April 2021. Giorgio.
Come scrissi nel "mestée del mes" di luglio 2020 era mia intenzione dedicare tre "mestée" a un trittico di artisti che ebbero Milano come manifestazione, per nascita o per adozione, della loro "arte"". Il primo fu Enzo Jannacci, il secondo -soggetto del "mestèe" di questo mese- è Giorgio Gaber. Ovviamente il Gaber dal 1970 in poi che si avvale della fondamentale collaborazione di Sandro Luporini. Il Gaber che al culmine del successo discografico e televisivo, abbandona e intraprende la strada del teatro e dell'impegno.
Ricordo l'impatto culturale che ebbero sulla mia formazione i primi spettacoli di teatro-canzone di Gaber a cui assistetti, "Dialogo tra un impegnato e un non so" e "Far finta di esser sani", negli anni 1972-1973, che divennero elementi di riflessione nella mia coscienza sociale e politica.
Se da un lato la narrazione di Gaber rafforzò alcune mie convinzioni maturate negli anni precedenti, dall'altro insinuò dubbi e incertezze che poi furono coerente patrimonio critico dell'impegno, dello "schierarsi", dell'analisi della evoluzione, o meglio della involuzione, dei valori e utopie sessantottine, delle disillusioni progressive.
Gaber fu un intellettuale certamente "di sinistra", ma di una sinistra non ideologica, libertaria, non militante (come ritengo sia stato Dario Fo), in alcune sue espressioni (o provocazioni) forse qualunquista, che ha insegnato che nel cammino di ognuno di noi non esistono traguardi, non esistono verità assolute da abbracciare acriticamente o peggio da farsi consegnare. Ci ha avvertito che bisogna diffidare da chi si autoproclama maestro, e bisogna dubitare delle risposte immutabili, perché la realtà è un continuo divenire come la nostra vita.
Nel "mestée" si riportano narrazioni, un intervento-video di Andrea Scanzi, e diverse canzoni. Per la visione dei video e l'ascolto delle canzoni, clicca sulle locandine.
Testi di altre canzoni di Gaber-Luporini li puoi trovare nel "mestée del mes" di marzo 2015 "Lyrics: canzoni & astrazioni".
Il teatro canzone.
Il Signor G / I Borghesi, 1970/1971 e 1971/1972
Dialogo tra un impegnato e un non so, 1972/1973
Far finta di essere sani, 1973/1974
Anche per oggi non si vola, 1974/1975
Libertà obbligatoria, 1976/1977
Polli d'allevamento, 1978/1979
Anni affollati, 1981/1982
Io se fossi Gaber, 1984/1985
Il Teatro Canzone, 1991/1992
E pensare che c'era il pensiero, 1995/1996
Un'idiozia conquistata a fatica, 1997/1998, 1998/1999 e 1999/2000
Album in studio (post 2000).
La mia generazione ha perso, 2001
Io non mi sento italiano, 2003
Con lo sferzante sarcasmo di un Brel, Gaber sputò nei teatri la sua poetica dissacrante anti-borghese, anti-clericale, ritratto di bigotteria, sciacallaggio, ipocrisia. Ma Gaber non sposa nessuna ideologia: il suo sguardo è impietoso anche nei confronti delle mode obbligatorie della sinistra.
Fu tra i primi a prendere le distanze da certe ideologie post-68, pur rimpiangendo quello slancio. La sua voce è quella di un individualista senza pace, che non riesce a tacere su nulla.
Nutre una feroce antipatia per le masse omologate e pappagallanti, Gaber.
Fiducia dolente nelle esperienze individuali, enorme sfiducia nell'aggregazione e nelle collettività. Questo è un altro dei punti cardinali dell'etica gaberiana.
Alternando con straordinaria intensità musica e monologhi, Gaber ci ha insegnato molto: combattuto tra vita e nevrosi, tra benessere e scoramento cantando l'illogica allegria e il "diritto di vivere il presente". Mettendo a nudo gli intralci della coerenza e le asperità della onestà intellettuale e della indipendenza. Cantando la sessualità e il rapporto di coppia con maestria balzacchiana, coniugando le doti del caratterista con l'algebrica puntualità del moralista. Fu un intellettuale senza cattedra.
Lo stupore, l'adesione, la rabbia, il dolore, il desiderio. Sapeva, Giorgio, che "tutto va in rovina"; che le cose diventano "risapute e stanche". Ma il suo non fu nichilismo: fu piuttosto un'iper-consapevolezza. La sua amarezza era divenuta sempre più insanabile. Il suo ultimo album in vita "La mia generazione ha perso", è un testamento di programmi e ideali falliti.
Gaber, che fu tra i primi ad allontanarsi dal settarismo delle ideologie, mal si rassegna allo sperpero degli ideali e dell'impegno civile d'un tempo.
S'incazza più di sempre, perché non vede "più nessuno che s'incazza". Tutto è annacquato. "Ma questa è un'astrazione/ È un'idea di chi appartiene/ A una razza in estinzione". La sua.
Il corto circuito che uno spettacolo di Giorgio Gaber metteva in moto era gesti e canzone, impeto civile e divertimento. Non è semplice spiegarlo. Alla naturale precarietà del nostro difficile tentativo di raccontare la musica, si aggiungono altri livelli, parlando di Gaber. Chi non ha avuto la fortuna di assistere a un suo recital difficilmente potrà comprendere il coinvolgimento fisico che il suo teatro-canzone sapeva ingenerare. I recital che Giorgio portava in giro per i teatri negli anni 70 erano overdose di intelligenza, perché sferzavano come una sega circolare costumi in irrefrenabile mutazione. Ma lo facevano utilizzando insieme la parola e il corpo (oltre che la musica).
