Educare al conflitto.

 

 

 

 

In un'epoca nella quale la conflittualità sociale è sopita, anestetizzata, nel migliore dei casi rapsodica, dispersa e frammentata o, peggio ancora, è stata soppiantata dall'abitudine alla lamentela individuale e al voto di protesta, sempre più urgente diventa educare le giovani generazioni alla necessità e alla legittimità del conflitto, sia esso di natura sociale, politica, ideologica o culturale.
Da questo dipende il futuro di milioni di lavoratori, disoccupati e sottoccupati. I giovani devono diventare consapevoli del fatto che le classi popolari hanno ottenuto conquiste sociali e agibilità politica solo grazie all'uso di questo strumento e che il loro avanzamento è dipeso dalla capacità di portare avanti istanze, interessi, bisogni e visioni del mondo "altre" rispetto a quelle dell'élite dominante.
Quest'arte, tuttavia, non è un'attitudine naturale né si sviluppa o si afferma spontaneamente, abbisogna di essere insegnata, sperimentata, innescata. I luoghi deputati a questa formazione sono molteplici e diversificati, famiglia, società, posti di lavoro, ma uno, in particolare, è decisivo e lo è da un punto di vista specifico; quel luogo, unico e insostituibile, è la scuola. Solo qui, infatti, la personalità in formazione dello studente fa esperienza di quella dimensione dialettica, unica e insostituibile, che va sotto il nome di "battaglia delle idee". È sui libri che i giovani possono assistere alla lotta per il possesso, la descrizione e l'interpretazione del mondo, è sui libri che vedono all'opera, nello scorrere della storia, la contesa delle élite, dei ceti sociali e delle classi che si combattono e si avvicendano al potere per plasmare la società a loro immagine e somiglianza. L'insegnamento delle discipline umanistiche, oggi più che mai, può e deve servire a frantumare lo specchio del pensiero unico, la presunzione che quella della realtà sia una questione ormai risolta e che non esistano alternative praticabili alla dimensione presente.
Per sradicare questa mala pianta costruita dalla narrazione degli ultimi quarant'anni basta relativamente poco, basta far acquisire agli studenti senso storico, aiutarli a mettere in relazione il presente con il passato, prossimo e remoto, che lo ha prodotto. Data una prospettiva storica e strappato lo studente al "presentismo", non sarà difficile comprendere come mai le cose stanno così e non altrimenti. Fare questo significa, in poche parole, dare ai giovani gli strumenti per comprendere che ciò che viene spacciato come "reale" ha a che fare con questioni genealogiche e di potere.
Le discipline storiche e filosofiche forniscono il grimaldello per scardinare la presunta dimensione naturale, neutra e immutabile, dei principi etico-politici che informano di sé il presente. La storia ricostruisce come, in che modo e con quali strumenti una certa classe sociale è giunta a egemonizzare la società e, attraverso innumerevoli e controverse vicende, a imporre i propri interessi e valori come universali. La filosofia mostra, in forma complementare, il lato della riflessione coerente e consapevole grazie alla quale un'élite si prepara a dirigere e a dispiegare un sistema di principi teorici che devono essere e apparire più forti, cogenti e persuasivi di quelli dell'avversario o del nemico politico.
Senso storico, consapevolezza dialettica e spirito critico vanno di pari passo e devono essere il fine ultimo dell'insegnamento. Se come insegnanti sapremo fare delle discipline umanistiche un laboratorio nel quale si sperimenta il conflitto delle interpretazioni, dalla critica d'arte, alla storiografia, all'ermeneutica filosofica, avremo dato ai nostri giovani un'arma in più per difendersi da verità preconcette e stereotipate, in caso contrario avremo contribuito a formare soggetti conformi, irriflessivi e, in ultima analisi, asserviti al senso dell'ineluttabile.
  
Giorgio Lonardi, 2017