Genar 2015. Portraits.

 

 

 

 

Il 2015 esordisce con un "mestée al mes" dedicato all'arte e alla bellezza. Arte che si manifesta nella qualità della ripresa fotografica, bellezza che da essa viene imprigionata e che si manifesta in ritratti femminili. Ovviamente ho potuto solo riportare immagini consentite: certamente ve ne sono di migliori ma di impossibile utilizzo per copyright. Accontentatevi, è pur sempre un bel vedere...
Ho scelto solo ritratti perché sono ciò che prediligo e che nella rappresentazione della bellezza femminile non si prestano solitamente a espressioni o strumentalizzazioni più o meno erotiche, anche se, personalmente concordando con la citazione di D'Annunzio, ritengo vi sia molta più sensualità in uno sguardo che in qualsiasi altra parte del corpo: "ci sono certi sguardi di donna che l'uomo amante non scambierebbe con l'intero possesso del corpo di lei".
Il volto è capolavoro di maestria creativa: racchiude in volume limitato, perfettamente incorniciato, diversi componenti determinanti un unicum stimolante; assume singolarmente e di volta in volta innumerevoli forme espressive che lo rendono interprete del vissuto, dell'essere, delle emozioni; il resto del corpo, parcellizzato o nel sua interezza, anche se di eccelsa fattura, appare, nella sua disarmante semplicità, quasi insignificante al confronto. Le immagini ritraggono la bellezza femminile nella accezione più materialista, pura e semplice: fisicità, armonia del tratto e gioventù; niente bellezza "dentro", di interiorità o spiritualità retoriche, di astrazioni filosofiche.
Le foto, anonime sia nel facitore sia nel soggetto ritratto, sono nella stragrande maggioranza di fotografi top level, come sono altrettanto conosciute(e riconoscibili) le gentili donzelle. Appunti sulla tecnica fotografica del ritratto di Giovanni Viviani e appunti storico-culturali di Alice Caroli sulla evoluzione dei canoni di bellezza femminile nel mondo occidentale intervallano le foto medesime.

 

 

 

 

 

 

 

 

Concludo la premessa dedicando un pensiero al fotoamatore che mi legge. Almeno una volta nella tua vita hai desiderato avere disponibile una bellezza femminile assoluta per ritrarla al meglio delle tue capacità. Desiderio purtroppo rimasto tale. E allora, in questo freddo gennaio, socchiudi gli occhi e immaginati seduto alla posada El Chiringuito. Quattro tavoli consunti dalla salsedine e dal sole sotto un pergolato di fronte al Caribe, Taco dietro il bancone che avvia il vecchio giradischi versando ai pochi avventori abituali ron agricola.

 

 

Dopo aver sorseggiato un mojito con la modella dei tuoi sogni, contrastala alla meglio con fondali e luci di recupero, o avvolgila nella luce "giusta" del tramonto, acchiappa la Nikon, e mentre intriganti note d'altri tempi si diffondono nella posada... via con le pose e gli scatti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Consigli per il ritratto fotografico professionale. 

 