Quegli spettacoli, sia quelli interamente di Gaber, sia quelli allestiti insieme al sodale di 30 anni Sandro Luporini, sono pietre miliari, verrebbe da dire sociologiche, per la loro capacità di mettere a nudo, con pudore e sottigliezza, la tragicità ordinaria dell'esistenza e del vivere insieme. Quanto sia importante l'aspetto corporeo e fisiologico, nell'arte gaberiana, è indiscutibile.
Lui, lì, sul palco, un guitto nero, con quei suoi tentacoli, le braccia, il naso, le gambe; le smorfie, i tic, i ghigni, i sorrisi timidi. Un corpo parlante. (Il Mucchio Selvaggio)
La razza in estinzione. 2001.
Non mi piace la finta allegria,
non sopporto neanche le cene in compagnia.
E coi giovani sono intransigente,
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.
E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
ed esalta come sacra la vita coniugale.
E poi ci sono i gay, che han tutte le ragioni,
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.
Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale.
Ma chi specula su chi è malato,
su disabili, tossici e anziani,
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza.
E chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza in estinzione.
La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata,
sicura di ridare un senso alla propria vita.
Ma ormai son tutte cose del secolo scorso...
la mia generazione ha perso.
Non mi piace la troppa informazione,
odio anche i giornali e la televisione.
La cultura per le masse è un'idiozia,
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano,
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano.
C'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.
Non mi piace nessuna ideologia,
non faccio neanche il tifo per la democrazia.
Di gente che ha da dire ce n'è tanta,
la qualità non è richiesta,
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno.
Non credo più all'ingegno del popolo italiano,
dove ogni intellettuale fa opinione,
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.
Ma forse sono io che faccio parte
di una razza in estinzione.
La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto,
che stavano cercando,
magari con un po' di presunzione,
di cambiare il mondo.
Possiamo raccontarlo ai figli,
senza alcun rimorso...
ma la mia generazione ha perso.
Non mi piace il mercato globale,
che è il paradiso di ogni multinazionale.
E un domani state pur tranquilli,
ci saranno sempre più poveri e più ricchi,
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio,
una specie di massa
senza più un individuo.
E vedo il nostro stato,
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente.
E vedo anche una chiesa,
che incalza più che mai,
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.
Ma questa è un'astrazione,
è un'idea di chi appartiene
a una razza in estinzione.
Lui. 1971. I borghesi. 1971.
Lui è, lui è come Dio, lui è il meccanismo perfettissimo.
Con lui l’uomo è finalmente libero, libero di scegliere, libero di farsi una carriera, di diventare qualcuno partendo dal niente, di raggiungere traguardi economici solidi e inattaccabili.
Lui l’onnipresente, c’è sempre dappertutto, è il meccanismo indistruttibile che dall’alto del suo vertice, controlla fabbriche scuole uffici teatri, è anche qui ora, in questo momento, invisibile dominante.
Lui l’onnipotente, può tutto, ma non usa mai tutta la sua potenza, si è vero, qualche volta è anche armato, mai lui le armi non le usa, no mai, le ha lì. Per farti riflettere.
E se non rifletti, capisce che hai scarse capacità di concentrazione, e allora ti mette in uno stanzino indisturbato senza finestre, per evitarti distrazioni di qualsiasi genere.
Lui è una forza a se stante, quasi priva di volontà, ma tramanda le sue leggi attraverso i suoi apostoli, che dirigono le masse nella produzione, nei rapporti umani e anche nel tempo libero.
Questi apostoli, queste emblematiche figure, sono i nostri santi: sant’Agnelli, san Pirelli, san Giovanni Borghi, san Costa, san Marzotto dei filati, san Felice Riva di Valle Susa, martire.
Il nostro lavoro, i nostri affetti, la nostra vita, la nostra condizione insomma, tutto dipende da loro, che generosamente si sono occupati di noi, fin da quando eravamo bambini.
Quand’ero piccolo, non stavo mica bene,
ero anche magrolino, avevo qualche allucinazione
e quando andavo a cena, nel tinello con il tavolo di noce,
ci sedevamo tutti e facevamo il segno della croce.
Dopo un po’ che li guardavo, mi si trasformavano:
i gesti preparati, degli attori, attori consumati,
che dicono la battuta e ascoltano l'effetto.
E io ero li come una comparsa, vivevo la commedia,
anzi no la farsa.
E chissà perché durante questa allucinazione,
mi veniva sempre in mente una stranissima canzone:
I borghesi son tutti dei porci, più sono grassi,
più sono lerci, più son lerci e più c’hanno i milioni,
i borghesi son tutti...
Quand'ero piccolo, non stavo mica bene,
ero anche molto magro, avevo sempre qualche allucinazione.
E quando andavo a scuola, mi ricordo di quel vecchio professore,
bravissima persona, che parlava in latino ore e ore.
Dopo un po’ che lo guardavo, mi si trasformava:
si, la bocca si chiudeva stretta, lo sguardo si bloccava,
il colore scompariva, fermo immobile, di pietra,
si, tutto di pietra.
E io vedevo già il suo busto davanti ad un'aiuola
con su scritto: prof. Malipiero, una vita per la scuola.
E chissà perché, anche durante questa allucinazione,
mi veniva sempre in mente una stranissima canzone:
I borghesi son tutti dei porci, più sono grassi,
più sono lerci, più son lerci più ci hanno i milioni,
I borghesi son tutti...
Adesso che son grande, ringrazio il Signore,
mi è passato ogni disturbo,
senza bisogno neanche del dottore.
Non sono più ammalato,
non capisco cosa mi abbia fatto bene,
sono anche un po' ingrassato,
non ho più avuto neanche un’allucinazione.
Mio figlio,
mio figlio mi preoccupa un po':
è così magro e poi,
e poi ha sempre delle strane allucinazioni:
ogni tanto viene lì, mi guarda e canta,
canta una canzone stranissima
che io non ho mai sentito:
I borghesi son tutti dei porci,
più sono grassi e più sono lerci,
più son lerci e più c’hanno i milioni,
i borghesi son tutti...
mah.
