Tanti auguri reggiseno: 1912 / 2022.
Esattamente centodieci anni fa, Mary Phelps Jacobs ha ritirato il brevetto per la sua invenzione: un'idea che aveva avuto casualmente o quasi, mentre si preparava per andare a un ballo. Si, era il reggiseno. Tutto ebbe origine il 3 novembre del 1912, quando Jacobs si accorse che il suo abito da sera lasciava intravedere le stecche del corsetto e così prese due fazzoletti, li unì con un nastro e diede vita al primo reggiseno. Il reggiseno come concetto però non è realmente stato inventato quel 3 novembre: le donne steccano, legano, sostengono e contengono il loro seno in diversi modi da molto prima anzi, i primi reggiseni potrebbero risalire ai primi secoli d.C. quando le donne si avvolgevano in fasce di tessuto sotto le vesti più larghe. E la parola “bra”, in inglese (ricordiamo tutte il “wonderbra”?) viene da "brassiere” che a sua volta deriva dal francese "braccio" e ha avuto origine dalla DeBevoise Company che ha usato per la prima volta questo termine nelle pubblicità di canottiere con sostegno in ossi di balena. Vogue inizia a parlare di reggiseni infatti prima dell'invenzione di Mary Phelps Jacobs, nel 1907 e già nel 1911 la voce “bra” è presente nell'Oxford English Dictionary.
Ma il reggiseno, l'indumento che solleva, separa, stringe e costringe tramite coppe e spalline, entra ufficialmente nel largo consumo nel 1912. Quello fu il giorno in cui l'Ufficio brevetti e marchi degli Stati Uniti concesse il brevetto a Jacobs. La necessità che ha guidato Jacobs all'invenzione era quella di aderire alle tendenze della moda dei primi del Novecento: gli abiti dell'epoca erano con scollature profonde e tagliati per figure ben precise, la moda di fatto imponeva alle donne un fisico snello e fanciullesco, praticamente senza formosità. Siamo molto lontane dalla body positivity o dalla body neutrality e la diciannovenne Jacobs si sentiva frustrata dal fatto che il suo aspetto non corrispondesse ai canoni del momento. Non solo l'eleganza del suo abito da sera era compromessa dal suo voluminoso corsetto ma quell'indumento intimo “mostrava le rose ricamate tutto intorno al mio seno", ha ricordato nella sua autobiografia “The Passionate Years”.
"Portami due dei miei fazzoletti da taschino e del nastro rosa", disse alla sua governante e poi hanno cucito insieme i tre pezzi. Jacobs ha provato l'indumento e ha notato che quando i nastri venivano tesi e legati, l'effetto era simile a quello ottenuto con un corsetto ma, data l'assenza di ossa di balena, era molto più leggero e non si vedevano le sagome di strane forme attraverso il vestito (e inoltre poteva respirare). Il nuovo indumento intimo, ha ricordato Jacobs "era delizioso. Potevo muovermi più liberamente, avevo una sensazione quasi di nudità". Jacobs ha indossato la sua invenzione quella stessa sera e dall'indomani ha iniziato a presentarlo in giro tra le sue conoscenze dell'alta società di Manhattan. I vantaggi dati dal nuovo capo, come si legge sulla richiesta di brevetto, si estendevano ben oltre la questione della moda. Il reggiseno, sosteneva lei, avrebbe consentito alle donne quella libertà di movimento che i corsetti impedivano loro da lungo tempo.
Nello specifico la richiesta recita: “È tra gli scopi della presente invenzione fornire un indumento in cui siano combinate una serie di caratteristiche di novità e utilità, tra cui la previsione di un indumento che non copre la schiena e quindi non interferisce con alcun design degli abiti da sera. È in grado di adattarsi universalmente, al punto che per la diffusione commerciale basta realizzarlo in poche taglie, con la ragionevole certezza che le dimensioni e la forma di un singolo capo saranno adatte a una notevole varietà di clienti diverse. Ed è caratterizzato da un'estrema semplicità per l'assenza di ossa, può anche essere rifinito con pizzi o ricami da indossare sotto una veste trasparente o un abito diafano. Sia comodo, che fresco, che così efficiente che può essere indossato anche da persone impegnate in esercizi violenti come il tennis e che presenta altri vantaggi che sono caratteristici dell'invenzione qui esposta. Si legge ancora che il vantaggio principale, secondo Jacobs è che il reggiseno "non confina la persona da nessuna parte se non dove è necessario".
