Il ragioniere.
Sono nato di maggio e mia madre mi ha detto che era una primavera molto bella, di quelle di allora, profumate di alberi in fiore, ronzanti di insetti, lucide di azzurro, di pioggia, di sole e di notti punteggiate di cento milioni di stelle.
A volte, quando cerco di ricordare, mi accorgo che avrei dovuto guardare meglio, cogliere ogni particolare, il suono delle voci, gli odori ed i colori. Invece sono stato distratto. Pensavo di vivere in una sorta di infinito presente e mi sono occupato di cose che ora non ricordo nemmeno più. Per questo, i volti, le attenzioni, gli abbracci, le risate, la mano sulla spalla, i sorrisi e la passeggiata silenziosa fatta in compagnia verso quella macchia d'alberi che si vedeva da lontano, oggi sono tutte schiacciate in un immenso e confuso ricordo fatto di immagini indistinguibili. E quello che non si ricorda, in fondo, è come se non fosse mai esistito.
Non ho mai creduto veramente di vivere per me stesso. Mi sono sempre considerato uno strumento, qualcuno attraverso il quale dovesse compiersi qualcosa. Per questo ho camminato a testa bassa verso una meta che non ho mai capito cosa fosse, convinto che prima o poi dovesse succedere qualcosa, ma non è mai successo niente. Forse dovrei farmi qualche domanda, ma quando ci si abitua a essere utili a qualcosa o a qualcuno, si finisce per non poterne fare a meno. Se non si ama se stessi a sufficienza per dare un senso alla vita, si finisce per occuparsi di chiunque capiti a tiro per non confessarsi di aver fatto una lunga camminata da solo, senza nemmeno una macchia d'alberi che si vedeva da lontano da raggiungere.
E così oggi sono qui a portare diligentemente i miei conti a mettere in fila quei piccoli numeri in colonna sui quali si reggono destini misteriosi, le fortune di persone che vivono le loro vite luccicanti, che non mi conoscono e che non sanno nemmeno che la loro fortuna dipende da me, da quello che è stato un ragazzo nato di maggio, che non ha nulla da ricordare, che si occupa di chiunque capiti a tiro, che non ha mai vissuto veramente per se stesso, che ha aspettato a lungo che tramite lui si compiesse qualcosa che non si è mai compiuto e che forse non si compierà mai.
Ogni tanto penso che dovrei ribellarmi, che quello che mi è stato dato è un tempo finito, che la luce può spegnersi senza nemmeno che io abbia il tempo di sentire il "click", che la sabbia scorre nella clessidra e a tutte quelle altre complicate metafore che cercano di dire in maniera difficile una cosa semplicissima: la vita, a un certo punto finisce, e stop.
Sì, vero, dovrei ribellarmi, ma per fare cosa? Gli artisti recitano sul palco, i soldati fanno la guerra, le belle donne fanno innamorare, i bambini commuovo, i ragionieri portano i conti. Sono così abituato a muovermi in penombra che probabilmente non sarei nemmeno capace di camminare in piena luce.
Lo so. Non c'è gloria nella mia vita, non c'è gloria in quello che faccio. Sono un piccolo, invisibile ragioniere che mette in colonna i numeri delle vite degli altri. Posso solo dire di essere nato di maggio, che era una primavera molto bella. Di quelle di allora, profumate di alberi in fiore, ronzanti di insetti e lucide di azzurro, di pioggia, di sole e di notti punteggiate di cento milioni di stelle. Posso dire di essere vissuto sempre con la convinzione che attraverso di me dovesse compiersi qualcosa che non si è mai compiuta, pronto a giurare che prima o poi dovesse succedere qualcosa, ma non è mai successo niente. O forse, semplicemente, non è successo ancora.
Comandante Nebbia, 2016