L’ingranaggio. 1972.
Anch’io, si anch’io,
devo andare sempre avanti,
senza smettere un momento,
devo andare sempre avanti.
E lavorare, lavorare, lavorare
e continuare a lavorare, lavorare, lavorare
e non fermarsi mai
e non fermarsi mai
e non fermarsi mai
e avere dentro il senso che non sei più vivo.
E faticare tanto,
trovarsi con un vecchio amico
e non saper che dire.
Capire che non ho più il tempo
per il riso e il pianto,
saperlo e non aver la forza di ricominciare.
Non è che mi manchi la voglia
o mi manchi il coraggio,
è che ormai son dentro
nell’ingranaggio.
Ricordo quelle discussioni
piene di passione,
di quando facevamo tardi
dentro a un’osteria.
L’amore, l’arte, la coscienza,
la rivoluzione,
sicuri di trovar la forza
per andare via.
Non è che mi manchi la voglia
o mi manchi il coraggio,
è che ormai son dentro
nell’ingranaggio, nell’ingranaggio.
Questo ingranaggio così assurdo e complicato,
così perfetto e travolgente,
quest’ingranaggio fatto di ruote misteriose,
così spietato e massacrante,
quest’ingranaggio come un mostro sempre in moto,
che macina le cose, che macina la gente.
Si, anch’io devo andare sempre avanti,
anch’io devo andare sempre avanti,
senza smettere un momento,
devo andare sempre avanti.
E lavorare, lavorare, lavorare,
e continuare a lavorare, lavorare, lavorare
e non fermarsi mai
e non fermarsi mai.
E non fermarsi mai.
E ritornare a casa silenzioso e stanco,
senza niente dentro,
appena il cenno di un sorriso,
senza convinzione.
La solita carezza al figlio
che ti viene incontro,
mangiare e poi vedere il film
alla televisione.
Non è che mi manchi la voglia
o mi manchi il coraggio,
è che ormai son dentro
nell’ingranaggio.
Gli intellettuali. 1972.
No, io sono un uomo di cultura, io con quelli lì non ci vado, sono testacchioni. Si forse l’impostazione è anche giusta, ma ci sono troppe cose che... Certo che il mondo va male, vuoi che non lo veda, sono più a sinistra di loro io. È che loro sono ingenui ignoranti, non hanno dubbi, mentre io, io sono un problematico, e prima di prendere una decisione...
Gli intellettuali sono razionali,
lucidi, imparziali, sempre concettuali,
sono esistenziali, molto sostanziali,
sovrastrutturali e decisionali.
E poi dicono gli intellettuali. E' chiaro, siamo su un altro livello, loro van lì, pam pam, si picchiano coi fascisti con la polizia, cosa risolvono? Non scavano, sono grossolani. Io sono anche magro, diffido della gente robusta. Gli operai, oh intendiamoci, io sono più a sinistra di loro, è che tanto non si può far niente. Toh, un po' di vento, questa foglia che mi batte su un occhio? Agire dicono, bisogna agire, che fastidio questa foglia, bisogna vedere come si agisce e se si può agire, intanto batte eh, cosa posso fare? Niente, non c’è niente da fare.
Gli intellettuali fanno riflessioni,
considerazioni piene di allusioni,
allitterazioni, psico connessioni,
elucubrazioni, autodecisioni.
Che fastidio questa foglia, batte sempre più forte, cosa posso fare?
Niente, non c’è niente da fare.
Va a finire che perdo l’occhio.
Gli operai. 1972.
Si, si, si. Li conosco quei discorsi, li ho fatti anch’io, è una vita che parlate di operai.
Belli, con le mani grosse, i pugni chiusi,
forti con le braccia sporche e il petto in fuori,
nudi, sudati, coraggiosi che si muovono gloriosi,
gli operai.
È una vita che fate la retorica sugli operai, gli operai.
Belli, con le spalle grosse, i visi aperti,
forti con i loro sguardi fieri e sani,
veri, autentici, onesti,
come si vedono sempre sui vostri manifesti,
gli operai.
Ma basta, con questi discorsi, basta.
Gli operai sono gente come noi
e non è vero
che hanno l’esclusiva dello sfruttamento.
Gli operai sono anche peggio di noi,
perché non ne hanno coscienza,
non se ne rendono conto
e non sanno mai niente.
E fan discorsi grossolani,
che non si possono sentire.
Gli operai
sono immaturi impreparati,
leggono poco e non si fidano della cultura.
Gli operai hanno ancora
il complesso della borghesia,
dei suoi valori scontati,
che loro vogliono imitare,
con sforzi meschini
che non si posson più vedere,
gli operai.
Gli operai sono solo più oppressi
e più sfruttati di noi, hanno altri problemi.
E non sono invischiati
in oggetti che noi
custodiamo con cura.
Gli operai hanno addosso soltanto
una rabbia che cresce,
una rabbia che si estende,
da sbattere addosso ai padroni,
che la polizia difende.
Gli operai hanno ancora una forza
per non farsi fregare dalla gente perbene,
che con tante parole, con tante promesse
li frena li tiene,
gli operai.
Gli operai hanno addosso una forza tremenda,
che può rovesciare questo mondo di merda,
che noi alimentiamo e non si ferma mai,
gli operai, gli operai, gli operai.
La sedia. Al bar Casablanca. 1972.
…La sedia!
La sedia è la sedia: visione globale dell’oggetto.
Generalmente di legno, faggio evaporato, noce dei casi migliori, talvolta di vimini, caso limite, non globale.
La sedia serve per sedersi e se di vimini stride alla pressione dei culi obesi, pesanti, sempre seduti: fenomenologia dell’oggetto.
Già, ma chi si siede?
Qui il discorso si fa più difficile ed occorre un’analisi più profonda alla luce della quale emerge un verità sconcertante: si siede chi ha la sedia.