Come si fa a scattare un bel ritratto fotografico professionale? Mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza, i "trucchi" del mestiere. Bene, ho risposto, ma a quale categoria di fotografo mi devo rivolgere? Principiante, fotoamatore, super appassionato? Essendo la risposta destinata a tutti, mi fa piacere tracciare delle linee guida che se possono aiutare molti a migliorare i propri ritratti, non devono esser prese affatto come dogmi.
Il bravo fotografo, ma bravo, potrebbe fare l'esatto contrario e ottenere risultati altrettanto soddisfacenti e forse di più. Il perché è presto detto: la fotografia è un arte (non sempre, certo) e come tale ammette la libera interpretazione, la sperimentazione, le invenzioni. Per fare un bel ritratto occorre una buona macchina ("buona", non necessariamente la migliore), e un pizzico di talento. Ma l'esperienza aiuta e anche le regole. Bisogna seguirle per forza? No, ma è bene conoscerle e seguirle per un po' prima di metterle, eventualmente, da parte.
1. L'obiettivo da ritratto.
La regola dice che un buon ritratto va fatto con un 85mm, oppure un 105mm (ottica fissa oppure uno zoom con un'escursione che comprenda le lunghezze focali possibilmente utilizzato a tutta apertura, o quasi. Questo non vuol dire che non si possa scattare un ritratto con un grandangolo o con un tele più lungo. Prima si digerisce la regola, poi si può sperimentare con quel che si vuole.
2. Il numero di scatti.
La regola dice che per ogni ritratto bisognerebbe scattare almeno 40 scatti, più o meno quelli concessi da un "vecchio" rullo 35 mm da 36 pose. Cogliere l'espressione migliore è anche un fatto statistico: occhi chiusi, smorfie, capelli fuori posto ecc. si combattono premendo più volte il pulsante di scatto.
3. Luce in esterni.
La regola dice, che per l'esterno, non c'e nessuna regola (anche se molti naturalmente consigliano la luce del mattino o della sera, quando i raggi del sole sono obliqui). Per illuminare il soggetto, si può contare su:
- sole di lato, con o senza pannello riflettente (si acquista nei negozi specializzati, ma può andar bene anche un cartone bianco oppure un telo o un pezzo di polistirolo)
- sole sopra la testa, con pannello riflettente (tecnica difficile per un principiante)
- controluce, con pannello riflettente
- in ombra, con o senza pannello riflettente.
Il pannello serve a ridurre il salto netto tra le alte luci e le ombre (contrasto). Prima di scattare bisogna provare l'efficacia del pannello muovendolo e avvicinandolo e allontanandolo dal soggetto per regolarne l'azione. Insomma, grande libertà. Molto dipende dalla fantasia del fotografo. Val la pena di provare le diverse opzioni per perfezionare poi quella a noi più congeniale.
4. Luci in studio.
La regola dice che per le foto in studio, a parte le tre o quattro luci canoniche (ombrello leggermente sopra il soggetto con fondo più o meno illuminato, luce finestra messa di lato, bank con diffusore di fronte al soggetto con luce diretta posta dietro al soggetto solo per i capelli ecc.) lo studio deve essere una palestra di sperimentazione, per cui spazio alla fantasia anche se non si ha troppo tempo a disposizione.
5. Inquadratura.
La regola dice che l'inquadratura è una cosa che si deve imparare, perche rientra nella categoria del buon gusto, per cui: primo, riempire sempre il fotogramma specialmente sopra la testa, così non si sbaglia mai; secondo, costruire una composizione bilanciata. Il segreto? Imparare a guardare per davvero dentro al mirino (o al display LCD se usiamo una compatta che ha solo quello per inquadrare) e a godersi la foto prima ancora di scattarla (naturalmente se non stiamo lavorando con le pallottole che fischiano sopra la testa).
6. Espressione.
La regola dice che il soggetto dovrebbe guardare in macchina per tirargli fuori un minimo di espressività, che fa' la differenza! Una volta che si è padroni di questa regola si può cominciare a sperimentare con altre espressioni (buffa, pensierosa, occhi chiusi, sguardo di lato o a terra).
7. Velocità.
La regola dice che una volta inquadrato e messo a fuoco il soggetto, i 40 scatti a disposizione vanno fatti abbastanza a ridosso uno dell'altro. Sono assolutamente da evitare quegli interminabili secondi di pausa forzata, di silenzio e di imbarazzo da parte nostra e del soggetto dovuti all'indecisione del fotografo, alla scarsa dimestichezza con la macchina fotografica con la pratica del ritratto. Se qualcosa non va, se abbiamo bisogno di riflettere un secondo o di risolvere un problema tecnico prima di ricominciare a scattare, è importante che continuiamo a dialogare con il nostro soggetto, togliendolo dall'imbarazzo. Poi sotto, decisi, con la seconda serie di foto. Quando si comincia a fare sul serio con il ritratto fotografico è buona norma cercare i nostri soggetti tra i familiari, gli amici, i vicini di casa, i negozianti del quartiere. Insomma, soggetti capaci di sopportare qualche nostro tentennamento senza sbattere la porta e scappar via.
8. Fidarsi della tecnologia.
La regola e il buon senso dicono che oggi, con tutti i progressi fatti dai costruttori di macchine fotografiche, non dovremmo più incaponirci a scattare regolando tutto in manuale. Abbiamo l'automatismo, priorità di tempi, priorità di diaframmi, per il ritratto questo è più che sufficiente.
9. Emozione.
La regola dice, che una volta ultimato il lavoro o hobby, il risultato deve dare sempre un'emozione, per chi l'ha eseguito e per chi lo guarda per la prima volta.
10. Modestia.
E un'altra regola, l'ultima, dice, che nella maggior parte dei casi, tendiamo a sopravvalutare le nostre fotografie. Se non ci accontentiamo, se vogliamo continuare a migliorare, qual'é il trucco? Basta tagliare un bel 50% dal nostro entusiasmo per essere più vicini alla realtà. Questa è una regola assoluta. (G.Viviani)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La bellezza femminile nell'Antico Egitto (3100 a.C.).

 


E' con la civiltà egiziana che si comincia a scoprire la bellezza e l'armonia della figura femminile. Sono celebri l'avvenenza e l'eleganza delle antiche egizie, testimoniata dalle splendide sculture, pitture, e dai capolavori di oreficeria che sono giunti fino a noi. Le donne egizie hanno un vero e proprio culto della bellezza: danno molta importanza alla cura del proprio corpo e usano la cosmesi per valorizzarlo. Il trucco, utilizzato per sottolineare gli occhi, le vene delle tempie e del seno, conferisce alla figura femminile sensualità, fascino, grazia, magnetismo e seduzione: tutte le caratteristiche della bellezza femminile nell'Antico Egitto. I canoni estetici relativi alla struttura fisica non sono rigidi, tuttavia le rappresentazioni giunte fino a noi mostrano figure snelle e con membra minute, ma non emaciate, in cui le tipiche curve femminili sono ben disegnate: non a caso siamo ancora in una società nella quale il ruolo prevalente della donna è quello di procreatrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La perfezione dell'Antica Grecia.

