgono vari generi di frutta; terzo, perché dalla potatura delle viti e degli alberi si ottiene ogni anno legna da ardere; quarto, perché sotto le viti e gli alberi crescono il grano e altri cereali utili al nutrimento dell'uomo.
Le selve e i boschi e le rive dei fiumi producono legno duro di diverse qualità, adatto a costruzioni e a molti altri usi, e anche l'indispensabile legna da ardere: tanta è la abbondanza della legna destinata al fuoco, che nella sola città è assolutamente certo che se ne bruciano ogni anno più di centocinquantamila carri.
E dirò anche (e appaia mirabile a quelli che intendono): l'olio, anche quello impropriamente detto composto, in qualche luogo dei nostri campi si forma sopra le fave. Inoltre sotto i treppiedi e i piatti nascono, in qualche luogo, tovaglie oppure, sopra le stesse tovaglie, portate di vario genere; in sovrabbondanza nasce l'olio, col cui aiuto nella stagione invernale le tovaglie vengono filate nell'alabro, poi poste nell'arcolaio, quindi nel gomitolo e infine tessute. So che questa è la verità, anche se può sembrare che io, per divagare, mi aggiri nelle oscurità dell'anfibologia. Ma ho scritto così perché i ciechi non vedano, mentre i perspicaci, riflettendo ci con perspicacia, intendano.
Affluiscono nella città, come a una stiva di tutti i beni temporali, pane e vino e carne saporita di qualsiasi genere di quadrupedi. E si noti che, come ho diligentemente calcolato con alcuni macellai, nei giorni in cui è permesso ai Cristiani mangiare carne, si ammazzano, nella sola città, circa settanta buoi. Quanti siano i maiali, le pecore, gli arieti, gli agnelli, i capretti e i quadrupedi d'altro genere, sia selvatici sia domestici, che vengono sgozzati dai macellai, credo che lo potrò precisare a chi mi avrà precisato il numero delle foglie e dei fili d'erba. Affluiscono nella città anche ottime carni di bipedi selvatici e domestici: capponi, galline, oche, anatre, pavoni, colombe, fagiani, galline selvatiche, tortore, anatre selvatiche, allodole, pernici, quaglie, merli e altri uccelli, che soddisfano a tavola l'appetito degli uomini.
Affluiscono il miele, la cera, il latte, le giuncate, le ricotte, il burro, il cacio, le uova, i gamberi. E nota questo fatto mirabile, che, come i pescatori stessi, fatti diligenti e precisi calcoli, dichiarano, in tutto il periodo che va dalla Quaresima a San Martino si mangiano ogni giorno nella sola città più di sette moggi di gamberi. E perché qualcuno non abbia dubbi su quanto si intende per moggio, sappia che da noi il moggio è una misura equivalente a otto staia e al peso di un uomo di grossa corporatura. Affluiscono inoltre pesci di ogni genere, che nel nostro contado ci vengono forniti dai laghi e dai fiumi che ora elenco, cioè: il lago Maggiore, con i molti fiumi che ne derivano, i due laghi di Biandronno, i laghi di Bobbiate, di Galliate, di Sartirana, di Cadrezzate, di Lugano, di Cannobio, di Montorfano, di Conserio, di Pusiano, di Mariaga, i due laghi di Annone e il lago di Santa Brigida, da ciascuno dei quali esce almeno un fiume; inoltre i laghi di Segrino, di Mandello, di Lecco: tutti questi laghi, con i loro fiumi, si trovano nel nostro contado e da essi ci vengono i pesci che arricchiscono in quaresima le nostre mense in città.
Ed ecco i nomi dei fiumi: Adda, Lambro, Spazzola, Muzza, Andamen, Barona, Molgora, Coirono, Bevera, fiume di Cantone, di Sartirana, di San Muzio, di Lisigerolo, Fossato di Milano, Trono, Nirone, Vettabbia, Ristocco, Olona, Olonella, Rifrigido, Rifrigidetto, Mischia, Lambro merdario, fiume di Consiglio Maggiore, fiume della Valle di Megiano, Ticino, Ticinello, Arno, Maroggia, Strona, Oncia, fiume di Travedona, di Ganimella, fiume della valle di Gemonio, fiume della valle di Cuvio, fiume di Fromedona, di Anasca, di Tresa, di Travaglia, della valle di Marchirolo, di Vall'Asca, di Liscate, di Bienate, di Cunassino; e poi Senaqua, e fiume di Anza, di Benca, di Barasso, di Scairana; e molti altri ancora, ricchi di pesci e di gamberi.