Chi non ce l’ha?
Chi non ce l’ha è costretto a stare in piedi. Se ne deduce che inevitabilmente la sedia opera nell’umanità una piccola divisione.
Ma chi ha la sedia è gentile e la cede a chi è in piedi?
No! Chi ha la sedia se la tiene e ci sta comodamente seduto.
Ma allora cosa ci rappresenta il "Prego s’accomodi"?
Il "Prego s’accomodi" è un modo di dire, signorile e democratico, che fa notare le differenze ma con gentilezza. Meglio sarebbe sostituirlo con "Prego stia pure in piedi", ugualmente gentile però più vero!
Io la sedia ce l’ho però sto in piedi.
No, mi dispiace questo caso non è previsto!
Come non è previsto? Cercate di prevederlo perché io sono uno in piedi con la sedia.
Beh, allora diciamo che soggettivamente sei uno di quelli che stanno in piedi, ma oggettivamente…
Al bar Casablanca,
seduti all’aperto, una birra gelata,
guardiamo le donne,
guardiamo la gente, che va in passeggiata.
Con aria un po' stanca,
camicia slacciata, in mano un maglione,
parliamo, parliamo
di proletariato, di rivoluzione.
Al bar Casablanca,
con una gauloise, la Nikon, gli occhiali,
e sopra una sedia
i titoli rossi dei nostri giornali.
Blue jeans scoloriti,
la barba sporcata da un po' di gelato,
parliamo, parliamo
di rivoluzione, di proletariato.
L’importante, è che l’operaio prenda coscienza, per esempio i comitati unitari di base, guarda gli operai di Pavia e di Vigevano, non hanno mica permesso che la politica sindacale realizzasse i suoi obbiettivi, hanno reagito, hanno preso l’iniziativa. Non è che noi dobbiamo essere la testa degli operai, sono loro che devono fare, loro. Noi..
Al bar Casablanca,
seduti all’aperto, la Nikon, gli occhiali,
e sopra una sedia
i titoli rossi dei nostri giornali.
Blue jeans scoloriti,
la barba sporcata da un po' di gelato,
parliamo, parliamo
di rivoluzione, di proletariato.
Buttare lì qualcosa. 1974.
Ho visto aiutare chi sta male,
sperare in un mondo più civile.
Ho visto chi si sa sacrificare,
chi è sensibile al dolore
ed ho avuto simpatia.
Ho visto tanti figli da educare
e gente che li cresce con amore.
Ho visto genitori comprensivi
ed insegnanti molto bravi,
pieni di psicologia.
Ma non ho visto mai nessuno,
buttare lì qualcosa e andare via.
Ho visto tanti giovani lottare
di fronte alla violenza del potere.
Ho visto tanti giovani impegnati,
militare nei partiti,
con la loro ideologia.
Ma non ho visto mai nessuno,
buttare lì qualcosa e andare via.
Ho visto farsi strada una tendenza,
si parla di politica e coscienza.
Ho visto dar valore ai nostri mali,
anche ai fatti personali,
teorizzare anche Maria.
Ma non ho visto mai nessuno,
buttare lì qualcosa e andare via.
Diffondere e insegnare la conoscenza,
imporre a tutti i costi la propria esperienza.
Guidare, guidare per farsi seguire,
opporsi al potere, infine riuscire a cambiare il potere.
Decidere per gli altri dentro a una stanza,
sapersi organizzare con molta efficienza.
Guidare, guidare per farsi seguire,
opporsi al potere, cambiare per poi reinventare il potere,
Il potere.
E non ho visto mai nessuno,
buttare lì qualcosa e andare via.
Le elezioni. 1976.
Generalmente mi ricordo
una domenica di sole,
una giornata molto bella,
un'aria già primaverile,
in cui ti senti più pulito,
anche la strada è più pulita,
senza schiamazzi e senza suoni.
Chissà perché non piove mai
quando ci sono le elezioni.
Una curiosa sensazione,
che rassomiglia un po' a un esame,
di cui non senti la paura,
ma una dolcissima emozione
e poi la gente per la strada
li vedi tutti più educati,
sembrano anche un po' più buoni.
Ed è più bella anche la scuola
quando ci sono le elezioni.
Persino nei carabinieri
c'è un'aria più rassicurante,
ma mi ci vuole un certo sforzo,
per presentarmi con coraggio,
c'è un gran silenzio nel mio seggio,
un senso d'ordine e di pulizia.
Democrazia!
Mi danno in mano un paio di schede
e una bellissima matita.
lunga, sottile, marroncina,
perfettamente temperata
e vado verso la cabina,
volutamente disinvolto,
per non tradire le emozioni.
E faccio un segno sul mio segno,
come son giuste le elezioni.
È proprio vero che fa bene
un po' di partecipazione,
con cura piego le due schede
e guardo ancora la matita,
così perfetta è temperata...
Io quasi quasi mela porto via.
Democrazia!
La nave. 1973. Versione 1991.
Una nave. Una nave grande, enorme. Una nave che va, non si sa dove va. Non si sa da dove è partita.
E sopra molti, praticamente tutti.
La nave è la vita.
La nave è come una nave,
ed essendo una nave è abbastanza normale che vada in mare.
Il mare com’è naturale,
immobile e piatto è quasi perfetto,
sta lì sempre uguale.
La nave ha anche un motore
ed avendo un motore non sa dove va,
ma continua ad andare.
Avanti, avanti, avanti,
si può spingere di più,
insieme nella vita a testa in su.
La nave e sopra la nave,
a parte le masse, son tutti presenti,
gli amici e i parenti.
Manca solo il nonno, povero nonno.
Per tutti c’è un buon trattamento,
ognuno ha il suo posto, nel proprio recinto,
mi sembra anche giusto.
