The dissident.
Per cosa viviamo? Per i soldi. Il senso di tutto dove lo troviamo? Nei soldi. Cosa rende l'orrido bello, l'ingiusto giusto, lo scostante amichevole, accogliente il respingente? I soldi. Se mi chiedessero perché conservo rancore per essere stato messo al mondo, risponderei: perché sono stato buttato in questo mondo in cui siamo costretti a vivere dove conta la più schifosa delle cose, il denaro. Non crediate che io sia un ingenuo: lo so bene, il denaro ha permesso alla razza poco più che scimmiesca dei Sapiens di costruire, generare, creare. So bene che nulla meglio del denaro ha concesso libertà dal vincolo dello scambio, del baratto, del ricatto familiare. Se non hai il denaro cosa scambi? Come raggiungi il cibo? Sto prendendo un percorso che rischia di portarmi lontano ma qui sto scrivendo per parlavi di un documentario dove vedrete in volto cosa sono i soldi: The Dissident di Bryan Fogel, racconta la vicenda di Jamal Khashoggi, il giornalista del Washington Post, assassinato nel consolato saudita a Istanbul.
Ecco voglio dirvi innanzitutto che Jamal Khashoggi è stato ucciso perché è il giornalista che ha fissato negli occhi tutto il denaro del mondo, il denaro che viene dal "veleno nero": il petrolio. A Jamal hanno tagliato le braccia, le gambe, la testa; lo hanno segato in due, gli hanno fatto a pezzi il busto. E lo hanno fatto dentro un consolato. Bryan Fogel è il regista che ha costruito questo documentario, che ha messo insieme i pezzi di una vicenda che, come lui stesso mi dice, sarebbe "un caso facile da risolvere". Un caso facile eppure, come sempre accade, nel tempo che intercorre tra la scomparsa di Khashoggi, la scoperta della sua morte e l'indagine sulle motivazioni "emergevano storie secondo cui Khashoggi faceva parte dei Fratelli Musulmani, aveva legami con i terroristi, era un simpatizzante di Al Qaeda".
Tutte falsità che avevano l'unico scopo di screditarlo e occultare la verità dei fatti. Di impedire che qualcuno si imbarcasse nella ricerca della verità dei fatti. E la verità dei fatti risiedeva nella "maniacale vocazione del principe ereditario saudita (Mohammed bin Salman, ndr) a distruggere chiunque danneggi la sua reputazione". Ma la verità dei fatti -continua Fogel- è anche un'altra e con questa tutti noi dobbiamo fare i conti: "le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l'Europa non hanno mosso un dito. Alla fin fine, la ricchezza della monarchia saudita e il suo petrolio vengono prima di qualunque principio di giustizia o autorità morale".
Per Fogel, fin dall'inizio è stato chiaro che questo sarebbe stato "un film sulla verità" perché "la storia di Khashoggi si situa nel luogo dove molti soggetti e molte trame si intersecano. Sorveglianza, hacking e sicurezza informatica. Il baratto tra gli interessi negli affari e l'etica. La disinformazione". Nella storia dell'assassinio di Khashoggi, Fogel si è imbattuto in "una sconcertante quantità di prove e non una singola nazione disposta a prendere posizione contro il denaro rappresentato da questa monarchia assoluta. Al diavolo i diritti umani, al diavolo un omicidio a sangue freddo, al diavolo tutto quello che è successo: i soldi in ballo sono troppi e preferiamo prendere i soldi che mostrare la nostra integrità".
Ma The Dissident è anche un film costruito sulla violazione della privacy e, come dice Fogel: "nel caso dell'Arabia Saudita, questi strumenti non sono stati usati per contribuire alla lotta contro la criminalità, per salvare un bambino o per soccorrere una persona sequestrata, ma per perseguire chiunque cercasse di difendere la libertà di parola. Quello che trovo scioccante è che l'azienda NSO Group venda la sua tecnologia spyware Pegasus ai governi a prescindere dal fatto che siano democratici o dittatoriali all'unica condizione che siano disposti a pagarla profumatamente". Anche il governo messicano ha pagato profumatamente per Pegasus e l'ha usato contro i giornalisti che indagavano sui cartelli della droga e la corruzione nel governo.