 


E' solo a partire dalla Grecia classica (V sec. a.C.) che si affermano veri e propri canoni estetici. Per il periodo precedente si può solo prendere atto, attraverso le fonti documentarie, di come tra i popoli più antichi le donne cercassero di rendere più gradevole il loro aspetto fisico. All'idea di bellezza gli antichi Greci associano i concetti di grazia, misura e soprattutto proporzione: un corpo è bello quando esiste equilibrio, simmetria ed armonia tra tutte le sue parti e tra ciascuna di esse e la figura intera.
Visto che la maggior parte delle opere d'arte dell'Antica Grecia mirano a tradurre in forme concrete l'ideale di massima bellezza, è attraverso lo studio di tali opere che possiamo farci un'idea dei canoni di bellezza vigenti all'epoca. Sono soprattutto le statue raffiguranti Venere che ci permettono di conoscere gli standard estetici del tempo, infatti Venere è la dea dell'amore, e quando gli artisti raffigurano questa divinità si ispirano alle donne considerate più belle e affascinanti.
Il corpo femminile, visto attraverso l'arte greca, è un corpo di grande bellezza e armonia, le cui proporzioni ottimali ne fanno ancora oggi un ideale di perfezione. Il fisico femminile più apprezzato è morbido e formoso, con fianchi larghi, seno e glutei non troppo pronunciati, ma rotondi e sodi. Il corpo femminile perfetto viene studiato e immortalato dallo scultore Prassitele (attivo tra il 370 e il 330 a.C.) nella celebre statua dell'Afrodite di Cnido (360 a.C.), un'opera di straordinaria bellezza, purtroppo andata perduta e oggi nota solo attraverso copie di epoca romana. Il corpo sinuoso della dea presenta tutti gli attributi della femminilità. Ma il perfetto ideale di bellezza femminile è la Venere di Milo (fine II sec. a.C.), un capolavoro di fama mondiale. La figura femminile presenta ancora forme morbide e curve pronunciate, che le conferiscono una grande sensualità. La bellezza del corpo della dea, riconosciuta anche ai giorni nostri, a distanza di oltre due millenni, dimostra come gli antichi Greci abbiano effettivamente elaborato i canoni di bellezza perfetti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Roma imperiale (dal 29 a.C.).

 


Lo stereotipo della bellezza femminile nell'antica Roma è la matrona dal corpo giunonico, cioè abbondante (da Giunone, la principale dea romana). La matrona dell'impero non solo è opulenta nelle forme, ma è anche carica di trucco e di gioielli, e vestita in modo ricco e sfarzoso, come opulenta, ricca e sfarzosa è la Roma dell'età imperiale. La donna romana cura molto la propria persona: utilizza creme e cosmetici e, per migliorare il proprio aspetto, ricorre perfino all'infoltimento della capigliatura con l'applicazione di capelli indiani (scuri) o germanici (biondi o rossi) e anche di colore diverso da quello naturale: primi esempi di toupet e meches. Per i nobili romani, la moglie, dal corpo prosperoso, vistosamente truccata, ingioiellata e lussuosamente vestita, deve rappresentare la ricchezza e la generosità del marito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La madonna medioevale (V-XV sec.).

 


Nel Medioevo il processo di cristianizzazione porta ad un radicale cambiamento nel modo in cui viene percepita la figura femminile. Il corpo della donna, su cui grava il peccato di Eva, è considerato fonte di perdizione e l'avvenenza fisica è ritenuta appannaggio del Male. L'unica bellezza è quella adolescenziale in quanto a venticinque anni la donna, appesantita dalle gravidanze, viene considerata "deserto d'amore". L'austera morale medioevale impone nuovi canoni estetici: il corpo della donna deve essere esile e acerbo per dimostrarne la castità e la purezza, con i fianchi stretti, il seno appena abbozzato, ma il ventre prominente, indice di un futuro fecondo come madre. L'incarnato riluce del candore di un giglio o della neve, proprio a sottolineare la natura virginale della donna. Nell'iconografia medioevale prevale la rappresentazione mistica e ieratica della figura femminile: la donna viene svuotata di ogni connotazione sensuale e ritratta esclusivamente nella sua sacralità, tanto che ad essere rappresentate sono soprattutto Madonne e sante, sempre legate al ruolo salvifico che esse svolgono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna rinascimentale (seconda metà XV sec.-XV sec.).

 


Se la morale medioevale aveva insistito sull'oblio del corpo femminile, considerato soprattutto come fonte di peccato, durante il Rinascimento si afferma un particolare interesse per la bellezza esteriore, che diviene oggetto di riflessioni, di teorie e trattati. E' il Rinascimento a rivelare per primo la bellezza del corpo femminile, la cui avvenenza non viene più considerata una vanità che allontana l'uomo dalla salvezza eterna. In questo periodo si verifica una vera e propria rivoluzione estetica, che interessa soprattutto le donne. I canoni della bellezza femminile cambiano radicalmente: dallo stereotipo medioevale della donna acqua e sapone, dal fisico adolescenziale, sottile, con i fianchi stretti e il seno piccolo, si ritorna al modello di bellezza delle veneri greche, dalle forme rotondeggianti, fianchi larghi, ventre pronunciato, seno abbondante e incarnato pallido, così come è raffigurato nel dipinto di Tiziano "Venere allo specchio" (1555). E' sintomatico che al nuovo ideale cinquecentesco, che propone una donna ben in carne e formosa, corrisponda anche, nei ceti sociali più elevati, la diffusione di nuove abitudini alimentari, ricche di grassi e di zuccheri, come si deduce dai libri di cucina del tempo. Numerosi sono in questo periodo i testi che delineano l'ideale della bellezza femminile, con una dettagliata analisi di ogni particolare del corpo della donna e con la descrizione dei lineamenti e delle fattezze più apprezzate.
Da quanto risulta da tali manuali, la donna ideale deve essere piena, con fianchi larghi, seno prosperoso e bianchissimo, collo e mani lunghe e sottili, piedi piccoli e vita flessuosa; il viso deve essere candido e tondo, il naso diritto, la bocca piccola, la fronte altissima e la gola bianca e liscia; la pelle deve essere rigorosamente bianca, i capelli lunghi e biondi, le labbra e le guance rosse, le sopracciglia scure e gli occhi preferibilmente neri. Il corpo della donna, dunque, deve possedere tre attributi di colore bianco, tre rossi e tre neri: la bellezza sta nell'armonia delle parti.
Le fonti iconografiche del tempo confermano quanto detto: Tiziano e gli altri pittori rinascimentali rappresentano la bellezza "piena" della donna adulta, intensa e sensuale. Le loro figure femminili sono, secondo i canoni estetici del tempo, floride e calde, dagli occhi scuri e dall'incarnato pallido. Sono tutte donne statuarie e coscienti della loro magnificenza. Il dipinto che meglio traduce l'ideale rinascimentale della bellezza femminile è "Venere e Marte" (1482) di Botticelli.: Venere, la dea dell'amore, si trova di fronte al sua amante Marte, dio della guerra, che si è addormentato presumibilmente dopo aver fatto l'amore con lei. La donna che Botticelli ha dipinto non si basa su un modello, ma è la personificazione della bellezza come lui la percepisce.. Questa figura idealizzata rispecchia tutti i canoni estetici della bellezza femminile nel Rinascimento: la fronte alta, il mento ben definito, la pelle pallida, i capelli biondi, le sopracciglia alte e delicate, il naso forte, la bocca stretta e le labbra carnose. Il corpo presenta forme pronunciate: ampio seno, addome arrotondato e fianchi larghi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Venere barocca (XVII sec.).