Prima classe, seconda classe, terza classe e poi i disoccupati, gli extracomunitari, gli albanesi, i curdi, anche i curdi…
La nave è una nave di classe,
il legno del ponte è dipinto di bianco è molto elegante.
"Oh, buongiorno”, “salve”, “arrivederci”, “come va”, “buona giornata”… “ciao, ciao”…
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più,
insieme nella vita a testa in su.
Sul mare, la nave biancheggia,
ha un fascino strano così suggestiva, anche quando beccheggia.
È un fascino che di dentro… mi sento poco bene… Va be’…
Ma basta distrarsi la mente,
usare il cervello, pensare un istante a qualcosa di bello:
Sì, devo pensare a qualcosa di bello che mi distragga: si, si, alla mia ragazza.
Si, alla mia ragazza. Ecco mi vedo: la mia mano scivola sui suoi capelli, bello, va giù sulle spalle, bello, va giù sui seni, bello, ancora più giù, ancora più giù… mi torna tutto su…
Il mare, com’è strano il mare,
non è che non senta la sua poesia, ma mi fa vomitare.
Devo pensare a qualcosa di triste, di tristissimo, a una tragedia: al nonno. Il nonno ha sempre funzionato.
Mio nonno morì tragicamente nel ’36 come Gozzano.
Gli ero così affezionato; era massone, alto, bel portamento, coi baffi, col fiocco. Aveva sposato la zia di una biscugina.
Che vita povero nonno! Ogni tanto spariva… bevitore eh, gran bevitore. A un certo punto il fegato… a pezzi, spappolato, putrefatto… mi torna il vomito, mi torna il vomito, devo resistere, non posso essere il primo, devo resistere. No, no!
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più,
insieme nella vita a testa in su.
La nave è un po’ troppo vitale,
la gente si sbianca, ma fa resistenza, non vuole star male.
Pensate al nonno!
Sul ponte, che è fatto a tre piani,
in terza e in seconda e anche in prima si sentono rantoli strani.
No, da quelli di prima non me lo aspettavo.
Il mare diventa più grosso,
dai piani di sopra su quelli di sotto si vomita addosso.
Una battaglia, una battaglia che cresce: quelli di prima vomitano su quelli di seconda, quelli di seconda su quelli di terza. Lo scontro è sfrenato, violento, la gente rimanda, reagisce, boccheggia, un prete esorta a volersi bene… poi si inginocchia e vomita anche l’anima. Un carabiniere mi tiene allora mi puntello cerco di vomitare verso l’alto ma non ci arrivo. Quelli di sopra hanno la meglio, si sporgono per vomitare, una vera cascata, una violenza, uno scroscio di conati, un rovescio di filamenti, la nave è tutta un vomito… tutto un vomito… dài, dài!
Avanti, avanti, avanti, si può spingere di più,
insieme nella vita a testa in su,
insieme nella vita a testa in su,
insieme nella vita a testa in su.
Io se fossi Dio. 1991.
Io, se fossi Dio
e io potrei anche esserlo,
se no non vedo chi.
Io, se fossi Dio, non mi farei fregare dai modi furbetti della gente,
non sarei mica un dilettante,
sarei sempre presente,
sarei davvero in ogni luogo a spiare
o meglio ancora a criticare, appunto,
cosa fa la gente.
Per esempio, il piccolo borghese
com'è noioso,
non commette mai peccati grossi,
non è mai intensamente peccaminoso.
Del resto, poverino, è troppo misero e meschino
e, pur sapendo che Dio è più esatto di una Sweda,
lui pensa che l'errore piccolino
non lo conti o non lo veda.
Per questo, io, se fossi Dio,
preferirei il secolo passato.
Se fossi Dio rimpiangerei il furore antico,
dove si amava e poi si odiava
e si ammazzava il nemico.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io, se fossi Dio,
non sarei mica stato a risparmiare,
avrei fatto un uomo migliore.
Sì vabbè, lo ammetto,
non mi è venuto tanto bene
ed è per questo, per predicare il giusto,
che io ogni tanto mando giù qualcuno,
ma poi alla gente piace interpretare
e fa ancora più casino.
Io, se fossi Dio,
non avrei fatto gli errori di mio figlio
e, specialmente, sull'amore
mi sarei spiegato un po' meglio.
Infatti, voi comuni mortali, per le cose banali,
per le cazzate tipo compassione e finti aiuti,
ci avete proprio una bontà
da vecchi un po' rincoglioniti.
Ma come siete buoni voi, che il mondo lo abbracciate
e tutti che ostentate la vostra carità
per le piantine, per le foreste, i cani,
per i delfini, per i canarini.
Un uomo oggi ha tanto amore di riserva,
che neanche se lo sogna,
che viene da dire:
ma poi coi suoi simili come fa ad essere così carogna...
Io, se fossi Dio,
direi che la mia rabbia più bestiale,
che mi fa male e che mi porta alla pazzia,
è il vostro finto impegno,
è la vostra schifosa ipocrisia.
Ce l'ho con quelli che per salvare la faccia,
per darsi un tono da cittadini umani,
fanno passaggi pedonali e servizi strani
e tante altre attenzioni
per handicappati, sordomuti e nani.
In queste grandi città,
che vivono nel caos e nella merda,
fa molto effetto un pezzettino d'erba
e tanto, tanto spazio per tutti i figli degli dei minori.
Cari assessori, cari furbastri, subdoli altruisti,
che usate gli infelici con gran prosopopea,
ma io so che dentro il vostro cuore li vorreste buttare
dalla rupe Tarpea.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io, se fossi Dio,
maledirei per primi i giornalisti e specialmente tutti,
che certamente non sono brave persone
e dove cogli, cogli sempre bene.
Signori giornalisti avete troppa sete
e non sapete approfittare delle libertà che avete.
Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate
e in cambio pretendete
la libertà di scrivere e di fotografare
Immagini geniali e interessanti,
di presidenti solidali e di mamme piangenti.
