Tango.
Il termine "tango" iniziò a diffondersi a Buenos Aires verso il 1820, riferito ad un tipo di percussione usata dagli afromaericani.
Può sembrare una forzatura associare questo significato con la danza che, sebbene almeno in apparenza porti lo stesso nome, si diffuse sessant'anni dopo.
Nell'800 Buenos Aires è la città dove "far fortuna". Nonostante la durezza dei lavori disponibili, data la grande disponibilità di manodopera, i salari erano piuttosto miseri. Famiglie di Italiani, Francesi, Ungheresi, Ebrei e Slavi, cui presto si unirono schiavi liberati e Argentini della seconda e terza generazione, provenienti dalle pampas, convivevano in squallidi appartamenti in quartieri costruiti dal nulla, detti "Orilla", creando una miscela unica e irripetibile di tradizioni etniche e culturali che è diventata l'ingrediente magico di un processo creativo.
Nei vicoli dell'Orilla, i nuovi Argentini condividevano un destino di disillusione e disperazione, da cui ben presto emerse una speranza comune rappresentata da una volontà di fuga, sia pure soltanto momentanea, dall'oppressione, sentimento forte espresso in canzoni, cantate in "Lunfardo", il dialetto degli emarginati, sorta di lingua comune fortemente influenzata dal Francese e dall'Italiano.
Le canzoni cantavano la tristezza delle persone, ma anche la loro felicità e le loro gioie. Cantavano la nostalgia e la distanza, ma anche le speranze e le aspirazioni. Cantavano la solitudine, ma anche la lealtà e la fratellanza nell'avversità.
La canzone, come in tante altre parti del mondo, divenne la consolazione in musica dell'uomo. E la canzone richiede come suo completamento espressivo la danza ed è così che nel vicoli di Buenos Aires, è nato il tango.
La gente della pampa, i Gauchos, portano la Payada, un'antica forma di poesia popolare caratteristica delle feste di paese: il Payador improvvisa sei versi endecasillabi, seguiti da un caratteristico stacco di chitarra.
Intorno al 1870 la Payada si evolve e ad essa si unisce il ballo: è la Habanera, danza spagnola diffusasi a Cuba e portata dai marinai fino alle due sponde del Rio della Plata, che si diffonde ma immediatamente si trasforma, assumendo l'andamento caratteristico e insolito di una camminata in cui l'uomo avanza e la donna indietreggia. Nasce così la Milonga, e milonguear significa passare la notte alternando canto e ballo.
Dal porto di Buenos Aires arriva anche il Candombè, danza caratteristica dei neri (che avevano abitato un piccolo borgo nella parte vecchia prima di scomparire decimati dalla febbre gialla), in cui le coppie ballano separate ma molto vicine, abbandonandosi a sensuali movimenti pelvici. Sono gli ingredienti che si fondono nel tango. Ma il tango non è solo un pensiero, è un'emozione, una sensazione, un enigma. E' una danza non solo del momento, ma della potenzialità del momento.
E' la danza con centinaia di segreti, migliaia di ombre, milioni di misteri.
E' la danza della velatura azzurrina della nebbia e dello sfavillio del riflesso delle luci dei lampioni sui mosaici di pietra delle strade; è la danza di uno sguardo scambiato, di uno stiletto in una mano invisibile.
L'adolescenza del tango era passata nelle osterie e nei bordelli di Buenos Aires.
Gli adepti si incontravano in oscuri bar per bere, suonando e ballando in angoli scarsamente illuminati.
La sensualità e l'erotismo del tango fecero ben presto nascere l'identificazione fra la capacità di ballarlo bene e la mascolinità e il machismo. Gli uomini si insegnavano trucchi e segreti l'uno con l'altro, esercitandosi fra di loro prima di mostrare la propria abilità per attrarre e sedurre le ragazze nei bordelli. Jorge Luis Borges, il grande scrittore sudamericano, così esprimeva questo concetto: "Nessuno può dire in quale città il tango sia nato, Buenos Aires, Rosario o Montevideo, ma tutti sanno in quale via, la via delle prostitute".
La Legge per il suffragio universale del 1912 condusse ad una maggiore integrazione delle classi popolari e il tango conquistò una nuova libertà.
Ma nonostante lo si potesse nuovamente danzare alla luce del sole, il tango aveva ormai acquisito il sapore di un frutto proibito.
Le caratteristiche audaci del tango ovviamente fecero in modo che non venisse approvato da tutti.
Nel 1913, il teologo americano Campbell Morgan espresse una curiosa ipotesi insinuando che il tango fosse la conferma della teoria di Darwin, ovvero della discendenza dell'uomo dalla scimmia.
Contemporaneamente, in Europa, l'Arcivescovo di Parigi, il Cardinale Amette, dichiarava che "I cristiani non dovrebbero in buona coscienza prendere parte al tango".
L'anno successivo, lo stesso Papa Benedetto XV si scagliò veementemente contro il tango, "è oltraggioso che questo ballo indecente e pagano, un assassinio della famiglia e della vita sociale, sia anche ballato nella residenza papale!". Il tango si diffuse in tutta Europa, causando problemi ovunque veniva danzato.
Nel 1914, il Kaiser Guglielmo II proibì ai suoi ufficiali di ballare il tango in uniforme considerandolo lascivo e contrario alla pubblica decenza.