 


L'armoniosa ed elegante bellezza della donna rinascimentale si enfatizza sempre di più sino a sfociare nelle esagerazioni del Barocco. A partire dalla fine del XVI secolo si assiste ad un mutamento nei canoni estetici femminili: la donna si trasforma in una Venere procace, dalle forme abbondanti e una punta di malizia ed erotismo nello sguardo. Viso, collo, seno e mani devono essere di colore bianco, colore associato alla purezza, che distingue nettamente i cittadini dai disprezzati abitanti della campagna, che per il loro lavoro sono esposti al sole durante tutto il giorno.
Oltre all'incarnato candido, la donna barocca deve avere i capelli folti, meglio se "longi fino ai piedi", e assolutamente biondi, di un biondo caldo tendente al bruno; altri attributi di bellezza sono la pelle chiara e luminosa, gli occhi scuri, grandi ed espressivi, la bocca piccola ma carnosa, il mento tondo con la fossetta, il collo tornito e piuttosto lungo, le mani bianche, morbide e affusolate, le spalle larghe, le cosce piene e la vita sottilissima, il seno prosperoso, le gambe lunghe e i piedi piccoli. La bellezza barocca è una bellezza matura, sensuale e maliziosa, la cui femminilità non è finalizzata al ruolo di moglie e di madre, ma a quello di dama, corteggiata e civettuola. Le fonti iconografiche confermano tali canoni estetici: i dipinti "Danae" (1612) di Artemisia Gentileschi, "Le Tre Grazie" (1624) di Rubens e la "Danae" (1636) di Rembrandt si possono considerare altrettanti manifesti dell'ideale di bellezza dell'epoca: i corpi, dalle marcate rotondità, sono pieni e sensuali, la pelle è morbida, candida e levigata ed i capelli di un biondo dorato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La dama del Settecento.

 


A dettare i canoni estetici del Settecento sono le corti, soprattutto quella di Francia. I ritratti della regina Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena ben esemplificano lo stereotipo femminile dell'epoca: incarnato ancora rigorosamente bianco, volto coperto da uno spesso strato di biacca, guance e bocca rosse, sopracciglia marcate e ben disegnate, fronte alta e spaziosa, acconciatura molto elaborata. Ma l'attributo femminile per eccellenza, simbolo di seduzione e femminilità, è il vitino da vespa, che non deve superare i 40 centimetri. Secondo i canoni del tempo, una bella donna deve avere una circonferenza vita che un uomo può circondare con due mani. Ecco, allora, che vengono in aiuto busti e corsetti, veri e propri strumenti di tortura usati per mantenere eretta la colonna vertebrale e conferire al busto la classica forma a 8, che esalta seno e fianchi.

Se le scollature sono ampie per evidenziare il seno prosperoso, spinto in alto dal corsetto, la parte inferiore del corpo è rigorosamente nascosta da gonne molto larghe, sorrette da ampie intelaiature con cerchi rigidi concentrici che, nella parte più bassa, possono arrivare ad una circonferenza di 5-6 metri. Per aumentare la loro sensualità, le donne del '700 giocano con finti nei, considerati imprescindibili attributi di bellezza e fascino. Le acconciature sono molto elaborate e vistose, con aggiunta di veli, fiori, fiocchi e perfino gabbie di uccelli; le pettinature sono sempre alte e i capelli sono spesso rialzati mediante un'armatura di fili metallici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La musa romantica.