E in questo mondo pieno di sgomento,
come siete coraggiosi voi che vi buttate senza tremare un momento.
Cannibali, necrofili, deamicisiani, astuti,
e si direbbe proprio compiaciuti.
Voi vi buttate sul disastro umano,
col gusto della lacrima in primo piano.
Sì, vabbè, lo ammetto,
la scomparsa totale della stampa sarebbe forse una follia,
ma io, se fossi Dio, di fronte a tanta deficienza,
non avrei certo la superstizione
della democrazia.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io, se fossi Dio,
naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente.
Nel regno dei cieli non vorrei ministri,
né gente di partito tra le palle,
perché la politica è schifosa e fa male alla pelle.
E tutti quelli che fanno questo gioco,
che poi è un gioco di forze ributtante e contagioso,
come la lebbra e il tifo.
E tutti quelli che fanno questo gioco
c'hanno certe facce
che a vederle fanno schifo.
Io, se fossi Dio, dall’alto del mio trono
direi che la politica è un mestiere osceno
e vorrei dire, mi pare a Platone,
che il politico è sempre meno filosofo
e sempre più coglione.
E' un uomo a tutto tondo,
che senza mai guardarci dentro, scivola sul mondo,
che scivola sulle parole
e poi se le rigira come vuole.
Signori dei partiti,
o altri gregari imparentati,
non ho nessuna voglia di parlarvi
con toni risentiti.
Ormai le indignazioni son cose da tromboni,
da guitti un po' stonati.
Quello che dite e fate,
quello che veramente siete,
non merita commenti, non se ne può parlare,
non riesce più nemmeno a farmi incazzare.
Sarebbe come fare inutili duelli con gli imbecilli,
sarebbe come scendere ai vostri livelli.
Un gioco così basso, così atroce,
per cui il silenzio sarebbe comunque la risposta più efficace.
Ma io sono un Dio emotivo, un Dio imperfetto,
e mi dispiace ma non son proprio capace
di tacere del tutto.
Ci son delle cose
così tremende luride e schifose,
che non è poi tanto strano
se anche un Dio si lasci prendere la mano.
Io, se fossi Dio, preferirei essere truffato
e derubato e poi deriso e poi sodomizzato.
Preferirei la più tragica disgrazia,
piuttosto che cadere nelle mani della giustizia.
Signori magistrati,
un tempo così schivi e riservati
ed ora con la smania di esser popolari,
come cantanti, come calciatori.
Vi vedo così audaci, che siete anche capaci
di metter persino la mamma in galera
per la vostra carriera.
Io, se fossi Dio,
in fondo, in fondo è abbastanza normale
che la giustizia si amministri male.
Ma non si tratta solo
di corruzioni vecchie e nuove,
è proprio un elefante che non si muove,
che giustamente nasce
sotto un segno zodiacale un pò pesante
e la bilancia non l'ha neanche, come ascendente.
Io, se fossi Dio,
direi che la giustizia è una macchina infernale,
è la follia, la perversione più totale,
a meno che non si tratti di poveri, ma brutti,
allora sì, che la giustizia è proprio uguale per tutti.
Io, se fossi Dio,
vi direi non vi ammalate, restate sempre in buona salute,
non tanto perché io sia davvero pietoso e buono e pio,
quanto perché dall’assistenza sociale vi guardi Iddio.
Probabilmente i vostri assessori o gli amministratori,
o come li chiamate,
non hanno mai avuto un’appendicite,
nemmeno le emorroidi o altri mali,
perché non sanno mica cosa succede
dentro agli ospedali.
Io, se fossi Dio,
direi come si fa a non essere incazzati,
che in ospedale
si fa morir la gente
accatastata tra gli sputi.
E intanto nel palazzo comunale
c'è una bella mostra sui costumi dei Sanniti,
in modo tale che in questa messa in scena,
tutto si addolcisca, tutto si confonda.
In modo tale che, se io fossi Dio, direi che il sociale
è una squallida facciata immonda.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli,
sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io, se fossi Dio,
avrei una gran paura del futuro,
c'è un'aria di sgomento che coinvolge il mondo intero,
una minaccia, un tragico fermento
di popoli e di razze in via di assestamento.
Io come Dio, logicamente,
li vedo tutti da molto lontano,
ma, a dirla onestamente, più che altro
io sono un Dio italiano,
col gusto un po' indiscreto di frugare
negli antri più segreti, più nascosti
del potere.
Se fossi Dio
vedrei dall'alto come una macchia nera
una specie di paura che forse è peggio della guerra:
sono i soprusi, i rapimenti, le estorsioni.
E’ la camorra,
è l'impero degli invisibili avvoltoi,
dei pescecani che non si sazian mai,
sempre presenti, sempre più potenti, sempre più schifosi:
è’ l'impero dei mafiosi.
Io, se fossi Dio,
io griderei che in questo momento
son proprio loro il nostro sgomento.
Uomini seri, uomini rispettati,
così normali e al tempo stesso spudorati,
così sicuri dentro i loro imperi,
una carezza ai figli, una carezza al cane,
che se non guardi bene ti sembrano persone.
Persone buone, che quotidianamente
ammazzano la gente con una tal freddezza
che Hitler al confronto mi fa tenerezza.
Io, se fossi Dio,
griderei che questi terribili bubboni,
ormai son dentro le nostre istituzioni
e che, anzi, il marciume che ho citato,
è maturato tra i consiglieri, i magistrati, i ministeri
alla Camera e al Senato.
Io, se fossi Dio,
direi che siamo masochisti e anche un po' dementi,
che i nostri governanti non li mandiamo via,
ormai ci possono fare qualsiasi porcheria,
possono rubare, possono ricattare, possono ammazzare
o vomitarci addosso,
che tanto noi li votiamo lo stesso.
