Mag 2012. L’utopia.
L'utopia da salvare è una rivoluzione
di giorni inventati, lo scarto beffardo
da un cupo corteo di protesta,
la fuga dei figli da padri
costretti all'ossequio, allo stampo,
nell'ombra di schemi coniati
dal nulla, l'alone di tedio
e disprezzo incapace persino di abbagli.
Luca Canali
Siamo realisti,
esigiamo l'impossibile.
Che Guevara
Il termine "utopia" appare per la prima volta nell'opera "Utopia" di Tommaso Moro del 1516. Il neologismo risulta composto di ou, "non", e tópos, "luogo", ma nell'opera di Moro non è acclarato se essa sia l'eu-tópos, il regno perfetto della felicità, o l'ou-tópos, il luogo inesistente per antonomasia, o l'una cosa e l'altra allo stesso tempo.
Da allora in poi i diversi usi della parola hanno in comune il riferimento all'immaginario e all'ideale. Utopia è la società auspicata, l'agognato modo di vivere, l'ideologia sognata, il cui conseguimento determina giustizia, equità, realizzazione, armonia.
L'utopia è un progetto, un disegno dell'immaginazione umana: può essere creato da altri e fatto tuo, oppure creato da te. Solitamente è un prodotto di un radicato senso di frustrazione e insoddisfazione nei confronti del contesto esistenziale, individuale o sociale in cui ci si trova a campare.
Comunemente ne vieni catturato in giovine età, le dedichi se non la vita, la passione, l'impegno, il sacrificio, lo studio, i momenti migliori, non sapendo, o forse non volendo sapere, che non potrà mai realizzarsi come vorresti.
La fine dell'utopia ti consegna alla disillusione bruciante, al cocente disincanto: ciò può avvenire gradualmente se viene erosa lungo la tua esistenza o tipo shock anafilattico se crolla in un istante.
Io non ho saputo, forse potuto, farne a meno dell'utopia, mi è servita a vivere, lottare, perché ho creduto nella "immaginazione al potere", dove immaginazione è uguaglianza nella diversità, imposizione del bene e dell'interesse comune, della cultura e ragione, dei diritti e doveri per tutti senza eccezione alcuna, eliminazione della povertà e della miseria, rispetto e dignità dell'ambiente.
Quindi dedicherò "el mestée del mes de mag" a questa mia utopia giovanile di una società ove "ognuno contribuisca secondo le proprie capacità, e ognuno abbia secondo i suoi bisogni", e per parlarne riporterò alcune brevi testimonianze sull'organizzazione(e del quotidiano) a cui sono stato più vicino e alcuni scritti su temi che necessitano, per opportuna comprensione, della contestualizzazione temporale(1968-1977). Le foto sono tratte dal web o da libri: alcune sono di Tano D'Amico e Uliano Lucas. Il filmato è stato prodotto dal Movimento Studentesco della Università Statale di Milano nel 1971.
Utopia 1. Lotta Continua.
Il Sessantotto ha innescato nei campus americani, nelle comuni tedesche, nelle università da Trento a Napoli, una ribellione antisistema e una conflittualità che dalle scuole si è estesa alla fabbriche, alle caserme, agli ospedali, alle carceri.
Tra due generazioni, quella del dopoguerra e quella degli anni Ottanta, che progettano la propria carriera, ne cresce una che progetta la rivoluzione.
Non guardano al comunismo sovietico, che per la grigia burocrazia e il plumbeo autoritarismo ricorda loro quel potere costituito -lo stato, la polizia, i rettori universitari, gli industriali, la chiesa- che aborrono. Sono sensibili alle suggestioni della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese("sparate sul quartier generale") e alla retorica del Vietnam(il Davide comunista contro il Golia imperialista). Hanno il mito della classe operaia e considerano il PCI e i sindacati strumenti del capitale che imprigionano il potenziale rivoluzionario degli operai nella gabbia dei contratti e delle riforme. Passati i mesi dei cortei e degli scontri, che ai più ottimisti sono parsi segni della fine del sistema, li attende lo choc di Piazza Fontana, della strage di stato. Per sopravvivere alla repressione, all'inizio degli anni Settanta creano organizzazioni che i giornali, la polizia e l'opinione pubblica moderata non distinguono l'una dall'altra.
Il più interessante, per capacità di aggregazione, incidenza della componente femminile, aggressività politica, personalità dei dirigenti nasce a Torino nell'estate del 1969, dall'incontro fra gli operai delle Carrozzerie di Mirafiori e gli studenti di Palazzo Campana, dell'Istituto di Scienze sociali di Trento, dell'Università Cattolica di Milano e della Normale di Pisa. Lo tiene a battesimo la battaglia di corso Traiano. Non ha un nome, lo prenderà dall'intestazione dei volantini che studenti e studentesse distribuiscono, tre volte al giorno, ai cancelli della città-fabbrica: "La lotta continua". (A.Cazzullo, 1998)
Utopia 2. La rivoluzione "continua".
Sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria(Cina, 1966-1969) non si è scritto molto, poiché avvenimento storico di data recente, ma si sono ricercati febbrilmente, e si ricercano tuttora, i perché di questa "rivoluzione di sinistra" attuata in un regime socialista.
Tutte le spiegazioni e le interpretazioni filosofico-politiche credo di poterle riassumere in questi due punti: la proletarizzazione dell'ideologia marxista-leninista e la conseguente democrazia proletaria.
(...)
La linea di massa ha modellato il partito comunista cinese tramutandolo in un organismo dinamico, a contatto con il popolo, che deve insegnare ad esso e imparare da esso la giusta prassi rivoluzionaria, e rifletterne, inoltre, all'interno le possibili contraddizioni.
(...)
Il processo lotta-critica-trasformazione, operante in ogni campo durante la rivoluzione culturale, doveva inserirsi anche nel contesto partitico, e quindi distruzione della burocrazia parassita, eliminazione dei quadri revisionisti e costruzione di un organismo guida, costituito da avanguardie proletarie rivoluzionarie, il cui compito è dirigere la rivoluzione e combattere il nemico di classe.
(...)
Alla progressiva estinzione del potere statale teorizzata da Marx, il partito comunista sovietico ha proposto, e propone tuttora, una alternativa sconcertante: l'eccezionale rafforzamento del potere governativo, sia territorialmente che extra-territorialmente, reprimendo ogni manifestazione popolare di contestazione. A questa involuzione della URSS la Cina ha opposto, con la rivoluzione culturale, una evoluzione importantissima nel processo di transizione tra capitalismo e comunismo senza precedenti storici. Marx auspicava l'eliminazione del parassitismo tipico della burocrazia e dell'esercito permanente; il revisionismo fonda la sua egemonia, identificandosi coi sistemi borghesi, su queste strutture, tanto inutili quanto pericolose per quanto concerne avventure di carattere reazionario. Con la rivoluzione culturale la burocratizzazione del sistema ha subito eccezionali regressi a vantaggio di un decentramento politico amministrativo, che ha nei già citati comitati rivoluzionari gli organismi più rappresentativi.
(...)
Ritornando alla Rivoluzione Culturale, dobbiamo tenere presente che essa è stata il prodotto dell'inasprimento della lotta di classe. Da questa affermazione risulta che, nella società maoista, esistono ancora classi, non più sociali, ma politico-ideologiche, che periodicamente producono conflitti politici.
Le forze borghesi e revisioniste usano invariabilmente due tattiche nell'operare per porre in essere una restaurazione controrivoluzionaria: la soppressione armata della dittatura del proletariato, come avvenne nella Comune di Parigi nel 1871, e la "evoluzione pacifica".
Essa inizia operando nella sfera dell'ideologia e dell'espressione artistica e letteraria, in modo da preparare l'opinione pubblica a una svolta controrivoluzionaria. Non appena ne saranno date le condizioni necessaria avverrà la presa del potere statale e l'involuzione dittatoriale borghese.
Sicuramente, tra le due linee tattiche, quest'ultima, essendo la meno evidente, è anche la più pericolosa, e, mentre la guerra di liberazione conclusasi nel 1949 si combatté militarmente, nella Rivoluzione Culturale l'obiettivo da colpire era proprio l'"evoluzione pacifica" controrivoluzionaria posta in essere dalla infiltrazione revisionista luishaochista.
Ma il maoismo non si è illuso di aver concluso definitivamente lo scontro tra la concezione politico-ideologica del proletariato e quella borghese revisionista. Lo "Jiefangjun Bao" in un articolo del 6 giugno 1966, ribadiva quanto suddetto, asserendo che "sarà necessario un tempo molto lungo, decenni e forse secoli, per decidere chi vincerà la battaglia sul fronte politico e ideologico, per decidere se vincerà il socialismo o il capitalismo".
Quindi la Rivoluzione Culturale non è stata che una fase dell'intero processo rivoluzionario verso il comunismo, inteso come fase superiore del socialismo, e che, in futuro, vi saranno altre rivoluzioni culturali, che assicureranno l'evolversi della dittatura del proletariato nei confronti di eventuali rigurgiti reazionari.
(...) (GR, 1971. Estratto tesi maturità: "La rivoluzione culturale proletaria.")
Utopia 3. La democrazia dei consigli.
(...)
