Silvio e il berlusconismo.

 

 

 

 

Introduzione al testo "Silvio ha fatto anche cose buone".

 

Silvio Berlusconi è stato indiscutibilmente l'uomo che, insieme a Benito Mussolini, ha segnato più profondamente il Novecento italiano, ma anche il primo Ventennio del terzo millennio. Il suo impatto umano, politico, economico, legislativo, ma anche culturale, sociale e valoriale, è stato probabilmente di una vastità anche superiore a quello prodotto dal Ventennio del Duce. Innanzitutto perché molto più estesa è stata l’influenza dell’epopea imprenditoriale e politica berlusconiana, almeno 40 anni contro i 21 della durata in carica del dittatore (1922-1943), ma anche e soprattutto perché la parabola mussoliniana si è conclusa tragicamente con la guerra e la morte violenta del dittatore finito appeso in piazzale Loreto, mentre quella di Berlusconi si è conclusa il 12 giugno 2023 in un tripudio di omaggi e commemorazioni commosse, culminate in un solenne funerale di Stato. A Berlusconi sopravvive la società italiana che lui stesso in oltre mezzo secolo ha disegnato; gli sopravvivono le sue aziende, il suo partito, persino le deboli opposizioni che lui ha sapientemente plasmato; gli sopravvivono e prosperano i “valori” che ha pazientemente inoculato nel tessuto mentale ed esistenziale di milioni di italiani. Essi sono penetrati così profondamente in noi, con una tale forza psicanalitica che persino i suoi più fieri oppositori ne sono impregnati. Silvio è in noi, “è” noi, si può dire che vive e lotta insieme a noi; e questo è un capolavoro la cui paternità è indiscutibile.
Berlusconi si staglia quindi come un “gigante” della Storia italiana, come un “conducator invictus”, un demiurgo dal quale è impossibile prescindere, perché il suo legato non si estingue con lui, ma ci avvolge imperituro perché penetrato nel nostro DNA più profondo, al pari di quel “fascismo eterno” di cui autorevolmente ha scritto Umberto Eco. Come appunto osservava il grande semiologo, “L’Ur-fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: «Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane». Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l'indice su ognuna delle sue nuove forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo.”
Una profezia avveratasi con il berlusconismo –per tanti aspetti l'Ur-fascismo del terzo millennio- che non si è spento il 12 giugno 2023. Anche perché i suoi epigoni e successori reali -Giorgia Meloni in primis- altro non fanno se non portare alla ribalta e istituzionalizzare i “valori” di quell'Ur-fascismo del quale Berlusconi, nato nel ‘36, è stato il portatore più profondo, consapevolmente e colpevolmente. Anche come legittimo “fondatore” del populismo italiano (tutti ricordano i misteriosi manifesti del 1993 con un bambino che gridava “Fozza Itaia!”, come ha acutamente osservato Antonio Scurati, che sovrappone il fascismo al populismo, identificandone i tratti di continuità. Proprio per questo è giusto e doveroso, a un anno dalla morte di Berlusconi, iniziare un primo lavoro di bilancio storico, di valutazione della figura e dell’operato dell’uomo che ha impresso una svolta antropologica all'Italia, stregandola e cambiandola per sempre.
Per farlo bisogna partire proprio dai grandi nuclei mitologici che Berlusconi ha saputo creare in mezzo secolo; da quelle leggende che costituiscono la sua eredità. Esse vanno analizzate, scomposte, decostruite una per una per dare conto di ciò che è vero e di ciò che è falso. Serve quindi un fact-checking accurato, sobrio, spietato. Ma anche la consapevolezza che non tutti i fatti sono univoci, che la loro interpretazione può divergere anche radicalmente a seconda dei valori di partenza.
