Lory.
Gianni aprì l'ultimo cassetto a destra della scrivania. C'erano due guide della Sip fuori uso, apparentemente inutili. E invece uno scopo l'avevano. Da sotto, dove neppure la madre di lei si sarebbe sognata di curiosare quando le danno le chiavi per venire a bagnare le piante in agosto, tirò fuori un quaderno, di quelli vecchi che non si fanno più. Sulla copertina, le regioni d'Italia. In particolare il Piemonte. Dentro, la carta giallina e un po' oleata; fuori, la copertina molle come il burro, fatta apposta per portarsi nel tempo le sue belle orecchie di serie.
Gianni aprì in fretta quel quaderno, sfogliò una decina di pagine ricche di date e nomi, quindi con molta attenzione scrisse: "Ristorante giapponese, 18.8.85". Era una tradizione di famiglia, come la calvizie, la gastrite, l'Inter, quella di annotare la cosiddetta "prima volta". La prima volta di ogni cosa, dal ristorante giapponese, alla tavola del surf, dal soggiorno a New York, alla cucina vegetariana, dal capello bianco, all'operazione al menisco (27.6.70).
Come sempre quando gli capitava di aggiornare il quaderno, ormai molto di rado, Gianni cominciò a sfogliarlo. Questa volta si fermò su due date. Anzi su due voci, la data vera la stessa: 29.8.1967. Ragazzi che giornata! Quel 29 agosto Gianni aveva per la prima volta guidato un'auto di sua proprietà e fatto l'amore. Non contemporaneamente, è ovvio, ma nello stesso giorno e, ripensandoci, nello stesso luogo.
Il "500" era arrivato verso le tre del pomeriggio, appena firmato il passaggio di proprietà. Non era nuovo ma ci avevano tirato dentro di Sidol, tanto che il sole faceva fin male a guardarlo. Era stato trattato come un bambino da un'anziana vedova che, da quando aveva litigato con la nuora, tutto l'affetto che riversava sul figlio aveva finito per trasferirlo sul "500", sicuramente meno intelligente del ragazzo, ma anche un po' meno stupido, visto che lui, una stronza come la nuora, mai gli sarebbe venuto in mente di sposarla. A prescindere dalle differenze di età e carrozzeria. Insomma, se fosse uscito dal concessionario non avrebbe potuto essere più lucido. Anzi più lucida, visto che Gianni, dando per caso un'occhiatina sotto il differenziale, concluse che si trattava di una femmina, e infatti la battezzò Lory.
In città, allora come oggi, se c'era da schiodare un motore a fine rodaggio, si puntava dritto verso l'Idroscalo, la periferia più vicina al centro, sul vialone dell'aeroporto. I più fortunati riuscivano anche a decollare, a volte, perché tra viale Forlanini e le piste dei jet c'è solo una rete coi buchi, tanto leggendari che qualcuno ricorda maligno certi rinvii di Tagnin, quando l'Inter di Herrera si allenava da quelle parti. Gianni dunque salì sulla sua Lory e inforcò il vialone.
La prima ora volò in carezze, al volante, al cruscotto, ai fanali(piccoli ma sodi), alla ruota di scorta che, unica a non essere stata sfiorata mai da nessuno, mostrò un comprensibile imbarazzo. La seconda ora si iniziò il delicato tentativo di svestimento. Si, perché l'anziana signora l'unica cosa che non aveva coperto all'uncinetto era lo specchietto retrovisore. Ci volle del tempo per liberare sedili, volante, lunotto, ma alla fine, così, "nature" com'era nata, Lory guidò Gianni in mezzo agli ippocastani.
I due rimasero immobili a lungo, uno di fronte all'altra. Qualche refolo di vento portò le primissime foglie caduche a sfiorare le ruote di Lory. Poi tornò il silenzio dei grandi incontri. Gianni fu preso da una felicità e da una sensazione strana, che in seguito non provò mai più. Qualcosa che ti spinge ad amare, per la prima volta. Non restava che la scelta. Non fu un grande sforzo: quei due numeri telefonici li ricordava a memoria. I suoi due unici, dolci peccati veniali. Lentamente, con grande concentrazione, pilotò Lory verso una cabina. Il primo numero fu Ombretta e non ci fu bisogno del secondo perché, quando deve capitare, capita e la data segnata per lui era proprio quel 29 di agosto.
Faceva un caldo come ai primi, Ombretta gli corse incontro sorridente. Portava una Lacoste rosa, un paio di jeans e dei mocassini marroni. Era abbronzata e bellissima. Così bella che Lory sembrò innervosirsi e stentò a partire. Ma fu un attimo. D'altronde è prerogativa delle macchine più sensibili saper stare al proprio posto, nel cuore come nel parcheggio.
Così, nell'arco di sei ore, quel pomeriggio e quella sera se ne andarono tante cose, dal primo pieno di benzina, alla fatica di fingersi adulti. Il tutto così indissolubilmente legato: senza Lory non ci sarebbe stata Ombretta: Senza Ombretta, Lory sarebbe rimasta solo la prima macchina.
Come prevedibile, il doppio primo amore finì, anche se non tanto presto. Lory si mise con un operaio della Breda che, anche se non molto istruito, conosceva i suoi punti deboli e seppe farla felice, allungandole la vecchiaia e donandole quella stabilità affettiva che prima le era mancata. Ombretta andò a stare con un avvocato che non le fece mancare mai nulla, anche se la usava solo la domenica.
Gianni chiuse il quaderno e gli occhi. Strano, non succede quasi mai: il profilo di quel suo primo amore se lo ricordava benissimo, dopo tanti anni. Era come se fosse lì, davanti a lui: così abbronzata, così disponibile, così senza marce sincronizzate.
Gino & Michele, 1986