Elogio della camporella.

 

 

 

 

Sono stato, e sono tuttora, un pasionario della camporella. Dipende forse dalla età e dal tempo in cui ho conosciuto più o meno biblicamente l'altra metà del cielo: allora l'auto rappresentava contemporaneamente, via di fuga, momento di romantico isolamento, alcova improvvisata, che potevano realizzarsi senza vincolo o limitazione alcuni.
Bastava esserci dentro, andando o tornando da un qualsiasi luogo, qualsiasi impegno, girovagando senza meta a perdigiorno, e decidere di ritagliarsi un attimo di intimità libera e assoluta, deviando lungo percorsi noti o da scovarsi, cercando piazzole che l'ingegno aguzzato dalla voglia svelava, o attendendo che il crepuscolo avesse il sopravvento.
Più intrigante e stimolante, un tumbler ove vi si riversavano ad elevata concentrazione adrenalina e testosterone, era la camporella estemporanea: la ricerca del luogo e il trovarlo, anche dopo tentativi d'esito insoddisfacente, scatenavano oltremodo passione e pulsioni. Non dimenticandosi mai, però, che il sito sconosciuto esponeva al rischio di passaggi più o meno occasionali di agricoli al lavoro, frequentazioni analoghe, sorpresine di vario genere e gusto.
La camporella non è mai stata solo location, come si direbbe oggi, ma un insieme di stati d'animo, un incedere di emozioni e concitazione, un innocente pizzico di proibito, che culminavano nel creare il modo di stare soli.
La sua sublimazione funzionale variava in funzione all'auto, per cui in dipendenza ad essa necessitavano specifica esperienza e professionalità.
La camporella era il tempio della pratica, con la teoria te lo potevi pulire e nient'altro.
Un conto era andare in camporella con un'auto di grandi dimensioni, un altro andare con una di piccole, un conto andare con un'auto con sedili ribaltabili, un altro andare con una coi sedili fissi, un conto andare con auto col cambio tra i due sedili anteriori, un altro con una(tipo la 2CV o la R4) con cambio al cruscotto e sedile anteriore unico, un conto andare con un'auto due posti, un altro andare con una quattro posti, un conto andare con una cabrio, o anche solo col tettuccio apribile, un altro andare con una col tettuccio fisso.
La diversità dell'abitacolo imponeva differenti soluzioni, e posizioni, per ottimizzare l'esito della camporella, e ciò avveniva solo con paziente sperimentazione e collaborazione di entrambi, per cui accadeva che frequentemente la prima volta passasse per lo più ad affinare l'armonia di movimento e intenti.
La riservatezza, oggi la si definirebbe privacy, alcuni se la garantivano o stendendo giornali ai finestrini o con l'automatico annebbiamento degli stessi dovuto all'escursione termica, ma personalmente non erano di gradimento perché impedivano la visione esterna e la prevenzione di azioni di disturbo. 
Era sempre da preferire il luogo che consentiva, meteo e zanzare permettendo, finestrini abbassati ed anche, in talune situazioni dettate da convenienze squisitamente operative, l'apertura di almeno una delle portiere.
La camporella, purtroppo abbandonata progressivamente dalle generazioni che seguirono divenendo espressione di nicchia, era poesia, gioco, erotismo di eccelsa qualità, impagabile e imparagonabile. Era goduria anarchica in contrapposizione al piacere istituzionalizzato, assoggettato alle comodità, permeato dalla tranquillità, dettato dalla saggezza degli anni, frutto di circostanze e programmazioni monotone e consuetudinarie.
  
Calico Jack, 1998