A 40 anni: in ricordo di Giangi.

 

 

 

 

Nel 1961 sono arrivata a Milano dal Sudafrica per incontrare l´editore italiano del mio romanzo "Un mondo di stranieri", messo al bando nel Sudafrica dell´apartheid.
L´incontro non fu, come mi aspettavo, un saluto formale in casa editrice e poi la solita colazione di lavoro. Trovai, invece, un giovane uomo dalla stimolante, straordinaria intelligenza. Il mio editore italiano era lui, Giangiacomo Feltrinelli. Ci intendemmo subito, come se avesse vissuto e sperimentato di persona il conflitto umano del mio paese. Aveva il dono dell´identificazione. Non gli era estranea nessuna condizione umana.
Sfidando la censura e superando ostacoli formidabili nell´Unione Sovietica dell´epoca, Giangiacomo Feltrinelli pubblicò "Il dottor Zivago" di Pasternak in prima traduzione mondiale e offrì così questo romanzo meraviglioso alle altre lingue, a tutti noi. Riconosceva d´istinto, e non soltanto entro l´ambito politico, quando la letteratura illumina e rivela che cosa è l´esistenza umana. E infatti fu lui a pubblicare Lampedusa e tanti altri che hanno reso la letteratura mondiale del nostro tempo una cronaca dello spirito calata negli avvenimenti, passati e presenti. Un combattente della cultura, certo. Ma è stato anche, e fu questo aspetto infine a prevalere, uno di quei rari esseri che assumono su di sé la coscienza del mondo. E non è hybris, come qualcuno potrebbe pensare(...).
Quando il comunismo non sembrò più una soluzione capace di realizzarlo, egli cercò altri mezzi. Che siano da considerare deplorevoli o meno, che siano stati o no un tragico errore, è da lì che scaturivano, dalla disperazione per la condizione umana. Mi chiedo che cosa penserebbe Giangiacomo del nostro mondo di oggi.
Mi chiedo che cosa penserebbe della globalizzazione, il nostro nuovo concetto di Mondo Unico, oggi che il 20 per cento dei 25 milioni di ricchi degli Stati Uniti ha più denaro del 43 per cento dell´intera popolazione mondiale.
Penso che sarebbe uno di quanti fra noi -alcuni sono fra i più privilegiati- cercano, con i molti mezzi a disposizione, di evitare l´uso della violenza come soluzione antica di conflitti e ingiustizie, nonché di abolire la povertà trasformando la globalizzazione da potere esclusivo delle nazioni ricche in piena partecipazione dei paesi e dei popoli più poveri.
[...] A casa, nel mio studio, è appesa una fotografia che mi ritrae con Giangiacomo mentre strappiamo le erbacce del prato di Villadeati. Ogni volta che torno lì con Inge, lo vedo davanti a me, a estirpare erbacce con quell´energia e quella passione per la vita che lo rendono indimenticabile. 
  
N.Gordimer, 2002


 
Giangiacomo aveva un carattere tipicamente timido e aggressivo, molto puritano e capace di scoppi di allegria esagerata, però quasi incapace di relax. Bisogni, niente. Desideri, non se ne parla. Aveva alcuni tratti grandi-borghesi precisi: il valutare direttamente e senza perifrasi di cortesia l'economicità delle operazioni, addirittura con una affettazione manageriale di calcoli di costi e ricavi improvvisati con carta e matita lì al momento, il cambiar tema facendo cortesi domande su argomenti interessanti per l'interlocutore, quando la conversazione arrivava a un'impasse; il timore non confessato ma visibile di venir frequentato solo per i suoi soldi, e dunque un certo ritegno e difficoltà nello stabilire rapporti semplici e distesi.
  
A.Arbasino, 1980

 

 
Non so che cosa sia l´Editore, l´editore in sé, ma cerco di ascoltare le ragioni per cui faccio l´editore.
E ammetto: l´editore non ha niente da insegnare, non ha niente da predicare, non vuol catechizzare nessuno, in un certo senso non sa niente.
E ammetto: l´editore, per non essere ridicolo, non deve prendersi eccessivamente sul serio, l´editore è una carretta, è uno che "porta carta scritta", è un veicolo di messaggi, è tutt´al più, per parafrasare quel McLuhan di cui si parla tanto, un fautore di messaggi che siano anche massaggi. E ammetto: che l´editore è niente, puro luogo d´incontro e di smistamento, di ricezione e di trasmissione...
E tuttavia: occorre incontrare e smistare i messaggi giusti, occorre ricevere e trasmettere scritture che siano all´altezza della realtà. E quindi: l´editore deve gettarsi, tuffarsi a rischio di annegare, nella realtà.
Senza sapere nulla deve far sapere tutto, tutto quello che serve, e che serve ai vari livelli di coscienza. Tuffarsi nella realtà: tentare la "Fortuna". La "Fortuna" diventa allora un significato, un orizzonte, una vita svincolata e trionfante...
E allora: un editore è niente, è un veicolo che può anche autodefinirsi una carretta, ma un editore può anche affrontare il proprio lavoro sulla base di una ipotesi di lavoro molto azzardata: che tutto, ma proprio tutto, deve cambiare, e cambierà.
  
Giangiacomo Feltrinelli, 1967