Partendo dalla insoddisfazione circa la strategia sindacale, dalla volontà di opporsi realmente ai disegni padronali, alcuni compagni lavoratori del gruppo(Liquigas, ndr) hanno deciso di costituire un coordinamento che vuol essere un organismo con una completa autonomia, sia di elaborazione politico-sindacale, sia organizzativa, escludente a priori una strutturazione burocratica e un egemonismo partitico o di gruppo, aperto a tutti i lavoratori che vogliano portare il loro contributo attivo alla difesa intransigente e allo sviluppo degli interessi concretamente di classe.
Fulcro dell'intero programma da sviluppare come coordinamento è l'impostazione di una ipotesi ben determinata di lavoro politico, all'interno della fabbrica mediante discussione coi lavoratori, interventi in situazioni di lotta e di verifica assembleare, volantinaggio, all'esterno contattando organismi territoriali, stampa di controinformazione, radio democratiche. Lavoro politico che deve tatticamente privilegiare un discorso di lotta difensivo dei livelli occupazionali, dell'integrità salariale e dei suoi meccanismi di aggancio al costo della vita, delle conquiste politiche dell'autunno caldo, contro i dequalificanti contenuti del documento confederale recentemente approvato,ma strategicamente preparare il terreno a un rilancio dell'iniziativa operaia su programmi concretamente alternativa allo sfruttamento padronale, lavorando per una radicalizzare sempre più lo scontro di classe.
(...)
Costruire dunque ipotesi di alternativa o di integrazione ai consigli di fabbrica?
Pur riconoscendo che da anni ormai i consigli boccheggiano, umiliati nella loro funzione originaria dalla linea verticistica e burocratica delle centrali sindacali, ridotti solitamente a cinghie di trasmissione delle direttive confederali, ne sosteniamo tuttavia la validità politica. Si dovrà con la nostra azione trasformare i contenuti politici dei consigli, alfine di una rinnovata e corretta interpretazione delle aspirazioni e dei problemi dei lavoratori, portare nella esperienza consiliare l'agitazione e la propaganda delle nostre proposte per mutare i consigli di fabbrica in organi di effettiva direzione operaia.
Il coordinamento si inserisce quindi in un contesto integrativo, non alternativo, alla struttura sindacale in fabbrica, anche perché, a nostro avviso, rifiutare una prospettiva politica di questo tipo -chiaramente prospettiva di medio-lungo periodo- in ragione del fatto che i consigli stanno gradatamente perdendo forza e peso sindacale, è accontentarsi di contemplare la situazione senza un programma minimalistico capace di trasformarla. Proiettando quanto esplicitato riguardo ai consigli a livello generale, è chiarissima l'opposizione strutturalmente interna che il coordinamento porterà avanti nei confronti di una linea collaborazionista suicida dei vertici confederali, di un progetto politico di corresponsabilizzazione della classe operaia alla gestione padronale della crisi.
Il sindacato dell'accordo del gennaio 1977 con Confindustria, dell'erosione continua del potenziale di lotta dei lavoratori, della revoca dello sciopero generale, del documento programmatico, delle dichiarazioni di Lama alla conferenza operaia del PCI, che immola sull'altare del patto sociale la lotta di classe, non può certo rappresentarci.
Il nostro lavoro deve contribuire a smascherare questa volontà di ingabbiare la classe operaia subordinandola al rilancio della economia nazionale, alla ricostituzione dei margini di profitto, all'accumulazione capitalista. (GR, 1977. Estratto da articolo per Lotta Continua.)
Utopia 4. Prendiamoci la città.
La critica investirà non solo la catena di montaggio, ma tutte le strutture attraverso cui lo "Stato dei padroni" organizza il potere: il carcere, la caserma, l'ospedale, la scuola, il manicomio. Lotta Continua si preoccupa di organizzare i detenuti, le reclute, gli studenti medi, e cerca di dare una traduzione politica alla rabbia dei ghetti urbani, dei disoccupati, dei piccoli criminali. E' una discesa agli inferi della microconflittualità, della delinquenza, della controcultura.
(...)
Lo scopo è catalizzare le tensioni, suscitare rivolte, rinfocolare conflitti, accendere ribellioni e indirizzarle nella direzione di un cambiamento del sistema. Il momento è propizio, perché coincide con una forte domanda di politica che sale da chi la politica non ha mai fatto, e quindi ne respinge le mediazioni ed è pronto ad irrompere sulla scena con la rabbia della propria condizione e la virulenza -ma anche l'apertura, la disponibilità, l'afflato sociale- propria dei tempi.
(...)
La nuova linea viene sancita al Palasport di Bologna. "Prendiamoci la città" è il motto del secondo convegno nazionale di Lotta Continua nel 1971.
(...)
