Psicoterapia e omologazione.

 

 

 

 

(Si) sospetta invece che molti cerchino una terapia per gioire e non soffrire, per non avere a che fare con la confusione della mente e con le afflizioni del dubbio, per ristrutturarsi e raggiungere quella solidità che tiene lontana ogni possibile destrutturazione, in una parola che non accetta la vulnerabilità della condizione umana, da cui scaturisce ogni produzione creativa che, con tutta probabilità, non vedrebbe mai la luce se ci si dovesse attenere alle sole regole della ragione.
Ma poi siamo davvero così fragili da dover tradurre il ballo in danzaterapia, la musica in musicoterapia, il teatro in psicodramma, una bella cavalcata in ippoterapia, un'immersione nell'acqua in idroterapia?
Il sociologo Frank Furedi nel suo libro Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana (Feltrinelli) scrive che: "L'imperativo terapeutico che si va diffondendo promuove non tanto l'autorealizzazione, quanto l'autolimitazione. Infatti, postulando un sé fragile e debole, implica che per la gestione dell'esistenza sia necessario il continuo ricorso alle conoscenze terapeutiche. È allarmante che tanti cerchino sollievo e conforto in una diagnosi. Si può individuare, nell'istituzionalizzazione di un'etica terapeutica, l'avvio di un regime di controllo sociale. La terapia, infatti, come la cultura più vasta di cui fa parte, insegna a stare al proprio posto. In cambio offre i dubbi benefici della conferma e del riconoscimento".
Quando leggo certi libri di psicologia o ascolto certi esperti in tv apprendo che quando una persona è preoccupata, perché magari ha perso il lavoro o perché il figlio non ha nessuna voglia di studiare, è affetta da "sindrome di ansia generalizzata", se poi non sa di che cosa si preoccupa è in una condizione di "libera ansia fluttuante".
Per non parlare di chi è timido che, in una società che predilige l'estroversione, viene etichettato come affetto da "ansia sociale", se non addirittura da "fobia sociale" nel caso mantenga una sua riservatezza, in una cultura come la nostra che predilige la spudoratezza spesso venduta come sincerità.
In questo ricorso alla psicoterapia sotto ogni forma, anche la più bizzarra, non c'è il tentativo di omologare gli individui non solo nel loro modo di pensare, come è nei fatti il "pensiero unico", ma anche il loro modo di sentire? In questo caso il potere non avrebbe bisogno né di manganelli né di olio di ricino per esercitare il suo controllo assoluto.
  
Umberto Galimberti, 2011