Io, se fossi Dio,
direi che siamo complici, oppure deficienti,
che questi delinquenti, queste ignobili carogne
non nascondono neanche le loro vergogne
e sono tutti i giorni sui nostri teleschermi
e mostrano sorridenti le maschere di cera
e sembrano tutti contro la sporca macchia nera.
Non ce n’è neanche uno che non ci sia invischiato,
perché la macchia nera, la macchia nera è lo Stato.
E allora io, se fossi Dio,
direi che ci son tutte le premesse
per anticipare il giorno dell'Apocalisse.
Con una ritrovata indifferenza
e la mia solita distanza,
vorrei vedere il mondo e tutta la sua gente
sprofondare lentamente nel niente.
Forse io come Dio, come creatore,
queste cose non le dovrei nemmeno dire.
Io come Padreterno non mi dovrei occupare
né di violenza, né di orrori, né di guerra,
né di tutta l'idiozia di questa terra o cose simili.
Peccato che anche Dio ha il proprio inferno,
che è questo amore eterno per gli uomini.
Qualcuno era comunista. 1991.
Uh? No, non è vero, io non ho niente da rimproverarmi. Voglio dire... non mi sembra di aver fatto delle cose gravi.
La mia vita? Una vita normale. Non ho mai rubato, neanche in casa da piccolo, non ho ammazzato nessuno, figuriamoci!... Qualche atto impuro ma è normale no?
Lavoro, ho una famiglia, pago le tasse. Non mi sembra di avere delle colpe... non vado neanche a caccia!
Uh? Ah, voi parlavate di prima! Ah... ma prima... ma prima mi sono comportato come tutti.
Come mi vestivo? Mi vestivo, mi vestivo come ora… beh non proprio come ora, un po’ più… sì, jeans, maglione, l’eskimo. Perché? Non va bene? Era comodo.
Cosa cantavo? Questa poi, volete sapere cosa cantavo. Ma sì certo, anche canzoni popolari, sì… “Ciao bella ciao”. Devo parlar più forte? Sì, “Ciao bella ciao” l’ho cantata, d’accordo, e anche l’“Internazionale”, però in coro eh!
Sì, quello sì, lo ammetto, sì, ci sono andato, sì, li ho visti anch’io gli Inti Illimani... però non ho pianto!
Come? Se in camera ho delle foto? Che discorsi, certo, le foto dei miei genitori, mia moglie, mia…
Manifesti? Non mi pare... Forse uno, piccolo proprio... Che Guevara. Ma che cos’è, un processo questo qui?
No, no, no, io quello no, io il pugno non l’ho mai fatto, il pugno no, mai. Beh insomma, una volta ma… un pugnettino, rapido proprio…
Come? Se ero comunista? Eh. Mi piacciono le domande dirette! Volete sapere se ero comunista? No, no finalmente perché adesso non ne parla più nessuno, tutti fanno finta di niente e invece è giusto chiarirle queste cose, una volta per tutte, ohhh!
Se ero comunista. Mah! In che senso? No, voglio dire…
Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no.
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il Paradiso Terrestre.
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche… lo esigevano tutti.
Qualcuno era comunista perché “La Storia è dalla nostra parte!”.
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era comunista perché prima era fascista.
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo.
Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio.
Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio.
Qualcuno era comunista perché la borghesia, il proletariato, la lotta di classe. Facile no?
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopo domani sicuramente…
Qualcuno era comunista perché “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-Tung”.
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava sempre Rai Tre.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto.
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il “materialismo dialettico” per il “Vangelo secondo Lenin”.
Qualcuno era comunista perché era convinto d’avere dietro di sé la classe operaia.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c’era il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista nonostante ci fosse il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio.
Qualcuno era comunista perché abbiamo il peggiore Partito Socialista d’Europa.
Qualcuno era comunista perché lo Stato, peggio che da noi, solo l’Uganda.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi viscidi e ruffiani.
Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera.
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista.
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia.
Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.
No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.
E ora? Anche ora ci si sente come in due: da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.
La chiesa si rinnova. 1994. Versione 1995.
Il mondo ha fretta continua a cambiare,
chi vuol restare a galla si deve aggiornare.
Anche la chiesa che sembra non si muova,
ogni tanto ci ripensa e ne inventa una nuova.
E dimostrando un notevole tempismo,
ha già tirato fuori un nuovo catechismo,
dove tutto é più aggiornato, dove tutto é più moderno
e anche a vincere un appalto si rischia l'inferno.
Dov'é condannata ogni forma di magia,
ma é un grave peccato anche l'astrologia,
dove il senso di giustizia é ancora più forte
e talvolta é anche gradita la pena di morte.
E la chiesa si rinnova per la nuova società
e la chiesa si rinnova per salvar l'umanità.
In questo clima di sgomento per il popolo italiano
viene fuori l'acutezza del pensiero vaticano.
E tutti hanno capito che il Papa era un genio
quando ha detto che la mafia é figlia del demonio.
Ma quello che spaventa é il coraggio della CEI,
che ha già riabilitato Galileo Galilei.
E adesso se divorzi ti puoi anche risposare,
a patto che stai buono e non ti metti a scopare.
Ma il nuovo sacramento per esser senza macchia,
va fatto di nascosto e in un’altra parrocchia.
E la chiesa si rinnova per la nuova società
e la chiesa si rinnova per salvar l'umanità.
Da oggi il praticante ha un'altra prospettiva
più allegra e disinvolta direi quasi alternativa.
La pillola per ora non può essere accettata,
ma è ammessa se prevedi di esser violentata.
E piuttosto che fare uso dei preservativi.
é meglio diventare tutti sieropositivi.
E van bene i militari e van bene i dottori,
adesso abbiamo anche i farmacisti obiettori.
D’altronde per la chiesa l’ideale è l’astinenza,
che è un po’ come un invito all’autosufficienza.