Sono passati 110 anni e oggi un esperienza abbastanza condivisa è quella di liberarsene non appena si varca la soglia di casa, tirando un sospiro di sollievo. Sostiene, comprime, rimodella; il reggiseno non è stato inventato per farci stare comode, è stato inventato perché le nostre forme siano sinuose e aggraziate, perché il seno non si muova –come se non esistesse– e per farci aderire quindi a un canone estetico che di epoca in epoca ha voluto il seno tondo, a punta, stretto, largo, sollevato, piatto e così via. Non esiste il “seno perfetto” in senso universale, esiste il seno perfetto per gli anni Trenta, che è diverso da quello perfetto negli anni Cinquanta, Novanta o 2010.
Così le mode impongono delle forme, raccontando alle donne che è “più pratico”, stare con il reggiseno invece che senza o “più educato ed elegante“ che le tette non si vedano. Come se fosse colpa nostra che le abbiamo. Ma basta fare un esperimento: se hai il seno, cara lettrice, conosci l'incredibile disagio di sentirlo sballonzolare perché stai correndo o cose simili. Pensa, allora se quel disagio viene dalla effettiva scomodità o dall'idea che il seno debba stare immobile, quasi nascosto, un'idea che da decenni cercano di imporci non si sa bene perché.
Il corpo delle donne è ed è sempre stato terreno di dibattiti sociali, politici e culturali. Il reggiseno è solo un altro strumento che la società utilizza per normalizzare il fatto che le donne devono sottostare a delle regole dettate da uomini. Questo scherzetto di stoffa e gancetti stato imposto infatti nella vita quotidiana di donne che vivono in società a predominanza maschile ma teniamo a mente che i reggiseni sono essenziali per il corpo di alcune donne ma non obbligatori per tutte. Andiamo con ordine e per gradi: il reggiseno tiene il seno fermo, lo plasma perché anche coperto da maglie e maglioni abbia delle forme precise ed evita che si vedano i capezzoli.
Secondo molte donne è per questo motivo che i reggiseni reprimono la naturale sessualità femminile imponendo un'idea repressiva della bellezza, un'idea stereotipata e non inclusiva. Ti sei mai chiesta, o chiesto, perché una spallina in vista, un capezzolo sporgente o il colore acceso del reggiseno che si intravede sotto una maglia chiara attirano critiche e sguardi per nulla desiderati? I reggiseni non sono il simbolo della femminilità, del potere e della sessualità di una donna: sono una minacciosa e grottesca espressione del patriarcato e della sua moralità ipocrita: non si deve vedere ma ci deve essere e se si vede lo possiamo guardare quanto vogliamo. Le donne sono state e sono ancora oggi gravate da norme che le reprimono, a partire dalla repressione della naturale forma del corpo femminile. Le donne sono condizionate dalla sottomissione anche in questo, anche nelle forme.
D'altra parte, le donne che scelgono di uscire senza reggiseno e fanno parte di movimenti come "Free The Nipple" fanno del recupero della naturale forma del corpo l'argomentazione principale. Questi movimenti hanno svolto un ruolo fondamentale nel separare i reggiseni dalla falsa cultura femminile e dal mito che si porta dietro: uscire senza reggiseno è un simbolo di responsabilizzazione e di fiducia verso il prossimo, aiuta a liberare le donne dal disagio fisico, dallo sguardo maschile come filtro attraverso il quale guardarsi (e giudicarsi), dalla seccatura economica dell'acquisto di reggiseni e ha portato alla body positivity. E se ne fregano se vengono liquidate come femministe radicali che odiano gli uomini (semmai odiano le regole).
Per quanto riguarda il benessere, il corpo delle donne, si sa, non viene studiato tanto quanto quello degli uomini e domande circa benefici e controindicazioni dello stare con o senza reggiseno sono senza risposta a meno che il seno non sia abbondante. Secondo molti osteopati in questo caso i reggiseni aiutano a distribuire il peso del seno alleviando la tensione dalle spalle, dalla schiena e dalla gabbia toracica. Non indossare il reggiseno quando il seno è pesante può causare dolore muscoloscheletrico. Per tutte le altre, indossare o meno un reggiseno dovrebbe essere una questione intima e personale e non una norma sociale. Questo indumento dovrebbe infatti essere depoliticizzato e desessualizzato definitivamente, in modo che le donne possano semplicemente scegliere ciò che vogliono -o che è giusto- per il loro corpo.
