Luj 2021. Genova G8, luglio 2001.

 

 

 

 

"El mestèe del mes" è dedicato ai giorni del G8 a Genova del luglio 2001.
Nessun personale commento a ricordo e denuncia degli eventi accaduti: quanto riportato è largamente sufficiente a rendere il quadro della situazione determinatasi all'epoca, e la mia posizione -come trasuda dai contenuti del sito- è inequivocabile.
Introduce un testo di Marco Revelli, a seguire, intervallate da foto, la narrazione vocale in 8 capitoli scritta da Annalisa Camilli per "Internazionale" in collaborazione con Carlo Bachschmidt, Marzia Coronati e Anita Otto. In conclusione il film "Diaz" e il documentario militante "The summit", rammentando che quanto accadde in quei giorni venne definito da Amnesty International: "La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale."

 

 

 

 

 

Carlo Giuliani, ragazzo.

 

 

 


Possiamo ben dirlo oggi, a vent'anni di distanza, che a Genova, nel luglio del 2001, si è costituito, o per lo meno si è rivelato, lo statuto (degradato) del "Politico" del nuovo secolo. A Genova, una generazione innocente, di giovani che si affacciavano sulla scena pubblica per misurarsi con un mondo invivibile, è stata stuprata da una componente brutale e barbarica di una statualità fallita. A Genova un embrione di futuro che si andava impetuosamente formando è stato soffocato in culla in nome di un ordine globale insostenibile e incompatibile con la sopravvivenza dell'umanità.
E' stato detto, con molte ragioni, che la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 segnò, per l'allora movimento di rivolta, la "perdita dell'innocenza": per centinaia di migliaia di giovani essa significò la scoperta, sconvolgente, del carattere assassino di quello stesso Stato democratico in cui vivevano, con lo spettacolo dei depistaggi, delle coperture, delle complicità dei suoi apparati con gli esecutori materiali di quel crimine. Genova ripropone quel meccanismo: anche lì, a decenni di distanza possiamo toccarlo con mano, decine di migliaia di giovani -questa volta con una composizione trans-nazionale- hanno dovuto constatare, sulla propria pelle, nell'assassinio di Piazza Alimonda, nella mattanza della scuola Diaz, nelle camere di sicurezza di Bolzaneto, nell'accanimento sui corpi di Corso Italia, la vocazione intrinsecamente violenta, apertamente inumana e barbarica, caparbiamente chiusa a ogni cambiamento di rotta, di una governance globale incapace di affrontare i problemi del pianeta ma disposta a tutto pur di mantenerne il potere e un incontrollato e incontrollabile controllo.
In questo senso Genova anticipa -mettendoli in scena tutti quanti in un'unità di spazio e di luogo- l'intero ventaglio dei mali che costelleranno il ventennio successivo. E soprattutto l'incapacità dei cosiddetti "Grandi" -degli avatar in cui si rappresenta il simulacro di sovranità sopravvissuto in forma fantasmatica alla crisi degli stati-Nazione- di cogliere nei frammenti di catastrofe che si moltiplicano entro l'orizzonte planetario i segnali di una necessità di cambiamento di rotta e di paradigma: l'11 settembre del 2001, e la domanda in sé salvifica ma subito ignorata "Perché ci odiano tanto?"; il cambiamento climatico e le convulsioni meteorologiche, deprecate ma di fatto ignorate in nome di uno sviluppo senza progresso; la crisi finanziaria del 2008, ovvero le convulsioni mortali del finanz-capitalismo e la prova provata della distruttività dei dogmi neo-liberisti; la crescita esponenziale delle diseguaglianze sociali all'interno dei singoli Paesi e tra Paesi; la stessa pandemia... Una catena di crisi tutte affrontate e aggravate con la riproposizione di soluzioni fallimentari, incancrenendo anziché alleviare i mali.
A Genova è morta la politica, potremmo dire, se con questo termine si intende l'arte della comprensione del possibile e del necessario alla sopravvivenza collettiva. Ma a Genova è morta anche la sinistra, per lo meno la sinistra tradizionale italiana, auto suicidatasi nel momento in cui, la sera stessa della tragica morte di Carlo Giuliani, l'allora segretario DS Piero Fassino intimò ai propri iscritti e alle proprie sezioni di non mettere piede a Genova, vietandone la partecipazione alla grande manifestazione del sabato, aprendo di fatto la strada alla successiva repressione poliziesca e mettendosi così fuori non tanto da quel territorio ma dalla Storia. Né nella storia ha più tentato di rientrare, rinunciando a chiedere giustizia per le aberrazioni poliziesche di quei giorni, le torture e le vessazioni, continuando a sostenere in forma bipartisan l'allora capo della polizia De Gennaro, messo lì da Giuliano Amato e confermato da Silvio Berlusconi, l'uomo che aveva già fatto le prove generali della mattanza a Napoli, contro un corteo di ragazzini , e accettando infine che per anni e anni i funzionari colpevoli degli orrori continuassero a fare carriera a conferma dell'identificazione di quasi tutto il sistema politico italiano con il comportamento criminale della sua polizia (d'altra parte se il magistrato che ha istruito quel processo dichiara che "in Parlamento i vertici della polizia responsabili del disastro genovese hanno ricevuto più ringraziamenti che critiche" c'è poco da aggiungere...)
A Genova, infine, è morta, per molti di noi, per troppi, la speranza in un mutamento pacifico di un modello sociale, ma anche culturale e antropologico, insostenibile. Il vuoto di speranza attuale, in cui prosperano populismi di destra estrema e disillusioni di massa, arriva dritto da allora. (Marco Revelli, 2021)

 

 

 

 

 

 

 

 

Limoni.