E la chiesa si rinnova per la nuova società
e la chiesa si rinnova per salvar l'umanità.
Da Roma il Santo Padre ci invia il suo messaggio,
è lì ogni domenica a parte quando é in viaggio.
Lui voleva andare in Bosnia, l'aveva stra annunciato,
ma all'ultimo momento ci ha un po' ripensato.
Perché l'uomo è santo e pio, ma è anche molto scaltro,
lui lo sa che, morto un papa, se ne fa subito un altro.
E allora ha scritto un libro che é diventato un grosso evento.
sarà anche un po' acciaccato ma non sta fermo un momento.
Per il suo decisionismo si può dire senza offesa,
che Papa Woitjla è il Berlusconi della chiesa.
Una chiesa sempre all'erta che combatte e fa scintille
e per questo é giusto darle un bell'otto per mille.
Anche se i traffici loschi della Santa Sede
sono parte integrante dei misteri della fede.
E la chiesa si rinnova per la nuova società
e la chiesa si rinnova per salvar l'umanità.
Il conformista, 1996.
Io sono un uomo nuovo,
talmente nuovo che è da tempo
che non sono neanche più fascista,
sono sensibile, altruista, orientalista
ed in passato sono stato un po' sessantottista.
Da un po’ di tempo ambientalista,
qualche anno fa, nell'euforia mi son sentito,
come un po' tutti, socialista.
Io sono un uomo nuovo,
per carità lo dico in senso letterale,
sono progressista ,
al tempo stesso liberista, antirazzista,
e sono molto buono, sono animalista.
Non sono più assistenzialista,
ultimamente sono un po' controcorrente,
son federalista.
Il conformista
è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta,
il conformista.
Ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa,
è un concentrato di opinioni,
che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani.
E quando ha voglia di pensare, pensa per sentito dire.
Forse, da buon opportunista,
si adegua senza farci caso
e vive nel suo paradiso.
Il conformista
è un uomo a tutto tondo che si muove
senza consistenza,
il conformista.
S'allena a scivolare dentro il mare della maggioranza,
è un animale assai comune ,
che vive di parole da conversazione.
Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori,
il giorno esplode la sua festa,
che è stare in pace con il mondo
e farsi largo galleggiando,
il conformista,
il conformista.
Io sono un uomo nuovo
e con le donne c'ho un rapporto straordinario,
sono femminista,
son disponibile, ottimista, europeista.
Non alzo mai la voce, sono pacifista,
ero marxista-leninista,
e dopo un po' non so perché mi son trovato
americanista.
Il conformista
non ha capito bene che rimbalza meglio di un pallone,
il conformista.
Areostato evoluto che è gonfiato dall'informazione,
è il risultato di una specie
che vola sempre a bassa quota in superficie,
poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato.
Vive, e questo già gli basta,
e devo dire che oramai
somiglia molto a tutti noi,
il conformista,
il conformista.
Io sono un uomo nuovo,
talmente nuovo che si vede a prima vista,
sono il nuovo conformista.
Destra-Sinistra. Versione 2001.
Tutti noi ce la prendiamo con la storia,
ma io dico che la colpa è nostra.
E’ evidente che la gente è poco seria
quando parla di sinistra o destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra,
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Fare il bagno nella vasca è di destra,
far la doccia invece è di sinistra.
Un pacchetto di Marlboro è di destra,
di contrabbando è di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Una bella minestrina è di destra,
il minestrone è sempre di sinistra.
Tutti i films che fanno oggi son di destra,
se annoiano son di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Le scarpette da ginnastica o da tennis
hanno ancora un gusto un po’ di destra,
ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate
è da scemi più che di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
I blue-jeans che sono un segno di sinistra,
con la giacca vanno verso destra.
Il concerto nello stadio è di sinistra,
i prezzi sono un po' di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
I collant son quasi sempre di sinistra,
il reggicalze è più che mai di destra.
La pisciata in compagnia è di sinistra,
il cesso è sempre in fondo a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
La piscina bella azzurra e trasparente,
è evidente che sia un po' di destra,
mentre i fiumi, tutti i laghi e anche il mare,
sono di merda più che sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
L'ideologia, l'ideologia,
malgrado tutto credo ancora che ci sia,
è la passione, l’ossessione
della tua diversità,
che al momento dove è andata non si sa,
dove non si sa, dove non si sa.
Io direi che il culatello è di destra,
la mortadella è di sinistra.
Se la cioccolata svizzera è di destra,
la Nutella è ancora di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Il pensiero liberale è di destra,
ora è buono anche per la sinistra.
Non si sa se la fortuna sia di destra,
la sfiga è sempre di sinistra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Il saluto vigoroso a pugno chiuso
è un antico gesto di sinistra,
quello un po' degli anni '20, un po' romano
è da stronzi oltre che di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
L'ideologia, l'ideologia
malgrado tutto credo ancora che ci sia,
è il continuare ad affermare
un pensiero e il suo perché,
con la scusa di un contrasto che non c’è,
se c'è chissà dov'è, se c'é chissà dov'é.
Tutto il vecchio moralismo è di sinistra,
la mancanza di morale è a destra.
Anche il Papa ultimamente è un po' a sinistra,
è il demonio che ora è andato a destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
La risposta delle masse è di sinistra,
con un lieve cedimento a destra.
Son sicuro che il bastardo è di sinistra,
il figlio di puttana è di destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Una donna emancipata è di sinistra,
riservata è già un po' più di destra.
Ma un figone resta sempre un’attrazione,
che va bene per sinistra e destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Tutti noi ce la prendiamo con la storia,
ma io dico che la colpa è nostra.
E’ evidente che la gente è poco seria,
quando parla di sinistra o destra.
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra,
Ma cos'è la destra cos'è la sinistra.
Destra-sinistra,
Destra-sinistra,
Destra-sinistra,
Destra-sinistra,
Destra-sinistra,
Basta!