 


L'Ottocento è l'opposto del Settecento: è l'epoca in cui le donne sono apprezzate per la loro dolcezza, gentilezza e discrezione, anche per ciò che riguarda l'aspetto esteriore. Se nel Barocco la parola d'ordine era magnificenza, nell'epoca romantica si ha un ritorno alla naturalezza. Nella prima metà del secolo, tra gli artisti e alcune nobildonne, si afferma l'ideale di bellezza proposto dal romanzo gotico, che esalta le sofferenze interiori, gli slanci della passione e le lacrime. Trionfa la bellezza diafana, incarnata dalla musa romantica, pallida, sottile, con occhi grandi e febbricitanti, espressione sofferta e labbra rosse che contrastano con il biancore del volto. A tale ideale estetico rimandano i dipinti di Hayez "Pensiero malinconico" (1842) e "La Meditazione"(1851).
Ma l'Ottocento è anche il secolo della definitiva affermazione della borghesia, che segna la nascita di nuovi modelli di vita e nuovi costumi; parallelamente si afferma un nuovo ideale di bellezza femminile, che coesiste con quello della musa romantica. Il prototipo della ricca signora borghese ha forme morbide, spalle rotonde e piene, schiena pesante, mani piccole e paffute, volto tranquillo e sorridente: senza nulla di mascolino, è il ritratto della femminilità e della salute. La sua bellezza risiede soprattutto nelle marcate rotondità, simbolo di benessere sociale e di maternità riuscita.
La sensualità è rigorosamente controllata: gli abiti sono lunghi e strati di biancheria nascondono il corpo. Il busto è una corazza che deve assicurare il vitino di vespa, anche a prezzo di dolori e svenimenti. Il trucco del viso viene abolito perché associato a prostitute ed attrici; la pelle, che per essere giovane e sana deve essere rigorosamente bianca, viene protetta dagli effetti nefasti del sole con velette e ombrellini. La signora borghese, positiva, pratica ed efficiente, è il perno della famiglia; la sua bellezza è un dovere, un riconoscimento del successo economico del marito. Le figure femminili ritratte dai pittori impressionisti ben incarnano l'ideale della ricca signora borghese. Ne sono esempi i dipinti di Renoir " Lisa con l'ombrellino" (1864) e "La signora Monet con il figlio in giardino" (1874).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Novecento.

 


Il Novecento è contrassegnato da avvenimenti di straordinaria portata storica: è il secolo dei due grandi conflitti mondiali, ma anche dell'emancipazione femminile, dell'ingresso della donna nel mondo del lavoro, delle grandi battaglie femministe. Tutti questi rivolgimenti di carattere politico, economico e sociale hanno profonde ripercussioni sull'universo femminile: cambia la condizione della donna e il suo ruolo all'interno della società, e conseguentemente cambia il suo modo di percepire, esibire, nascondere il proprio corpo.
Con l'avvento del nuovo secolo cadono molti tabù e molti dei pudori che fino a quel momento avevano nascosto il corpo femminile, che si libera di tutte le costrizioni da cui era sempre stato intrappolato e inizia a scoprirsi. E' l'era del trionfo del corpo. Nel corso del Novecento le arti figurative e plastiche, fino a quel momento principali depositarie della bellezza femminile, lasciano il posto prima al cinema e poi alla televisione nel dettare i canoni estetici più seguiti. E' questo il secolo che ha visto i maggiori e più repentini cambiamenti in fatto di canoni di bellezza: è stato osservato che più o meno ogni 10-15 anni si è verificata una rivoluzione estetica, che ha portato all'affermazione di nuovi modelli di bellezza femminile, nuove mode e nuovi stili di vita. E' interessante, dunque, soffermarsi su ciascuna delle tappe che hanno segnato l'evolversi dei canoni estetici, a partire dalla fine dell'Ottocento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna nella Belle Epoque (fine '800-I Guerra Mondiale).

 


Gli anni della Belle Epoque coincidono con la nascita del cinema, della radio e dell'automobile: è un'epoca di grande benessere, vissuta all'insegna della spensieratezza e dell'ottimismo, nonostante il mondo si stia preparando al grande conflitto. Il teatro, il cinema e la fotografia assumono un peso sempre maggiore sulla moda, oltre che su tutto il panorama culturale, poiché diffondono nuovi stili di vita, nuovi modelli estetici e di comportamento, status symbol, tendenze, che si propagano velocemente e in seguito diverranno sempre più popolari.
La donna della Belle Epoque ha una linea sinuosa e slanciata dalla tipica forma ad "S": vita minuscola, seno spinto innaturalmente in avanti grazie ad un nuovo modello di busto che appiattisce il ventre, evidenzia i fianchi, ingrandisce la schiena e spinge indietro il bacino, arcuando il corpo posteriormente e conferendo alla donna un profilo rigido e sinuoso. Ad accentuare la figura ad "S" contribuiscono gli abiti, che fasciano i fianchi, aderiscono in vita e si allargano in fondo, mentre i corpini, arricchiti da audaci e profonde scollature, si gonfiano sul decolleté, rendendo omaggio alla femminilità della donna. Alla diffusione della nuova estetica femminile concorre in misura notevole la pubblicità, con i primi manifesti e le prime immagini commerciali. Esempi famosi sono le ballerine, le cocottes e le signore immortalate nei manifesti di Toulouse Lautrec e di Leonetto Cappiello, icone di un'estetica femminile tipicamente Belle Epoque.
Verso la fine dell'Ottocento, nel clima culturale del Decadentismo, nasce il mito della femme fatale, affascinante, altera e sensuale. I canoni estetici della donna fatale non sono rigidi: di solito ha occhi e capelli nerissimi, corpo sinuoso, labbra carnose, sguardo magnetico; le sue caratteristiche primarie e distintive sono la straordinaria bellezza, vistosa e aggressiva, ed il grande potere seduttivo. La femme fatale è la grande seduttrice, perversa, crudele e spregiudicata, la personificazione stessa della sessualità, l'emblema dell'amore carnale, della passione e dell'istinto.
Per indicare questa figura di donna dal fascino ammaliatore, spregiudicata e predatrice, il cinema americano conia il termine "vamp". Il primo stereotipo di femme fatale è l' attrice hollywoodiana del cinema muto Theda Bara. La femme fatale è la protagonista dell'iconografia dell'età del Decadentismo. Il pittore austriaco Klimt rende omaggio a questa figura di donna, sensuale e distruttiva, nei suoi capolavori "Giuditta I" (1901) e "Giuditta II" (1909): entrambe donne fatali, dotate di una grande carica erotica, e connotate dal volto enigmatico, lo sguardo inquietante, la pelle bianchissima e la capigliatura lunga e corvina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna negli anni della Grande Guerra.