Le donne hanno a lungo intrecciato il tema dell'abbigliamento con le idee di libertà e progresso e c'è in particolare una forte relazione tra la richiesta di comfort, rispetto all'abbigliamento, e le idee femministe. Infatti, per molte, sia in passato che oggi, scegliere di non indossare il reggiseno non è solo una personale voglia di comodità ma un atto politico, un atto di ribellione femminista. Associare i reggiseni a disagio, oppressione e angoscia, risale al XIX secolo, quando ancora i reggiseni nemmeno c'erano, c'erano i corsetti e chi faceva parte del nascente movimento femminista ha cercato contemporaneamente di liberarsi dai sistemi legali e sociali oppressivi che da corsetti stretti e gonne lunghe e pesanti.
"Qualcosa della natura del costume deve prendere il posto del nostro attuale stile di abbigliamento perché la vita superiore -morale, intellettuale, politica, sociale o domestica- possa iniziare per le donne", scriveva la femminista Elizabeth Stuart Phelps nel 1873 Phelps (curiosamente quasi omonima di Mary Phepls Jacobs che i reggiseni li ha inventati) ha invitato le donne a bruciare i loro corsetti, sostenendo che liberandosi dal disagio avrebbero potuto davvero sperimentare l'emancipazione. E nella seconda metà del XX secolo bruciare reggiseni sia come gesto reale che come metafora, sarebbe diventato una delle immagini più popolari in rappresentanza di una nuova generazione di femministe. Sostenendo che "il personale è politico", queste femministe hanno cercato l'uguaglianza in tutti i regni della vita, dalla casa al posto di lavoro, chiedendo il controllo sul loro utero e anche, perché no, sulle loro scelte di abbigliamento. Nessun reggiseno è stato bruciato però nel famoso "No More Miss America Protest" del 1968, anche se alcuni sono stati gettati nel cestino della spazzatura insieme a rossetti e tacchi alti. Ma i media si sono affrettati a scrivere che in vece si, continuando ad associare il reggiseno, come simbolo, alle femministe radicali che protestavano contro gli oppressivi standard di bellezza (appunto trucco e tacchi).
Comunque, già prima che le femministe radicali problematizzassero la lingerie le donne cercavano di emanciparsi mettendo a tema l'abbigliamento. C'è stata una spinta simile oltre un secolo fa, all'ombra di un'altra pandemia globale e della ricerca dell'ordine dopo la Prima guerra mondiale. Incoraggiate dal diritto di voto e dai cambiamenti sociali che ha portato con sé, le giovani donne occidentali hanno cominciato a rivalutare la loro posizione nella società partendo dal loro aspetto. Prima della Prima guerra mondiale, in risposta al crescente coinvolgimento delle donne nello sport e nel tempo libero, l'industria della moda iniziò a commercializzare corsetti più leggeri e meno restrittivi nel tentativo di mantenere i profitti andando incontro alle nuove esigenze: ed è in questa atmosfera è emerso allora un indumento intimo relativamente nuovo, il reggiseno. La crescente mobilitazione delle donne nella forza lavoro e la riforma sociale durante gli anni Dieci del Novecento non fece che aumentare la domanda di quel cambiamento sartoriale.
Negli anni Venti le giovani donne si accorciavano finalmente le gonne mentre abbandonavano definitivamente i corsetti, spesso in favore di un reggiseno, ma insistendo soprattutto nell'indossare abiti comodi e tagliati per non evidenziare alcuna forma, abiti che per la prima volta si adattassero allo stile di vita attivo di chi li indossava e non imponendosi sulla persona. Rinunciando ai loro corsetti, le donne rinunciavano anche alle idee che erano loro imposte come "normali" e "giuste": sottomissione, passività e confino nella sfera domestica. La figura della modella senza corsetto che si vedeva sui manifesti pubblicitari di qualsiasi prodotto divenne il simbolo della libertà e della mobilità sociale e politica delle donne, forgiando un nuovo ideale di bellezza più giovane e agile. Ma soprattutto vitale, espressivo, indipendente.
Alcuni dei primi reggiseni, ampiamente commercializzati negli anni Venti, avevano un effetto appiattito che si adattava alla silhouette dritta e rettangolare di quell'ideale ma a differenza dei corsetti, questi reggiseni davano un supporto minimo, funzionando più come uno strato extra da tenere sotto i vestiti che come un mezzo per modellare le forme delle donne. Presi insieme, i nuovi vestiti anni Venti e i reggiseni sono diventati un mezzo per affermare il potere delle consumatrici e con il potere d'acquisto, ovviamente, arrivano i diritti. Invece di essere sottomesse alla moda, le donne hanno iniziato a esprimere attivamente le loro preferenze. Entro la fine degli anni Venti con l'avvento della Grande Depressione, quell'ideale giovanile e leggero sembrava fuori luogo e cedette il passo invece, a una silhouette più formosa che evocasse il benessere. I reggiseni sono allora stati investiti del ruolo di ingrandire e sollevare il seno per dare alle donne forma più strutturata, matura, consapevole e materna. Eppure l'enfasi sulla comodità ha continuato a far parte del messaggio da veicolare per la vendita.
