Inventori di malattie.
Un articolo di Silvio Garattini su medicalizzazione "forzata" e sulla "perversione" farmacologica e un filmato di RAI3 di Silvano Montanaro del 2009 sulla strategia delle società farmaceutiche, debitamente assistite dal sistema medico-sanitario, di "creare a tavolino" stati pre-patologici o addirittura patologici per incrementare le vendite dei propri prodotti.
Le società occidentali sono ormai completamente vittime della medicalizzazione. Brutto termine che definisce una prevalente sudditanza nei confronti degli interventi medici. Esami diagnostici a iosa, terapie a gogò, interventi riabilitativi senza evidenza di efficacia. Tutto scaturisce dalla convinzione che vi sia un rimedio per ogni malessere, insoddisfazione o disagio. Il che sfocia anche nell'accanimento terapeutico, quando non vi siano più speranze di ottenere un beneficio.
Che cosa muove questa medicalizzazione? Due ordini di motivi. Innanzitutto, gli interessi economici di chi vende prodotti che hanno o dovrebbero avere un impatto sulla salute, e in secondo luogo le esagerate promesse dei ricercatori e dei clinici che, con enfasi, anticipano risultati preliminari non ancora validati da studi clinici controllati. Questi due fattori cavalcano alla grande i mass media e i social network per ampliare il mercato, da un lato, e per conquistare notorietà, dall'altro.
La medicalizzazione si traduce allora in un fiume di prescrizioni che non hanno probabilità di arrecare benefici, ma che invece rischiano di "regalarci" un fardello di effetti indesiderabili. Molti farmaci antitumorali rientrano in questa categoria (vale la pena, mi chiedo di nuovo provocatoriamente, di sopravvivere uno o due mesi in più, ma gravati da una pessima qualità di vita per il carico delle reazioni tossiche?). Molti antidepressivi, come ho già detto, non risultano attivi sulle comuni depressioni, e per di più potrebbero esporci al rischio-diabete (in un numero limitato di casi). I medicinali impiegati contro l'Alzheimer non modificano, purtroppo, la storia naturale della malattia.
Altra perversa conseguenza della medicalizzazione è il "trattamento del rischio", senza sapere se ciò si tradurrà in un vantaggio reale per il paziente. Per esempio: vale la pena trattare una modesta ipertensione, quella che supera di poco il valore di 140/90? Sarebbe certamente utile se permettesse di arginare la probabilità di avere un ictus, ma una recente revisione sistematica della Cochrane Collaboration (una struttura ramificata in tutto il mondo che compie in maniera continuativa revisioni della letteratura medico-scientifica in vari campi della medicina, per redigere lo stato dell' arte su un certo argomento) c'informa che, anche se si controlla l'ipertensione lieve, non cambiano la mortalità, l'incidenza delle malattie coronariche o degli ictus. Utilizzare l'Aspirina per trattare il rischio d'infarto nelle persone che hanno già subito un infarto è certamente positivo, ma impiegarla per la prevenzione primaria, quando il rischio è molto basso, significa esporsi al pericolo di un sanguinamento gastrointestinale e tutelarsi poco dalle malattie cardiovascolari.
La medicalizzazione si concretizza soprattutto in questo: trattare le persone sane, prive di rischio. Un bel paradosso, eh? In quest'assurda tendenza rientra la mania di credere che esistano terapie per prevenire l'invecchiamento a suon di vitamine, estratti d'erbe, integratori alimentari, quando invece numerose ricerche mostrano che questi trattamenti non mutano affatto la frequenza della mortalità, dell'infarto cardiaco o dei tumori. Anche il mito degli "antiossidanti" ha subito un fiero colpo da una recente analisi scientifica, che ne ha stabilito l'inutilità sostanziale.