La quantità dei pesci l'ho veramente appresa da persone che assicurano di conoscere con certezza il vero; essi dicono che più di quattro some di pesci grossi freschi e più di quattro staia di pesci piccoli vengono portati in media quotidianamente, calcolando i giorni feriali e i festivi, nella nostra città. E nota che per soma si intende il peso di un cavallo o di un mulo. I suddetti fiumi non assicurano solo abbondanza di pesci né solo abbondanza di fieno, ma con i loro mulini, che sono più di novecento, e le loro ruote, che sono più di tremila, alimentano non solo tanti Ambrosiani... ma anche più di centomila... E nota che ogni ruota di mulino, fatti tutti i conti, si dice macini ogni giorno tanto grano da dare pane sovrabbondante a più di quattrocento uomini. Calcoli dunque bene, chi lo voglia, a quante bocche Ambrosiane dà il pane il Signore nostro Gesù Cristo. Credo fermamente che in Italia vi siano moltissime città in cui gli abitanti d'ambo i sessi non consumano tanto pane quanto da soli ne divorano i cani degli Ambrosiani. E qui si deve notare che i suddetti mulini non basterebbero se l'abbondanza di castagne, panico e fagioli non rifocillasse assai spesso moltissime persone al posto del pane. Che dirò poi del fatto che, oltre al numero suddetto dei mulini e delle loro ruote, ve ne sono moltissimi altri, di cui non posso calcolare con esattezza l'elevato numero?
Vi sono, oltre a quelli detti sopra, molti altri fiumi e infiniti e fertili ruscelli di fonte, i cui nomi preferisco passare sotto silenzio. E noti, chi lo voglia, l'affermazione mirabile che io faccio a questo punto: se in qualche luogo del nostro territorio si formasse un nuovo lago, che contenesse acqua nuova, la naturale fecondità delle nostre acque e della nostra terra è così grande che da sé, in breve spazio di tempo, esso genererebbe molti pesci. Anche pesci in salamoia di diverse qualità vengono portati qui da lontano in abbondanza; qui in abbondanza i mercanti importano da diversi paesi lane, lino, seta, cotone e panni preziosi di ogni genere; e inoltre sale, pepe e altre spezie d'oltremare e tutti i beni atti ad assicurare al corpo dell'uomo il necessario unito al piacevole. E tutti questi beni la nostra felicissima città, che bisognerebbe in un certo senso definire come un mondo a sé stante, separato dal resto della terra, li distribuisce in abbondanza a tutte le altre città, vicine e remote...
Per ciò che concerne la quantità precisa, dichiaro che, come hanno diligentemente calcolato quelli che per conto del comune riscuotono il tributo sul sale, ogni anno ne vengono trasportati dentro le porte della città cinquantacinquemilaottocentotrenta staia o pressappoco, di cui la metà o pressappoco, a quanto si può valutare, rimane nella città e assicura il condimento alle vivande dei cittadini. Quanto pepe invece venga consumato dentro la città non sono riuscito in nessun modo a saperlo; ma si dice e comunemente si crede che non ci siano due città al di qua del mare nelle quali venga continuamente adoperato tanto pepe quanto in questa sola.
Entro la città, quattro volte all'anno, si tengono mercati generali, e cioè: il giorno della ordinazione del beato Ambrogio, la festa del beato Lorenzo, l'Assunzione della beata Madre di Dio e la festa del beato Bartolomeo. A tutti questi mercati mirabilmente affluiscono, in numero quasi incalcolabile, venditori e compratori delle varie merci. Inoltre, in due giorni di ciascuna settimana, cioè il venerdì e il sabato, in diverse parti della città si tiene un mercato comune. Anzi, ciò che conta di più, anche ogni giorno quasi tutti i beni necessari agli uomini vengono esposti in abbondanza non solo in luoghi determinati, ma nelle piazze, e messi in vendita con gridi di richiamo. Anche nei borghi e nelle ville del nostro contado si tengono molte fiere, che si ripetono tutti gli anni in giorni fissi. In molte di tali località si tengono fiere settimanali, e a tutte concorrono in gran numero mercanti e compratori. Da quanto s'è detto sopra risulta evidente che nella nostra città chi ha sufficiente denaro vive ottimamente, sapendo di avere a portata di mano tutto quanto può dare piacere all'uomo.

 

 

 

 

 

Palazzo Magenta - Via Amedei

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Maria alla Scala (demolita per costruire il Teatro alla Scala) - Piazza della Scala

 

 

 

 

 

Chiesa di S. Giovanni in Conca (scomparsa, resta solo la cripta) - Piazza Missori

 

 

 

 

 

Palazzo Trivulzio (scomparso, Pio Albergo Trivulzio, poi sede AEM) - Via Francesco Sforza

 

 

 

 

 

Palazzo Fontana Silvestri, verso il Naviglio (scomparso) - Via Senato

 

 

 

 

 

Chiese dell'Annunciata, a sinistra, e di S. Caterina, a destra (scomparse) - Via Manzoni

 

 

 

 

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Mappa "Veduta di Milano", prima metà XIV secolo, in Galvano Fiamma, "Chronica de antiquitatibus civitatis Mediolani"