Nei successivi quattro decenni, il reggiseno è andato a progredire lentamente per passare, da capo associato alla liberazione e all'indipendenza femminile a un indumento limitante e restrittivo, associato all'oppressione. Ciò che sembrò (e fu) una liberazione dal corsetto quarant'anni dopo era opprimente a sua volta. Ed è stato il significato del reggiseno ora e del corsetto prima, più che il loro design, il punto di partenza per parlare di oppressione. E infatti erano i significati, non il design, che le femministe negli anni Settanta trovavano ripugnanti: ripudiavano infatti anche bigodini, ciglia finte e simili, in quanto oggetti oppressivi e patriarcali, riducevano le donne ad oggetti sessuali.
C'è chi li ama e chi li odia, i reggiseni. Ed è facile immaginare che sia sempre stato così, da quando questo oggetto è stato più o meno inventato, secoli prima del brevetto di Jacobs. Da quando le persone hanno il seno c'è qualcuno che pensa sia da contenere, così si è sempre cercato qualcosa per contenerlo. Come e perché lo hanno fatto ha tutto a che fare con la cultura, con lo stato social e ovviamente con gli ideali di bellezza delle varie epoche. Nel 2008, nel castello di Lengberg, in Austria, sono stati trovati quattro morsi di lino che pare risalgano al periodo medievale (sono stati datati tra il 1390 e il 1485). Tutti e quattro somigliano sorprendentemente ai resti sbrindellati di reggiseni moderni. Alcuni di questi proto-reggiseni sono dotati di coppe cucite in una maglia corta, tipo canotta, che sarebbe servito da sotto strato.
Ma il reggiseno risale al mondo antico, ma dal momento che la stoffa non invecchia molto bene, sono le opere d'arte e la letteratura a raccontarci cosa succedeva alle tette nel passato. Nell'antica arte minoica le donne sono raffigurate con una fascia di stoffa attorno al seno che si chiamava “apodesmos”: un aggeggio di lana che pare fosse liscio sul davanti e fissato con degli spilli nella parte posteriore. Un'altra opera coeva mostra donne che indossano un indumento simile a un corsetto anche se non è chiaro con quale frequenza questi fossero indossati e da chi, nel senso, dalle donne di quale strato sociale e in quali occasioni. Nel libro 14 dell'Iliade, Omero descrive così l'aspetto della dea Afrodite: "ha sciolto dal suo seno la cintura curiosamente ricamata in cui erano stati lavorati tutti i suoi incantesimi" e anche se molti studiosi parlano di una curiosa “cintura di Afrodite” i riferimenti al “rilascio delle sue mele dorate” lasciano intendere che fosse un reggiseno. I greci hanno molto da dire anche sul seno delle donne Sciite, termine che identifica le tribù nomadi che vagavano a cavallo nei territori liberi tra Europa e Asia. Il fatto che si muovessero cavalcando dà senso all'esistenza di fasce per il seno (per praticità) e ci sono prove che suggeriscono che a volte indossassero anche delle fasce di cuoio.
In Grecia alcune donne indossavano uno “strophion”, o una semplice fascia di stoffa o anche nulla. A Roma era chiamato “strophium” ma anche qui non è chiaro se tutte le donne li indossassero o solo alcune in determinate situazioni. Molte donne indossavano queste fasce attorno al seno per mantenere la silhouette contenuta in modo da far concentrare l'attenzione sulla curva dei fianchi (bei fianchi significava buona gravidanza). E naturalmente, proprio come in ogni epoca, anche allora alcuni uomini avevano le loro opinioni su cosa le donne dovessero fare con il loro corpo. Ovidio, per esempio, ha scritto che se il seno non era della forma giusta le donne avrebbero dovuto imbottire i loro reggiseni (grazie per questo consiglio, ne facciamo volentieri a meno).