 


Il fervore ottimistico di inizio secolo viene rapidamente spazzato via dallo scoppio della I Guerra Mondiale, che porta distruzione e morte in gran parte dell'Europa e segna il temporaneo declino dell'ideale estetico improntato all'estrema femminilità ed eleganza affermatosi ai primi del Novecento. Completamente abbandonata la cura del corpo, la donna non si preoccupa dell'aspetto esteriore e tende ad assumere caratteri androgini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La garçonne degli anni Venti.

 


Dopo il periodo di privazioni della guerra, gli anni Venti si aprono come una nuova epoca di benessere e ottimismo. La società è pervasa da un nuovo senso di libertà e speranza che porterà a chiamare questo decennio gli "Anni ruggenti". L'ideale di bellezza femminile cambia radicalmente: cade il mito della donna fatale e si afferma la garçonne, cosiddetta dalla foggia dei capelli, che, per la prima volta nella storia, vengono tagliati corti, alla maschietta.
Ora la donna, come un'eterna adolescente, deve avere seno e vita inesistenti e fianchi stretti. Lo stereotipo della bellezza femminile ha una silhouette tabulare e forme stilizzate, tendenti alla bidimensionalità e all'essenzialità: corpo asciutto, magro, con caratteri androgini, asessuato. La donna ora conduce una vita più dinamica e comincia a praticare sport, sia per il benessere fisico che per migliorare l'aspetto. Se fino a questo momento nei canoni di bellezza femminile erano banditi i muscoli, indice di mascolinità o di lavoro manuale, e le forme dovevano essere morbide e rotonde, adesso anche nelle donne si comincia ad apprezzare il fisico atletico. Le nuove icone di bellezza, senza curve, magre e mascoline, simboleggiano l'aspirazione all'uguaglianza e parità tra i sessi.
Alla fine degli anni Venti si scopre il piacere di una pelle femminile abbronzata, non più espressione di appartenenza ad una classe sociale inferiore, ma segno di salute e benessere fisico: Coco Chanel istiga le donne ad abbandonare l'ombrellino che proteggeva la pelle dai raggi solari, ad eliminare i guanti e ad accorciare le gonne. A dettare i canoni della bellezza non sono più i pittori e gli scultori, ma le nascenti dive del cinema muto. L'icona degli anni Venti è sicuramente la leggendaria attrice Louise Brook: bellissima, di una bellezza ancora attuale, slanciata e longilinea, il prototipo perfetto della ragazza flapper, che si contraddistingue per l'indipendenza, l'anticonformismo, la capricciosa volubilità, e nell'aspetto fisico per una figura snella e quasi da ragazzo, sottolineata dal taglio corto dei capelli. La flapper è una donna scanzonata, trasgressiva, che ama le sigarette, il jazz, Coco Chanel e ha forme praticamente maschili, senza seno, senza fianchi, scattante, nervosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna raffinata ed elegante degli anni Trenta.

 


In una società duramente provata dalle ripercussioni della crisi della Borsa americana del 1929, la "maschietta" degli anni Venti, con i capelli corti e gli abiti prèt -à- porter prodotti in taglia unica, viene considerata superata; torna l'ideale della donna sensuale, femminile ed elegante. Le donne sentono l'esigenza di rimettere in evidenza le loro forme. Torna in auge la donna procace, mediterranea, "femmina", incarnata dalle grandi dive di Hollywood, dalla sexy bombshell Jean Harlow alla "divina" Greta Garbo. Altra icona dell'epoca è Marlene Dietrich, che incarna il ruolo della femme fatale, bellissima e sensuale, nonostante vesta spesso da uomo e non rinunci alla sigaretta in bocca. Negli anni Trenta è di moda un incarnato bianco pallido; il viso è ad effetto "scavato"e gli zigomi ben evidenziati; la bocca, sempre rossa, è disegnata ad "uccello": labbra superiori più grandi, arrotondate e quelle inferiori più piccole. I capelli sono rigorosamente tinti, prevalentemente biondo platino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna nel periodo fascista.

 


Il regime fascista dedica al corpo della donna un'attenzione precisa e sistematica, tanto che si può parlare di una vera e propria politica del corpo. La preoccupazione di Mussolini è quella di assicurare all'Italia una nuova stirpe, robusta, sana e forte. Questo spinge il duce a promuovere un programma salutistico-igienico rivolto prevalentemente alle donne, in quanto possibili madri e quindi prime responsabili del miglioramento della razza.
Il regime impone l'omologazione del modello femminile: la donna italiana deve avere forme prosperose e fianchi ampi, ed essere forte e robusta; solo così sarà una vera madre e una buona moglie, in grado cioè di occuparsi della casa e della famiglia. La campagna contro la donna magra, pallida e sterile si apre ufficialmente nel 1931 quando il capo dell'Ufficio stampa di Mussolini ordina ai giornali di eliminare tutte le immagini che mostrano figure femminili snelle e dal piglio mascolino. La magrezza femminile diventa un punto centrale nel dibattito sulla bellezza, tanto che Mussolini chiede ai medici di intervenire a difesa del "grasso", contro la moda della magrezza. La propaganda fascista continua ad associare salute e prolificità con le donne bene in carne, senza rendersi conto che la realtà femminile sta cambiando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna degli anni Quaranta.