Ad esempio, i motivi della sua longevità politica e del suo lungo idillio con il Vaticano nonostante gli scandali, le leggi vergogna e le gaffe internazionali. La sinistra liquidò il problema bollando il consenso berlusconiano come pubblicità. L’effetto fu di negarne il contatto con la realtà, distogliendo lo sguardo dai problemi di rappresentanza che poneva. Essi andrebbero collocati al di là dell'indubbio sostrato di italico cinismo in cui il Nostro prosperò e che Leopardi denunciava efficacemente già due secoli fa. Maurice Blanchot sostenne che “il cadavere è la propria immagine”, ergo i vivi sono privi di somiglianza. Eppure, se c'è stato un uomo che ha costruito da vivo la propria somiglianza, questi è stato Berlusconi. Per lui l’immagine era tutto. Con una intuizione formidabile comprese che doveva sempre avere un'immagine da Capo, che fosse il proprietario di una società immobiliare, di una televisione commerciale, del Milan o di Forza Italia. La sua condotta ignorò i limiti imposti dall’essere un uomo in carne e ossa, che l’immagine ogni volta trapassa con il suo potere di alterare il rapporto con la realtà. Le immagini sono quanto di più permanente esista, perché il loro potere agisce nella mente di chi le ha osservate ben al di là della loro stessa presenza. Si chiama “immaginario”, e dell'immaginario sociale e politico italiano Silvio Berlusconi è stato il trentennale padrone. Il potere si esercita attraverso l’immagine, e una religione iconica come il cattolicesimolo sa bene. E se è vero che al liceo classico il Nostro studiò Schopenhauer, dal quale apprese la funzione di “instrumentum regni” della religione, il cerchio si chiude.
Il potere di persuasione è superiore alla realtà stessa, dalla quale l'uomo medio cerca sempre di evadere. Berlusconi evase da essa con i suoi successi, che sono la realizzazione di sfide che ai più parevano impossibili. Quando entrò da palazzinaro nel mondo della grande informazione pensando di reggere la concorrenza di Mondadori, Rizzoli e Rusconi, tutti risero. Costoro non si accorsero che lui non vendeva spazi pubblicitari, ma il futuro. L'allegria empatica di Silvio -assente a sinistra- abbassò le difese di milioni di italiani, ai quali il suo calderone mediatico ventilò la prospettiva di afferrare l’impossibile, anelato dall'uomo proprio perché tale. La sua comprensione dell’animo umano, degna di un finissimo psicologo delle masse, lo indusse a creare le opportunità per scatenarne le fantasie represse, essendo l'uomo mosso dal desiderio di trasgredire ciò che la società rende tabù. Silvio applicò, pur senza conoscerle, le teorie del filosofo Slavoj Zizek, per il quale non è la legge che produce il legame sociale quanto il godimento della sua segreta trasgressione: come pedofilia e nonnismo sono sempre stati il “doppio osceno” della disciplina militare ed ecclesiastica, la corruzione lo è sempre stata per la democrazia e il binomio tradimento-prostituzione per il matrimonio. Ciò che rende tollerabile ed efficace la legge è il piacere della sua infrazione e la società rimane unita, condividendo questo segreto. Ecco la novità berlusconiana: ciò che un tempo funzionava solo perché non era ammesso pubblicamente prosperò alla luce del sole. Ignorando la logica a due valori vero/falso, confusi nell’indefinitamente trasmutabile virtuale, Silvio disseminò innumerevoli cloni, con minori abilità individuali. Molti di loro sono tra noi; un indubbio capolavoro il suo.
Restano tuttavia delle verità contro le quali anche il propagandismo più spinto non può combattere. Questa inchiesta intende quindi offrire, a chi li vuole possedere, gli strumenti per un dibattito serio e motivato, gli elementi per farsi ed esprimere un’opinione solida e fondata su fatti documentati da sentenze e atti giudiziari, oltre che da riscontri storici inoppugnabili. Buon viaggio in una dimensione che attraversa il tempo, perché impregna le nostre vite, il nostro presente e il nostro futuro.

 

Ferruccio Pinotti, 2024.