Da quello che ci suggeriscono alcune fonti era risaputo che le donne rispettabili mantenessero il loro strophium durante i momenti di intimità, il che potrebbe essere dovuto semplicemente al fatto che non erano facili da togliere. Non lo sapremo mai. Sembra anche che molte li tenevano addosso durante l'allenamento. Il famoso mosaico romano delle "ragazze in bikini" della Villa Romana del Casale in Sicilia (parliamo del IV secolo) mostra donne che si esercitano in una palestra indossando quello che sembra un reggiseno senza spalline. Era questo l'abbigliamento standard per le donne che andavano ad allenarsi o è stato un capriccio dell'autore del mosaico ritrarle così? Non lo sappiamo, ma chiaramente ci interessa sapere che nel IV secolo i reggiseni esistevano. In India la prima menzione del reggiseno risale a scritti del I secolo, nell'antica Cina c'erano diverse robette simili a reggiseni: lo “xieyi”, una tunica indossata durante la dinastia Han intorno al 200 a.C., e il “moxiong”, un indumento monopezzo indossato intorno al 500 d.C.
Non sappiamo quanto fossero indossati tali indumenti, ma sappiamo che agli uomini piaceva scriverne. Sai qual è un termine non sexy per un reggiseno? "Borse per il seno". Henri de Mondeville, chirurgo di Filippo il Bello di Francia e del suo successore Luigi X, scrisse quanto segue nel 1310: “Alcune donne inseriscono due borse nei loro vestiti, si adattano al seno, si adattano bene, e mettono [i seni] dentro [le borse] ogni mattina per fissarle quando possibile con una fascia abbinata”. Un altro scrittore, Konrad Stolle, si lamentò nel 1480 dei reggiseni che donavano un po' troppo, secondo lui non stava bene che le signore li indossassero e li descrive come "indecenti". Sai cosa, Konrad? Nessuno te l'ha chiesto.
Ancora un altro poeta tedesco del XV secolo descrisse le cosiddette "borse per il seno" con cui una donna "vaga per le strade in modo che tutti i giovani uomini che la guardano possano vedere i suoi bei seni. Ma il seno è troppo grande e le borse strette, quindi non ci sono pettegolezzi in città sui suoi grandi seni”. Sembra che i reggiseni fossero stati pensati per sostenere e immobilizzare i seni ma anche per valorizzarli, a seconda dello scopo e delle preferenze. Tutto ha ovviamente origine dal corsetto.
Il corsetto è stato l'indumento modellante per eccellenza per le donne alla moda del mondo occidentale dal periodo rinascimentale fino all'inizio del XX secolo. Come per tutta la moda dell'intimo, è difficile dire quando sia entrata in scena o chi abbia coniato il termine. In epoca medievale, la parola “corsetto” era associata a una specie di mantello destinato agli uomini. I primi corsetti da donna (cioè la lingerie) compaiono nel 1300, anche se in un certo senso si tratta più di strumenti rimodellanti all'altezza della vita, che servivano a ottenere il giusto aspetto e che solo per un effetto collaterale sostenevano il seno. I canoni di bellezza medievale richiedevano una vita lunga e snella, messa in risalto con un corpetto aderente e impreziosito da cinture decorative sui fianchi.
Per ottenere tale sfavillante look, le donne indossavano quella che veniva chiamata cotta. Questo capo in lino è nato come capospalla, indossato da uomini e donne sopra una camicia e nella sua variante in ferro serviva a proteggere dai colpi di spada. Nel XVI secolo era diventato però qualcosa che le donne avevano deciso di indossare sotto l'abito. Questa sottoveste è stata descritta come un morbido strato tra il vestito e il corpo e con il tempo si è modificato diventando più rigido e più aderente finché non fu abbastanza rigido da reggersi in piedi da solo.
Poi venne diviso in una parte superiore e una inferiore. Realizzati con ossi di balena e successivamente con acciaio, modellavano le donne a forma di cono, trasformandoci in delle specie di triangoli: seni dall'aspetto ampio (con quell'aspetto da compressione verso l'alto) e vita inesistente.
Ma non tutte volevano esporre le loro tette per il piacere del pubblico: le donne generalmente non andavano in giro con un corsetto senza qualcosa sotto e molte coprivano la scollatura con panni di lino di lino: le forme restavano quelle ma non si vedevano lembi di pelle. Diverse pubblicazioni nell'Inghilterra Settecentesca sconsigliavano alle donne di "smascherare le loro bellezze" perché, come si diceva, "altrimenti le donne gentili sembravano prostitute comuni" (il solito stigma della sex worker). A questo punto però, erano stati sollevati anche dei dubbi rispetto alla salute dal momento che comprime la cassa toracica e le suffragette dell'epoca vittoriana erano convinte che il corsetto impedisse alle donne l'emancipazione. Ma la controversa storia del corsetto è una tana del coniglio che è meglio lasciare a un altro momento.
Eugenia Nicolosi, 2022.