 


Gli anni Quaranta sono un periodo di crisi e di grandi ristrettezze: si esce dalla Grande Depressione e si entra nella Seconda Guerra Mondiale, quindi il clima è di estrema austerità, anche in campo estetico. Lo stereotipo femminile è quello della donna più in carne, evidente reazione alla cronica carenza di cibo che caratterizza questo periodo. Durante la guerra iniziano a comparire su molte riviste degli Stati Uniti le prime pin-up, ragazze solitamente procaci ed ammiccanti. E' proprio durante gli anni Quaranta che la donna raggiunge il top della femminilità e della sensualità. L'icona di questi anni è Rita Hayworth: soprannominata "l'atomica" per le sue curve procaci, l'attrice dai fulvi capelli lunghi e ondulati, seducente e sensuale, fa impazzire milioni di uomini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La maggiorata degli anni Cinquanta.

 


Dalla fine della guerra si ritorna, abbastanza prevedibilmente, alla procacità e alla sensualità esplicite, evidente indizio della voglia di tornare al benessere. La donna ideale ha fianchi tondi, seno esplosivo, gambe ben tornite: una donna in carne, che non si preoccupa delle diete o della cellulite e che rappresenta la speranza dopo la fame della guerra. E' l'epoca delle "maggiorate", il cui corpo è metafora del sogno di opulenza che vive l'Europa e che si tradurrà nel boom economico. Le misure seno-vita-fianchi 90-60-90 rappresentano la formula della bellezza degli anni Cinquanta: gambe lunghe, bellissimi fianchi e vita sottilissima sono il modello a cui ambisce ogni ragazza. A partire dal secondo dopoguerra è il cinema, soprattutto quello americano, a proporre i nuovi canoni estetici: le vamp biondo platino, tutte superdotate, sono le ispiratrici della moda, del look, dello stile di vita di donne di ogni ceto sociale. Sicuramente le icone della femminilità e della sensualità degli anni Cinquanta sono Brigitte Bardot e Marilyn Monroe, con le loro curve procaci e la loro celebre forma "a clessidra".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna grissino degli anni Sessanta e Settanta.

 


Negli anni Sessanta avviene il più importante rinnovamento generazionale del Novecento: è il periodo della dolce vita, delle rivolte sociali, della contestazione giovanile e del femminismo. In questi anni si verifica un'altra grande rivoluzione estetica, che interesserà tutti gli anni Settanta: si afferma un nuovo modello femminile in totale controtendenza rispetto a quello del periodo precedente, ormai sentito come obsoleto e costrittivo. Si diffonde la cultura dello sport e il fisico femminile da morbido e burroso diventa tonico e scattante. La donna moderna ora è giovane, un'eterna adolescente, allegra, spensierata, che non vuole più curarsi di apparire perfetta in società, ma che vuole stare al passo con i tempi, con le nuove forme artistiche; una ragazza agile e filiforme, di nuovo come la flapper degli anni Venti.
Negli anni Sessanta le figure si assottigliano, le gambe si scoprono, i capelli si tingono di biondo svedese e gli occhi si ingrandiscono con ciglia finte e pesanti passate di eyeliner. L'estremizzazione della bellezza femminile verso canoni filiformi avviene con il successo della modella inglese Twiggy, magra ai limiti dell'anoressia. Con lei nasce la donna grissino. A partire dagli anni Sessanta si affermano grandi novità nel costume e nella moda: i blue jeans trovano la prima grande diffusione tra i giovani e si afferma la minigonna, creazione della geniale stilista Mary Quant. Altra icona dell'epoca è Audrey Hepburn, la diva bon ton per eccellenza, che, con la sua eleganza sobria e raffinata e il suo fisico longilineo e filiforme, incarna tutti i codici estetici e stilistici degli anni Sessanta e li interpreta sempre con un tocco personalissimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La donna negli ultimi decenni del Novecento.

 


Gli anni Ottanta vedono un rinnovato amore per le forme: ritornano le canoniche misure 90-60-90 e si ha un nuovo boom di seni esuberanti e di curve procaci, ancora una volta abbinati al vitino sottile. Tutte le icone cinematografiche e televisive assomigliano alla statuaria Barbie: seno prosperoso, gambe slanciate, vitino di vespa, ventre piatto e sguardo ammaliante. Simbolo incontrastato di questo revival delle forme rotondeggianti è Cindy Crawford, la modella che ha sfilato per i più importanti stilisti del mondo.
Dopo la parentesi degli anni Ottanta, che hanno rivalutato la donna formosa, a partire dagli inizi degli anni Novanta il modello della pin up viene di nuovo archiviato e si afferma un nuovo trend, destinato in breve tempo ad offuscare le bellezze dell'epoca e che rimarrà in auge fino al primo decennio del XXI secolo. Nel 1990 viene offerto a Kate Moss il primo incarico come modella: assistiamo ancora una volta al "lato magro" dell'altalena del fisico femminile nella storia. Pallida, con gli occhi cerchiati, Kate Moss inaugura la bellezza minimale degli anni Novanta, un indiscusso canone estetico ancora oggi in auge. Si afferma la magrezza femminile come ideale sia estetico che morale poiché al corpo esile e scattante vengono attribuiti valori quali ambizione, organizzazione, potere, autoaffermazione sociale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La donna del terzo millennio.