In realtà, il sogno di curare i sani è sempre stato l'ideale di tutti coloro che vendono merce, facendo leva sulla credulità del pubblico: bombardati dalla pubblicità, molti finiscono con l'accettare l'idea che si possa davvero stoppare, con l'aiuto della farmacologia, il fluire del tempo. La farmacologia si occupa tradizionalmente di terapia: mette cioè a disposizione prodotti farmaceutici per curare malattie o migliorare sintomi (prurito, dolore, ansia eccetera). La disponibilità dei medicinali è a tal punto crescente che solo in Italia si contano oltre 10.000 prodotti, che animano un giro di quattrini pari ad almeno 20 miliardi di euro. Per cui la nuova mission è: alimentare questo mercato della salute.
Come? Cercando di estendere l'impiego dei farmaci non solo agli ammalati ma anche ai soggetti sani. Alcuni anni or sono il presidente di un'importante multinazionale farmaceutica aveva auspicato che un giorno la farmacologia potesse aiutare anche ... chi sta bene! Be', di quell'auspicio si possono già riscontrare alcuni esempi nella realtà. Penso all'ormone della crescita: questo ritrovato ha sicuramente rappresentato un formidabile ausilio per il trattamento dei bambini che, carenti dell' ormone, non potevano crescere e restavano di statura molta bassa. Ma non è mancata la tentazione di utilizzare questa sostanza ormonale anche nei bimbi che, pur di normale altezza, non mostravano una crescita ritenuta "soddisfacente" dai genitori. In altre parole, si è passati da uno strumento terapeutico a un trattamento quasi estetico (oppure atletico).
Del resto, quanti prodotti sono stati e vengono sfruttati dagli atleti per incrementare le personali performance ... L'eritropoietina (il famoso EPO) svolge una funzione utile per la terapia di alcune forme di anemia, perché incrementa la produzione dei globuli rossi e quindi il trasporto di ossigeno ai tessuti, ma è stata utilizzata e continua a essere impiegata negli atleti, tipicamente nei ciclisti, per permettere al cuore di lavorare con più ossigeno, e quindi più velocemente, e di trasferire ai muscoli una maggiore quota di sangue.
Ancora più evidente è la tendenza attuale a ridurre il colesterolo con l'impiego delle statine non solo nei soggetti alle prese con una manifesta ipercolesterolemia, ma anche negli individui sostanzialmente sani, con l'idea che comunque un colesterolo più basso della norma non possa che rappresentare un vantaggio. Ancora più preoccupante è l'impiego dei farmaci psicotropi, e in particolare gli stimolanti, per elevare le prestazioni intellettuali, riducendo la fatica, migliorando l'umore, incrementando la memoria. Classico è il caso del metilfenidato, autorizzato per il trattamento dei bimbi affetti da ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ma praticamente esteso anche ai piccini assolutamente normali, che sono soltanto un po' vivaci. E che semmai avrebbero bisogno di una maggiore cura da parte dei genitori, anziché di farmaci ...
In fondo si potrebbe obiettare: ma che male c'è? Riuscire a ottimizzare le capacità dell'individuo può essere un vantaggio per tutti, no? Non c'è dubbio, ma la questione non è così semplice,perché intanto tutti i vari trattamenti vengono praticati senza che vi siano prove di reale efficacia, e soprattutto non bisogna dimenticarsi che i farmaci non sono solo forieri di benefici: gli effetti tossici si annidano sempre dietro l'angolo. 1'eritropoietina? Può rendere viscoso il sangue e generare trombosi. L'ormone della crescita potrebbe spianare la strada a un diabete. E le statine? Anche qui bisogna fare i conti con l'eventuale comparsa di diabete e dolori muscolari.
E i miei sono solo alcuni esempi. Ora, se si può tollerare qualche effetto collaterale quando si tratta di affrontare una malattia seria, è difficile accettare le stesse conseguenze quando si è sani. Meditiamoci sopra. Perché ne sono convinto: in futuro le pillole per chi sta bene si moltiplicheranno.
Silvio Garattini, 2013