Così come in Ghana, Pegasus è stato utilizzato per sovvertire l'esito delle elezioni e per eliminare gli oppositori politici. "C'è da credere -continua Fogel- che per una cifra adeguata, società private come l'NSO Group siano disposte a venderla a entità non statali e ad organizzazioni criminali". Ricordo perfettamente quando, nel 2018, Khashoggi scomparve; ricordo la notizia del barbaro assassinio e ricordo anche che nessuno sapeva chi fosse. Jamal Khashoggi qui da noi era un nome pressoché sconosciuto e la sua storia parve avere rilevanza solo perché si trattava di un giornalista del Washington Post. Ma bastò poco per comprendere che, invece, le circostanze della sua morte sono una bussola che ci indica la direzione che tutti, con consapevolezza o meno, stiamo percorrendo.
Raggiungo Bryan Fogel e gli chiedo come sia arrivato a occuparsi di Jamal Khashoggi. "Stavo cercando un nuovo progetto dopo Icarus (documentario premio Oscar nel 2018, ndr) e nell'omicidio di Jamal ho visto una storia sulla libertà di stampa, sulla libertà di parola, sulla libertà di giornalismo, sulla libertà di pensiero, sulla libertà di opinione. E su un giornalista del Washington Post di 60 anni, assassinato per aver detto cose vere ai potenti ed essersi espresso a sostegno del suo paese affinché diventasse un luogo migliore dove vivere per tutti i suoi concittadini".
Il documentario è potente, girato con rigore, a due anni e quattro mesi dall'assassinio di Jamal non è ancora stata fatta giustizia sono state accertate le responsabilità per l'omicidio Biden sta contemplando di intraprendere azioni che speriamo realizzerà, Bin Salman ha condannato a morte i sicari di Jamal nella classica e nota strategia di mandare a uccidere e poi eliminare l'esecutore per impedirne la ricostruzione dei mandanti. E guardando il documentario si inorridisce a ricordare le parole di Renzi che definisce Bin Salman leader del rinascimento saudita, lo stesso uomo che ha finanziato la repressione di migliaia di giovani che diedero vita alla primavera araba. "Sono in disaccordo con i commenti di Matteo Renzi -dice Fogel- riguardo al Regno durante la sua recente visita (in Arabia Saudita, ndr) e credo che anche i cittadini italiani probabilmente concordino con me".
Come è possibile che un documentario del genere non si trovi sulle piattaforme più importanti? C'è stata censura? Lo chiedo in maniera dritta e senza tergiversare direttamente a Fogel "Non conosco le ragioni per cui Netflix, Amazon e altre piattaforme abbiano deciso di non acquisire il film. Ma sono convinto, considerando il successo di Icarus, che è valso a Netflix un premio Oscar ed è stato visto centinaia di milioni di volte, che si possa formulare la supposizione che Netflix e Amazon abbiano probabilmente scelto di non acquisire il film per paura di ritorsioni o per proteggere l'incremento degli abbonamenti o per tutelare interessi commerciali. Non spetta a me commentare le decisioni di queste società. Ma sono grato alla Lucky Red di aver scelto di distribuire il mio film in Italia e di aver consentito di fargli trovare un pubblico e la sua strada".
Dal 12 febbraio The Dissident è disponibile sulla piattaforma Miocinema, ci tengo che lo vediate perché è un documento fondamentale, perché non cambierà il mondo in cui viviamo, non cambierà l'attitudine dei governi al profitto, la propensione a ridurre al silenzio gli oppositori, ma cambierà noi, avremo nuovo strumento, per comprendere come il denaro tutto compra, tutto occulta, tutto compromette e nulla sembra resistere al di fuori del suo potere. Nulla, forse.
Roberto Saviano, 2021