 


E' a partire dal terzo millennio che la bellezza diventa sinonimo di magrezza e le donne aspirano ad essere sempre più leggere e androgine. Il cambiamento dello stereotipo femminile arriva insieme al nuovo ruolo della donna che, da madre e moglie, si lancia nella carriera, iniziando a competere con l'uomo sul lavoro, nella ricerca del potere e del successo. Ciò che più caratterizza la nostra era è l'attenzione quasi morbosa al corpo: è il corpo al centro dell'interesse e non la persona; non conta tanto essere quanto apparire, all'essenza viene sostituita l'apparenza, alla spontaneità il controllo.
L'"essere in forma" è oggi un imperativo categorico, poiché un fisico longilineo, liscio e levigato non dà solo l'idea del bello ma anche dell'essere sano. Oggi, come nel passato, l'immagine della bellezza continua ad essere condizionata dal contesto sociale. E poiché oggi il nostro stile di vita richiede efficienza, dinamismo, produttività e iperattività, la corporeità femminile deve rispondere ai canoni di snellezza, altezza, fino a sfociare nella magrezza eccessiva. E così la donna, anziché coltivare e valorizzare la propria unicità, sempre più tende ad aderire passivamente a standard globalizzati, incentrati sull'omologazione dell'aspetto fisico, senza rendersi conto di essere vittima della sindrome di identificazione con la collettività, ovvero di una forma di mimetismo estetico, omologato e socialmente compatibile. Nell'attuale società globalizzata, il successo è strettamente collegato all'immagine, un'immagine ben determinata dai modelli proposti continuamente dai mass media, intimamente radicati nell'immaginario collettivo e adottati come standard sociali. La comunicazione di massa si è da tempo impadronita dei temi riguardanti immagine corporea e bellezza, contribuendo a creare e diffondere i ben noti stereotipi.
I messaggi sono indiretti, ma fin troppo chiari: "Se sei magra, puoi essere felice, popolare, avere successo in tutti i campi, dall'amore al lavoro". L'ideale della magrezza, dunque, non assume solo un significato estetico, ma è associato a valori più profondi, all'apprezzamento e all'accettazione sociale. La formula "non si è mai abbastanza ricchi o abbastanza magri" è una vera e propria epidemia che minaccia il benessere mentale di molte persone. La principale regola, dunque, è che essere belle significa essere magre, esili, slanciate. Il bombardamento mediatico, indirizzato soprattutto alle donne, non fa che proporre corpi seducenti, plastici e perfetti. L'immagine della donna che i mass media diffondono non è il ritratto di una condizione reale, ma la rappresentazione simbolica di un modello che segue ideali e aspirazioni collettive, ma che risulta impossibile da raggiungere. Sono dunque i modelli fuorvianti proposti dai media che hanno portato alla ricerca ossessiva della "forma perfetta". Ma la responsabilità deve essere attribuita alla società nel suo insieme, una società massificata che tende ad azzerare l'unicità dell'essere, la sua individualità e la bellezza della diversità.
Oggi è soprattutto il sistema di consumo della moda che costruisce, attraverso le modelle, gli stereotipi della bellezza femminile. Le top-model sono le nuove dive che, come le grandi attrici della vecchia Hollywood, pur lontane dal pubblico, irraggiungibili, sono da tutti conosciute, ammirate e imitate. Dal 2000 in poi la moda ha diffuso un modello di donna sempre più esile e sottile, probabilmente in relazione alla necessità di far risaltare il vestito rispetto alla modella: dopo le super top-model degli anni Ottanta, le modelle sono diventate sempre più magre e, tranne poche eccezioni, sempre più anonime: vere e proprie "grucce", adatte ad indossare qualsiasi vestito. Altissime, sottilissime, elegantissime, le modelle incarnano l'ideale estetico della maggior parte delle ragazze di oggi: è questo il modello che le riviste patinate femminili forniscono come simbolo della donna di successo, della donna che ha vinto nella vita. Si tratta di un input culturale molto forte che poi si somma ai numerosi altri da cui siamo giornalmente bersagliati e che vanno tutti nella stessa direzione : quel che conta nella vita è essere perfette, bellissime, vincenti.
Oggi nelle riviste di moda vengono mostrate solo immagini stereotipate di corpi femminili magri e tonici, che rispecchiano i canoni di bellezza corrente. Le immagini vengono spesso modificate con il fotoritocco per renderle più belle e conformi all' ideale di perfezione odierno. Che gli stilisti siano responsabili dell'innegabile involuzione del modello di bellezza femminile è un dato inconfutabile: è indubbio che loro, i "maestri del gusto", insieme alle nuove fogge, stoffe, colori, propongano, con troppa noncuranza e talvolta irresponsabilità, un'idea di donna in cui bellezza è sinonimo di magrezza estrema e perfezione aritmetica delle misure del corpo femminile. Del resto già quaranta anni fa l'indimenticabile Brigitte Bardot rivolgeva alle donne un monito sferzante: "Donne, diffidate degli stilisti: detestano il corpo femminile e vogliono costringerlo a somigliare a quello dei giovani maschi da loro prediletti". E da quella sopraffazione è nato un modello di pseudo bellezza che ha inferiorizzato la donna, gettandola in una guerra perpetua e perpetuamente perduta con il suo stesso corpo. (Alice Caroli, 2012)