Si prevede che la rivoluzione italiana si articolerà in tre fasi: la prima, che "ha raggiunto un tetto", è l'autonomia operaia; la seconda, la presa della città e la creazione di "basi rosse" autonome dallo stato; la terza, la lotta armata, in cui la "violenza delle masse potrà farsi da difensiva a offensiva" e "l'obiettivo della lotta potrà essere la distruzione dell'apparato difensivo dello stato".
Non è una città pacificata e liberata quella a cui Lotta Continua dà l'assalto, anzi, è abitata da "nemici da punire", di cui bisogna compilare liste di nomi: capireparto, industriali, palazzinari. Ma il ricorso alla violenza è rimandato nel tempo: "la lotta armata comincia con la difesa di un inquilino minacciato di sfratto e finisce con la lotta di popolo contro l'imperialismo". (A.Cazzullo, 1998)
Una molotov esistenziale.
Laura lo aveva osservato in aula, nelle assemblee, nelle manifestazioni: le sembrava diverso dagli altri, con quel suo essere trasandato, polemico talvolta all'eccesso, sempre coerente, mai volgare, un poco imbranato.
Per Edo invece lei era una delle più belle, intelligente senza farlo pesare, priva di menate nel vestire o nell'atteggiarsi: il fatto era che piaceva a molti, e molti di questi erano inequivocabilmente più belli di lui.
Lui, nell'impetuosa fine degli anni '60, stava "prendendo" coscienza di classe, leggendo, studiando, partecipando. Lei seguiva con interesse il ribollire studentesco, ma era più un affare di pelle, benché stesse cercando modo e tempo per farlo divenire un affare di testa e cuore.
Con simili premesse, scontata fu la causa che consentì a entrambi di passare dalla frequentazione occasionale a quella abituale: in quell'autunno caldo nella cerchia dei Navigli, galeotto fu "Stato e Rivoluzione". All'epoca non era cosa strana o eccentrica: gruppi e momenti di studio, di lettura, politicamente orientati, spuntavano a Milano come i Cento Fiori nella Cina maoista del 1956.
Edo si era prestato, a richiesta esplicita di Laura, a una lettura congiunta del testo fondamentale di Lenin; tale lettura, con dibattito a due, si esercitava in caserecci pomeriggi dopo scolastici, e, occasionalmente, in alcune caserecce serate, aventi in comune la assoluta assenza di altra presenza umana.
Assenza comprensibilmente e necessariamente ricercata poiché condizione ottimale sia per lo studio del sacro testo sia per la reciproca accelerazione ormonale, debitamente controllata.
L'etica politica dettata dalla militanza, e la timidezza piccolo borghese, proibirono a entrambi di passare dalla elaborazione teorica leninista alla pratica sessuale di base, sino al meriggio in cui nel dibattito serrato si introdusse Trotzky.
Edo, da buon marxista-leninista, non avrebbe dovuto essere attratto da Lev, il grande deviazionista, ma alcune sue tesi lo affascinavano, e tra queste la "rivoluzione permanente". Lui avvitandosi penosamente nella spiegazione del concetto, finì per dire a Laura che, certo subiva un'attrazione eterodossa per la "rivoluzione permanente", ma che non era nulla al confronto della attrazione fatale che provava per la sua "permanente", fatta il giorno prima, che le incorniciava il viso in un trionfo di riccioli, trucioli e boccoli a cascata.
Da quel pomeriggio nulla fu più come prima: Edo e Laura scoprirono che sesso e politica erano una miscela altamente esplosiva, una molotov esistenziale, che avrebbe per sempre condizionato le loro vite seppur con percorsi diversi. (Calico Jack)
Mi si è posata su una scarpa
una farfalla
rossa azzurro scuro
non me ne ero neanche
accorto
la scopro ora con meraviglia
con sorpresa
sono su una terrazza squallida
a diversi
metri di altezza
tra fabbriche puzzolenti
molti acidi
molta ruggine e silenzio
la riguardo con emozione
non ho coraggio
di muovermi
vorrei tanto
piegarmi per toccarla
per stringerla
sento una grande
dolcezza
non sento più
stanchezza
paura
il paesaggio di caldaie
di colonne d'acciaio
di nere bocche
di morte
è finito
lontano lontano.
Non scappare, non scappare
continua a vibrare
a muoverti
nel mio sangue
nel mio corpo.
Non scappare, ti assicuro
ti ascolto
non respiro neanche
quasi
non scappare non scappare
ti conosco
già altre volte
mi sei
sfuggita
dalle mani
dal cuore.
Non scappare ora.
Divoreremo insieme
questo inferno e questo autunno
tesseremo insieme
altre terre
e altri tempi.
F. Brugnaro, operaio di Porto Marghera, poeta.