Annalisa Camilli per “Internazionale” in collaborazione con Carlo Bachschmidt, Marzia Coronati e Anita Otto.
L’audio è stato prodotto da Riccardo Fazi con l’aiuto di Amedeo Berta e Gianluca Agostini. La consulenza e il montaggio sono di Jonathan Zenti, le musiche sono di Adele Altro, il coordinamento editoriale di Chiara Nielsen, il copy editing di Pierfrancesco Romano, la voce dei titoli di Alberto Notarbartolo, le grafiche di Lucio Lazzara.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Intervento di Daniele Vicari, regista di "Diaz".


C'è stato un momento della storia recente in cui si è tornati ad affrontare con più profondità le questioni relative a quel G8 e alla morte di Giuliani. Era il 2012 e, dopo non poche resistenze da parte degli organi dello Stato, in Italia usciva il film Diaz - Don't Clean Up This Blood. Il regista, Daniele Vicari, nonostante le difficoltà nel reperire risorse per la produzione, fece incetta di premi in Italia e all'estero. "Non ci siamo arresi, era una storia che anche senza finanziamenti doveva essere raccontata".
Vicari, il film ha riscosso un grande successo. Eppure ci furono molte difficoltà iniziali per la sua realizzazione.
Il film, in Italia, non ha trovato nessuna forma di finanziamento. Nessuna major ha accettato il copione. Domenico Procacci, il produttore, ha dovuto cercare contatti all'estero per recuperare i soldi. Alla fine abbiamo trovato investitori in Francia e in Romania. Solo a riprese già iniziate ci arrivò un piccolo, piccolissimo finanziamento del Mibact: aiutò un po' a radicare la pellicola in Italia.
Il film fu quasi interamente girato in Romania. A Genova, d'altro canto, ci è stato impedito di fare i sopralluoghi nella stessa scuola Diaz. Abbiamo provato a girare qualche ripresa, verso la fine, a Genova: è successo che ci hanno sequestrato l'intero parco macchine del film. Sì, è stato un percorso accidentato che solo grazie al grosso impegno di Fandango siamo riusciti a terminare.
Qual era il clima che ha preceduto l'uscita del film?
Ci furono dei comunicati da parte di associazioni e sindacati di polizia durante le riprese e in concomitanza con l'uscita del film. Era una sorta di critica preventiva. Addirittura il ministero dell'Interno emanò una circolare che impediva a dipendenti e poliziotti di parlare in pubblico del contenuto del film. La squadra mobile di Bologna, in una forma gentile di protesta, proiettò "Diaz" in occasione di una loro festa. Ad ogni modo, non ho mai ceduto a questo ostracismo.
La questione di Genova era entrata in un cono d'ombra, nonostante la Corte europea dei diritti umani avesse condannato l'Italia per quei fatti. Tutt'oggi resta una sorta di tabù perché lo Stato, in quell'occasione, aveva dimostrato una faccia feroce in un periodo di non belligeranza. Ciò provoca ancora oggi imbarazzo nelle istituzioni e il film, come sale sulle ferite, si è incuneato in quei fatti che restano ancora difficilmente commestibili per l'opinione pubblica e per la democrazia.
Secondo lei c'era la volontà politica di far calare un velo sui fatti del G8 di Genova?
È evidente. Quando fu proposta la Commissione di inchiesta fu bocciata e, dopo un primo dibattito parlamentare esauritosi velocemente, le istituzioni e i partiti politici conservavano un silenzio imbarazzante. Per certi versi, mentre la difficoltà della polizia nel parlare di questi avvenimenti è comprensibile, non la ritengo concepibile per i partiti politici, e non solo quelli di destra, semplicemente per non infastidire la polizia italiana.
Quel 2001 rimane un vulnus nella democrazia. Noi dobbiamo conservarne un monito: se ci distraiamo, anche solo per un attimo, la democrazia può scomparire nel giro di una notte.

 

per vedere il film clicca sulla locandina

 

 

 

 

 

Intro "The summit".


"The Summit", l'orrore senza fine del G8 di Genova Non solo il come, ma il perché del G8 di Genova. Oltre la cronaca e la storia, Franco Fracassi e Massimo Lauria reinquadrano i black bloc e gli infiltrati, Piazza Alimonda, la Diaz e Bolzaneto, ma se l'occhio ha la sua parte ancor di più la testa. Informato e poderoso, il doc dà voce ai manifestanti, i giornalisti e le istituzioni, intervista parlamentari, sindacalisti di polizia, generali e comandanti, indaga sul coordinamento dell'intelligence internazionale e la storia del movimento black bloc.
Non solo, gli autori ricostruiscono il "massacro messicano" del giornalista di Indymedia Mark Covell, che indica i suoi carnefici, ed evidenziano i lati oscuri della morte di Carlo Giuliani.

 

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